Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    01/02/2022    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Capitolo 10 – Discesa negli inferi

 
Il giorno dopo, Siri si era svegliata all’alba come al solito: aprì pigramente gli occhi e osservò le assi di legno del soffitto, illuminate dalla luce pallida del mattino. Si voltò a guardare Hange che ancora dormiva scomposta e, soprattutto, rumorosamente. Sedette sul letto e fu proprio mentre la osservava russare e perdere bava dalla bocca che pensò alla soluzione per farle assumere i concetti base del pulito. Non pretendeva certo che pulisse ogni giorno, ma non poteva nemmeno accettare che gettasse resti di cibo in giro per la camera.
Il cortile dei dormitori era ancora deserto, gli unici rumori che entravano dalla finestra spalancata della sua stanza erano i primi cinguettii e i rumori dei soldati nel magazzino intenti a scaricare merci e attrezzatura. Levi era appena rientrato dalla cucina dopo essersi portato dietro il primo tè della giornata, e, poggiato sul montante della finestra, osservava la nebbia mattutina dissolversi e il sole salire e, con inesorabile lentezza, illuminare il paesaggio. Un movimento sospetto attirò la sua attenzione verso il basso: una soldatessa era appena uscita dalla porta d’ingresso dell’edificio in cui lui, i capitani e i veterani alloggiavano, trasportando un sacco voluminoso sulla spalla. Si dirigeva verso le cucine. Con la divisa quasi non l’aveva riconosciuta, fu infatti solo quando Siri si guardò furtiva alle spalle che la riconobbe: la seguì con lo sguardo fino a quando non entrò nella mensa. Un attacco di fame, pensò, forse era per quel motivo che si trovava bene con Sasha, anche se quel sacco era molto sospetto.
Abbi fiducia Levi. 
- Tsk – disse, e bevve l’ultimo sorso di tè.
Stava per chiudere la finestra quando un altro movimento all’esterno lo bloccò: Siri aveva aperto dall’interno una finestra della mensa, si trovavano talmente in alto che non era mai stato sicuro si potessero aprire, e ora lei invece stava acquattata come un ragno, senza più il sacco, sul davanzale. La vide fare un salto all’indietro verso l’esterno e far partire in un lampo i ganci del movimento tridimensionale. No… sono diversi. Non erano i soliti rampini che usavano i soldati, questi non erano collegati ad alcun dispositivo per il gas e, da come la vide armeggiare, poteva regolarne il riavvolgimento: infatti riavvolse di poco la corda e rimanendo appesa si sporse verso la finestra e la chiuse. Dopodiché riavvolse ancora il dispositivo, questa volta alla massima velocità e, dandosi lo slancio con le gambe sul muro dell’edificio, sganciò i rampini dalla grondaia e con una capriola atterrò sul tetto. Poi, saltando dal tetto della mensa a quello dei dormitori, si calò su una finestra e rientrò quindi nell’edificio dei capitani.
Che cazzo significa questo spettacolo da circo? Perché non rientrare semplicemente dalla porta? Decise che l’avrebbe scoperto in autonomia perché, qualora gliel’avesse chiesto, era sicuro che poi non avrebbe mai scoperto né il perché di tutto questo né tantomeno il contenuto del sacco che aveva evidentemente lasciato in cucina. Chiuse quindi la finestra e decise di leggere e rilassarsi prima di riprendere i soliti lavoretti burocratici. Un’ora dopo bussarono alla sua porta, andò ad aprire e, coincidenza, era proprio Siri con indosso un camice bianco sulla divisa.
- Ti sei orientata subito. – effettivamente Levi non le aveva fatto sapere dove si trovasse la sua stanza.
- Buongiorno anche a te. – Siri si toccò una tempia: - Ho memorizzato le piantine.
Levi espresse la sua sorpresa col silenzio, poi disse: - Dove le hai prese le piantine?
Siri arricciò le labbra, poi schioccò la lingua e cambiò argomento: - Ho detto ai ragazzini che l’allenamento inizia alle dieci.
- Non hai risposto alla mia domanda.
- Che importanza ha? Dai il buon esempio e sii puntuale.
- Io non ci sarò. – Levi a queste parole stava per chiudere la porta, ma Siri la tenne aperta col braccio. Quindi Levi la riaprì e la osservò annoiato.
- Erwin ha detto…
- So cosa ha detto, salto dalla gioia all’idea di fare il maestro. – pose l’accento su quest’ultima frase, inoltre il suo sguardo truce valeva più di mille parole – Ad ogni modo, non ha senso che entrambi insegniamo in contemporanea, ci alterneremo i giorni. Abbiamo sicuramente tecniche d’insegnamento diverse, sarebbe soltanto un’inutile perdita di tempo.
E di pazienza, aggiunse in mente.
