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Autore: Nina Ninetta    03/02/2022    4 recensioni
[Prima classificata e vincitrice del premio "Scontro Entusiasmante" al contest “La Dama del vento” indetto da Spettro94 sul forum di EFP”]
Dama del vento, presagio di morte, braccia ansiose di afferrare un’anima innocente e strapparla alla vita, è una maledizione che infesta ogni reame del Continente Abitato. La regina Deme ha convocato un potente mago dell’accademia affinché epuri questa minaccia una volta per tutte, assieme a una guarnigione scelta di guerrieri provenienti da ogni angolo del mondo. L'Arcimago Volkàn ha scelto il suo prediletto, ma qualcosa va storto e un altro mago prenderà il comando della missione, perlomeno all'inizio di questa avventura...
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI.
(Prima Parte)
 



Continente Nebbioso, Isola di Nebbia ʮ

A svegliarlo fu lo sfrigolio del fuoco. Il mago sollevò piano le palpebre, le fiamme scoppiettavano allegre davanti agli occhi, oltre di esse vide qualcuno con lunghi capelli scuri distendere una mano per cuocere un pezzo di carne infilato su un ramoscello. Sbatté le palpebre un paio di volte, possibile che quella fosse…
«Ben svegliato. Dormito bene?»
Beanka gli sorrise oltre il fuoco. Non aveva più i capelli intrecciati, ma sciolti e ricciuti, che le facevano da cornice a un viso dall’incarnato color cioccolato, leggermente truccato: ciglia folte e nere si muovevano sensuali, le labbra carnose erano dipinte di rosso.
Era lei, ma non lo era.
Edgemas si mise seduto, la ragazza davanti a sé pareva invecchiata di qualche anno, rendendola ancora più bella, più donna, poi qualcosa attirò la sua attenzione, lo stomaco si capovolse e provò una paura viscerale. Quella davanti a lui era Beanka – e sebbene fosse diversa, era lei, lo sapeva, lo sentiva – ed era incinta. Una pancia enorme tirava il tessuto leggero dell’abito corto che indossava, non aveva maniche, la gonna era sfrangiata, il seno abbondante quasi strabordava dalla scollatura usurata dal tempo e forse dalle mille battaglie che aveva combattuto. La vide sporgersi in avanti per offrirgli la carne che aveva cotto a fuoco vivo.
«Coniglio, vuoi?»
Lui scosse il capo, rifiutando. Lei fece spallucce e addentò il pezzo di carne, dal quale fuoriuscì un fiotto di sangue ancora fresco, sporcandole il mento e le dita. Beanka non parve curarsene, spolpando l’osso quanto più poteva. Infine, gettò il bastoncino di legno nel fuoco e si sfiorò il ventre. Edgemas temeva di chiederle chi fosse il padre. All’improvviso però, vide il volto della ragazza trasformarsi in una smorfia di dolore, mentre sangue scuro e denso prendeva a scorrerle fra le gambe. Il suo volto era un misto di terrore e sofferenza.
«Aiutami, Edge, aiuto».
Il mago le sorresse la testa mentre lei si distendeva sul terreno, non sapeva cosa fare, da dove cominciare. L’amazzone aprì le gambe, dal cui centro sbucavano tentacoli insanguinati, sembrava la stessero divorando da dentro. La ragazza urlava e si dimenava, in preda a un dolore acuto, atroce. Sarebbe morta, dissanguata e squartata viva, aperta in due.
«Uccidimi, Edge» biascicò senza forze e il mago la guardò spaurito. «Uccidimi e poni fine a tutto. Ti prego, ammazzami, non lo sopporto». Beanka si sollevò come meglio poteva sui gomiti, poi allungò una mano e afferrò quella dell’uomo ginocchioni dinnanzi a lei. Se la portò alla gola. «Stringi, stringi più che puoi».
