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Autore: Ahiryn    31/01/2022    2 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Anche qui un mini-riassunto è d’obbligo, perché è passato molto dall’ultimo capitolo nel passato.
Kieran e Silas hanno intorno ai sedici-diciassette anni e sono cadetti al primo anno di Accademia del Ferro. Sono compagni di stanza e amici. Il rettore, William, è un mezzosangue nonché il protettore di Kieran, colui che lo ha raccomandato per farlo ammettere all’Accademia.
Dopo i primi mesi si avvicina finalmente l’Iniziazione, ovvero l’esame effettivo d’ingresso nel Ferro. Il maestro Fergus cerca di incoraggiare Kieran e gli regala il diario di una famosa guerriera del Ferro chiamata Halldora. La notte prima dell’Iniziazione hanno partecipato a una rissa contro un altro cadetto di nome Siegan che voleva rovinare qualsiasi futuro nel Ferro per Kieran. Insieme si sono difesi e sono riusciti a spuntarla, anche se l’Iniziazione è alle porte.



 
IV


Accademia




 

893 p.U.
 
 

Il giorno dell’Iniziazione era stato impossibile nascondere i segni delle botte e le nocche spaccate. Kieran e Silas si presentarono pesti e stanchi, ma i loro avversari non erano da meno. Erano stati convocati tutti di fronte al rettore per discutere dell’increscioso incidente.
Siegan non era presente. Kieran aveva sbirciato fra gli altri cadetti convocati senza vedere la sua faccia furibonda. Thomas era cupo e imbronciato, gli amici di Siegan lo avevano spintonato e lui non aveva reagito.
‒ Non lo hanno convocato? ‒ bisbigliò a Silas.
Il suo compagno di stanza si massaggiò il petto lì dove aveva ancora qualche graffio. ‒ Credo che non riuscirà ad alzarsi dal letto per giorni, gli ho rotto la testa contro un chiodo.
‒ E se fosse… morto? ‒ domandò, improvvisamente terrorizzato.
‒ Se fosse stato così lo avrebbero già saputo tutti. Stai tranquillo.
Il maestro Darren li aveva squadrati a uno a uno prima di iniziare a urlare. Le vene del collo gli si erano gonfiate e si era talmente infervorato da strozzarsi con la propria saliva. Kieran guardò Silas contrarre il viso quando venne inondato dalla saliva delle urla e soppresse una risatina.
Il rettore intervenne con ben più calma; gli occhi fatati esaminarono ciascuno di loro e si soffermarono su Kieran qualche secondo di troppo. Quello sguardo deluso lo costrinse ad abbassare la testa e a guardarsi i piedi con vivido interesse.
Sapeva che cosa stesse pensando, infatti il suo sguardo si spostò su Silas in modo imperscrutabile.
‒ Se scegliete di tacere ne pagherete le conseguenze al vostro ritorno. Nessuno escluso.
La sua voce era talmente autoritaria che i compagni di Siegan si ritrovarono tutti a fissare il pavimento come Kieran, e lo stesso Silas non riuscì a fare a meno di apparire colpevole e di guardare altrove.
Nessuno di loro parò. Kieran ne rimase stupito, ma sentiva fin nelle ossa che parlare di ciò che era accaduto sarebbe stato un gesto inaccettabile. Voleva dire ogni cosa, voleva raccontare di che cos’avevano provato a fare quelle bestie accanto a lui, ma non riuscì a dire nulla. Osservò Silas di sottecchi, che stava in piedi vicino ai suoi aguzzini, impassibile. Voleva davvero mantenere il silenzio?
Ognuno di loro inventò una scusa diversa: le scale, gli allenamenti, una brutta caduta da cavallo. Nessuno tirò fuori la nottata trascorsa e i maestri non avevano tempo per torchiarli.
Fergus scosse la testa e lanciò un’occhiataccia sia a Silas che a Kieran, poi vennero dimessi e mandati in infermeria.
Avevano qualche ora prima di doversi presentare nel campo di allenamento principale per lo smistamento dell’Iniziazione. Dopo essere stati medicati con più cura, furono spediti in camera fino all’orario prestabilito col divieto di uscirvi.
Nonostante la notte passata in bianco, nessuno dei due era intenzionato a dormire.
‒ Ci manderanno assieme in missione ‒ commentò Silas, osservando il soffitto.
Entrambi erano sdraiati sui rispettivi letti, troppo stanchi per muoversi ancora.
Kieran stava leggendo il diario di Halldora, ma era vigile alle parole di Silas. ‒ Che cosa te lo fa pensare? Perché siamo compagni di stanza forse?
‒ Non credo. Ho origliato una conversazione del rettore, manderanno i cadetti in piccole squadre a seconda delle valutazioni che hanno ricevuto dai maestri fino a questo momento.
Le sue valutazioni erano state piuttosto buone, escluse quelle prettamente teoriche.
‒ E?
‒ Le nostre valutazioni sono allo stesso livello e i maestri sanno che diamo il meglio di noi quando siamo nello stesso gruppo.
Kieran abbassò un attimo il diario. ‒ Come fai a sapere le mie valutazioni?
Silas agitò una mano. ‒ Non è importante. Ma ci manderanno insieme.
‒ Mmh.
Non riusciva a concentrarsi sulle sue parole in quel momento, il diario di Halldora non lo stava incoraggiando come avrebbe voluto. Aveva iniziato a leggerlo da quando il capitano glielo aveva consegnato, ma non era certo se continuarlo.
Dalla vita di un’eroina si aspettava molte cose, ma non quella disperazione. Prima di imparare a leggere, sua mamma gli raccontava le storie di Reix, il paladino dei loro racconti popolari, c’erano tante favole che lo riguardavano e due volte l’anno mettevano in scena alcune sue imprese con le marionette in piazza, durante il Solstizio d’estate, quando il villaggio era in festa. Reix era un personaggio di fantasia, ma Kieran amava ogni singolo dettaglio delle sue imprese. Appena aveva imparato a leggere grazie agli studi pagati da William, aveva recuperato tutti i romanzi cavallereschi, l’epica, le epopee, le tragedie, tutto ciò che avesse in sé quei valori, quel senso di onore, li aveva assorbiti come una spugna, divorandoli.
La realtà era ben diversa. Halldora scriveva di solitudine, di perdita, di dolore. Le righe erano dense di rammarichi e rimpianti, di incubi e di orrori.
