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Autore: Neamh Moonstar    30/01/2022    2 recensioni
E adesso che avrebbe dovuto tirarsi fuori da quella situazione, non faceva altro che pensare a quei due occhi che erano squarci di cielo sereno, a quei riccioli che erano morbide volute bianche come nuvole e ai sacri cancelli che erano quelle labbra a lui precluse. Avrebbe dovuto capirlo prima. Avrebbe dovuto capirlo dalle poesie che aveva ispirato, alle trame di opere teatrali che aveva suggerito, alle conversazioni mezze ubriache che aveva avuto nei momenti peggiori. Avrebbe dovuto capirlo nei pezzettini di sé stesso che aveva lasciato nel corso della storia, dai testi delle canzoni che ancora gli risuonavano in testa.
Era stato così cieco...
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Hastur
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Prima e dopo la fine del mondo'
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Se l'era sempre cavata fino ad allora, sempre. Aveva accampato scuse su scuse, giustificazioni ben tessute, e si era preso il merito di idee non sue - anche perché le idee effettivamente sue non riscuotevano mai il successo che si sarebbero meritate. I suoi rapporti erano perfetti, senza sbavature di sorta, compilati nella certezza che nessuno li avrebbe guardati davvero. Era sempre stato un "buon dipendente" anche se nessuno lo avrebbe mai ammesso: fare un bel lavoro all'Inferno significava semplicemente evitare di finire tra le manacce dei superiori. Non c'erano pacche sulla spalla, né sorrisi, né complimenti. Avevi fatto quel che dovevi fare? Bene: dovevi alzare le chiappe e continuare a fare quel che dovevi fare. Punto.

Crowley andava avanti così da praticamente sempre. I primi tempi aveva recitato sempre la stessa parte: ricevi l'incarico, svolgi l'incarico facendo sì che di sotto siano soddisfatti abbastanza da non romperti le palle, fai rapporto, ripeti. Fortunatamente nella sua estenuante routine c'era un piccolo twist; ciò che gli faceva venire effettivamente voglia di andare dove gli dicevano di andare e fare ciò che gli dicevano di fare. Dovunque fosse il luogo e qualunque fosse il suo compito, avrebbe trovato l'angelo pronto a "contrastare i suoi piani malvagi".

Ovviamente nessuno dei due aveva mai avuto intenzione di seguire quel programma. Non era stato semplice mettersi d'accordo: Crowley aveva dovuto fare breccia nel difficile ma terribilmente interessante carattere di Aziraphale, il quale oscillava sempre tra il voler essere dedito al dovere e il fatto che (in fondo, molto molto in fondo. Davvero, si notava in maniera quasi impercettibile) stare con il suo nemico assegnato non gli dispiaceva per niente.

Alla fine si era trasformato in un gioco basato su regole che solo loro conoscevano. Come in ogni gioco, però, c'erano difficoltà, momenti in cui le loro diversità prendevano il sopravvento e cozzavano l'una contro l'altra. C'era stata la questione dell'acqua santa, ad esempio: l'evento scatenante che li aveva allontanati per tanto, troppo di quel tempo. Erano stati anni strani in cui Crowley aveva sentito il peso di quel pezzo mancante delle sue abitudini; anni i cui giorni si erano consumati nel pensare ad abbassare il suo ego - il quale scalpitava furioso, urlandogli che aveva ragione lui e che l'angelo era stato egoista - e a pensare a come rimediare.

E ricucire gli strappi non è sempre facile: alle volte hai bisogno di irrompere in una chiesa e lasciare che la bombardino, facendo attenzione a salvare anche quei preziosi libri nel mentre, e aggiungere un passaggio verso casa al tutto. A giudicare dagli sguardi di Aziraphale, ciò aveva rimediato alla grande e quegli occhi azzurri si erano illuminati abbastanza da fargli capire che aveva fatto centro.

Non si sarebbe mai aspettato una risposta, né si sarebbe mai aspettato di venire ricambiato. Credeva che quel discorso fosse chiuso, che avrebbe semplicemente dovuto evitare la questione e che doveva cavarsela da solo. Per questo aveva organizzato il colpo e per questo si stupì di rivedere quelle pozze celesti di nuovo su di lui, stavolta cariche di preoccupazione.