Il Mago Vikingo piangeva e neanche se ne rendeva conto. Il viso era completamente bagnato mentre chiudeva un palmo intorno al collo della ragazza.
«Edgemas! Edge!» una voce pareva giungere da lontano, come da un altro mondo, ma sempre più forte e limpida. «Edge, per favore, apri gli occhi, Edge!»
Edgemas aprì gli occhi. Il volto di Beanka campeggiava sopra il suo, così come lo ricordava. Aveva un’espressione preoccupata, allarmata e parve rilassarsi appena quando si guardarono. Il mago, tuttavia, teneva davvero in pugno il collo della ragazza, la quale cercava di tirarlo via, di liberarsene.
«Edge, sono io, sono Beanka!»
L’elementalista tornò in sé, la mente si rischiarò e allentò la presa. Lei tossì e cadde seduta sulla sabbia fina e scura.
«Beanka» sussurrò il suo nome, come meravigliandosi di trovarla lì, la treccia lunga oltre la spalla e la curva morbida dei seni, il ventre piatto. Il ventre piatto… le posò una mano proprio lì, lei lo guardò accigliata. «Non sei… stai bene…».
«Certo che sto bene».
Il mago ricordò tutto. Ricordò la missione, il veliero dal quale erano saltati, le scialuppe capovolte, la nebbia. Il sogno spaventoso.
«Ti avevo ordinato di restare a Vanesia» il suo tono s’irrigidì.
«E io mi sono ricordata delle parole del sovrano di Kratøos: solo restandoti vicina sarei stata al sicuro».
Edgemas l’abbracciò, in fondo sollevato di ritrovarla sana e salva.
«Dove sono gli altri?» chiese poi.
Lei scosse il capo: non lo sapeva.
 

 
ʮ
 
L’arciere di Eos era di fronte a suo padre. Era tornato un adolescente, i peli della barba avevano appena iniziato a spuntare sulla pelle glabra del volto. L’uomo, alto e imponente nella sua tenuta da imperatore, comodamente seduto nel suo trono, con alle spalle la numerosa prole, lo guardava con diffidenza e superficialità. Lo disgustava quel figlio delicato che amava la dolce musica delle nenie anziché i corni di guerra. Incolpava sua moglie per quello, diceva che non avendo avuto figlie femmine, aveva trasformato l’ultimo erede della casata di Delundel in una mammoletta.
A uno a uno stava tessendo le lodi degli altri undici figli, ma per lui non aveva mai avuto parole d’affetto o di ammirazione.
Per questo aveva deciso di sottoporlo a una sorta di rito d’iniziazione, per testare il suo valore e capire se fosse degno di portare il suo nome. Avrebbe dovuto affrontare in battaglia i suoi fratelli, tutti insieme, e ucciderli prima che fossero stati loro a farlo.
Sua madre, che sedeva accanto al re, era una maschera di cera. Il suo volto non esprimeva alcuna emozione, neanche quando Da’miàn la guardò per chiederle supporto.
Nel frattempo, i suoi fratelli si erano mossi in contemporanea, circondandolo. Presero le proprie armi – lance, spade, daghe, archi – e gliele puntarono contro. Da’miàn era magro, mingherlino rispetto ai primi fratelli che quasi si avvicinavano alla trentina, il suo fisico si sarebbe sviluppato negli anni. Tuttavia, il primo a farsi avanti fu il fratello poco più grande di lui, di appena un paio di primavere. Lo attaccò con il suo pugnale, Da’miàn però fu scaltro a spostarsi di lato, afferrò il fratello da dietro e con la sua stessa arma gli tagliò la gola. Lo vide accasciarsi al suolo, il viso rivolto verso di lui, gli occhi inermi spalancati per la sorpresa, ormai vuoti. L’arciere di Eos provò una scossa di adrenalina, un piacere sfolgorante lo attraversò da capo a piedi. Afferrò l’arco e una freccia dalla faretra che teneva sulla schiena e la scoccò. La punta andò a piazzarsi dritto in fronte a un altro dei suoi fratelli, il quale crollò all’indietro, il corpo fu scosso da un paio di convulsioni, poi più nulla.