Kieran non era riuscito a pensare di dormire dopo aver letto di come Halldora aveva ritrovato una ragazzina di sedici anni finita in mano al Valksha quando ne aveva dodici. La aveva privata di tutto, degli occhi, della lingua, di alcuni organi, il tutto senza ucciderla; la magia dei Valksha era ancora oscura e poco conosciuta, si diceva che fossero in grado di scomporre un corpo senza ucciderlo.
La ragazzina aveva subito ogni tipo di violenza, era magra e denutrita, e incinta.
È troppo tardi solo con la morte. Ma quando succede qualcosa di peggiore della morte, come si fa ad andare avanti? Cosa dire a queste persone, quando tutto ciò che riesco a pensare è “sarebbe stato meglio se fossero morte”? Quando sei vivo non puoi nasconderti dalla vita, non puoi dire “è troppo tardi” anche se per te lo è, anche se la tua vita è stata rovinata ancora prima di iniziare. Devi andare avanti con quello che ti è rimasto, il mondo non si fermerà, non puoi nasconderti dal futuro, anche se sei un guscio vuoto.
Kieran non riusciva a sentire quelle parole come qualcosa di vicino. Malgrado tutto era certo che queste cose a lui non sarebbero successe, che lui non avrebbe permesso che fosse “troppo tardi” in nessun senso. Sapeva mentre lo pensava che fosse stupido e ingenuo, ma era una sicurezza irrazionale, quel tipo di sicurezza che forse avevano tutti i cadetti ancora. A me non succederà.
Perché è più semplice pensarla così.
‒ Ti vedo assorto nel diario di Halldora. Lo stai apprezzando?
‒ Mi fa orrore ‒ mormorò Kieran, chiudendolo. ‒ Erano… altri tempi.
Silas si tirò a sedere. ‒ Non lo erano, Reed. Combattere con le fate significa anche quello, a volte per loro l’orrore è solo un gioco e il dolore un divertimento.
‒ I Valksha però non sono qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci ‒ disse nervosamente.
Vauk poggiò un braccio sulle ginocchia. ‒ Ci dovremo sempre preoccupare del Valksha. Anche se sono oltre oceano, anche se le difese metalliche li tengono lontani dal nostro continente, loro sono lì, potenti come nessun’altra fata. Conosci il reggimento di Lockwood?
Kieran lo aveva sentito, ma ancora non era ben informato sui vari reggimenti. ‒ Di sfuggita.
‒ Sono i soldati al confine con le Terre Spezzate, vicino a uno degli avamposti frontali alla Giungla dei Miraggi. Parliamo dei guerrieri di Ferro più temprati e disperati. Spediscono lì le mele marce o i soldati che sono stati coinvolti in scandali. I pochi veterani della divisione di Lockwood li trovi al manicomio di River Street, deliranti e ossessivi.
Ebbe un brivido a sentire quella storia. ‒ Perché non mandano più uomini?
‒ Ci sono di mezzo questioni politiche ed economiche. Il confine si sposta di continuo, perdono terreno e lo riguadagnano. L’importante è cercare di non farsi spedire mai lì. Con molta fortuna si può sopravvivere a una fata purosangue, per quanto difficile e traumatico. Ma a un Valksha… no. A quelli non si sfugge.
Kieran guardò le scritte consunte sul diario e le sfiorò col dito. Ripensò alla ragazzina incinta di cui parlava Halldora.
‒ Hai mai sentito parlare di mezzosangue nati da un Valksha?
Silas ebbe un momento di esitazione, ma scosse la testa. ‒ Non gli è permesso di essere liberi. Sono molto più potenti di un normale mezzosangue. E instabili. Quando il Ferro o la Gendarmeria ne scovano uno sono obbligati a imprigionarlo. Ma non ti preoccupare, in questa parte del continente è impossibile che ve ne sia anche solo uno. I pochi che esistono sono tutti al confine, verso i villaggi accanto alla Giungla e le terre della costa.
Kieran poggiò il diario sul comodino e rielaborò le informazioni. Guardò l’orologio da taschino poggiato sulla sedia e constatò che mancava ancora un’ora.
L’Iniziazione però cominciava a spaventarlo in un modo diverso.
Era un rito obbligato e pericoloso, perché sarebbero stati mandati in missione sul campo. I cadetti venivano inviati a rispondere ad alcune richieste d’aiuto in gruppi piccoli composti da cadetti dell’Accademia della Spada e cadetti di Accademie minori del Ferro, assieme a un ufficiale che avrebbe supervisionato. Si trattava di richieste semplici, ma con le fate non si poteva mai dare nulla per scontato e il numero di feriti era sempre alto. Non era una prova pensata per i deboli di cuore e serviva a scoraggiare i più indecisi e meno inclini a rimanere a combattere.
Quasi ogni anno capitavano incidenti e feriti, ma sapeva che fino a dieci anni prima le stime erano molto più drammatiche. Le morti fra i cadetti all’Iniziazione erano consuetudine, ma le famiglie nobili erano insorte, chiedendo più sicurezza e ritirando i loro figli. Avevano raggiunto una mediazione con la supervisione dell’ufficiale, ma questo non aveva eliminato la percentuale di mortalità, la aveva solo incredibilmente ridotta.
Erano però un paio d’anni che nessun ragazzo perdeva la vita. L’ultima era stata una ragazza, una giovane di una famiglia di proprietari terrieri, era morta dissanguata per una ferita inferta alla gamba. Non era riuscita a riunirsi al gruppo in tempo e gli altri la avevano trovata quando era troppo tardi.
Kieran non sapeva chi sarebbero stati i cadetti del suo gruppo e neanche gli importava, ma aveva solo una certezza: non avrebbe permesso che morissero. Non avrebbe iniziato il suo percorso così, con il rimorso, con la meschina felicità che non fosse toccato a lui. No, non poteva accettarlo. Sentiva che se uno di loro fosse morto, non avrebbe continuato per quella strada, perché non accettava di iniziare con un fallimento del genere. Si sarebbe guastato tutto irreparabilmente.
‒ Percepisco che ti stai arrovellando su qualcosa. Quando ti agiti diventi silenzioso e contrai il viso come se avessi problemi di stitichezza.
Kieran lo fulminò. ‒ Io non…
‒ Non ti preoccupare, saremo insieme, non ci fermerà nessuno ‒ commentò tronfio.
‒ Certo, si arrenderanno pur di non sentirti blaterare tutto il tempo.