Tutto si sarebbe aspettato, tranne quello. Tutto tranne il thermos che era corso a nascondere a casa sua. Tutto tranne il senso di solitudine che aveva provato quando il sedile accanto a lui era tornato vuoto. Tutto tranne il rapporto che adesso stava rileggendo, avvolto dalle tenebre dell'Inferno.

In quelle poche righe ben costruite aveva segnato il suo primo fallimento. Aveva scritto dell'unica volta in cui l'angelo era effettivamente riuscito a fermarlo, mettendo su una trama che il migliore degli scrittori avrebbe sicuramente invidiato. Non gli interessava la figura che avrebbe fatto, né le parole che i suoi superiori gli avrebbero rivolto: la sua testa era già volata altrove.

C'era sempre stata una sensazione dentro di lui che non era mai riuscito a spiegarsi e che aveva sempre malamente allontanato perché, no, non era possibile. Non poteva essere, non era normale. Aziraphale gli stava simpatico, tutto qui: era successo. Scendere a patti con lui era divertente, collaborare era divertente, accorreva da lui solo perché fare il contrario sarebbe stato da ipocrita - visto che l'idea della collaborazione era stata sua. Era anche conveniente, tra le altre cose - insomma: poteva considerarlo un amico. Lo aveva sempre fatto (forse i primi tempi meno) ma adesso ne era convinto e anche l'angelo ne era convinto quando non si faceva prendere dalle insicurezze e dalla paura del Paradiso.

Tutto qui. Giusto? Non era mosso da altro, no. Assolutamente-

Sbuffò, accartocciò il foglio e si prese la testa tra le mani. Chi voleva prendere in giro? Si era innamorato. Perché era un cretino e perché doveva esagerare sempre in tutto, emozioni comprese. Era sbagliato ma lui si era sempre sentito vivo e completo nel fare le cose sbagliate; era lì per un motivo, in fondo.

E adesso che avrebbe dovuto tirarsi fuori da quella situazione, non faceva altro che pensare a quei due occhi che erano squarci di cielo sereno, a quei riccioli che erano morbide volute bianche come nuvole e ai sacri cancelli che erano quelle labbra a lui precluse. Avrebbe dovuto capirlo prima. Avrebbe dovuto capirlo dalle poesie che aveva ispirato, alle trame di opere teatrali che aveva suggerito, alle conversazioni mezze ubriache che aveva avuto nei momenti peggiori. Avrebbe dovuto capirlo nei pezzettini di sé stesso che aveva lasciato nel corso della storia, dai testi delle canzoni che ancora gli risuonavano in testa.

Era stato così cieco...


    «La sconfitta brucia, eh?» ringhiò una voce sopra di lui. Il tono di scherno gli fece salire il nervosismo lungo la spina dorsale, ma si sforzò di ignorarlo.

    Con un sorriso tirato, alzò la testa per incontrare i neri e vuoti occhi di Hastur. «Ehi,» salutò, cercando di apparire il più disinvolto possibile. «Beh, c'è sempre una prima volta, no?». Allargò le braccia come a dire: "non è nulla di che, davvero", sperando che il duca se la bevesse.

    «Come ha fatto quel raggio di sole a fermarti?» Chiese quest'ultimo, mantenendo un ghigno sul volto. «Mettere a ferro e fuoco una chiesa sarebbe stato divertente. È meglio di tutte le idiozie che ti vengono in mente di solito.»

    «Gli angeli ci tengono ai luoghi sacri, che vuoi farci» cercò di liquidarlo Crowley raccogliendo il foglio e stirandolo come nulla fosse accaduto. Ora aveva una gran voglia di consegnarlo e tornarsene a casa, anche solo per levarsi Hastur dalle palle. «Fanno di tutto per difenderli,» concluse iniziando già ad allontanarsi.

    «E non ti dà neanche un po' fastidio?» Rimbeccò l'altro, costringendolo a fermarsi.

    Crowley alzò gli occhi al cielo e si voltò con un altro sorriso così finto da far male: «Direi che per una sola falla in secoli di ottimo lavoro non ne vale la pena.»