Da’miàn si voltò verso il re, lo vide beatamente sprofondato nel trono, adesso reggeva un calice di vino rosso. Sorrideva.
«È questo che vuoi, padre?» Urlò, il viso trasfigurato in una maschera assassina. «Vuoi la fine dei tuoi figli?»
L’uomo ampliò il sorriso, sembrava soddisfatto. La regina ancora impassibile.
Un terzo fratello si avventò alle spalle di Da’miàn e con un grido di guerra calò la sua spada. L’arciere roteò su se stesso, nel mentre afferrò una freccia e la scoccò cogliendo l’altro nella coscia, quindi sguainò la lancia dal fodero dell’ultimo fratello ammazzato e la conficcò nel petto di quello che aveva appena ferito. Con un piede calciò indietro quest’ultimo e impugnò meglio l’arma affilata e adesso insanguinata. Ne restavano altri otto. Poteva farcela, poi sarebbe stato il solo e unico erede della casata del Regno del Vento.
Improvvisamente il re si alzò, brandendo il suo arco di legno pregiato. Richiamò l’attenzione dell’ultimo figlio e lo mirò con una freccia. Da’miàn fu più svelto di lui, scagliandogli contro la lancia che teneva in mano, ma questa si infranse contro uno scudo di ghiaccio. L’arciere guardò sua madre, convinto che fosse stata lei a intercedere presso suo marito, invece la trovò ancora seduta e impassibile. Non capiva.
Qualcuno lo chiamava a gran voce. La sala del trono e i suoi presenti parevano essersi imbalsamati, compreso suo padre, il quale continuava a tenere l’arco tirato e quel sorriso beffardo dipinto sul volto.
«Da’miàn!»
Il principe di Eos si guardò attorno, tendendo la sua arma con una freccia incoccata.
«Da’miàn è la nebbia, non è reale!».
Sembrava una voce nota, ma non riusciva a collegarla ad alcun volto.
«Da’miàn di Delundel!»
Qualcuno lo colpì in pieno volto con un ceffone. La sala del castello di Eos letteralmente gli crollò addosso, le pareti si staccarono, enormi massi di marmo lavorato gli caddero sulla testa, d’istinto il principe si chinò per ripararsi al meglio. Poi tutto cessò e riaprì gli occhi.
Edgemas era chino davanti a lui:
«Bentornato tra noi» gli tese la mano e lo aiutò ad alzarsi.
Da’miàn si toccò la parte di guancia che gli doleva, quello schiaffo era stato reale.
«Mi hai colpito» disse.
«Sono stata io» intervenne Beanka. «E ho anche rubato un veliero di Eos, spero non ne terrai conto». La ragazza indicò la nave arenata sulla spiaggia.
«Ci servirà per tornare indietro» rispose l’arciere, ammesso che fossero usciti vivi da quella trappola mortale. Studiò l’ambiente circostante, a sud avevano il mare, a nord la Foresta di Nebbia, poi solo sabbia e foschia. «Dove sono gli altri? E Rhia?».
Sia Edgemas sia Beanka scossero il capo.
 

ʮ
 
Trovarono l’amazzone bionda seduta con le gambe incrociate qualche metro più in là. Nella sua mente stava combattendo con una miriade di mostri di ogni genere: coyote dagli occhi infuocati, demoni rinoceronte, arpie di cui aveva solo letto l’esistenza. Era esausta, le doleva ogni centimetro di muscolo. Più in là si alzava una cortina di fumo nero: la capitale del Regno di Scizia era in fiamme. Qualcuno le aveva attaccate, erano state tradite da un regno alleato, sicuramente erano stati gli elfi. Pensò alle sue compagne, impegnate nella battaglia, alla regina Charlotte che stava cercando di salvare il possibile.