Siri distolse lo sguardo e ci pensò qualche secondo: - Va bene, hai ragione boss. – lasciò andare la porta e si allontanò.
- Ohi – disse Levi richiamando la sua attenzione – quando torneremo da questa tua missione nel posto più merdoso delle mura, inizierà il tuo di addestramento.
Siri lo osservò: era oltre l’uscio e la guardava minaccioso. Più che sembrare un incoraggiante promemoria, era un minatorio avvertimento.
- E non ci saranno giorni alterni, sottospecie di saltimbanco. – concluse rientrando in camera e chiudendo la porta. Siri era rimasta a guardarlo confusa. Saltimbanco?
 
Come da minaccia, la squadra era tutta riunita alle dieci in punto nel cortile del dormitorio dei soldati semplici, un casermone distaccato di poco da quello dei capitani. Siri arrivò con una mela in una mano e una scatola contenente pugnali di legno sotto l’altro braccio, nonostante indossasse la divisa, non sembrava aver abbandonato né i colori scuri, a giudicare dalla maglietta a con le maniche a tre quarti nera, né tantomeno le fasciature. A parte Sasha, nessuno era a conoscenza della sua altra importante cicatrice, inoltre la ragazzina, un po’ per dimenticanza, un po’ per distrazione, non aveva mai raccontato al gruppo di quella grossa bruciatura.
Siri ignorò i loro saluti e, oltrepassandoli disse: - Seguitemi.
- E il capitano Levi? – chiese Armin.
- Vi allenerà domani, ci alterneremo giorno per giorno. – rispose Siri, notò un certo sollievo sollevarsi nel gruppo, erano infatti fermamente convinti che sarebbe stato meglio avere a che fare solo con uno dei due alla volta, inoltre Levi rappresentava sempre e comunque il loro spauracchio maggiore. Purtroppo, non potevano immaginare che Siri stesse per sottoporli allo stesso durissimo, quasi inumano quanto il suo, addestramento che aveva affrontato per un anno e mezzo al campo cadetti, in poco tempo avrebbero rimpianto l’assenza del capitano.
Siri li portò in un campo sterrato lì vicino utilizzato anche dagli altri soldati come spazio per allenarsi: era a dir poco enorme, circondato dalla foresta di pini, proprio al suo limitare c’erano i pali per l’allenamento col dispositivo di movimento tridimensionale, inutilizzati in quelle settimane perché le reclute dovevano ancora raggiungere la sede. Siri sistemò la squadra vicino dei tavoli da esterni, alle cui spalle c’era una baracca per gli attrezzi. Anch’essi in quel momento erano vuoti: di solito invece erano utilizzati dai capitani stessi per compilare le scartoffie all’aria aperta, Hange ne era un’assidua frequentatrice, tuttavia, quella mattina, non era lì.
La squadra si mise sull’attenti in ordine sparso di fronte a Siri che, tenendo la mela in bocca, poggiò per terra la scatola coi pugnali e si tolse il giacchetto in pelle della divisa, che lanciò sulla panca di uno dei tavoli: era una giornata calda e il sole di metà mattinata iniziava a picchiare. Siri addentò la mela e li guardò: - Non credo di essermi mai presentata, ma ora che faccio parte della squadra e che la mia posizione all’interno dell’esercito è un pochettino cambiata, posso rivelarvi il mio vero nome. Il mio nome completo è Sigrid Myhre, siete pregati di tenere per voi questa informazione e chiamarmi semplicemente Siri, nonostante comunque, a questo punto, l’unica cosa che le persone a cui non sto molto simpatica potrebbero fare sarebbe quella di andare a sputare sulla tomba di mio padre, o uccidermi. Tuttavia… - disse, passando tra loro – sarei ben felice che non succedesse lo stesso. Chiarito questo e avendovi dimostrato la fiducia che ripongo in voi, possiamo passare all’allenamento.
Diede un altro morso alla mela e tornò di fronte a loro, camminando avanti e indietro: - La cosa più importante che dovete imparare non è saper attaccare, ma evitare di essere colpiti, – mentre camminava con lo sguardo davanti a sé, notò con la coda dell’occhio Connie, infondo, che ridacchiava con Sasha, la quale invece cercava di non dargli corda – in questo modo anche il più incapace tra voi potrà sopravvivere. – si fermò, la traiettoria era libera – In altre parole, la mia prima lezione si può chiamare… Schiva. – prese lo slancio col braccio e lanciò con tutta la forza la mela contro Connie, prendendolo in piena fronte.
- AAH! – Connie indietreggiò tenendosi la fronte tra le mani, Jean, Eren e Sasha risero della scena, mentre Armin e Mikasa lo guardarono sconsolati.
- Un chiaro esempio ve l’ha appena dato Connie, non era pronto per schivare ed è stato colpito. – si piazzò di fronte a lui e gli diede una schicchera sul naso – Puff, morto. Cinquanta flessioni.
