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Autore: Little Firestar84    02/02/2022    3 recensioni
Il mentalista Patrick Jane irrompe ancora una volta nella vita di City Hunter: quando le tracce dei gemelli Jonathan e Cameron Black lo portano ancora una volta a Tokyo, è a Ryo e Kaori, coppia nel lavoro e nella vita, che il consulente dell'FBI chiede aiuto.
Senza sapere che City Hunter- e tutto il loro sgangherato gruppo di alleati- sta già seguendo il caso... solo da un'altra angolazione!
Da New York a Tokyo, la caccia ai ladri ha inizio, ed il tutto per proteggiere il misterioso e prezioso gioiello noto solo come Serpenti!
Genere: Commedia, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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Non era a suo agio con i capelli lunghi, sebbene quel colore fosse così simile al suo castano ramato naturale, ed anche il vestito ed i tacchi alti la facevano sentire impacciata. Nonostante camminasse dritta e sicura lungo i corridoi che portavano al caveau di Bulgari, Kaori si sentiva come un cerbiatto che camminava sulle proprie zampe per la prima volta.

Ed il trucco non aiutava di certo. Era quasi come se avesse una maschera sul viso, tale era lo strato di cerone che le era stato messo sul viso, per gentile concessione di Jane che, a quanto sembrava, era anche un maestro del trasformismo. 

Socchiuse gli occhi e cercò di evitare di sospirare, onde evitare di attirare inulti attenzioni, e riportò alla mente le istruzioni del mentalista per controllare il suo bioritmo – cuore, respiro, sudorazione – sperando che nulla la tradisse: finire in carcere era l’ultima cosa che voleva, specie adesso, con tutto quello che era successo e che sarebbe successo presto. 

Gettò una rapida occhiata all’orologio che portava al polso, sottile ed elegante, raffinato, e sistemò dietro all’orecchio una ciocca della parrucca che Eriko le aveva prestato – su gentile ordine di Ryo – ed era la stessa che Kaori aveva indossato anni prima quando si era trasformata per una notte nella moderna Cenerentola di Tokyo. 

“Ti stanno davvero bene I capelli lunghi! Che dici, ti è venuta voglia di farteli crescere?”

Nonostante i complimenti dell’amica, e gli sguardi ammirati di tanti uomini, Kaori faceva fatica a sentire sua quella nuova pelle. Osservò il suo riflesso nella vetrina di un negozio, quasi tentata di allungare la mano e sfiorare la superficie di vetro, chiedendosi se fosse davvero lei, quella donna. 

“Non so, così, con la parrucca…. Non credi che sembri un travestito? E poi, non lo so… non penso che con il mio lavoro sarei comoda…”

Kaori aveva vissuto per anni col sospetto che lui lo avesse saputo fin dal principio, e adesso, che ne aveva la certezza, era quasi grata che lui quella notte non l’avesse baciata, lasciando quel soffice tocco delle labbra per quando lei fosse stata Kaori, ed il loro rapporto vero, e non una finzione nella vana speranza di togliersi uno sfizio.

Falcon quella volta aveva avuto ragione: ma non per il motivo giusto. Era stato un cuore, che non sapeva come amare e che aveva paura di farlo, a spingerlo a mentire, non il mero desiderio carnale di portarsela a letto senza che ci fossero troppe conseguenze. 

Si raddrizzò ulteriormente, e si diede una scrollata: doveva essere decisa, sicura di sé. Entrare in quel corridoio era facile, sarebbe stato altrettanto relativamente facile anche passare il primo controllo, ma il bello sarebbe arrivato quando fosse giunta al secondo e terzo step. 

Ce l’avrebbe fatta? Forse sì, forse no: ma la questione era che la cosa non dipendeva solo da lei, per farla arrivare lì sarebbe servito il miglior lavoro di squadra possibile, con un po’ di faccia tosta ed una buona dose di fortuna, perché se avessero sbagliato anche solo di una frazione di attimo, i servizi di sicurezza sarebbero arrivati lì sul posto. 

Ryo e Jane avevano avuto ragione: avere un primo accesso al caveau era stato più semplice del previsto. Una chiacchierata con un paio di informatori, qualche sakè con uno dei dipendenti della gioielleria che Ryo aveva scoperto amare gli stessi localini equivoci che un tempo aveva frequentato pure lui, e le loro teorie erano state provate corrette. 