Un coyote l’attaccò, addentando un polpaccio. Rhia urlò di dolore, si accasciò su un ginocchio e trapassò l’animale inferocito con la lama della sua arma, eppure altri dieci esemplari le stavano già ringhiando contro, mostrando zanne lunghe e imbevute di saliva vischiosa. Non avrebbe mai potuto eliminarli da sola. Uno di loro balzò, Rhia si coprì la testa con le braccia, ma una freccia si conficcò nell’addome scoperto della bestia che ruzzolò via. La ragazza sollevò lo sguardo, Da’miàn era davanti a lei e ben presto fu raggiunta anche da Beanka. Erano venuti in suo soccorso, non era sola. Li vide combattere contro quegli esseri abominevoli, abbattendoli uno a uno. Si sentì chiamare, era la voce della sua compagna, sebbene questa sembrava indaffarata a lottare senza tregua. Allora chi era?
«Rhia? Rhia?»
L’amazzone aprì gli occhi, ancora seduta nella posizione del Buddha, e li vide, i suoi amici, erano davvero lì per lei. Si guardò attorno con apprensione, scattando in piedi e brandendo le sue armi.
«Dove sono finiti tutti?» chiese.
«Tutti chi?» Beanka le posò i palmi sui pugni per farle abbassare la guardia.
«Scizia bruciava, i demoni ci avevano attaccato…»
«Era un incubo, colpa della nebbia. Va tutto bene.» Da’miàn le parlò piano e lei lo ascoltò, rilassando finalmente i muscoli.
Edgemas si era allontanato di qualche metro, qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Attraverso la foschia nebbiosa, gli era parso di scorgere due figure darsi battaglia, aguzzando la vista notò una delle due accasciarsi al suolo e l’altra afflosciarsi al suo fianco.
«I gemelli» disse solo, prendendo a correre nella loro direzione.
«Edgemas!» Lo richiamò l’arciere, correndogli dietro, seguito a sua volta dalle ragazze.
Quando il Mago Vikingo raggiunse le due sagome si rese conto che aveva visto bene: si trattava dei gemelli di Kratøos, eredi al trono del Regno di Metallo. Ma la scena che gli si parò davanti non gli piacque: Joy giaceva sulla sabbia, i piedi nel mare, mentre sotto di lui andava espandendosi una grossa pozza di sangue, gli occhi vacui erano rivolti al nulla. L’ascia di Jey era conficcata nel suo petto, molto in profondità. Quest’ultimo era in ginocchio davanti al corpo esamine del fratello, piangeva disperato, con il volto alzato verso il cielo annebbiato. Le sue mani erano vuote, sporche di sangue fresco, abbandonate sulle cosce come se non facessero parte di sé, come corpi estranei.
Rhia e Beanka si portarono le mani sulla bocca, trattenendo a stento le lacrime a loro volta. Da’miàn si chinò sul corpo di Joy, ne tastò il collo e scosse la testa. Non c’era più nulla da fare, era morto.
Jey urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, la sua era una disperazione che andava oltre l’assennatezza, aveva perso la ragione, quindi afferrò l’ascia che era stata di suo fratello e si colpì la testa con forza.
Beanka gridò a sua volta.


 

 ʮ
 
Drew udì entrambi gli strilli, si fermò in attesa di capire cosa stesse succedendo o da dove provenissero. Sentì un brivido percorrergli la schiena, ma non era quello il momento di fermarsi. Era riuscito a scacciare la nebbia dalla sua mente quasi subito, in fondo non c’era nulla che potesse spaventarlo così tanto da mandarlo fuori di senno. Era un solitario lui, un uomo che non aveva valori per cui combattere o da difendere, lottava per sopravvivere e basta. Era sempre cresciuto da solo, cavandosela meglio che poteva con quel poco che aveva. L’unica cosa che davvero possedeva e che nessuno poteva togliergli era la forza, fisica e mentale.