- CHE?!
- Sei un soldato oppure no? E io che credevo che per voi fossero poche… - Siri prese la scatola coi pugnali finti e passò tra loro, facendone prendere uno a tutti – Se morite farete cinquanta flessioni, puntiamo a temprare anche lo spirito. Più volte morirete, più verrete puniti con altre interessanti penitenze di mia invenzione. Ho una fervida immaginazione, quindi, se non volete stuzzicarla, vedete di impegnarvi. – distribuiti a tutti, tornò di fronte a loro – Dividetevi in coppie: uno dovrà attaccare e l’altro dovrà solo schivare, impegnatevi nell’attaccare, me ne accorgerò se non lo fate.
Permettere loro di formare le coppie le fu d’aiuto per capire meglio il loro livello: nonostante si fosse sempre allenata solo col suo allenatore al campo cadetti, la sua idea si rivelò efficace. Riuscì infatti a identificare subito i più bravi nelle prime due coppie che si stavano sfidando: Mikasa, che era quella che aveva iniziato a schivare, era sicuramente una fuoriclasse rispetto ad Eren, che comunque mostrava una buona tecnica; Jean era goffo nei movimenti, ma era sicuramente più bravo di Armin che invece, cercando di affondare il coltello, sembrava non metterci abbastanza impegno. Dall’altra parte poi c’era Sasha che aspettava che Connie finisse la sua penitenza: Siri li fulminò con lo sguardo, tuttavia riteneva necessaria quella piccola digressione. Le venne in mente di quando il suo allenatore la puniva: non aveva niente a che vedere con quelle scaramucce a cui Siri avrebbe sottoposto i ragazzi, il suo allenatore infatti, ad esempio, le faceva tirare pugni ad un albero fino a quando non riusciva a rompere la corteccia. La prima volta che venne punita dovette farlo per tutto il giorno e ad un certo punto iniziò ad usare anche i gomiti per colpire il tronco, perché le nocche erano troppo aperte e piene di schegge. Quando riuscì a raggiungere la superficie interna, liscia, dell’albero, ormai non riusciva nemmeno più a piangere dal dolore e sentiva la pelle del viso tirarsi per le lacrime salate che le avevano rigato il viso.
No, a loro no.
- Va bene, mischiamo le coppie. Connie adesso basta, mi sembra ci stia mettendo troppo per delle semplici flessioni.
Alla fine, sistemò i più deboli con i più forti, facendo iniziare a schivare i più forti, così a rotazione, in modo da permettere a tutti non solo di imparare le tecniche dei compagni ma anche di non far “morire” subito i più deboli. Ad un certo punto iniziò a girare tra loro con un bastone, nessuno sapeva dire da dove l’avesse tirato fuori, e iniziò a colpirli ogni qualvolta erano troppo goffi o sbagliavano i movimenti. Nonostante l’impegno e i continui rimbecchi di Siri, Armin e Connie vennero sconfitti, per cui a fine allenamento avrebbero dovuto pagare la loro penitenza. Li fece allenare per tre ore, alla fine erano tutti esausti, ad eccezione di Mikasa, che, a parte qualche rivolo di sudore, aveva lo stesso aspetto di quando avevano iniziato. Il sole era ormai alto e picchiava, non avrebbe avuto senso farli proseguire oltre.
- Armin e Connie, sei giri di campo, poi potrete andare a mangiare. – era leggermente dispiaciuta per il biondino, ma non sarebbe stato giusto far saltare a loro il castigo se poi i giorni a seguire avrebbe dovuto “punire” gli altri allo stesso modo.
- Ah, quasi dimenticavo: da domani uno di voi mi aiuterà in infermeria. Uno di voi diverso ogni settimana. – diede un’occhiata rapida ai volti distrutti dei suoi compagni – Inizia Armin. Ci vediamo domani mattina alle sette in infermeria.
A quanto pare oggi ce l’aveva con te – sussurrò Eren ad Armin quando Siri si fu allontanata.
- Ti sbagli. – Armin lo guardò sconsolato mentre si preparava con Connie per la corsa che lo aspettava – Non mi risulta di essermi beccato una mela in faccia.
- Ehi! Ci sei finito anche tu a correre per il campo! – rispose Connie accigliato, mentre gli altri ormai se la ridevano alla grossa.
A pranzo, Levi vide arrivare la sua squadra a mensa in ritardo: sembravano tutti sfiniti e Connie aveva la testa fasciata, ma poteva chiaramente vedere un bernoccolo fare capolino nel centro della fronte. Cercò Siri nella sala con lo sguardo, ma non c’era. Fa sul serio. Non si aspettava di vederli innanzitutto spossati, poi così stanchi solo dopo il primo giorno.