 
 
 

 

‒ Siccome sono capitato con voi, avrò un’Iniziazione più difficile? Questo è davvero ingiusto.
Il treno tagliava le pianure verdi e rigogliose del Dwein senza fare fermate. Rigurgitava fumo nero nel cielo e fischiava di continuo anche nella notte. La carrozza dove si trovavano tremava per gli scossoni ed era difficile concentrarsi.
Kieran non prendeva il treno da quand’era bambino ed era rimasto affascinato a metterci di nuovo piede. Il suo stupore non si era esaurito lì ed era cresciuto man mano che il personale del treno gli forniva assistenza. Dormivano nella stessa carrozza in piccole cuccette e mangiavano nel vagone ristorante dove gli venivano serviti manicaretti deliziosi.
Erano sottoposti alla solita e rigida etichetta militare, dovevano alzarsi alle sei, rifare i propri letti, presentarsi all’appello puliti e rasati con le divise in ordine. Ma trovarsi su quel treno aveva diradato per il primo giorno le paure di Kieran, che aveva passato i momenti liberi a girare ogni carrozza, ammirato.
In quel momento avevano appena finito di consumare il pranzo e si avvicinavano alla meta.
Kieran stava ricontrollando l’indice delle provviste come gli era stato ordinato dal capitano in modo sgarbato. Silas invece era concentrato a leggere il dossier della missione, le gambe elegantemente accavallate mentre spostava gli occhi sulle stesse righe ancora e ancora.
‒ Dovresti esserne grato – mormorò, senza staccare gli occhi dal dossier. – Sei capitato con persone competenti, al nostro contrario.
Thomas si alzò dalla poltroncina con impazienza. Non era molto contento di essere il terzo elemento assegnato alla loro squadra, non dopo ciò che era accaduto nelle stalle. Kieran ricordava che Thomas era stato l’unico a cercare di fermare Siegan, ma ciò non voleva dire che non lo reputasse un bastardo viziato senza spina dorsale che aveva rischiato di rovinare la sua vita.
Dobbiamo pensare alla missione adesso. Ricordò a sé stesso.
Alzò una mano. – Non litighiamo, dobbiamo rimanere concentrati sulla missione.
‒ Non mi faccio dire cosa fare da uno come te.
Kieran non lo guardò per fargli capire quanto poca importanza attribuisse alle sue parole.
 – Dobbiamo collaborare.
Silas chiuse il dossier. – Perché se io ti insulto ti inalberi, mentre se lo fa questo smidollato non batti ciglio?
Il bersaglio dell’insulto si strozzò con il tè che aveva di fronte. ‒ Come mi hai…
‒ Non iniziare. Dobbiamo starci con la testa, è pericoloso.
Thomas scoppiò a ridere. – Sono tutte leggende quelle sui cadetti che muoiono.
‒ Ci sono i referti, una delle vittime era figlia del capitano Ruth.
Guardò Kieran come se fosse un povero idiota. – Non parlavo certo di queste persone. Sanno tutti che l’Accademia protegge chi ha un titolo, mentre è più dura e spietata con persone di rango inferiore. Quindi forse tu dovresti preoccuparti in effetti.
Silas si concesse una risata. – Stai attento, o farai perdere la pazienza anche a questo qui, e poi chi salverà il tuo culo? Perché io di sicuro non lo farò.
Kieran rinunciò a cercare di pacificare, non gli interessava ed era anche piuttosto offeso e preoccupato per le parole di Thomas. Ricontrollò nuovamente le provviste, come se la missione dipendesse da quello. La sua gamba non smetteva di salire e scendere, aveva mangiato le unghie fino alla carne viva ed era passato direttamente alle cuticole.
Silas guardò il tavolino che non la smetteva di tremare a causa della gamba di Kieran. ‒ Hai finito con l’indice?
‒ Volevo rileggerlo un attimo.
Glielo tolse da sotto gli occhi e Kieran iniziò a protestare. ‒ Sono sei volte che lo controlli. Devi calmarti. Perché non provi a parlare con i cadetti delle altre Accademie? C’è quello che fuma sempre che è simpatico, credo si chiami Zack, e anche quello senza un dito è un tipo divertente.
Kieran guardò di sottecchi gli altri tavoli, dove i cadetti erano intenti a giocare a carte e a ridere, mentre fumavano.
Il Ferro era composto da quattro Accademie di guerrieri, ma soltanto quella della Spada forgiava gli ufficiali, le punte di diamante, i futuri comandanti. Questo era il motivo per cui si accedeva solo con ingenti fonti di denaro o forti raccomandazioni dai piani alti.
La missione d’iniziazione però prevedeva tre studenti da ogni Accademia per ogni unità, nessun rango superiore, se non quello del capitano che li avrebbe accompagnati.
I ragazzi provenienti dalle altre Accademie apparivano così diversi da loro, che Kieran stentava a credere di venire dal loro stesso contesto. In treno si erano passati sigarette, parlando con un forte accento delle loro zone e creando subito un legame di amichevolezza; le loro divise erano più sciatte e un paio di loro avevano alcune cicatrici. Il loro linguaggio era decisamente più scurrile, ma gli suonava familiare, quasi rassicurante.