Ma doveva trovare gli altri, sperare che stessero tutti bene, o se ne sarebbe tornato a Vanesia, a nuoto se fosse stato necessario. La riuscita della missione avrebbe avuto un senso solo se gli altri fossero sopravvissuti a quella ennesima prova.
Camminando lungo il bagnasciuga, però, gli parve di notare qualcosa a fior d’acqua, come delle increspature. Si fermò per osservare meglio, poi una mano fece capolino dalla superficie e con lei un ciuffo di capelli color rame.
Becky, pensò.
«Becky! Becky!» Drew si liberò del suo armamentario prima di tuffarsi a torso nudo, solo i pantaloni di tessuto verde oliva gli coprivano la parte inferiore del fisico. Nuotò meglio che poteva, quanto più velocemente gli consentivano le acque del Mare Muto, fredde come ghiaccio e pesanti, impedendone i movimenti in maniera fluida. La raggiunse e cercò di tirarle fuori la testa per consentirle di respirare, ma l’impresa si rivelò più ardua del previsto. La ragazza, infatti, continuava a dibattersi, graffiandogli il volto e gli addominali. Il guerriero la chiamò più volte, dicendole di stare ferma, adesso era al sicuro, c’avrebbe pensato lui. Tuttavia, l’amazzone continuava a sognare il suo peggior incubo.
 
Il sovrano la teneva per i capelli, la mano era ben salda contro la sua testa, le dita ingarbugliate fra i boccoli rossi. Sotto di loro imperversavano le Cascate Genitrici, che tuffandosi nel vuoto creavano sbuffi di acqua e una leggera nebbiolina bianca. Non si riusciva a vedere il fondo.
Becky si dibatteva, suo fratello era appena stato lanciato nel vuoto e adesso toccava a lei. L’uomo alle sue spalle era forte e possente, nonostante lei tentasse in tutti i modi di liberarsi, la sua presa non si era allentata neanche per un momento. Non sapeva chi fosse, non l’aveva visto in volto, sapeva solo che si trattava del monarca del Regno di Metallo. Urlò il nome del fratello, Leo, che non aveva più visto fuoriuscire dalle acque del fiume, lo pregò di lasciarla andare, non voleva morire annegata.
Ma il regnante fece l’esatto opposto, quasi che lei gli avesse chiesto di gettarla nel vuoto la spinse giù.
Becky fece un volo di diversi metri, prima di sentire l’impatto duro con il fiume. La forza della cascata la fece roteare sott’acqua, la corrente era potente e la trascinò via, senza darle un attimo di tregua, senza permetterle di tornare in superficie per respirare. Anche solo un attimo. Sentì le ferite che si aprivano sulla pelle mentre urtava contro i massi taglienti, qualcosa la colpì in testa e temette di perdere i sensi. Forse sarebbe stato meglio, pensò, svenire e lasciarsi andare alla morte, abbandonarsi a quella pace eterna sarebbe stato meno doloroso di continuare a lottare.
Per cosa poi?
Per un attimo riuscì a far emergere la testa, inglobò quanto più ossigeno poteva, ma poi di nuovo venne trascinata sotto. Non era come combattere contro un essere in carne e ossa, l’acqua era subdola, ti entrava dentro e ti riempiva i polmoni, il sangue, la mente. Decise di lasciarsi andare, di concedersi a quella danza malefica e dolorosa, come una sposa durante la prima notte di nozze con un uomo che non ama e non ha scelto.