A pensarci bene non c’era nemmeno Hange, il che era strano, perché di solito lo raggiungeva sempre al suo tavolo, seguita da Moblit: non vedeva la quattrocchi dal giorno prima a pensarci ancora meglio. Quella mattina aveva visto Moblit correre su e giù per i corridoi, ma riteneva la cosa abbastanza normale viste le innumerevoli commissioni assurde che Hange gli affidava. Tuttavia, considerò l’evento una fortuna, nessuno l’avrebbe disturbato, almeno fino all’ora di cena. Ad un certo punto, a fine pranzo, vide Siri, sempre con indosso il camice, fare capolino in mensa: notò la sua espressione facciale contrarsi poco dopo essere entrata, scese le scale tenendosi la tempia, la vide prendere una pagnotta, risalire le scale e uscire di lì in tutta fretta. 
Tutta la situazione anormale lo lasciò confuso, ma assunse tutto un senso quando, salendo verso il secondo piano dei dormitori diretto alla sua stanza, sentì delle urla al primo piano. Provenivano dalla camera di Hange e, a giudicare dal tono, dovevano essere proprio le sue. Si diresse verso la sua stanza, trovò la porta aperta e Moblit che guardava l’interno sconcertato.
- Ehi quattrocchi, cos’è tutto questo casino? – si sporse nella camera e lo scenario che gli si parò dinanzi era forse anche peggiore di quando ci aveva portato Siri il giorno prima: la metà della stanza che apparteneva ad Hange era più sottosopra del normale, il pavimento ora era libero visto che aveva spostato il cumulo di vestiti sul letto, tuttavia il suo armadio era completamente smontato e il contenuto dei cassetti della sua scrivania sparso per tutta la camera. Hange giaceva stesa al centro della stanza e ripeteva a bassa voce: - … Non è possibile… dove sono… tutto…
- Capitano, non appena Siri arriva le chiederemo se ha visto qualcuno… - Levi a quelle parole si voltò a guardare Moblit ma proprio mentre stava per chiedergli il significato di quella frase, Siri fece capolino alle sue spalle.
- Che succede? – Levi si voltò a guardarla, teneva il camice sottobraccio e stava finendo il pane che le aveva visto prendere dalla mensa.
- Perché Hange è per terra? – disse con un’espressione interrogativa: sentendola, Hange si alzò di scatto e a gattoni si gettò su Siri.
- SIRI! È TERRIBILE! – le si aggrappò alla maglia, Siri indietreggiò e spalancò gli occhi a disagio – CI HANNO DERUBATI!
Moblit si abbassò e tenendola dalle spalle la stacco da Siri: - Le hanno rubato tutti i suoi documenti sui giganti, i suoi libri, il suo microscopio… - disse Moblit sconsolato, Levi guardò i due interrogativo. La spia alzò lo sguardo sulla stanza, entrò e si guardò intorno: - La mia roba c’è tutta.
Hange si alzò di scatto: - CHEE?! Hai sentito Moblit?! – lo afferrò per il colletto del suo giacchetto e lo scosse – È un attacco personalmente diretto a me!
Levi osservò Siri che non sembrava minimamente colpita dall’accaduto, anzi, si era poggiata con una mano sulla sua scrivania che, notò, era perfettamente ordinata: una piccola pila di libri in un angolo, sormontati dal vaso di una pianta, al centro dei documenti perfettamente ordinati, davanti a questi una serie di barattoli impilati l’uno sull’altro e nell’altro angolo della scrivania una lanterna ad olio. Guardava con estrema calma la scena e sembrava stesse aspettando di essere interpellata.
- Siri! – Hange si girò a guardarla e le si avvicinò – Hai per caso visto qualcuno uscire dalla nostra camera o avvicinarsi qui con fare sospetto?
Siri sospirò e guardò il soffitto pensierosa, mentre si strofinava il mento nella mano: Levi capì all’istante che sapeva perfettamente cos’era successo al materiale del capitano.
- Mmh… ora che mi ci fai pensare, sì, ho visto qualcuno… - Hange la guardò ricolma di gioia – Ti dirò chi era… - Siri la guardò dritta negli occhi minacciosa e con un tono tagliente continuò – Ma prima dovrai mettere in ordine i tuoi vestiti. E buttare le cose nel cestino.
All’altra morì la felicità in faccia e la guardò a bocca aperta: - Come…? – batté le palpebre – Siri non ho tempo per questo! È una questione troppo importante.
Siri alzò un sopracciglio e un angolo della bocca: - Beh allora mi sa che dovrai cercare il tuo ladro da sola… sempre se riesci a trovarlo. – le diede dei colpetti sulla testa – Buona fortuna!
- SIRI! Non è uno scherzo! – Hange la prese per le braccia.
