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Autore: NPC_Stories    29/01/2022    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Dira_
Genere: fluff




Galeotto fu il baule



Tempio delle Spire del Mattino, Waterdeep, Anno 1364 Autunno.

Vivere in una città come Waterdeep era un’esperienza completamente diversa dal vivere nelle campagne profonde di Secomber.
Waterdeep era una città vera; aveva un castello imponente, gremito di torrioni e circondato da altissime mura, aveva dei quartieri gremiti di case, negozi, taverne che si avvicendavano stretti l’un l’altro tra strade lastricate di ciottoli e traboccanti di gente. E poi c’era il mare.
E Dora viveva lì; non solo, era una giovane adepta del Tempio delle Spire del Mattino, che la maiuscola se la meritava tutta perché alla prima lezione di Storia e Religioni avevano detto che era il più grande e splendente della Costa della Spada.
E lei studiava lì; ogni giorno passeggiava tra le grandi sale foderate di marmo rosa, alzava il viso verso le sette imponenti torri, che terminavano in guglie a spirale ornate di rame, argento e oro. Ad ogni preghiera dell’alba luccicavano come se Lathander stesso si fosse chinato per sfiorarle con un bacio. Le mille piccole fontane che ornavano e arredavano le grandi sali circolari cullavano lo studio, le conversazioni… e la facevano dormire serena.
Dora ogni mattina, prima di infilarsi la tunica gialla e oro da novizia, si tirava un pizzicotto nell’incavo del braccio, giusto per controllare che fosse tutto vero, che fosse davvero lì.
Dora era felice.
Però
Dora era anche Dora; c’era una piccola spina in quella estasi perfetta, un sassolino nella scarpa che non riusciva a togliersi.
Le mancava la sua famiglia… ed era preoccupata per Rupert.
Rupert, dopo solo un mese che era partita, era scappato di casa; Dora non se ne era stupita, il gemello odiava lavorare alla fattoria. E poi, c’erano i soprusi di Randall e Stedd a mettere la ciliegina sulla torta.
Per fortuna però, pur con tutte le sue bizzarie, suo fratello non era uno stupido; era capace di scegliere il miglior corso d’azione per sé stesso e infatti, qualche settimana dopo la lettera della mamma, ne era arrivata un’altra.


cara sorellona,

Sono in un monastero di Lathander e mi insegneranno a tirare calci e pugni.
Quando ci rivedremo sarò un figo. Baci Baci.

Rushe il mitico



Chi cavolo è Rushe?
Vabbeh, i monaci almeno lo terranno in vita. E chissà che tutta quella disciplina non gli faccia bene…

Aveva scritto ai genitori per rassicurarli e poi si era buttata a capofitto nei suoi studi.
La preoccupazione rimaneva, ma non poteva permetterle che la distraesse: essere una Risvegliata del Tempio non era uno scherzo. La giornata iniziava all’alba e finiva al tramonto, ed era piena di studio, esercizio fisico e momenti di profonda preghiera.
Dora aveva pochi attimi per sé stessa e li sfruttava tutti, come in quel momento; nel dormitorio grazie ad un complesso sistema di lucernari e finestre la luce rimaneva calda e soffusa per tutto il pomeriggio, anche d’autunno, e per questo aveva deciso di rimanere a leggere un libro, rinunciando a seguire le sue compagne nella grande piazza del mercato per una passeggiata e qualche acquisto.
Con la sua biblioteca, un imponente edificio adiacente ai dormitori, il Tempio era letteralmente il paradiso della conoscenza, e quando l’aveva scritto a Tek’ryn, il drow le aveva risposto che avrebbe dovuto approfittarne. Cosa che Dora aveva fatto a piene mani, prendendo a prestito qualsiasi libro stuzzicasse la sua curiosità.
Però c’era un problema.
Lanciò un’occhiata al baule in fondo al letto, unica suppellettile dove contenere effetti personali; era semiaperto perché debordante di libri.
Avrebbe dovuto rinunciare a qualcuno, ma ne aveva ancora così tanti da leggere… e così interessanti! C’era un trattato sulla Storia delle Religioni a Waterdeep, un diario di viaggio di un Chierico nel Kara-Tur, e poi come non citare quel meraviglioso racconto sulla Città dei Morti, perfetto per le notti buie e tempestose…
Lanciò un’occhiata al letto accanto a sé. Vi era un baule gemello ma vuoto perché il posto non era occupato. Quell’anno le giovani adepte erano state meno del solito.
Se lo usassi non darei fastidio a nessuno…
Dora sbirciò la porta socchiusa del dormitorio e poi si decise; cominciò la distribuzione dei libri. Quando era chiuso nessuno avrebbe notato che lo stava usando lei.