Per un attimo, un solo attimo, assaporò la dolce sensazione di abbandonarsi, di cedere: tutta la frenesia della sopravvivenza scemò, le membra si rilassarono, i muscoli cedettero alla quiete, la mente andava spegnendosi, non sentiva più alcun dolore, nessun pensiero triste. Tra poco avrebbe giocato di nuovo con Leo, suo fratello, alla guerra. E lui era proprio lì, sulle sponde del fiume, seduto con la schiena contro un albero e le ginocchia tirate al petto. Le sorrideva, la stava aspettando. All’improvviso, le acque si erano placate e Becky si rese conto che toccava, poteva mettersi in piedi, ciò nonostante preferì raggiugere la riva carponi, dove si distese con la testa rivolta al cielo. Un cielo terso, privo di nuvole. Il viso di Leo le fece ombra, continuava a sorridere. Poi l’aria le mancò, iniziò a tossire e a vomitare acqua torbida, mentre il volto del fratello morto si avvicinava e premeva le labbra contro le sue, togliendole quel poco di ossigeno che aveva. Tentò di scrollarselo di dosso, ma era troppo pensante.
 
Drew l’adagiò sulla sabbia, tirarla fuori dal mare non era stato semplice, Becky aveva continuato a dimenarsi in preda a una lotta forsennata. Infine, l’amazzone aveva smesso di dibattersi e il guerriero gentiluomo l’aveva creduta morta, per lo meno era riuscito a portarla a riva. In effetti, la ragazza sembrava non respirare più. La chiamò più volte, dandole un paio di buffetti leggeri sul volto, tentò con le compressioni, adagiando un palmo sul seno, poi sullo sterno. Non era mai stato bravo in quelle manovre, suo padre aveva tentato di insegnargliele quando era un ragazzo, ma lui non si era mai applicato seriamente, e adesso non sapeva neanche dove mettere mano. La chiamò ancora una volta, poi le prese entrambi gli zigomi con le dita per separare le labbra, quindi vi adagiò le sue e iniziò a soffiargli all’interno.
Becky tossì un paio di volte, voltandosi su un lato per sputare fuori l’acqua che aveva ingoiato. Drew si lasciò cadere sulla sabbia con tutto il suo peso, si distese di schiena, i granelli gli si incollarono addosso. Non se ne era reso conto prima, ma aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, strappandoselo quasi via dai polmoni per trasmetterlo all’amazzone. Fissava la nebbiolina sopra la sua testa, pareva cominciasse a diradarsi, uno squarcio di cielo grigio fece la sua comparsa. L’addome andava su e giù, le braccia erano distese e le gambe divaricate, si sentiva come se avesse combattuto un’ardua battaglia. Becky gli dava le spalle, quest’ultime scosse di tanto in tanto da un colpo di tosse, non la vide quando si voltò nella sua direzione e silenziosa, come un gatto dai movimenti felpati, adagiò la testa sul suo petto, aggrappandovisi letteralmente. Drew le circondò le spalle con un braccio, sincronizzando il proprio respiro a quello di lei. Rimasero così per qualche minuto.
«Dobbiamo trovare gli altri» disse il guerriero, rompendo il silenzio dell’isola.
«Solo un altro po’», Becky si strinse maggiormente al corpo del corazziere. Era rassicurante. «Sono così stanca, Drew. Tanto stanca.» Aprì lentamente gli occhi, chiusi fino a quel momento, e lo vide: Seth avanzava verso di loro, barcollando. Il bastone era diventato una specie di supporto, non più solo un’arma. L’amazzone si costrinse a tirarsi su e il guerriero di Kratøos fece altrettanto.
«Seth!» Esclamò lei, mentre l’altro gli andava incontro per soccorrerlo.
«Cosa ti è successo, Seth?»
L’occultista si fermò, fissando Drew negli occhi e quest’ultimo ne fu spaventato: le pupille erano completamente dilatate, sembrava non avere pensieri, privo di qualsiasi forma di emozione, simile a una marionetta. Il guerriero lo osservò inerme muovere il bastone nella sua direzione, colpendolo con tre scosse elettriche consecutive. Drew si parò con le braccia come meglio poteva, ma la pelle si bruciò. Becky lo raggiunse di corsa, chinandosi al suo canto, mentre Seth batteva la punta della sua arma sulla sabbia, pronunciando parole incomprensibili.