Tom aveva un’espressione diffidente ogni qualvolta che doveva rivolgersi a loro; i cadetti d’altronde non esitavano a ridacchiare alle sue spalle e a chiamarlo con un’espressione dialettale che significava scopatroll, o qualcosa di simile. Silas invece aveva passato del tempo in loro compagnia in quei giorni, bevendo, giocando d’azzardo di nascosto e facendosi volere bene. Questo non lo aveva protetto da qualche presa in giro di troppo, era pur sempre un nobile, nonché un mezzosangue, e quei cadetti lo sapevano fin troppo bene. Silas però sapeva difendersi la maggior parte delle volte.
Kieran si sentiva fuori posto. Sapeva di essere un pesce fuor d’acqua fra i nobili, ma sapeva anche che si sarebbe sentito a disagio ormai fra i cadetti delle altre Accademie.
‒ Perché non le vai a parlare invece di fare gli occhi dolci?
Quasi cadde dalle nuvole e guardò Silas, che non aveva staccato lo sguardo dal fascicolo. – Come?
‒ Ai ragazzi e a quella graziosa cadetta che ti sta fissando.
Voltò di poco la testa e notò una ragazza, capelli castani, un viso simpatico pieno di lentiggini, lievemente indurito dalla mascella squadrata.
‒ Non me n’ero neanche accorto. E comunque no.
‒ Perché no? Si chiama Jean e ha un caratteraccio, ma ha una risata contagiosa ed è una cadetta eccezionale.
Kieran s’irritò. ‒ Ho detto di no.
‒ Hai paura che siano invidiosi?
Abbassò gli occhi. – No, penseranno sicuramente che abbia avuto fortuna e di fatto è così.
Silas finalmente alzò lo sguardo e mostrò un’espressione di sufficienza. ‒ Sei molto noioso a volte.
Levò il dito medio nella sua direzione, senza neanche guardarlo, ma avvertì il suo sorriso. – Stai consumando quel fascicolo. E poi dicevi a me di smetterla con l’indice.
‒ C’è qualcosa che non mi torna.
Alzò un sopracciglio, continuando a osservare la ragazza. Per un attimo lo guardò di rimando e distolse gli occhi. – Cosa?
Silas si leccò un dito e voltò la pagina. – Il villaggio di Orenburg ospita cinquecento anime, è piuttosto isolato ed è vicino alla zona della Piangente.
‒ Abbiamo un patto molto solido di non belligeranza con la Piangente e la sua corte nel bosco accanto, giusto?
Silas aveva uno sguardo pensieroso. – Sì, il bosco abbraccia il villaggio da est ed è piuttosto vasto, c’è sempre stata un’integrazione rispettosa da parte della corte della Piangente e della gente di Orenburg, a cui è vietato inoltrarsi nei meandri del bosco. Negli ultimi anni non ci sono state violazioni da ambo le parti, hanno rapporti pacifici.
‒ Dunque?
‒ Dunque sappiamo che due bambini nel giro di pochi giorni sono spariti e qualcuno dice di aver visto le fate portarli via, ma la Piangente ha sempre risolto queste dispute in modo piuttosto veloce e spiccio, ho letto altri casi ed è estremamente punitiva con i suoi che violano le leggi del patto, come lo è con gli umani che lo fanno.
Kieran riportò l’attenzione su di lui. – Pensi che non siano state le fate?
‒ Normalmente lo penserei. Capita spesso che gli umani incolpino fate e folletti di crimini commessi da loro per odio e paura; ma ho letto nel registro delle alleanze e nei referti storici che il patto fra Orenburg e la Piangente è sempre stato uno dei più solidi e consolidati, la gente di Orenburg va d’accordo con le fate del bosco, non c’è ostilità, loro non vogliono le fate nel villaggio e non vanno nella loro corte, ma ci sono anche testimonianze di alcuni umani invitati ai Solstizi e di doni scambiati. Perché inventarsi quest’accusa all’improvviso? Il resto del villaggio non lo avrebbe permesso.
‒ Forse allora è vero, le fate purosangue sono imprevedibili. Poi se sono antiche come la Piangente è ancora più probabile che perdano la ragione.
Silas lo fulminò. – Non tutti. Sai perché la chiamano così, la Piangente?
Cercò di ricordare cosa c’era scritto nel fascicolo. – Per qualcosa che riguarda le sue lacrime.
‒ Perché le sue lacrime sono petali di fiore, e quando riescono a farla piangere, che sia di felicità o di tristezza, la natura diventa più rigogliosa. È una fata interessata alle emozioni delicate, non tutte sono violenza e sangue.
‒ Sai che non possiamo escluderlo. C’era scritto che non si hanno notizie della Piangente, è possibile che sia intenzionata a rompere l’accordo.
‒ E lo fa rapendo due bambini? Che cosa ci guadagna? Non avrebbe senso.
Kieran si passò una mano fra i capelli. – Le fate rapiscono bambini da centinaia di anni.
‒ Gli Scambiati non hanno nulla a che fare con questo. Non li rapiscono, li scambiano, ed era una pratica che usavano in tempi antichi. Non si hanno casi del genere da decine e decine di anni.
‒ Indagheremo e capiremo cos’è successo.
Silas appariva nervoso. Annuì e chiuse il fascicolo.
‒ Quando saremo lì interrogheremo gli abitanti, noi tanto dobbiamo solo supervisionare e riferire poi la situazione ai piani alti, no?
Silas ticchettò il tavolo. – Per l’appunto – commentò, non del tutto convinto.