Sì: nelle cassette di sicurezza del Caveau non c’erano solo i gioielli della maison, ma anche gli averi personali dei loro clienti più fedeli, più alcuni soggetti particolarmente abbienti che con un piccolo assegno mensile avevano la possibilità di sapere al sicuro i loro averi, all’interno di una cassaforte locata in un ex bunker militare venduto al migliore offerente durante gli anni della Guerra Fredda.

Kaori continuò a camminare, cercando di mascherare la sua ansia, nonostante quell’ambiente non sembrasse fatto per quello scopo; asettico, era un’unica superfici bianca accecante, contro cui si riflettevano le luci che erano incassate nel soffitto; nonostante quel corridoio apparisse chilometrico, era quasi claustrofobico, come essere chiusi all’interno di una piccola scatola, senza via di uscita. 

La donna svoltò, e li vide, lì: il primo controllo. 

Una porta di acciaio, con uno spioncino di metallo con tanto di grata, come nelle prigioni; una guardia armata ad un lato della porta, e dall’altra, seduto ad un tavolino di metallo imbullonato al pavimento, un ometto in camicie bianco, con un computer portatile che sembrava d’avanguardia.

Seguendo le istruzioni che le erano state date, Kaori sporse il documento di identità all’uomo in camicie.  

“Signorina… Sayuri Tachici… mi faccia controllare un attimo…” 

“Eh? Vuoi che mi finga mia sorella? Ma perché?” Kaori gli domandò, mentre stavano discutendo il piano. 

“Perché è molto più semplice e veloce ottenere documenti di una persona reale, che falsificarli.” Ryo le spiegò, con un sorriso malandrino sulle labbra. “E con i capelli lunghi, sei identica a lei. Saeko falsificherà una denuncia per furto a nome di Sayuri, uno scippo, in cui lei ha purtroppo perduto tutti i documenti, ed in questo modo ne otterrai di nuovi… dovrai solo presentarti con la denuncia ed un autocertificazione ed il gioco sarà fatto. Ben trovassero delle foto in rete, con la qualità delle immagini che si trova in giro, vedranno la somiglianza. Peggiore dei casi penseranno che ti sei fatta qualche ritocchino e che il tuo chirurgo è un genio!”

Ryo ridacchiò mentre finiva la frase, mentre invece Kaori gli lanciò un’occhiata assassina. ”E sentiamo, perché Saeko dovrebbe aiutarci?”

“Ma perché ci deve tanti, tanti favori, e ormai sono finiti i tempi in cui io potevo pretendere pagamenti in natura… lo sai che quelli li accetto solo da te!”

Le fece l’occhiolino, e Kaori abbassò gli occhi, arrossendo timida…

L’uomo  si abbassò gli occhiali sulla punta del naso, guardò la foto, guardò la donna che aveva davanti, e poi si mise a smanettare al pc, battendo rapido i tasti, mentre Kaori sorrideva, tirata, ed intanto teneva le dita incrociate dietro la schiena, augurandosi buona fortuna, e che non si rendesse conto che quel nome era stato aggiunto al registro clienti solamente di recente – quando cioè il Professore, genio informatico nonostante la sua veneranda età, era entrato nel computer del povero Luca, utilizzando un particolarmente subdolo cavallo di Troia inserito in una mail da parte di Kaori, che quello, come Ryo lo aveva definito, non aveva potuto fare a meno di leggere.

“Sì, coincide, casetta B34F…” Lui le restituì i documenti, adocchiando con perverso interesse le forme della donna, che arrossì, non per timidezza ma per rabbia a quelle attenzioni al limite del perverso. “Il motivo della sua visita?”

“Intendo depositare nella cassetta con gli altri miei averi questo mio anello,” Si morse la guancia mentre mentiva, chiedendosi a chi fosse appartenuta quella cassetta e cosa ci potesse essere dentro, ed intanto giocherellava con il semplice anello che aveva scoperto essere appartenuto alla sua madre biologica, facendolo girare intorno all’anulare destro – ed intanto, sorrise, ricordando quando Ryo glielo aveva tolto da quello stesso dito, tanto tempo prima, quando erano stati pronti ad andare ad affrontare Kaibara…

“L’anello che ti ha regalato Makimura….sciocca, cosa volevi fare, portarlo con te? Cos’è, mica penserai di non poterlo mettere più! Se lo tieni sembra quasi che stiamo andando a morire!” Le sfilò, con delicata decisione, l’anello dal dito, e poi lo posò sul comodino, e la guardò negli occhi, la bocca socchiusa quasi stesse cercando le parole da dirle. “Te lo rimetterai quando torneremo a casa, Kaori…”

Flebile, le uscì dalle labbra un “Sì”, e Kaori ebbe la netta impressione che stesse accettando ben più di un vecchio anellino di poco valore, ma bensì, un futuro insieme, e la promessa di non lasciarsi, mai. 