Siri sbottò: - Non lo sono neanche le malattie che si possono sviluppare in un’aria mefitica come questa! Sai, io, a differenza tua, ne ho una vaga idea!
- Ohi, quattrocchi. – le due si voltarono a guardare Levi – Non l’hai ancora capito? Il ladro ce l’hai di fronte.
Levi aveva finalmente compreso il comportamento sospetto della spia quella mattina. Non avrebbe mai detto, dall’impegno che ci aveva messo, che si potesse trattare di una cosa di così poco conto. Tuttavia fu sollevato di aver constatato che lei non stesse pianificando avvelenamenti o altri strani complotti contro il corpo di ricerca. Siri la spinse via e Hange la guardò sconcertata: - Tu?! Quando… - scosse la testa e le si avvicinò minacciosa – Siri sono un tuo superiore, ridammi le mie cose o…
- Non sei il mio superiore. – la interruppe Siri incrociando le braccia sulla difensiva, poi guardò Levi – Lui è il mio superiore.
Lui ricambiò lo sguardo impassibile. Quindi aveva deciso di giocarsela e mettere tutto nelle sue mani, era un azzardo perché se le avesse detto di ridare ad Hange ciò che le apparteneva, tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani.
- Levi! Dille di restituirmi i miei documenti! Ci sono anni di ricerche lì sopra! – Hange si avvicinò di qualche passo a lui che la guardò annoiato.
- È un problema tuo Hange. Finalmente sarai costretta ad acquisire le basi dell’igiene.
A quelle parole, la scienziata iniziò a disperarsi, mentre Siri sorrise grata a Levi. Moblit, in quella crisi di potere, cercava invano di calmare il suo superiore, promettendole che l’avrebbe aiutata ad ordinare. Detto questo, il capitano s’incamminò per tornare verso le scale.
- Levi, - lo chiamò la spia nel corridoio, facendolo voltare – raggiungimi in infermeria più tardi. Devo parlarti della missione.
- Bene, se non vuoi aiutarmi Levi, me la vedrò da sola! MOBLIT, andiamo, dobbiamo trovare le mie cose! – disse Hange uscendo a lunghi passi dalla stanza, seguita dal suo esasperato sottoposto.
- Arrenditi Hange, non le troverai. – Siri rientrò in camera – Man mano che terrai la stanza in ordine ti ridarò una cosa alla volta.
 
Era pomeriggio inoltrato e la luce aranciata del tramonto irrompeva nell’infermeria, tingendo tutto di quel colore caldo e accogliente. I flaconi di medicine sul tavolo sterile proiettavano giochi di luce sulla superficie metallica, dal lavabo accanto all’ingresso cadevano ritmicamente nel lavandino e il leggero vento caldo che entrava dalle finestre muoveva dolcemente le tende: quando Levi entrò si sentì pervaso da uno strano senso di pace, il che, in genere, era davvero raro.
Si rivolse ad un’infermiera-soldato che proveniva dalla zona alla sua sinistra in cui c’erano le file di letti, nascosti da inamidate tende bianche: - Sto cercando il soldato Myhre.
La soldatessa lo guardò: - Oh, Capitano Levi: è nel primo letto a destra… - poi guardò di sottecchi le tende che nascondevano il letto alla vista e disse a bassa voce – Però, capitano, non credo voglia essere disturbata.
- Non importa. – disse e si diresse nel reparto di giacenza. Si affacciò oltre la tenda che nascondeva quella “stanza” quadrata rimediata da quei tre teli bianchi impalati: Siri era distesa sul letto supina, le mani poggiate sul suo quadernetto aperto sul petto, aveva il viso girato verso sinistra, la guancia destra coperta da un panno di cotone su cui era spalmata della poltiglia verde, in corrispondenza dei punti. Guardava un punto fisso della tenda, quando lo sentì arrivare gli rivolse un breve sguardo ma rimase immobile.
- Era ora. Stavo per addormentarmi.
- Se batti la fiacca puoi dirmelo: i bagni hanno sempre bisogno di una pulita. – disse lui sedendosi su una sedia alla destra del letto, Siri ci aveva appoggiato sulla spalliera il suo camice.
Siri lo guardò, senza voltare il capo: - Sei proprio fissato con le latrine. – mise anche la testa supina, stando attenta a non spostare il panno, posò gli occhi su di lui e poco dopo disse: - Stai attento, potresti immedesimartici.
Ogni volta che gli rispondeva sarcasticamente era una bella sfida cercare di non mostrare apprezzamento verso le sue battute: si conoscevano da poco, ma aveva capito benissimo che se l’avesse fatto lei non avrebbe più smesso di gongolare, ed era già abbastanza sbruffona solo così.
- Mi dispiace non potermi sedere ma, – indicò la pezza sul viso – lo devo tenere su per due ore circa. Non si secca, per cui devo rimanere così.