“Ehilà, quel letto è tuo?”

Dora si congelò sul posto. Una voce giovane l’aveva sorpresa alle spalle. Era una delle sue compagne? Si voltò avvampando di vergogna.
E questa chi cavolo è?
Capelli scuri, occhi chiarissimi, lentiggini e pelle diafana… doveva essere un’illuskan. O forse no, dato che quel popolo era famoso per essere alto e robusto e la tipa era più bassina ed esile di lei.
Mi sa che però sono io ad essere fuori scala.
Ci mise un attimo a riconoscerla, perché non era del suo anno; ma non era una faccia nuova.
Ah, è una degli orfani!
Ovvero un piccolo gruppetto di studenti che invece di arrivare al Tempio, ci era letteralmente cresciuto dentro, grazie alla munificità del loro dio, amante della gioventù e delle seconde possibilità.
“Scusa, ma il letto è tuo?” ripeté la ragazzina.
“Beh… cioè… in realtá no.”
“Ti sei allargata?”
Dora avvampò, colta con le mani nel sacco. “Scusa… pensavo non venisse più nessuno…”
L’altra gettò la propria sacca, rattoppata ma pulita sul materasso, buttandocisi poi sopra senza troppe cerimonie. “E invece mi hanno spedita qui da voi nuove leve!” e sorrise irriverente.
Dora si morse un labbro irritata. “Non sembri tanto più grande di me. Quanti anni hai?”
“È che sono un’orfana magra e denutrita!” esclamò spalancando gli occhi. “Povera me! Quanti anni mi dai?”
Dora trattenne un mezzo sorriso, perché la mimica facciale della sua nuova vicina era irresistibile. Finse di rifletterci. “Boh… dodici?”
L’altra sgranò di nuovo gli occhi, stavolta sinceramente shockata. Poi, notando il suo sorrisetto, ridacchiò. “Simpatica… sono un anno avanti a te. Mi chiamo Kethra, piacere!” e le porse la mano.
Tipico nome Illuskan. Avevo ragione.
Dora la strinse, sentendola asciutta e calda al tatto. Aveva una presa forte, cosa che le piacque. “Dora Honeycomb, altrettanto.”
“Volevi fregarmi il baule Dora Honeycomb?”
“Non è rubare se non c’è padrone.”
Kethra ampliò il sorriso. “Mi avevano detto che eri una noiosona e invece sei una sveglia!”
Dora sentì il sangue scivolarle via dal viso. “Chi te l’ha detto?”
Parlano male di me?
Eppure aveva fatto tutto giusto. Era gentile, disponibile e cercava di essere utile a tutti… cos’aveva sbagliato stavolta?
Kethra esitò, forse notando il suo repentino cambio d’umore. “Tua zia, ma in realtà ti ha descritta con un sacco di lodi, dovresti tipo essere un buon esempio per me. Noiosona l’ho detto io, scusami.” Si sporse per toccarle un ginocchio, dato che entrambe erano sedute sui rispettivi letti. “Era solo una battuta, e pure un po’ stupida… dato che saremo vicine cerchiamo di andare d’accordo, va bene?”
“Certo,” rispose in automatico. Kethra era palesemente nella schiera dei troppo vivaci, specialmente se l’avevano declassata di camerata… ma avrebbe trovato modo di instaurare un rapporto cordiale anche con lei.
Non può essere peggio dei miei fratelli. Nessuno è peggio.
Kethra le diede un calcetto sulla caviglia per attirare la sua attenzione. “Ehi, se vuoi puoi avere il mio baule… io ho poca roba e la posso tenere nella sacca. Quando stavo all’orfanotrofio facevo così.”
“È contro il regolamento,” ribatté pronta Dora. “Anzi, se vuoi riferire la cosa di prima alla guardiana…”
Kethra la contemplò come se fosse l’essere più bizzarro del Toril. “Ma sei scema? Ti metterebbe di sicuro in punizione!”
“Sì, ma me lo meriterei.”
“Beh, non lo farò! Che tipa che sei!”
Dora si strinse nelle spalle. Avrebbe voluto tornare al suo libro, ma Kethra non dava segno di volersene andare. Sospirò. “Grazie…” perché andava detto. Poi cercò un argomento di conversazione, uno qualsiasi per non farsi fissare come un dannato gufo impagliato. Notò che tra i capelli, acconciati in una treccia che le cadeva sulle spalle, l’altra aveva un fermaglio a forma di farfalla.