Quello era vero e Hastur lo sapeva. Nonostante ciò, quegli occhi spenti non smisero per un secondo di brillare e fissare il rosso come se fosse il più incapace tra i ribelli. La voglia di fuggire crebbe nell'animo di Crowley, spingendolo involontariamente a fare altri due passi lontano dal duca.

    «Non hai proprio nessuna voglia di vendicarti?»

    «Diciamo solo che spero di non rivedere quell'angelo per un po'». Ecco, quella era una bugia.

    «Fa' come vuoi, serpe. Ma se vuoi la mia opinione-» e Crowley non la voleva sapere proprio per niente, «-il biondino si meriterebbe una ripassata.»

    Il rosso annuì lentamente, come se stesse ponderando l'idea, quando in realtà stava solo cercando il modo più rapido di svignarsela. «Lo terrò in considerazione.»

Col cazzo. Pensò, andando finalmente via da lì.

Aveva bisogno di una bella nottata di sonno dopo tutte quelle emozioni. Sperò solo di non rivedere Hastur nei suoi incubi.


••


La mattina dopo, Crowley passò due ore buone a passeggiare per la sua camera da letto. Voleva una scusa per passare da Aziraphale e decise che la colazione poteva essere un buon modo per convincerlo a sgusciare fuori dalla libreria. L'angelo era facile da prendere metaforicamente per la gola e ciò aveva sempre rappresentato il modo migliore per attirarlo in qualche chiacchierata.

Decise di prendere la macchina e passare di persona. Si ritrovò a stringere il volante e a premere a scatti sull'acceleratore, portandolo a beccarsi più di un insulto da parte degli altri conducenti. Si sentiva come intrappolato in una specie di maglia elettrica tanta era l'agitazione. La realizzazione del giorno prima lo aveva portato a rigirarsi nelle lenzuola per ore, mangiato dai pensieri e dalle preoccupazioni. Si chiese soprattutto se i suoi sentimenti fossero reciproci e la risposta che si diede fu: "probabilmente no". Eppure quella notte durante la Seconda Guerra Mondiale non aveva fatto altro che ripetersi nella sua testa come un nastro riavvolto e riavvolto all'infinito. Si era soffermato su quelle angeliche espressioni di pura gratitudine e puro affetto che finora aveva sempre fatto finta di non aver notato, e si era detto che forse un mimimo di speranza c'era.


Parcheggiò davanti alla libreria e gli bastò mettere un piede fuori dall'auto per capire che qualcosa non andava. Fu come essere frustati alle spalle da una lingua di fuoco e la sua testa scattò subito verso l'entrata dell'edificio. Conosceva bene quella sensazione: era il suo personale campanello d'allarme, quello che si era già attivato un paio di volte nel corso degli anni quando Aziraphale finiva in qualche casino.

Sperò ardentemente che fosse un caso tipo rivoluzione francese, di quelli nati per capriccio. Cercò di non farsi prendere dall'ansia intanto che si dirigeva a passo svelto verso l'ingresso. Era la prima volta che ci entrava: prima di allora aveva sempre visto la libreria da fuori. Non che l'angelo l'avesse mai invitato o che lui avesse mai richiesto di entrare... Perciò fu molto strano trovare la porta aperta.

Una campanella annunciò allegramente il suo arrivo. L'ambiente era esattamente quello che aveva sempre visto da fuori: caldo, polveroso, coronato da scaffali pieni di libri e cataste di essi sparsi d'ovunque. Le uniche, evidentissime e sostanziali differenze erano alcuni volumi malamente buttati al suolo, Aziraphale stesso appoggiato ad una parete - mano sull'addome e occhi che lo fissavano terrorizzati - e Hastur in mezzo a loro, un coltello sanguinante in mano.

Crowley fissò alcune gocce cremisi scivolare sulla lama e cadere una dopo l'altra sul parquet. Sono solo rosse, si disse, solo rosse. Niente oro. Normalissimo rosso.

Fece saettare lo sguardo verso l'angelo, il quale approfittò della distrazione dell'altro demone per scuotere la testa e mimare uno: "Scappa, va' via" con le labbra.

    Ma Crowley non ci pensava neanche. Strinse i pugni tremanti e si rivolse al duca in un mezzo ringhio: «Che stai facendo?»

    Questi ridacchiò: «Sapevo saresti venuto a reclamare la preda. Avevi solo bisogno di una spinta». Detto ciò, gli tirò il coltello.