 
 
 
Orenburg era un villaggio di taglialegna e contadini, stretto nell’abbraccio di un rigoglioso e fitto bosco. Era situato presso le sponde di un torrente che spariva nella boscaglia.
Il tempo sembrava essersi fermato in quel luogo, l’industrializzazione delle metropoli e dei borghi cittadini non aveva ancora attecchito, ma non era affatto inusuale in paesini di campagna come quello, privi delle grandi fabbriche, delle motovetture, dei treni sbuffanti, degli automi, delle aeronavi. Forse a volte volavano sopra le loro teste oscurandoli, distanti.
Alcuni elementi però erano riusciti a trovare posto anche lì: una vecchia vaporetta decappottabile, di un modello ormai antiquato, stanziava all’ingresso, vicino la piccola villetta del sindaco: una pompa d’acqua arrugginita che veniva azionata con stridii insopportabili da un vecchissimo automa mezzo scassato. Una piccola torre del telegrafo accanto alla villa del sindaco, piuttosto malconcia.
Kieran non aveva sempre vissuto in città, ma conservava ricordi piuttosto sfocati del suo periodo al villaggio; quegli anni fra le strade polverose e rumorose della capitale, nella zona industriale, in mezzo ai macchinari, le fabbriche, le proteste, le file per il pane, le sigarette, i prodotti chimici erano stati tutto il suo mondo per diverso tempo. Mettere piede in quel luogo riaccese in lui la nostalgia per le sue origini. Ricordò il bosco fitto e scuro che incombeva su di lui quando si azzardava oltre le recinzioni, ricordava gli ululati lontani, il freddo inclemente dell’inverno, l’aria profumata di pino e carne cotta che trascinava il vento.
Sembrava così tanto tempo addietro, eppure erano passati poco meno di dieci anni.
Udiva un cinguettare continuo e lo scorrere del torrente, ma a parte quei piccoli suoni regnava un silenzio profondo e quasi alienante per lui, non riusciva a evitare di osservare ogni singolo elemento con meraviglia.
‒ Ti senti a casa? – domandò Tom fra l’ironico e l’incuriosito quando lo vide così ammirato.
‒ Non ero mai stato fuori dalla città ‒ mentì, ma non la percepì come una vera bugia.
Assottigliò appena gli occhi e si voltò a guardare Silas. La sua pelle scura aveva un che di lucido e luminoso, una sensazione impercettibile, ma la sua magia sembrava rinvigorita. Anche i suoi occhi avevano un colore più acceso e intenso; li socchiuse, cullato dalla forte assenza di ferro di quel luogo che corroborava la sua magia.
Il capitano raggruppò i cadetti con un ordine spiccio e subito tornarono in riga, concentrati.
Entrarono nel villaggio senza incontrare nessuno sull’ingresso. Dopo pochi passi si accedeva alla piccola piazza centrale, con un pozzo e alcune botteghe che vi si affacciavano; c’erano un paio di carretti abbandonati e un tappeto di foglie chiazzava l’acciottolato della strada, come se non venisse pulita da giorni; sui bordi del pozzo era stato abbandonato un cesto con del pane rinsecchito e alcuni ortaggi.
Avevano provato a bussare alla casa del sindaco senza ricevere risposta, ma nel vedere il silenzio innaturale che aveva preso possesso del luogo, Kieran avvertì subito un moto di paura.
Si concentrò.
Era diventato bravo a percepire la magia fatata, era sicuro che se alcune creature fossero state nel villaggio, se ne sarebbe accorto.
I formicolii che lo colpirono furono quasi dolorosi, i peli si rizzarono e un gancio allo stomaco lo scosse violentemente, dandogli un senso di nausea e pericolo enormi. Riaprì gli occhi sudaticcio e ansimante.
‒ Non farlo – mormorò Silas, mentre il capitano bussava a un’altra porta.
‒ Cosa… cos’era – balbettò, scosso da un senso di terrore.
‒ Siamo vicini al bosco di una fata purosangue antica, certo, lei è nei meandri del sottobosco, ma la sua magia ha una portata enorme, se provi a percepirla ti ritroverai solo spaventato a morte. Tutte le fate purosangue hanno una presenza opprimente.
‒ Come una violenta tempesta che si avvicina – ripeté, sentendosi un idiota.
Scrollò il corpo per riprendersi, ma la sensazione schiacciante e distorta gli rimase sottopelle, come un fastidio.
‒ Dove sono tutti? – domandò Tom a voce alta con irritazione.
Il capitano tornò dall’ennesima bussata senza risposta. – Sono chiusi in casa. A chiave. Non vogliono parlarci.
‒ Come? Perché! Ma è ridicolo – sbottò Tom.
Kieran era parecchio preoccupato. – Non esiste un sorvegliante?
‒ È affiliato al sindaco, ma nessuno ci risponde.
‒ Buttiamo giù la porta e via – propose Silas disinvolto. – Non abbiamo tempo da perdere, ed è una violazione non fornire assistenza ai guerrieri di Ferro se la richiedono con urgenza. Loro ci hanno contattati per un’emergenza, dobbiamo agire di conseguenza.
Kieran era stranamente d’accordo con lui.
Buttarono giù la porta del sindaco a spallate senza incontrare troppa resistenza, le case erano vecchie e malmesse.
L’ingresso del piccolo municipio sembrava vuoto. Il posto dell’assistente si trovava sull’ingresso, dietro una scrivania invasa di fogli ma era vuoto, così anche la postazione del sorvegliante accanto al telegrafo. In fondo all’ingresso appariva lo studio del sindaco, pieno di librerie polverose e occupato principalmente da una grossa cattedra scura con documenti di ogni sorta impilati sopra.
Si udì uno scricchiolio e il capitano portò una mano all’elsa della spada e un’altra sulla pistola, guardando in direzione delle scale. Kieran lo imitò goffamente, preso alla sprovvista.