«Non è lui» biascicò il corazziere di Kratøos, le scottature bruciavano.
Una runa dai contorni infuocati circondò i due combattenti, d’istinto Drew spinse l’amazzone lontano da sé e quando la magia esplose lo colpì in pieno.
Becky scattò verso Seth con un urlo, non le importava se fosse in sé stesso oppure no, andava fermato. Con un balzo afferrò il mago per il collo, aggrappandosi alla sua schiena. Questo si dimenò, tentò di colpirla con il bastone, ma invano, mentre Drew le urlava di scappare, di cercare gli altri. Seth si chinò in avanti, afferrando la ragazza per i capelli e togliendosela di dosso, come fosse stata un insetto fastidioso. Becky cadde con la schiena sulla sabbia, poi rotolò di lato appena in tempo, prima che Seth la colpisse con la sua arma, quindi le scagliò contro tre sfere infuocate in rapida successione. Becky le deviò tutte, infine scattò nuovamente in avanti, travolgendo il mago con il suo peso e tirandolo giù con lei. Combatterono corpo a corpo, l’amazzone sembrava avere la meglio, poi Seth la colpì alla tempia con la pietra incastonata nel bastone, stordendola. Il generale di Scizia barcollò all’indietro, prima di accasciarsi sulle ginocchia. Seth disegnò nell’aria un cerchio che comparve intorno alla ragazza, e lo riempì di puntini: chiodi. Becky sarebbe morta infilzata da migliaia di chiodi appuntiti. Drew si mise in piedi con uno sforzo sovrumano, urlando al mago di fermarsi, di tornare in sé, l’avrebbe uccisa, l’avrebbe ammazzata. Chiamò la donna che amava – era inutile nasconderlo! – la pregò di scappare, ma Becky lo guardò come se non comprendesse neanche una parola. Però gli sorrise, dolce, una lacrima le rigò la guancia puntellata di granelli sabbia. Sapeva, capiva. Si era arresa.
Seth aprì gli occhi, simili a un pozzo nero senza fondo, il contorno della runa s’illuminò di viola, i puntini al suo interno fecero altrettanto; il brillio dell’Ametista era intenso. Ai piedi di Becky si formò una lastra di roccia spessa, i chiodi spuntarono dal nulla e la frantumarono, scomparendo poi nel nulla. L’amazzone guardò la sabbia sotto di sé con fare meravigliato, come se non l’avesse mai vista. Una freccia oltrepassò sia Drew sia Becky, conficcandosi ai piedi di Seth, costretto a sospendere il nuovo incantesimo che era già pronto a lanciare. Beanka lo assalì alle spalle e Rhia lo travolse con la sua forza fisica, immobilizzandolo al suolo.
«Tenetelo fermo!» Urlò Edgemas, innalzando il Rubino verso il cielo, le sue labbra si muovevano ma nessuno riuscì a comprendere cosa stessero pronunciando.
Seth sembrava in preda a un attacco demoniaco, le ragazze facevano sempre più fatica a tenerlo giù. Da’miàn corse a dare loro una mano, mentre una stella a cinque punte prendeva corpo intorno a loro. Edgemas pareva ormai in trance, più le sue parole si facevano brevi e svelte, più la runa si accendeva di rosso. Infine, ci fu una specie di lampo purpureo, Seth smise di agitarsi e dalla sua bocca fece capolino uno scarafaggio nero. Beanka urlò di disgusto, balzando indietro, mentre Rhia lo schiacciava sotto la suola degli stivali. L’insetto scosse ancora un po’ le zampette, poi si fermò completamente.
«Che razza di incubo era mai questo?» Chiese l’amazzone dai capelli chiari, nonostante la prontezza nell’ ammazzare la bestiolina, ne era nauseata a sua volta.
