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Autore: lunatica91    30/01/2022    0 recensioni
Ricevere un Talento, per dei bambini, può essere la più dolce delle sorprese. Non sempre, però, la strada è facile: ci possono essere dei fallimenti con cui confrontarsi, ma alla fine si arriverà ad accettare i propri doni e a prenderne il meglio. Anche se, ricordiamoci, noi non siamo il nostro Talento...
Piccole scene di vita quotidiana dei tre gemelli e il rapporto con i loro talenti.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Eccomi qua con il secondo capitolo. Questa volta si parlerà dei primi grandi fallimenti che hanno provato i tre fratelli riguardo i loro talenti e come li hanno affrontati. Più o meno mi sono immaginata che avessero circa 10/11 anni.
Buona lettura!




#FALLIMENTO



Julieta fissava la sua porta con sguardo vuoto. Sperava che almeno guardare la sua immagine serena e pacata brillare di fronte a lei l'avrebbe aiutata a calmarsi, o per lo meno a capire, a comprendere. Ma era tutto inutile. Non c'era niente da capire.
Com'era potuto succedere? Cosa aveva sbagliato? Aveva sicuramente sbagliato qualcosa, d'altronde le sue arepas avevano sempre funzionato. Perché proprio questa volta no? Perché il suo cibo non aveva risolto tutto come sempre?!
Era troppo sconvolta anche per piangere, anche se sentiva di averne tanto bisogno. Le sembrava di essere ancora lì, di fronte al letto di abuela Lolita. Anche se non era davvero la sua nonna, le voleva bene come se lo fosse. Non poteva essere... non poteva davvero...

-Julieta...-

La bambina si voltò e corse ad abbracciare forte la sua mamma.
L'abbraccio caldo e forte della madre la rassicurò per un momento, un momento in cui sperò di svegliarsi da un brutto sogno. Calde lacrime iniziarono finalmente a sgorgare dai suoi occhi e Julieta le lasciò andare, come un fiume in piena.

-È tutta colpa mia...- singhiozzò inconsolabile – è colpa mia se abuela Lolita è... è...-

-No, mi querida, non dire così.-

Julieta intravide tra le lacrime il viso della madre abbassarsi per guardarla in faccia.

-Juli, non è come dici tu. Purtroppo non è possibile aiutare tutti e abuela Lolita era tanto anziana e tanto malata...-

-M-ma... ma io le h-ho dato le mie arepas...- provò a ribattere la bambina continuando a piangere -Hanno sempre fu-unzionato, perché oggi no? Cosa h-ho fatto di sbagliato?-

-Nulla, hai fatto tutto ciò che potevi. Ma Julieta, non puoi impedire che le persone muoiano... Fa parte della vita.-

Ma Julieta non si dava pace. Le parole dolci della madre non riuscivano proprio a consolarla e continuò semplicemente a piangere, continuando a chiedersi: e se avesse fatto un'altra ricetta? E se avesse potuto fargli mangiare qualcosa prima? E se fosse capitato di nuovo? E se...


+ * + * +




Pepa fissava ormai da ore la nuvola sopra la sua testa. Era di medie dimensioni, grigio chiaro, non sembrava umida di pioggia, stava solo lì e le teneva ombra. Stava lì da due giorni ormai. Non si era spostata, non era mutata in un temporale o in un arcobaleno. Stava semplicemente lì. Solo che non doveva stare lì, ma ci stava lo stesso.
Le avevano chiesto del vento una settimana fa. Quella nuvola aveva fatto del vento? No, aveva deciso però di fare della grandine che aveva rovinato parte del raccolto.
Allora le avevano chiesto del sole. Era semplice, no? E invece era arrivata della neve. E dell'altro raccolto rovinato.
Ora le stavano chiedendo della pioggia. La pioggia, la cosa che le veniva più facile in assoluto. Non faceva altro che piovere sulla sua testa da quando aveva ricevuto il suo talento! Tranne in quell'occasione, proprio quando gliel'avevano chiesto. Quella dannata nuvola non voleva far piovere. La prendeva in giro, standosene lì e basta.
Ma questa volta non gliel'avrebbe data vinta, e no! Questa volta avrebbe fatto piovere. Sarebbe rimasta lì in mezzo al campo tutto il giorno, anche tutta la notte se necessario. Ma avrebbe fatto piovere, come le avevano chiesto.

-Pepa!-

All'improvviso da dietro ai lunghi steli di mais, apparve Bruno, il viso rosso di chi ha fatto una gran corsa o ha riso troppo.

-Vuoi giocare con noi ad acchiapparella?-

Pepa sbuffò, concentrata ancora sulla sua nuvola.

-Non posso, devo far piovere. Va via!-

Bruno si fermò un attimo a riprendere fiato e nel mentre fissava la nuvola grigio perla sulla testa della sorella.

-Non ci stai riuscendo molto bene.-

Pepa lo fulminò con lo sguardo.