- Così, a far nulla.
Siri aggrottò le sopracciglia e lo guardò risentita: - Pensare non lo definirei fare nulla. Comunque, accelera il processo di guarigione, tra una settimana, compreso il giorno di oggi, sarà rimarginato del tutto.
- Presumo quindi tu voglia partire per allora.
Siri spostò lo sguardo sul soffitto e annuì. Il vento scompigliò i corti capelli che fuoriuscivano dalla treccia di Siri, Levi osservò i suoi occhi: sembravano tristi. O forse era solo sovrappensiero.
- Che c’è? Hai cambiato idea?
- No… - disse piano – Nemmeno io muoio dalla voglia di andarci, diciamo. Non ci sono stata tanto tempo come te, ma, per quel poco, mi è bastato.
Il capitano comprendeva perfettamente, per una che poi sapeva cosa significasse vivere in superficie doveva essere risultato difficile, ancor più dover mantenere la sua identità segreta con uno come Kenny.
- Quindi sei sicura che sia la pista giusta? Non vorrei dovermi sorbire quell’aria di merda solo per vederti fare il saltimbanco in giro per la città.
- Il mio istinto mi dice di sì, difficilmente si sbaglia. – spostò di nuovo lo sguardo sicuro su di lui.
- Ne parli come se fosse un’altra persona, adesso sei anche sensitiva? Possiamo mettere su uno spettacolo da baraccone.
Siri sbuffò: - D’altro canto ci faresti fare un gran successo: l’uomo più forte e più basso insieme. – si pentì della battuta subito dopo averla pronunciata, però le era venuta così naturale che l’aveva detta senza pensarci. Sgranò gli occhi e Levi percepì il panico e il pentimento, aveva colpito nel segno, non poteva negare però che quello scambio di battute non gli dispiacesse.
Scus-
- Hai ideato anche una tabella di marcia oltre che frecciatine mentre eri qui a sollazzarti?
Siri sorrise e fissò il suo quadernetto: - Effettivamente, avevo previsto la tua richiesta boss. – alzò l’oggetto tra le mani – Domani potremo già condividerlo coi mocciosi.
Levi le si avvicinò con la sedia e disse: - Questo lo giudicherò io. Avanti, iniziamo.
Rimasero così a discutere dell’organizzazione per la missione, fino all’ora di cena.
 
I giorni a seguire passarono quasi senza che la squadra se ne accorgesse, dopotutto, dopo gli allenamenti con Siri, sommati a quelli a cui si sottoponevano per conto loro, c’era poco altro a cui pensare. I ragazzi non vedevano l’ora di allenarsi con Levi piuttosto, ma s’impegnavano a non far notare la cosa alla spia in modo da impedirle di chiedere al capitano di essere più rigido. Hange non era riuscita a trovare assolutamente nessuno dei suoi oggetti, aveva iniziato a seguire Siri ovunque andasse cercando di scalfire lo stoico atteggiamento che aveva assunto nei suoi confronti; fino a quando un giorno non si è arresa e, con l’aiuto del suo instancabile braccio destro, ha iniziato a tenere in discreto ordine le sue cose. Il giorno della partenza Siri la premiò ridandole il microscopio e solo una piccola parte di alcune delle sue ricerche.
Quando Levi e Siri ebbero finalmente messo a punto la missione, la esposero alla squadra che, non avendo mai visto la città sotterranea, accettarono senza troppe remore. La spia fece lavorare molto Armin in infermeria, aveva bisogno di sintetizzare molto analgesico e altre medicine: doveva lasciare una parte in infermeria e un’altra sarebbe servita in missione, e Armin, se all’inizio si sentì sopraffatto dalla valanga di informazioni e procedimenti che Siri gli illustrò, poi prese la mano e, alla fine della settimana avrebbe voluto continuare ad affiancarla. Tuttavia, la fine di quei giorni tranquilli era arrivata ed il momento era giunto, sarebbero dovuti scendere negli inferi.
Eren era a dir poco nervoso nel carro: si fissava i piedi cercando di non pensare alla nausea che l’aveva colto da quando i cavalli erano partiti, ogni tanto alzava gli occhi su Siri e Levi ed era a dir poco sconvolto dalla loro incredibile calma. Non davano sicuramente l’idea di due persone che di lì a poco avrebbero dovuto, molto probabilmente, lottare per la propria vita in una città ricolma di criminali. Levi era seduto accanto a lui, dritto con le spalle guardava Siri con le braccia incrociate, quest’ultima invece era distesa sulla panca di fronte alla loro e, mentre canticchiava a bocca chiusa, giocherellava con un pugnale, lanciandolo sopra la sua testa e riafferrandolo al volo poco prima che toccasse la fronte. Non portava più il cerotto sul viso e la grossa cicatrice sulla guancia stonava totalmente coi suoi lineamenti delicati, le dava un aspetto grottesco.