    Il rosso lo afferrò al volo, combattendo contro la voglia assurda di fare uno scatto in avanti e piantarlo in mezzo a quegli schifosi occhi neri come la Morte. «Sso cavarmela da ssolo, grazie» sibilò, subito pensando ad un modo per portarlo fuori da lì - o per portare Aziraphale fuori da lì.

    «Oh, ma questo lo so» ghignò Hastur. «È che non voglio perdermi lo spettacolo. Sono secoli che vorresti dargli una lezione, no?»

Male. Male, male male. Ovviamente aveva sempre dovuto fingere odio verso quella povera creatura che adesso lo guardava incerta, lo spazio sotto il suo palmo macchiato di sangue.

    «Non riesci proprio a farti i cazzi tuoi, eh?» Fu l'unica cosa che riuscì a dire, avvicinandosi all'angelo con calma e sperando che qualche idea venisse in suo soccorso. Non poteva nemmeno fermare il tempo o Hastur se ne sarebbe accorto, maledizione.

Fu allora che sentì uno strano formicolio farsi strada nella sua essenza come un dito sulla spalla che richiamava la sua attenzione. Parte della sua aurea oscura si ritirò al tocco angelico che aveva fatto breccia tra le sue normalmente impenetrabili difese metafisiche, mentre l'altra parte si rese conto di essere stata raggiunta dall'unico essere capace di abbassare quegli eterei muri.

    «Crowley, fallo e basta.»

Aziraphale lo stava guardando con un'aria di determinazione mista ad un velo di fastidio persistente. Ovviamente la situazione non era delle migliori e ovviamente avere un duca dell'Inferno a casa propria non era piacevole - il demone poteva immaginarlo perfettamente. A tutto ciò bastava aggiungere l'idea di essere accoltellati dall'unico essere di cui ti fidi davvero e il gioco era fatto.

    «Non ci penso proprio, angelo. Dammi due secondi e trovo un'altra soluzione» pensò il rosso nella maniera più chiara e concisa possibile. Già aveva la testa incasinata, se poi doveva comunicare in quel modo-

    L'altro sbarrò gli occhi in segno di impazienza: «Non hai due secondi!»


    «Smetti di fare il codardo e muoviti, Crowley» intimò Hastur alle sue spalle. «Non ho tutto il giorno.»

    Crowley gli rivolse un mezzo ghigno nel quale cercò di celare la voglia assurda che aveva di disintegrarlo. «Fammi assaporare il momento.»

    Fece per rivolgere un altro pensiero ad Aziraphale, il quale però aveva raddrizzato un po' la schiena, facendo allargare la macchia cremisi sui suoi abiti. «Esatto, bestia» disse tremante e con uno slancio anche troppo esagerato. «Fallo se hai il coraggio.»

    «Non incoraggiarlo!» Esclamò dentro di sé, stringendo i denti. 

    «Sto solo facendo la mia parte. Vuoi che la copertura salti?»

    «Ovvio che no! Ma non voglio nemmeno ferirti!»

Più andavano avanti, più Crowley si accorse che quel contatto non avrebbe fatto bene a nessuno dei due. Lui stava iniziando sentire un leggero ma persistente senso di nausea, mentre Aziraphale stava sbiancando a vista d'occhio. Già era strano che le loro essenze si stessero toccando senza distruggersi a vicenda.

    «Ascolta, è solo un coltello» cercò di rassicurarlo l'angelo. «Nessuna lama demoniaca di sorta. Mi darò una sistemata non appena possibile, va bene? Te lo prometto.»

Scuotendo involontariamente la testa, il rosso si avvicinò ancora un po' e si costrinse a poggiare la punta sul ventre già mezzo lacerato dell'altro.

Non poteva. Non voleva. Ma doveva.

    «Andrà tutto bene» sussurrò l'angelo. «Fallo

    Crowley strinse gli occhi e con un mentale: «Perdonami» che tanto avrebbe voluto urlare, iniziò a spingere.


La lama affondò in quelle morbide, liscie e delicate carni come stesse tagliando del burro fuso. Perforò la pelle, lacerò quel corpo che era solo un guscio, annegando nelle viscere di quel soffice ammasso di nubi candide alle quali Crowley aveva sempre associato la ora gemente figura davanti a sé. 