“Sa, non ha molto valore, è un semplice rubino con un po’ d’oro, ma è un ricordo di famiglia, ed in questo momento mia sorella ed io ce lo stiamo contendendo… voglio essere certa che lei non possa entrare in possesso senza che io lo sappia, e so che di voi ci si può fidare ciecamente!”

L’uomo la guardò, viscido, ed intanto fece un cenno alla guardia, con un cipiglio che voleva far credere che avesse molto più potere ed importanza, all’interno dell’organizzazione, di quanto non fosse effettivamente vero. 

Con un sinistro cigolio, dopo due mandate, la porta si aprì, e Kaori trattenne un sospiro di sollievo mentre prese a percorrere l’ennesimo corridoio claustrofobico. Avanti. Girare. Avanti. Girare… sembrava quasi di trovarsi all’interno di un labirinto, e se ci fossero state deviazioni, Kaori era certa che si sarebbe persa. O chissà: forse era tutto studiato ad arte, per accrescere l’ansia di chi entrava all’interno della struttura che correva sotto Tokyo, senza che nessuno ne avesse la più pallida idea.

Arrivò all’ennesima porta chiusa. All’ennesima guardia. Uguale alla postazione precedente, ma qui vi era una donna, vestita in modo austero, con i capelli color topo legati in uno stretto chignon, ed era in piedi anche lei, come la guardia di sicurezza. Ai piedi, Kaori notò quasi casualmente, la donna indossava robuste ciabatte bianche, dello stesso tipo di quelle spesso utilizzate dal personale infermieristico.

La donna squadrò Kaori, senza dire una parola, con la bocca tirata in un ghigno colmo di giudizio – forse trovava i tacchi troppo alti, la gonna troppo corta, la scollatura troppo profonda, chissà – e allungò la mano. Kaori diede anche a lei il documento di identità, la donna lo controllò, la squadrò di nuovo con lo stesso sguardo della governate di Heidi (a cui assomigliava pure un po’, ora che ci pensava) e senza parlare indicò lo scanner accanto alla porta. 

Mentre appoggiava il palmo e posava l’occhio sulla piccola fotocellula, all’altezza del viso, Kaori trattenne il fiato. In teoria tutto sarebbe dovuto andare per il meglio… ma ce l’avevano davvero fatta? Lui aveva davvero fatto in tempo ad entrare nella server farm ed inserire i dati senza che nessuno se ne accorgesse? 

“In realtà, se si sa con cosa si ha a che fare non è poi così complicato…” Il professore spiegò, seduto dietro alla sua scrivania, nello studio nella sua villa. 

“E scommetto, vecchio volpone, che lei sa esattamente con cosa abbiamo a che fare….” Jane aggiunse, sorseggiando un sorso di The. L’aveva fatto Kazue (ai Giapponesi dovevano piacere davvero tanto i nomi femminili che iniziavano con la K) e non era dei migliori: non solo aveva usato una bustina, ma per giunta questa si era rotta ed adesso lui aveva dei pezzi di foglie tra i denti. 

“Beh, Jane, scansionare una mano, una retina, anche il modo di camminare di una persona ed inserirli in un file non è poi così complicato, se si conosce l’algoritmo preciso… e sì, io lo conosco.” L’uomo ammise, con falsa modestia. “Il problema potrebbe essere inserire all’interno del registro questo file, cosa che può essere fatta solo all’interno della server farm.”

“Scommetto che però lei sa come entrarci….”  Ryo sogghignò, cosa che fece pure il suo padre putativo. 