Si affacciò un uomo sulla quarantina dall’aria disordinata e sfatta; i pochi capelli sulla testa erano sfibrati e sporchi, gli occhi cerchiati da occhiaie avevano un paio di occhialini tondi sul davanti. Si stropicciò il panciotto spiegazzato in un gesto nervoso.
‒ Cosa succede? – domandò, spaesato e assonnato.
Sembrava reduce da una sbronza, Kieran aveva visto suo padre sbronzo a sufficienza da riconoscere i postumi.
‒ Il sindaco presumo – commentò il capitano, senza togliere la mano dall’arma.
‒ Certo che sono il sindaco, voi… avete sfondato la mia porta? – domandò esterrefatto.
Kieran guardò imbarazzato la voragine vuota. – Non avevate risposto al campanello e abbiamo pensato al peggio. Siamo desolati.
Quello si massaggiò gli occhi, stanco. – Suppongo che voi siate i guerrieri di Ferro di cui ho richiesto l’intervento due mesi fa.
Kieran s’irrigidì. – Due mesi? – non poté fare a meno di ripetere, osservando il capitano.
‒ Fa’ silenzio Reed – lo zittì questo, serio. – Il Ferro era molto impegnato, siamo venuti prima che abbiamo potuto.
‒ Comunque troppo tardi, signor… ?
‒ Capitano Hitch.
Il sindaco fece un gesto esasperato con la mano. – Capitano, è questa l’efficienza del Ferro? Ci avete abbandonato alle fate, abbiamo mandato decine di richieste d’aiuto, isolati dalle città a pregare…
Tom s’infervorò. – Come osa un sindaco di qualche buco sperduto parlare così a un capitano del Ferro? – lo riprese sdegnato.
Il sindaco gli riservò un’occhiata pietosa. – Poteva anche essere il gran Consigliere in persona, poco importa, siete in ritardo, hanno già ucciso la maggior parte di noi.
Kieran assieme agli altri perse colore. Silas fece un passo avanti. – La Piangente ha infranto l’accordo?
Il sindaco andò a sedersi alla scrivania e ci cadde sopra come se il suo corpo fosse diventato estremamente pesante, nonostante fosse magro come un chiodo. – Non lo so. Hanno iniziato a sparire dei bambini, allora abbiamo imposto delle ronde per evitare che si avvicinassero ai boschi, poi un giorno hanno aggredito una ragazzetta, Mary, che era andata col fratellino al torrente. Ha cercato di evitare che trascinassero via suo fratello, le fate le hanno strappato un braccio ed è morta dissanguata presso il fiume. Il villaggio è insorto e hanno deciso di dare alle fiamme il bosco, sono partiti con le torce, il torrente ha restituito solo alcuni dei corpi, questo è successo una settimana fa.
Kieran era scioccato. Silas era impallidito quanto lui, ma aveva ancora abbastanza sangue freddo da porre domande.
‒ Era mai capitato che la Piangente agisse in modo così efferato?
C’era un silenzio teso e nervoso nella stanza. Il capitano sembrava incredibilmente preoccupato.
‒ No. A volte è capitato che qualcuno di noi superasse il confine imposto ed entrasse nel territorio della Corte. Veniva punito e trattenuto dalle fate tante settimane quanta la distanza che aveva superato del confine prima di essere scoperto. Poi li restituivano, vivi, a volte con qualche pezzo di meno, ma dimentichi di quello che avevano subito. Questo trattamento soltanto in caso di diretta effrazione degli accordi. Se una fata infrangeva il trattato, eravamo autorizzati a fare lo stesso, ma non è mai capitato, la Piangente era molto rigida.
Il capitano ascoltava silenziosamente, ponderando la situazione. – D’accordo, dovrò farvi altre domande, nel frattempo noi indagheremo lungo il confine.
‒ Il confine è pericoloso – precisò.
Il capitano lo guardò. – Avete visto la Piangente superarlo direttamente?
‒ No, ma alcune fate esploratrici lo hanno fatto.
‒ Le fate esploratrici non sono un problema.
Il sindaco lo osservò come se fosse un idiota. – Capitano, con tutto il rispetto, benché siano fate minori, appartengono a una delle più antiche Corti esistenti, non sono…
‒ Signor sindaco, ci lasci fare le nostre indagini, poi invieremo le nostre riflessioni e testimonianze al quartier generale, così che possano mandare una squadra più massiccia.
‒ Voi… non siete qui per risolvere le cose? – domandò pallido.
‒ No, questi ragazzi sono novellini, siamo qui solo per indagare la situazione e riferire.
Era sbiancato. – Ma prima che arrivi un’altra squadra, le fate invaderanno il villaggio! – mormorò spaventato. – Ci sono ancora donne e bambini qui, terrorizzati, nessuno sta più lavorando, i campi sono vuoti, se ci abbandonate, ci condannerete a morte!
Il capitano non si lasciò impietosire. – Come vi ho spiegato, noi siamo qui solo per riferire.
‒ Almeno evacuate il villaggio – pregò esausto. – Siete venuti qui in treno e poi con le vaporette, giusto? Per favore portate le persone via.
‒ I costi non coprono l’evacuazione, oltre il fatto che dove dovremmo portarvi?
Kieran era sconcertato dal tono di sufficienza che stava avendo il capitano. Silas lo guardava con disprezzo e anche Tom sembrava a disagio, tanto che tentò una mediazione.
‒ Non penso sia un problema – osò dire. – Posso pagare io, per la mia famiglia non sarà un problema, se queste persone hanno bisogno di aiuto… ‒ mormorò, indeciso.
Il capitano lo fulminò. – Non dire sciocchezze, cadetto. Ne riparleremo, per ora la risposta è no. Ora andremo a indagare.
Thomas si zittì e rivolse al sindaco un’occhiata di rimorso, poi distolse gli occhi. Kieran non riuscì a dire nulla, né tanto meno ad alzare lo sguardo verso il vecchio sindaco.
‒ Cacciafalene codardi ‒ biascicò a mezza voce l’uomo, gli occhi devastati dalla risposta del capitano.
Si avvicinò a Silas con aria incerta, torturando il bordo del panciotto per sistemarlo. Lo prese in disparte cercando di non farsi notare, ma Kieran rimase appena indietro per origliare.
‒ Ragazzo, tu sei un mezzosangue, non è così?