La parte arcaica, scura e scellerata di sé stesso che aveva sempre sotterrato e soffocato, risalì con un brivido di eccitazione, pervasa dall'odore del sangue che adesso sgorgava dalla ferita come fosse acqua di sorgente, scorrendo caldo sulle sue mani e sgocciolando verso il suolo. 

Era ancora connesso all'angelo pensò, ricacciando indietro quella massa oscura; gli occhi ancora stretti dal terrore per ciò che stava facendo. Ma ormai i suoi demonici istinti avevano scalato la sua spina dorsale, pronti ad afferrare la vicina aurea bianca e brillante.

Spingi, dicevano. Fai tuoi quegli squarci di cielo, stringi quelle volute di platino tra le tue dita, apri i sacri cancelli.


    «Davvero niente male» commentò Hastur, facendo qualche passo indietro. 

Crowley riaprì gli occhi di colpo e tirò fuori il coltello con un unico, innaturalmente veloce movimento del polso, facendolo cadere a terra. Una striscia di sangue andò a schiantarsi su uno scaffale lì vicino e seguì la traiettoria della lama fino al pavimento.

Aziraphale di fronte a lui si era piegato in due, i riccioli di fronte al volto e la fronte corrugata in mille piccole onde. Non sentiva più la sua calda essenza, né il ritmo lento dei suoi pensieri: si erano staccati come se qualcuno avesse tagliato di colpo il metaforico filo che li aveva temporaneamente uniti.

    «Sai Crowley, mi devi un favore» continuò il duca, ridacchiando. «Questo coprirà sicuramente il buco lasciato dal tuo ultimo fallimento.»

    Se solo non fosse stato occupato a fissare l'angelo, Crowley avrebbe volentieri fatto uno scatto verso di lui per dargli qualche pugno ben assestato, ma no: non era il caso né il momento. Si limitò a indurire la sua espressione prima di voltarsi, cercando di ignorare l'improvviso ed incessante battere del suo normalmente inutile cuore. «Ti sei assicurato il secondo fine, vedo.»

    L'altro fece spallucce, sorridendo malevolmente. «È stato un affare per entrambi,» disse. Fece un cenno del capo verso Aziraphale, intanto che iniziava a sprofondare nel pavimento: «Ti lascio al tuo giocattolo. Attento a non strapazzarlo troppo». Pronunciò le ultime parole con sarcasmo, venendo risucchiato sempre di più verso l'Inferno. Pochi attimi dopo era sparito.

    «Cazzo» imprecò Crowley una volta che furono rimasti soli. Si catapultò verso l'altro, cingendogli le spalle con un braccio e tirandolo verso il divano. «Sei un idiota. Lo sai, vero?» ringhiò preoccupato. 

    Aziraphale si lasciò accomodare e si prese un minuto prima di raddrizzarsi un po'. «Suvvia, non è niente» disse, la voce ridotta ad un filo. «Sto già provvedendo.»

    «Provvedi piano. Quel giochetto mentale è stato, beh- geniale ma fottutamente stupido.»

    «Non che tu abbia avuto idee migliori» rimbeccò l'angelo alzando un sopracciglio. «Ha funzionato: questo è l'importante.»

    Il demone si lasciò cadere sul divano con un sospiro. Si tolse gli occhiali facendoli cadere sul tavolino di fronte a loro e passandosi le mani sugli occhi - dopo aver fatto convenientemente sparire il sangue che vi era colato sopra. «È stata tutta colpa mia. È per questo che non voglio nessuno attorno quando compilo i rapporti, ed Hastur è uno stronzo.»

    «Immaginavo avresti detto che sono riuscito a fermati in qualche modo» commentò Aziraphale con un sorriso. «Abbiamo sempre saputo che sarebbe potuto succedere qualcosa del genere, prima o poi.»

    «Sì, ma non immaginavo di arrivare quasi ad ucciderti!» Esclamò il rosso, balzando sul divano come una molla. L'adrenalina degli ultimi minuti era schizzata alle stelle, rendendolo irrequieto.

    «Esagerato. Non mi avresti ucciso, e lo sai.»