“Ryo, c’è un solo modo per entrarci: legalmente. Se forzaste quelle porte, tutti i sistemi ad esse collegate andrebbero in blocco. Incluso il caveau che vi interessa.” L’uomo alzò il sopracciglio. “Però, sapete, le server farm mettono i propri spazi a servizio di molti, servizi segreti inclusi. E se ci fosse qualcuno che vi dovesse un favore, che avesse fatto carriera grazie a voi… che magari col tempo ha più volte usufruito gratuitamente dei vostri servizi per cose non propriamente legali, ecco, probabilmente quell’uomo sarebbe molto propenso ad aiutarvi. Non lo credi anche tu, Baby Face?”

“L’ispettrice Nogami è entrata nei servizi segreti?” Jane domandò. 

“No, ma la nostra cara e bella ispettrice per anni ha fatto in modo che anche l’agente dei servizi segreti Makoto Shimoyamada usufruisse del nostro…ehm…” Ryo si grattò la testa, ridacchiando. “Ehm.. lo vogliamo chiamare expertise?” 

Jane praticamente si mise a brillare di gioia ed entusiasmo. 

“Oh, adoro ricattare i federali… specie se sono del tipo che si sporca le mani per un bene superiore…”

“Già, e quando se la prendono e si incazzano perché pensavano che, sotto sotto, tu fossi una persona decente, onesta, ed invece no, ih, ih, ih….” 

“Vedi, per questo andiamo d’accordo! Siamo praticamente identici!” Jane posò la tazza, ancora piena, sul piattino, e diede una pacca sulla schiena dell’amico. “Certo, io sono più elegante, più raffinato, e anche più colto, ma sì, in questi piccoli dettagli, siamo proprio uguali!”

“Uhm, sai, sento puzza di insulto!” Ryo sbuffò, incrociando le braccia. 

Una luce verde, una seconda. La porta si aprì con un sibilo, uno sbuffo d‘aria, quasi fosse stata sotto pressione, e la donna, sebbene apparisse riluttante all’idea di farlo, lasciò passare Kaori. 

Altro corridoio bianco: stavolta, si trattava solo di pochi metri, ma ad ogni passo che Kaori faceva raggi rossi che partivano dal muro la colpivano, scansionando il suo intero essere, analizzando ogni suo minimo movimento, ogni fluttuazione dei muscoli del corpo, le sue micro-espressioni… tutto. Non sapeva se fosse una mera impressione, ma le pareva quasi che tutto il corpo le solleticasse, ed avesse la pelle d’oca dove veniva colpita dalle fotocellule che la scansionavano.

Realtà, immaginazione, autosuggestione? Chissà. Non voleva pensarci troppo, perché avrebbe significato rischiare di dare a vedere delle debolezze che il sistema avrebbe potuto rilevare ed usare contro di lei. Il fatto di aver comunque passato il primo scanner biometrico senza problemi però la rilassava un poco: quindi, i suoi dati erano stati sovrascritti a quelli del vero proprietario della cassetta di sicurezza B34F – poveretto, avrebbe avuto una bella sorpresa quando fosse andato a controllarla, quasi le faceva pena…

Kaori riprese il controllo del respiro e continuò la sua marcia verso l’ultima porta: la luce sarebbe stata verde anche questa volta. Ne era certa. Doveva essere così. 

Vi arrivò davanti: stavolta, nessuno scienziato in camice, o altre stranezze, ma due guardie armate, ai due lati della porta. Senza mostrare segni del cedimento che invece sentiva dentro, Kaori si fermò davanti alla struttura, rimanendo immobile, ed apparentemente impassibile.

La luce accanto alla porta lampeggiava, di un alone bianco-giallastro, quasi fosse stata una vecchia lampadina sul punto di smettere di funzionare – ma non cambiava colore. 

I secondi, scanditi dal ticchettio del fine orologio che portava al polso, venivano scanditi dalle lancette in modo ineluttabile… eppure, era come se il tempo stesso si prolungasse, quasi all’infinito, mentre ogni battuto del suo cuore era un passo delle lancette.

Rubò una rapida occhiata guardinga ad una delle guardie, anch’essa impensierita, o forse irritata, da quella estenuante lentezza: la mano, distesa lungo il corpo, si muoveva in modo quasi impercettibile, come se prudesse, o agognasse qualcosa – o si stesse preparando ad afferrare il teaser e stenderla. 