Aveva posto la domanda con un tono molto basso, dunque Silas si adeguò alla conversazione e gli prestò orecchio con disinvoltura.
‒ È così signore ‒ rispose con rispetto.
Il sindaco si tolse gli occhiali. ‒ Quelli come te hanno una sensibilità diversa per queste faccende. Devi provare a intercedere col vostro capitano. Non m’importa di sopravvivere, ma le donne e i bambini non meritano questa fine.
Silas deglutì appena. ‒ Cercherò di fare il possibile. Ma aiutatemi a capire cos’è accaduto. Credevo che l’accordo fosse solido.
Il sindaco scrollò le spalle. ‒ Lo credevamo tutti. Ma a essere onesti non tutte le fate sono state aggressive, alcune hanno tentato di aiutarci.
Kieran voltò appena la testa, mentre Silas appariva sorpreso. ‒ Disubbidendo alla Piangente?
‒ Da molti anni abbiamo rapporti cordiali con le fate esploratrici della Piangente. Venivano qui accompagnate da una fata guardiana di alto rango, Zario. È una fata lealissima alla Piangente e una delle sue predilette, ma quando sono iniziati gli attacchi lui e altre fate hanno cercato di difendere il villaggio.
‒ Perché non lo avete detto al capitano?
Il sindaco tirò fuori un sorriso stanco e amaro. ‒ A quell’uomo non importa neanche degli esseri umani, credi che gli importi di distinguere fra fate amichevoli od ostili? Ho avuto molte volte a che fare con il Ferro e se hanno una scusa per uccidere ogni fata che hanno davanti non si pongono domande.
Silas abbassò la testa e annuì appena con occhi tristi. Kieran guardò quel gesto con un certo disappunto. Non era affatto d’accordo, il Ferro poteva essere duro, rigido e a volte spietato, ma erano anche diplomatici nei confronti delle fate e mantenevano la pace.
‒ Le fate ostili hanno iniziato a dipingersi il volto di rosso, le puoi distinguere così. Non so cosa sia accaduto nel bosco, ma non tutti erano d’accordo lì dentro. Zario pattuglia il confine per cercare di proteggerci. Se dovessi imbatterti in lui, fa’ in modo che quell’imbecille del tuo capitano non lo uccida.
Silas fece un gesto d’assenzo con fermezza. ‒ Non preoccupatevi.
Si allontanò per riunirsi agli altri e incontrò gli occhi indagatori di Kieran, mentre il sindaco tornava verso lo studio.
‒ Hai origliato?
Arrossì. ‒ Non ne ho potuto fare a meno.
Il mezzosangue scosse la testa mentre raggiungeva l’uscita. ‒ Meglio così. Mi aiuterai se incontreremo questa fata guardiana almeno.
Kieran aggrottò le sopracciglia. ‒ Dovremmo seguire gli ordini prima di tutto ‒ cercò di mediare.
Silas si fermò sulla porta e si voltò verso di lui. ‒ Kieran, ti sarà capitato di vedere dei gendarmi abusare del loro potere. Giusto?
Annuì con poca convinzione. ‒ Nel Buco succede di continuo.
‒ Se noi uccidiamo fate innocenti, siamo uguali a quei gendarmi. Ti chiederanno di uccidere fate che non hanno commesso alcun crimine decine di volte. Hai intenzione di seguire sempre gli ordini come un cagnolino ubbidiente? Credi che un ufficiale debba comportarsi così?
‒ Non parlarmi come se fossi un idiota. Qui un crimine è stato compiuto eccome, un crimine atroce.
‒ Non puoi punire tutti per le azioni di pochi. Esistono fate buone come esistono fate malvage e sanguinarie, ed è lo stesso per gli umani. Una Corte è come un villaggio, non ci vivono solo guerrieri; se il Ferro richiede una Purga verrà sterminata ogni singola fata al suo interno, compresi i bambini. Dobbiamo capire bene le dinamiche di quest’attacco, per evitare tutte queste morti da entrambi i lati.
Il capitano richiamò i cadetti con voce spiccia, ma nessuno di loro due si mosse. ‒ So benissimo tutto questo, ma penso che prima di disubbidire deliberatamente a un ordine, si possa provare a ragionare con chi ha emesso l’ordine.
Silas si grattò il collo dove la divisa lo irritava. ‒ Dillo a queste persone, che rimarranno qui a morire.
Kieran contrasse il viso. ‒ Se ci fosse un modo per aiutarle…
‒ Il modo c’è: l’evacuazione. Ma a quel figlio di puttana incompetente non importa, perché poi la burocrazia lo sommergerebbe. Sono quattro contadini insignificanti, non valgono lo sforzo per lui. Dovrebbero trovargli una nuova sistemazione e spendere fondi pubblici per farlo.
‒ Non alzare la voce ‒ protestò Kieran agitato. ‒ Potrebbe sentirti. Non puoi rivolgerti così a un superiore, neanche se sei tu.
Silas appariva controllato, ma i suoi occhi erano furibondi e la sua magia era diventata pungente e ostile. ‒ Non m’importa. Incontreremo molti ufficiali come lui nel tempo, hai intenzione di ubbidire e basta senza mai alzare la testa di fronte a una scelta sbagliata?
Si sentì punto sul vivo. ‒ Non tutti hanno la possibilità di comportarsi come te, Silas. Io ho solo quest’occasione.
Silas gli venne vicino, troppo vicino, il suo volto era a pochi centimetri. ‒ Basta con questa scusa. Il maestro Fergus ti ha offerto un posto nella gendarmeria. Io non ti farei congedare e tornare in fabbrica, ho i miei agganci. Le alternative di riserva le hai, perciò non farti scudo di questa scusa per rifiutarti di alzare la testa.
Era molto irritato dal tono di Silas e voleva rispondere con qualche frase velenosa.
‒ Avrò bisogno del tuo aiuto se incontreremo fate non ostili. Non meritano di morire e lo sai. Possono aiutarci.
Si fermò dal replicare in modo piccato quando sentì il tono preoccupato di Silas. Non era la voce di chi voleva litigare, era la voce di chi cercava supporto.
‒ Lo sai che puoi contare su di me.
Silas gli sorrise con gratitudine e una punta di sollievo, al che gli assestò una pacca sulla spalla. ‒ Ora raggiungiamo gli altri.