    «Beh, più o meno siamo lì.»


Il silenzio calò su di loro per qualche minuto.

    «Ci riesci? Vuoi che ti dia una mano?» Chiese Crowley osservando il volto del suo angelo riprendere a poco a poco colore e la sua postura farsi sempre meno contorta. Sembrava un processo straziante e a dir poco fastidioso.

    «Sto bene. Grazie, caro» rispose questi con un'espressione tra il dolce e il concentrato: si vedeva che stava richiudendo le ferite nel modo più preciso possibile. «Non è la prima volta che mi capita. Ti ho mai raccontato della volta in cui mi sono rotto un braccio?»

    «Come accidenti hai fatto?»

    «Cadendo dalle scale.»

    A Crowley scappò una mezza risata: «Serio?»

    «Serissimo. È stata una scena tragicomica.»

    «Avresti potuto chiamarmi.»

    «Stavi dormendo.»

    «Ah. Ops.»

    Si misero a ridere, salvo fermarsi poco dopo ad una stilettata di dolore da parte di Aziraphale. «Sarò sincero: sono più arrabbiato per la macchia sulla camicia» commentò sbuffando.

    Crowley fece un gesto noncurante con la mano: «Nah, non preoccuparti di quella: te la toglierò io.»

Vedere quel sorriso fare breccia su quel volto dolce non aveva prezzo. Il demone avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederlo, vederlo e rivederlo all'infinito: rendere l'angelo felice sarebbe potuto diventare il suo lavoro a tempo pieno.

    «Sai, temo di essere in debito anche io» disse quest'ultimo passandosi più volte la mano sull'addome. «Mi spiace averti stressato tanto. Sei stato molto coraggioso.»

    Il rosso si passò una mano tra i capelli, imbarazzato e vagamente contrariato. «Smetti di dire certe cose. Anzi, ti devo delle scuse per- ehm... Qualsiasi cosa io abbia pensato prima.»

    «Tranquillo, non è colpa tua: ti ho messo pressione. Ammetto che mi hai quasi fatto paura, però.»

    «"Quasi" eh?»

    «È di te che parliamo. Non mi faresti mai paura apposta o comunque falliresti nel tentativo» disse Aziraphale con un sorrisetto.

    «Ehi, non è vero! Lo dici solo perché non hai visto il peggio che so fare.»

Risero di gusto stavolta, come da tanto avrebbero voluto fare e come troppe poche volte avevano fatto. 


Si misero a chiacchierare per un po'. La mattina lasciò posto ad un vivace e soleggiato pomeriggio ed Aziraphale si lasciò andare sullo schienale del divano.

    Si fissò i palmi insanguinati con un moto di disgusto: «Che disastro.»

    «Va meglio?» Chiese Crowley non senza un'ultima punta di apprensione. «Devo darci un'occhiata?»

    Incredibilmente, l'angelo gli lasciò carta bianca. In un attimo il demone aveva iniziato a controllare attraverso i fori che il coltello aveva lasciato sugli indumenti dell'altro, scoprendo che sulla pelle non era rimasta che una coppia di linee rossastre. «Dieci e lode, angelo. Ti meriti un premio: spara, cosa vuoi?»

    «Al momento niente se non stare qui» rispose l'altro sorridendo.

    «Sì, buona idea. Intanto uhm- tu riposati, al resto penso io.»

Due schioccate di dita dopo, Aziraphale era tornato l'angelo ordinato e composto di sempre. L'unica cosa che tradiva le sue condizioni, era il modo in cui continuava a passarsi le mani sugli occhi.

    «Capisco che l'idea non ti piaccia» disse Crowley passandogli un cuscino, «ma dormire aiuterebbe.»

    L'altro sbuffò, accettando il cuscino con un leggero sorriso. «Beh, sei tu l'esperto.»

    «Per questo te lo dico. Ti fidi a lasciare una bestiaccia a guardia della libreria?» Chiese il rosso rimettendosi gli occhiali da sole con un unico, elegante e disinvolto gesto del braccio. 

    «La bestiaccia sei tu? Mh...». Il modo in cui fece finta di pensarci intanto che si accomodava, fece andare Crowley in brodo di giuggiole. «Allora penso possa andare. Solo un'ora al massimo però: non possiamo rischiare che qualcuno ci scopra.»