- Puoi smetterla con questo motivetto insopportabile?
Siri interruppe la cantilena e afferrò il pugnale al volo, guardò Levi e glielo sventolò nella sua direzione: - Dovresti iniziare a mettere il tuo mantello boss. – detto ciò, ricominciò a giocherellare e non appena Levi si abbottonò il grigio mantello, ricominciò anche a canticchiare. Eren ripensò a quanto singolari gli erano sembrati Levi ed Hange appena conosciuti, Siri non era da meno e il fatto che non fosse minimamente spaventata dal capitano riusciva a dargli una vaga idea di quanto dovesse essere abile (e matta), anche se non l’aveva mai vista in azione e lo desiderava. Ma adesso che erano diretti alla città sotterranea, il suo desiderio si sarebbe presto esaudito, stando, perlomeno, alle previsioni di Siri.
- Il mio istinto non si sbaglia mai. – aveva detto tronfia a tutti.
- È tutto da vedere, fenomeno da circo. – aveva risposto il capitano, che, nonostante il tono dispregiativo, sembrava comunque abbastanza convinto della sua teoria.
Il carro si fermò e il cocchiere scese ad aprire la tenda nel carro: - Siamo arrivati.
Siri e Levi si calarono il cappuccio sulla testa e scesero per primi, si guardarono intorno e poi la spia fece cenno di scendere anche ad Eren. Non appena sceso vide alla sua destra l’ingresso alla città: non che si aspettasse qualcosa d’imponente, ma nemmeno qualcosa di così squallido. Era un semplice buco nella roccia, sormontato da pali di legno così vecchi che sembrava dovessero crollare da un momento all’altro. Osservò Siri tendere i permessi d’ingresso e uscita ad un soldato del corpo di gendarmeria di guardia all’ingresso che, dopo averli controllati, glieli restituì. Si girò verso di loro e diede sia a lui che a Levi uno dei tre fogli, poi si rivolse ad Eren: - Intascatelo nel posto più sicuro che hai.
Il ragazzo fece per metterlo in tasca quando Siri lo fermò afferrandogli il polso: - No. Devi riuscire a sentirlo sulla pelle. Solo così se cercano di sfilartelo via potrai accorgertene: quel foglio, dal momento in cui oltrepassiamo quel buco nella roccia fino a quando non ne usciamo è più importante della tua stessa vita.
- Non esagerare, spiona. – la rimbeccò Levi.
- Beh, considerato che anche con una pugnalata nel petto non può morire, direi che ho ragione. – Siri tornò a guardare Eren dritto negli occhi e gli lasciò il polso – Mettilo nelle mutande se serve. Senza quello non potrai uscire di qui.
Il ragazzino deglutì, spaventato. Siri si girò e, seguita dai due, iniziarono la discesa verso la città. Le scale, notò Eren, erano immerse nel buio pesto, interrotto soltanto da qualche sporadica fiaccola sulle pareti, era calato un silenzio irreale e l’unico rumore che lo riempiva erano i suoni dei loro passi che rimbombavano sulla roccia. L’umidità era opprimente e dopo qualche rampa di scale iniziò a percepire un certo tanfo. Improvvisamente il tunnel si aprì rivelando un’enorme caverna sotterranea: era immensa, sostenuta da qualche gigantesca colonna rocciosa non sapeva bene dire ogni quanti chilometri. Le abitazioni sembravano accartocciate l’una sull’altra, tutte di colori sbiaditi e ammuffiti, regnava una quiete irreale per essere una città e l’oscurità quasi faceva venire il mal di testa, visto lo sforzo che dovevano compiere i suoi occhi a mettere a fuoco ciò che lo circondava, qui e lì Eren poteva osservare le fioche luci nelle strade e delle finestre, ma erano solo un timido tentativo d’imitare quella solare. Mentre scendevano le scale lentamente, lui spostava il capo incuriosito per vedere meglio la città, il capitano invece, notò sorpreso, procedeva con lo sguardo basso, senza rivolgere il minimo sguardo agli edifici. In quanto a Siri, non poteva vederla in viso perché li precedeva, ma era da quando avevano imboccato le scale che non apriva bocca.
Alla fine delle scale vi era un gazebo in legno in cui altri soldati della gendarmeria tenevano d’occhio l’ingresso: non avendo le divise del corpo di ricerca, né tanto meno i dispositivi di manovra tridimensionale, vennero subito fermati perché dicessero il motivo della visita: Siri disse qualcosa di incomprensibile su commerci e affari, le guardie non la stettero neanche a sentire fino in fondo che, pigramente, li lasciarono proseguire per quella che sembrava una via principale.
Mi chiedo che senso ha avuto entrare coi permessi se avremmo potuto farcene fare uno speciale dal comandante Erwin. – disse Eren a nessuno dei due in particolare.