Era argentato, ma sicuramente non era di metallo nobile; sembrava fatto di ferro coperto da piccolissime perline di vetro, uno di quei tanti accessori che venivano venduti nel Quartiere dei Mercanti per poche monete di rame. Lo indicò. “È molto bello… dove l’hai preso?”
Kethra si toccò i capelli. “Ah, questo?” se lo sfilò. “L’ho vinto giocando d’azzardo.”
“Scusa?” l’acuto che le uscì fece scoppiare a ridere l’altra. Una risata piena, di pancia, che la mandò stesa sul materasso.
Dora avrebbe voluto arrabbiarsi, ma era una risata così genuina e simpatica che non riuscì a frenare una risatina di rimando. “Ma che cretina!”
Kethra sogghignò. “Me lo dicono sempre!” E poi, dopo essersi alzata di scatto, si chinò su di lei.
Cosa…
Il volto dell’altra e le sue tantissimi lentiggini, era letteralmente ad un millimetro dal suo. Dora rinculò mentre il cuore le dava una brusca accelerata.
Kehtra era molto carina. Aveva i lineamenti che parevano dipinti e degli enormi occhioni grigi con ciglia lunghe e scure. Indossava la sua stessa tonaca ma sulla sua corporatura armonica e minuta cadeva con molta più eleganza.
Era una delle ragazze più belle che avesse mai visto, e Dora aveva conosciuto Krystel e i suoi figli.
Questa, completamente ignara di quei pensieri, le appuntò il fermaglio ai capelli con dita leggere. “Come sono morbidi,” commentò. “Come li lavi?”
Dora deglutì. “Cos… i capelli? Ehm… acqua ed erba saponaria?”
“Che fortuna, li hai così al naturale allora! Va’ come ti sta bene!” Esclamò mettendosi teatralmente le mani sui fianchi. “Sembra fatto apposta per te, te lo regalo!”
Dora toccò il fermaglio. Era ruvido e freddo e un po’ pesante. Non se lo tolse. “Grazie, sei gentile ma…”
“Ma ho già deciso!” replicò dandogli una pacca energica sulla spalla. Era minuta e sembrava una bambolina, ma aveva le mani pesanti. “Tranquilla, l’ho pagato di tasca mia.”
“Appunto, ti devo qualcosa…”
“È un regalo, Honeycomb, accettalo e basta! Però se non ti piace…”
“No, no, mi piace! Solo… perché?” Che ho fatto per meritarmelo? Era la domanda conseguente ma Dora la fermò in tempo perché sarebbe suonata un po’ strana. La gente si faceva regali, di continuo; solo che non era mai capitato a lei, se non per il compleanno, ma quello era diverso e comunque di solito lo divideva con Rupert.
Tra l’altro, non era corretto accettarlo; se Kethra era un’orfana doveva avere al massimo una piccola indennità per le spese personali data direttamente dalla Chiesa. Quel fermaglio non sembrava costoso ma era di buona fattura, di certo doveva aver risparmiato per acquistarlo.
“No, senti…”
“Oooh, e se mi va di regalartelo?” fu la risposta perplessa. “Si fa così tra ragazze. Ce l’hai mai avuta un’amica?”
“Sì, chi non ce le ha?”
No, e Tine non è mai contata. La facevo contare per egoismo mio…
Dora si sistemò il fermaglio in modo che non cadesse. “Grazie allora. Però vorrei darti qualcosa in cambio, mi sentirei a disagio a non farlo…”
Kethra continuava a fissarla perplessa. “Certo che sei un bel po’ strana… ma va bene, sono strana anch’io, andremo d’accordo!” sancì battendo le mani. “Se proprio ci tieni a farmi un favore, vieni con me!” e la afferrò per un braccio obbligandola ad alzarsi.
Dora mollò il libro perplessa. “Dove?”
“A dare un senso a ‘sto pomeriggio!” Le passò un braccio attorno alle spalle e avvicinò il viso al suo con fare cospiratorio. “Tu… mi sembri proprio una brava a fare il palo.”
“Per cosa?
“Niente di illegale o contro le regole, sta’ serena. Solo divertente. Conosci il concetto?”
Dora pensò a tutti i pomeriggi folli passati col gemello, ai guai in cui si erano cacciati, al terrore… e alle tante, tante risate.
Sorrise. “Lo conosco.”
“Ottimo! All’avventura allora!”

   
 
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