    «Essia: ti chiamo se succede qualcosa. Hai bisogno di altro o posso girovagare liberamente per casa tua?»

Mentre parlava, il demone decise di andare a "salvare" alcuni dei volumi che erano stati malamente gettati a terra, per non parlare di quelli che erano finiti in mezzo al sangue. Fece in modo che l'altro potesse osservare bene la cura metodica con la quale stava pulendo copertine e raddrizzando pagine. Ogni sempre più assonnato sorriso e cenno di approvazione che riceveva, faceva allontanare i tumulti della mattina fino a farli sparire.

    «In effetti, posso chiederti una cosa?» Chiese Aziraphale ad un certo punto, il tono esausto. «Ti prometto che poi non ne parliamo più ma-» si strofinò un'occhio, l'espressione contrariata di chi avrebbe voluto recuperare le energie in un qualsiasi modo che non fosse quello. 

Crowley poggiò l'ultimo libro rimasto sulla scrivania e si ributtò accanto a lui. Avrebbe voluto commentare ma la scena era ad un crocevia tra il divertente e il dannatamente adorabile, così fece un cenno di approvazione e attese.

    «Cosa sono i sacri cancelli?» Mormorò l'angelo, le sopracciglia aggrottate e l'espressione confusa.

    L'altro sbarrò gli occhi e voltò la testa di scatto. Sentì le guance avvampare e la vergogna stritolargli le futili viscere. «Ehm, non lo so. Mi è uscito così» incespicò. 

    La leggera risata che venne, lo aiutò a liberarsi da una buona fetta di imbarazzo. «È una bella metafora, anche se non so a cosa si riferisce.»

    Crowley tenne lo sguardo fisso su più punti non ben precisati di quella stanzetta sul retro. «Ah beh, ho sempre avuto un talento per la poesia». Almeno quello era vero.

    «Potresti scriverle.»

    «Le leggeresti?»

    «Certamente.»

    «Ottimo, allora so cosa fare nella prossima ora.»

Un'altra risata, più leggera. Poi il silenzio.


Finalmente, Crowley ebbe il coraggio di girarsi verso quel volto gentile e rilassato. Erano ufficialmente tornati in buoni rapporti, quindi: quella era la prova provata. Insomma: l'angelo aveva avuto il coraggio di avvicinare la propria essenza alla sua, sapendo che il tutto sarebbe potuto sfociare in una tragedia. Si fidava così tanto, forse addirittura troppo, ma si fidava. Era importante: era quello che il demone avrebbe sempre voluto e che tanto aveva faticato ad ottenere.

Osservò con calma quei due occhi ora chiusi ma che normalmente erano squarci di cielo sereno, quei riccioli che erano morbide volute bianche come nuvole e infine loro: i sacri cancelli che erano quelle labbra a lui precluse.

Si chiese cosa sarebbe successo se avesse provato a toccarle con le proprie. Non era mai successo, in fondo: magari avrebbe scoperto che le loro tanto incompatibili anime avrebbero cercato di azzannarsi. O magari non sarebbe successo niente e magari-

Magari doveva provarci.

O magari doveva lasciare l'angelo in pace, andare in cucina e preparargli qualcosa di caldo per quando si sarebbe svegliato.

Ma lui non aveva mai lasciato Aziraphale in pace e non avrebbe di certo iniziato adesso. La curiosità era troppo grande, così come la voglia. Un tocco, solo uno, leggerissimo; poi si sarebbe alzato e avrebbe fatto altro.


La sua testa scattò da sola. Non avrebbe dovuto, era sbagliato; ma lui si era sempre sentito vivo e completo nel fare le cose sbagliate.

Poggiò le labbra sottili su quelle morbide dell'altro con una delicatezza che mai avrebbe pensato di possedere. Fu breve, ma abbastanza da fargli salire un brivido su per le membra. Si staccò e uscì dalla stanza con ancora quel piccolo contatto vivido nella mente, un po' come il formicolio sui polpastrelli dopo uno schiocco di dita.

Hai schiuso i cancelli, urlava la sua eccitata voce interiore.


Era solo il primo passo, si disse con ottimismo.

Un bel giorno li avrebbe spalancati.


   
 
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