- Col casino che è successo con la gendarmeria, il corpo di ricerca non è ancora ben visto dalla polizia. Inoltre, qui viene mandata la feccia della gendarmeria, quale soldato potrebbe mai venirci per scelta. – gli spiegò Levi, mentre guardingo osservava le strade secondarie – è molto meglio non fidarsi, visto che potrebbero segnalarci ai criminali a cui Siri non sta simpatica.
Siri lo fulminò con lo sguardo: - Guarda che anche se tu manchi da anni, qui ti ricordano ancora benissimo. – si girò e tornò a guardare avanti a sé, stando ben attenta a nascondere il viso col cappuccio.
- Insomma, – continuò Levi guardando Eren di sbieco – è difficile trovare qualcuno a cui stiamo simpatici.
Svoltarono un paio di volte, stavano camminando da una quindicina di minuti ed erano quasi arrivati al punto d’incontro quando Siri si fermò all’improvviso in un vicolo stretto e un po’ più buio degli altri, Levi ed Eren guardarono davanti a sé e videro un uomo poggiato contro il muro, le braccia conserte: guardava dritto nella loro direzione.
- Per passare di qui dovete pagare il pedaggio, stranieri – disse l’uomo che, però, quando vide Siri sembrò cambiare totalmente espressione.
Siri si voltò verso i due compagni, dando le spalle allo sconosciuto: - Maledizione…
Chi è quello? – fece Levi. La risposta non tardò ad arrivare.
L’uomo si scostò dal muro e si mise al centro del vicolo – Aspetta ma, sei… Siri? – Siri fece una faccia annoiata e sbuffò: - Ci eravamo per pochissimo...
- Da quanto tempo. Era da un po’ che non ti facevi vedere da queste parti. – disse avanzando verso di loro, il viso che virò dal sorpreso al soddisfatto.
Siri chiuse gli occhi, sospirò e con un sorriso si voltò a guardare l’uomo - Marcus! – disse con una voce allegra, a sentirla Eren tirò un sospiro di sollievo – Da quanto tempo, vecchia canaglia! Sai mi ero quasi scordata del tuo viso! – Siri alzò le mani e le intrecciò dietro la testa, per poi con una mano indicare verso il basso. Levi guardò Eren e, avvicinatosi a Siri, lentamente, le sfilò uno dei pugnali che aveva nella cinta sul bacino, dopodiché fece cenno ad Eren di fare lo stesso.
- Credevo che Kenny, dopo averti lasciato il suo ricordino, – disse l’uomo indicando il dorso della sua mano – fosse venuto ad ucciderti definitivamente.
Siri abbassò le braccia e sia Eren che Levi potettero chiaramente vedere due lame scendere da sotto le maniche della maglia della spia, e quindi poi fermarsi sul suo palmo contratto.
- Mmh, non ha fatto in tempo. È crepato prima di poterci provare.
Dalle strade ai loro lati sbucarono altri uomini e Marcus le si avvicinò ancora, riducendo la loro distanza a qualche passo.
- Ti è andata bene – disse sprezzante - Allora, sei venuta a ripagare il tuo debito? - L’uomo sputò per terra rabbioso, Levi lo guardò disgustato.
- Non so di cosa parli. – disse Siri fattasi improvvisamente seria. I tre contrassero i muscoli, pronti ad agire. Li avevano circondati, sarebbe bastato un segnale di Marcus e gli sarebbero saltati addosso. Fortunatamente non sembrava avessero armi da fuoco. Stanno stringendo il cerchio… spero siano riusciti a seguirci senza intoppi… Pensò Eren ansioso.
- CERTO CHE LO SAI, BRUTTA PUTTANA! – l’uomo nerboruto si era avvicinato così tanto che ora Eren e Levi riuscivano a distinguerne i tratti somatici: non sembrava molto in forma, anzi, era più alto di Siri di almeno una decina di centimetri, aveva una barba ispida e poco curata, i denti gialli e gli occhi traslucidi, i lunghi capelli marroni che aveva cercato di raccogliere in un codino basso erano attraversati da ciocche bianche.
- MI HAI RUBATO IL MIO PERMESSO D’USCITA! – le puntò l’indice contro, Eren e Levi strinsero più forte i pugnali – Adesso io ti…
Siri lo interruppe, gli occhi due profondi pozzi scuri, ora che si trovavano in un quel luogo immerso nell’oscurità neanche la più piccola luce vi si rifletteva: - Ti avevo già spiegato che i ratti come te… - fece scendere le lame dai polsi con uno scatto e afferrò le impugnature - … è meglio che rimangano nella loro fogna.
Marcus le si scaraventò contro, altrettanto fecero i suoi uomini. Poi, vennero tutti raggiunti da degli spari.
  
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