La mano si mosse, mentre Kaori ingioiava a vuoto, scorreva lungo la gamba, su verso il fianco dove era legata la fondina, e la donna si preparò all’inevitabile, ad essere colpita dalla scarica, stesa…

Si morse la guancia, e si preparò a fare un passo indietro, nel vano tentativo di mettere un po’ di distanza tra lei e l’altro, quasi questo avesse potuto alleggerire il dolore che avrebbe provato. L’uomo aveva sul viso un sorriso cinico e malato, al limite del sadico, la sua mano stava già stringendo l’impugnatura del teaser ed era pronto a colpire…

Ding!

Con un leggerissimo scampanellio, la luce passò dal suo alone giallognolo ad un verde quasi accecante, e Kaori sorrise soddisfatta, camminando dritta e fiera, petto in fuori, mentre oltrepassava la porta che scattava, aprendosi per farla passare; si fermò giusto un attimo per guardare la guardia, che digrignava i denti, quasi delusa, fissandolo quasi fosse stato uno scarafaggio da calpestare, un rifiuto della società – e di quelli veri, non certo le persone che, nella povertà più estrema, popolavano i quartieri di Shinjuku, mantenendo tuttavia vivi il loro orgoglio e la loro dignità – e spesso e volentieri, il loro buon cuore. 

Entrò nella grande stanza, in cui le cassette erano incassate nella pietra in cui l’intera struttura era stata scavata, nella speranza (vana) di renderla più sicura, e una volta che la porta le si fu chiusa alle spalle, e lei rimase sola, Kaori si diresse verso dove Kasumi le aveva indicato essere la cassetta di sicurezza che il caso le aveva affidato. Digitò sul piccolo tastierino il codice che il Professore era riuscito a craccare dal computer di Luca, ed una volta che lo sportellino si aprì, estrasse il vassoio metallico, posandolo sullo sterile tavolo di metallo grigio che occupava quasi tutto il pavimento. 

Mentre guardava il contenuto di quella cassetta – astucci di velluto nero, verde e azzurro, con i loghi di celeberrimi marchi conosciuti da chiunque, documenti, mazzette di denaro – Kaori prese a giocherellare con il suo anellino, e lo sfilò, mettendolo sopra al vassoio, in mezzo a tutto il resto, sospirando – tutta una finta. 

“Capisco entrare nel caveau, ma poi comunque come faccio a prendere la collana, scusa?” Kaori domandò, scettica. 

“In realtà questa sarà la parte più semplice!” Kasumi ridacchiò. “Quei citrulli sono così certi che nessuno possa fargliela sotto al naso, che il sistema di telecamere si hackera in un attimo, basta collegarsi alla giusta scatola. Si manda in loop l’immagine di te che rifletti mentre guardi triste cosa c’è dentro la cassetta che hai aperto, ed intanto ti cronometri mentre apri l’altra e prendi la collana. Quando la registrazione ripartirà, vedranno dalla sala controllo solo uno sfarfallio, e penseranno ad un calo di tensione, o ad un’interferenza.”

“E se dovessero avere dei dubbi, loro avranno comunque i documenti di Sayuri in memoria, che sono veri, quindi è lei che cercheranno….” Ryo continuò, estremamente fiero del suo piano.

“E dato che mia sorella è dall’altra parte del mondo il suo alibi sarà a prova di bomba!” Kaori sentenziò. Poi però le venne in mente una cosa. “Però… come facciamo con le impronte digitali? Quelle sono mie, non vorrei che le collegassero a qualche caso di City Hunter.”

“Per questo, mia cara dolce Kaori, ci penso io…” Il professore sogghignò, sistemandosi gli occhialini mentre con una mano cercava di assaggiare le succulenti carne della donna, fermato solo dallo sguardo assassino del compagno di lei. “Eh, eh, eh…non lo sai? Io ero un grande fan di Missione Impossibile… ma la serie classica, sai, degli anni sessanta!”

Kaori sentì un piccolo allarme, un ping leggerissimo, e la luce posta sotto alla telecamera passò dal verde al rosso, e fece scattare il cronografo del suo orologio. Sorridendo compiaciuta, riprese l’anello e lo mise in tasca, e  poi si diresse verso un’altra cassetta di sicurezza, quella assegnata a parte dei gioielli della mostra, ed a Serpenti in particolare. La aprì, sistemandola accanto a quella che aveva preso in precedenza, e ne estrasse il contenuto. 