 

 
Nel tempo successivo il capitano Hitch provò a contattare i superiori, ma la torre del telegrafo era stata danneggiata e non c’era modo di recapitare messaggi. Il telefono invece non era un oggetto contemplato in quel piccolo villaggio.
Riunì tutti i cadetti di fronte la villetta del sindaco dopo essersi acceso una sigaretta. Aveva il volto stanco e occhi torvi, continuava a passare la mano sulla cicatrice che aveva in testa, a lato della testa rasata.
‒ La situazione qui a Orenburg è peggiore di quanto ci aspettavamo. Andremo al torrente a indagare e a segnare il confine di non accesso. Al che io, il cadetto Vaukhram e il cadetto Graham torneremo all’Accademia dove informeremo immediatamente i superiori e il rettore. Il cadetto Reed resterà qui nell’attesa di rinforzi a capo del gruppo. Mi aspetto che gli altri cadetti ubbidiscano ai suoi ordini fino all’arrivo dei rinforzi.
Kieran rimase pietrificato. Sentì un sapore acido in bocca e faticò a deglutire. L’inizio del discorso in qualche modo lo aveva spinto erroneamente a pensare a un qualche elogio, a una ricompensa, ma gli era bastato sentire il resto per capire quanto avesse frainteso.
‒ Io, capitano? ‒ domandò e avrebbe voluto che la sua voce non suonasse così flebile.
Uno dei cadetti alle sue spalle sputò a terra e disse qualcosa in dialetto stretto. Nessuno di loro però protestò.
‒ Certo, le tue valutazioni e il tuo profilo ti rendono il più adatto per il compito. Resterai qui al villaggio ad attendere ulteriori istruzioni. Collaborerai con il sindaco e manterrai la posizione fino all’arrivo dei rinforzi.
Vide negli occhi di Silas lo stesso shock che provava in quel momento. Si voltò a guardarlo, le iridi viola piene di paura e sconcerto.
Paura per lui.
Sapevano entrambi che le fate sarebbero tornate a finire il lavoro. Sapevano entrambi che cosa significassero quegli ordini.
Guardò i cadetti che sarebbero rimasti con lui, fra cui la giovane che aveva sorpreso a guardarlo e che ora appariva tesa e seria. Ragazzini, come lui, vestiti con divise troppo solenni e zaini troppo pesanti. Avevano occhi preoccupati e stanchi, ma erano soldati e dunque nessuno osò protestare. Nessuno disse ad alta voce ciò che pensavano tutti.
E di fatto neanche Kieran. Rimase muto un’altra volta, senza esternare le parole che aveva sulle labbra.
Le fate ci uccideranno tutti.
 

Ciao!
So che mi odiate per il cambio di tempo ç__ç, ma vi assicuro che non vi lascerò appesi troppo a lungo con il litigio. 
Metto qui alcune informazioni che magari nella premessa erano fuoriluogo.
I Valksha di cui Kieran parla, sono le fate delle terre non colonizzate dall'uomo, oltre il mare. Essendo terre prive di ferro e con una flora rigogliosissima e dominante, ospitano fate molto più potenti di quelle che hanno nel continente, anche di quelle antiche. Ne parlavano in vecchi capitoli, ma era soltanto un chiarimento in caso fosse sfuggito, anche se al momento non è rilevante.
Seconda cosa, quando parlo di "fate" purtroppo sembra che mi riferisco sempre a persone femminili, ma è un termine che in questa storia può indicare altri tipi di genere.
Grazie per aver letto e a presto ^^
   
 
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