-Ci sto provando! Cosa vuoi? Sei venuto a prendermi in giro?!-

-Non ho detto questo, ma magari se ti fermi un attimo poi dopo farai piovere.-

-Che ne sai, eh?! Lo hai visto? Hai visto che non farò piovere?-

-Ma io non...-

-Se non lo sai, perché parli?! Lasciami in pace invece di darmi fastidio!-

Il grido di Pepa venne coperto dal suono di un potente tuono.
Bruno sorrise raggiante.

-Ehi, ce l'hai fatta!-

-NO!- urlò Pepa cercando di scacciare l'ennesima nuvola sbagliata che, sfortunatamente, si stava ingrandendo sempre di più.
Bruno la guardò spaventato.

-Questo è un temporale! E i temporali rovinano i raccolti. Mi avevano chiesto della pioggia! È tutta colpa tua, Bruno! Vattene via!- tuonò Pepa.

Il fratello, senza dire una parola, corse via.
Già, era tutta colpa sua, si disse decisa. Non sarebbe dovuto venire a infastidirla. Stava cercando di far piovere. Lei era bravissima a far piovere. Solo che era arrivato Bruno e aveva rovinato tutto. Non era stata colpa sua.




+ * + * +




-Bruno, esci!-

-No...-

-Non lo voglio ripetere ancora, esci!-

-Ho detto di no...-

Non sarebbe uscito. No no, stava bene in camera sua. Non voleva uscire.
Tremò dentro la sua amaca all'idea di affrontare sua mamma. Ogni secondo che passava la sentiva sempre più furiosa, mentre bussava impaziente alla sua porta.

-Sto perdendo la pazienza. Vedi di uscire.-

Nessuna risposta.
Ecco sì, avrebbe fatto finta di essersi addormentato. Avrebbe fatto finta di non sentire. Tanto non sarebbe uscito. No no.

-BRUNO!-

Bruno sobbalzò e, per l'ennesima volta quel giorno, gli apparve una visione e vide qualcosa che non voleva vedere. Questa volta si trattava del piccolo Damian: era cresciuto un po', ma comunque non avrebbe dovuto cercare di salire sulla credenza. È ovvio che poi cadi e ti fai male.

-Bruno, è l'ultimo avvertimento. Se non esci dalla tua stanza, sta sera non mangi.-

Ancora nessuna risposta. Preferiva non mangiare anziché affrontare sua mamma arrabbiata.
La sentì provare nuovamente ad entrare, ma la porta rimase bloccata, proprio come prima. Sospirò sollevato.

-Molto bene.- dichiarò la madre, glaciale -Ma non credere che sia finita qui. Dopo parleremo di quello che hai fatto.-

Il suono secco e veloce dei passi di sua madre scemò velocemente e Bruno si ritrovò da solo, nella sua stanza, accoccolato nella sua amaca.
Dal fondo di una sua tasca sbucò il musetto peloso di Gris. Il topino zampettò fin sul suo petto e rimase a fissarlo, quasi a chiedergli cos'era successo. Bruno lo accarezzò piano, ripensando a ciò che era successo quel pomeriggio.
Non l'aveva fatto apposta... Gli avevano chiesto una visione, come sempre, e lui l'aveva fatta. Non era colpa sua se non era piaciuto quello che aveva visto.
Ultimamente non piacevano più le sue visioni... e dire che all'inizio si divertiva talmente tanto ed erano tutti così contenti!
Gli era piaciuto dire quanto raccolto ci sarebbe stato durante l'anno, o anche giocare con gli amici e le sorelle a nascondino e scoprire prima di tutti gli altri dove si erano nascosti. Gli era piaciuto dire quanti cuccioli avrebbe partorito la gatta del falegname. E poi che festa quando aveva avvertito il villaggio che sarebbe arrivato un giaguaro ma che sarebbero riusciti a catturarlo!
Solo che, da un po' di tempo, vedeva solo cose brutte: amici che si facevano male, animaletti che morivano, persone che si lasciavano...
E dire che si stava impegnando tanto; con la sua mamà avevano trovato tutto un rituale per riuscire a concentrarsi meglio durante le visioni, così da non fargli più venire quei terribili mal di testa. E che forza quella lastra di smeraldo che veniva fuori! Ma i suoi sforzi sembravano non interessare a nessuno...
Il suo talento iniziava a non piacergli più tanto come prima e, qualche volta, sperava di poterlo cambiare. Chissà se era possibile?
La pancia brontolò sonoramente e Bruno, con un profondo sospiro, si decise ad affrontare la cena. Fece scivolare nuovamente Gris nella tasca, e sperò che nessuno si sarebbe arrabbiato per averlo voluto portare con sé: di solito lo lasciava in camera e poi gli portava un arepas avanzata, ma oggi sentiva il bisogno di avere il suo compagno a fianco.
Uscì dalla sua stanza sovrappensiero ma rischiò di cadere goffamente per terra. Si voltò confuso e si trovò a fissare un gradino di fronte all'uscio. Era sempre stato lì?
Fece spallucce non preoccupandosene e, con uno sguardo funereo, scese in cucina.




+ * + * +




   
 
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