Sfilò dalla custodia di velluto il gioiello, e lo sollevò, osservandolo ammaliata: era di una bellezza rara ed accecante, ammaliante quasi, come i veri serpenti delle storie dei paesi arabi, o quelli dell’india, che danzavano sotto alla guida di mistiche musiche, incantando gli avventori di sperduti villaggi.

Sistemò la collana in un taschino schermato nascosto all’interno della giacca che indossava quel giorno, un elegante spolverino impermeabile color grigio perla, e guardò il tempo passato.

Mancava poco allo scadere del limite che Kasumi le aveva dato. 

Riprese la cassetta di Bulgari e la sistemò dentro la cassaforte, richiudendola, poi tornò al tavolo, cercando di rimettersi nella stessa posizione in cui era stata quando la luce aveva cambiato colore; l’orologio fece un tic, e la sweeper seppe di aver fatto giusto in tempo. 

Fece finta di asciugarsi con il dorso della mano delle lacrime che non c’erano, e sistemò la cassetta come l’aveva trovata, poi, con sguardo scuro ed occhi bassi, uscì, inchinandosi leggermente ogni qual volta incontrava qualcuno lungo il suo passaggio.

Uscì dall’edificio, e percorse alcuni isolati, fino a che non raggiunse un parcheggio incustodito. Si incamminò lungo le file di veicoli, fino a che non vide quello che le interessava: in mezzo agli altri, a macchine nuove e vecchie, modelli classici o moderni, c’era la Mini di Ryo. La raggiunse, e salì in macchina, e prima ancora che lei potesse dire qualcosa, dopo che si erano scambiati solamente un sorriso complice, partì, pronto a tornare verso casa. 

Coi finestrini abbassati, Ryo percorreva le strade del suo quartiere con sicurezza innata, tranquillo, e intanto fumava una sigaretta. Kaori ad un certo punto si stiracchiò, quasi pigramente, e si massaggiò i muscoli indolenziti delle spalle, irrigiditi dalla tensione dell’incarico. 

Erano fermi ad un semaforo quando lui le tolse la parrucca e la gettò sui sedili posteriori, chinandosi verso di lei per lasciarle un bacio a fior di labbra che, nonostante i tanti mesi passati l’uno accanto all’altra, e le notti di fuoco, le fece battere il cuore e venire uno sfarfallio incontrollato nella bocca dello stomaco. 

“E… e questo per cos’è?” Gli domandò, rossa in viso. 

Ryo scrollò le spalle, e riprese a fumare la sua sigaretta mentre intanto il verde scattava, e loro riprendevano la loro marcia. 

“La mia dolce Kaori mi mancava tanto, tanto… con quella parrucca davvero mi sembrava di avere tua sorella in macchina, o quella sexy assassina di Sara!” Scherzò, facendole l’occhiolino. “Allora, lo hai preso?”

“Che razza di domande, ma per chi mi hai presa? A volte mi chiedo se davvero mi vedi come la metà di City Hunter!” Lei sbuffò, facendo fintamente l’offesa, mentre intanto disfaceva il nodo della cintura dello spolverino e dalla tasca estraeva il prezioso contenuto, facendolo dondolare davanti agli occhi estremamente fieri di Ryo. “Allora, sono o non sono stata brava, socio?”

“La migliore, Sugar!” Le rispose, mentre afferrava il gioiello, fischiando mentre lo faceva. Non faticava a credere, ora che lo vedeva dal vero, che quella rarità valesse un mucchio di soldi – quello che faticava a credere era che davvero quelle gemme potessero svelare l’enigma dietro alla fantomatica mappa di cui Jane e Kay avevano parlato loro. “E adesso mettiamolo al sicuro!”

“Sì, però a me dispiace per Luca…. Quando scoprirà che Serpenti non è più al suo posto, rischierà il posto!”  Ryo alzò gli occhi al cielo, sbuffando irritato dalla dolcezza che Kaori sembrava provare per questo flaccido tipo che, più passava il tempo, meno gli piaceva. Ingranò la marcia, accelerò, quasi sgommando, e prese una traversa laterale- rimanendo sì a Shinjuku, ma dirigendosi da tutt’altra parte: verso la casa del Professore. Kaori lo fissò stupita, le labbra socchiuse e sbattendo le palpebre. “Ma…ma Ryo, perché andiamo dal professore?”

“Perché Serpenti sarà più sicuro a casa sua, nella sua cassaforte… ma soprattutto perché vuole farci conoscere una persona!”

   
 
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