«Non era un incubo», rispose Edgemas e tutti lo guardarono. «Era magia nera».
«Magia nera? Significa che…?» Da’miàn non osò dire altro.
«Significa che lei è qui».

 
 
ʮ
 
Accesero un fuoco. Becky, Seth e Drew avevano bisogno di riposare e riprendere le forze. Con loro in quelle condizioni, la Dama del Vento li avrebbe annientati in pochi minuti, ammesso che volesse giocare un po’ con loro e prendersi del tempo, altrimenti si sarebbe risolta in qualche secondo.
Il corazziere non pianse né si espresse sulla triste fine dei gemelli Jey e Joy, in fondo li conosceva appena.
«Il Regno di Metallo non ha eredi al trono» si limitò a constatare.
«Chi prenderà il suo posto quando morirà re Namor?» Domandò Beanka.
«Sarà indetto un torneo tra i generali di brigata. O colui che lo ucciderà» spiegò Drew, scuro in volto.
Il falò era alto e caldo. Sarebbe stata una bella rimpatriata tra vecchi amici, in onore delle avventure vissute e delle vicissitudini adesso trasformate in ricordi spassosi, se non fosse stato che quello era il loro ultimo momento di pace e lo sapevano bene. La Morte di Bianco Vestita era vicina, non si era ancora palesata per chissà quale motivo – si stava solo divertendo –, ma la battaglia finale non era più così lontana. Qualcuno sarebbe potuto morire, tutti magari, o anche nessuno, perché no.
La nebbia era quasi del tutto scomparsa, dalla loro postazione si potevano notare i due tumoli di sabbia che avevano scavato e poi riempito per depositarvi all’interno, uno di fianco all’altro, i corpi dei nipoti di Namor. Beanka non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, provando solo a immaginare la disperazione di Jey quando si era reso conto di aver ammazzato il fratello. Cosa diamine avevano potuto vedere offuscati dalla nebbia per arrivare a scannarsi fra loro. E perché lei non aveva sognato niente? Possibile che la nebbia non le avesse procurato alcuna allucinazione?
«Cosa può averli spinti a combattere?» chiese a nessuno in particolare, ma fu Edgemas a rispondere.
«La loro paura più grande, probabilmente: lottare per il trono.»
«Cosa avete visto? Contro chi avete combattuto?» domandò Rhia, puntellandosi con i gomiti sulla sabbia, le lunghe gambe accavallate. «Io ho sognato che Scizia era stata tradita da un regno alleato e bruciava. Fiamme altissime. Sentivo le urla delle mie compagne, ma non potevo fare nulla per aiutarle, poiché ero circondata da decine di bestie indemoniate.»
«E poi?» Lo sguardo di Beanka brillava di curiosità.
«Poi ho visto voi due», Rhia indicò la sua amica e Da’miàn, accomodato proprio dinnanzi a lei, al di là delle fiamme. «Siete venuti per soccorrermi e mi sono risvegliata.»
Beanka le posò un palmo sul dorso della mano, erano sempre state unite, ma quell’avventura aveva reso il loro rapporto ancora più intenso.
«Più o meno ho sognato la stessa cosa», intervenne il principe di Eos, tenne gli occhi bassi mentre raccontava. «Mio padre voleva che uccidessi i miei fratelli. Ne ho ammazzato uno e ho provato un profondo senso di soddisfazione, di eccitazione. Se ci penso adesso, me ne vergogno.»
«Era la nebbia» intervenne Edgemas, il quale sentiva ancora un brivido lungo la schiena nel rimembrare il suo incubo.
«Lo so, eppure…», Da’miàn sollevò lo sguardo. «Poi siete arrivati voi…»
«Ci hai attaccato, lo sai questo?» Il tono di Beanka voleva essere di rimprovero, ma sorrise.
«Mi dispiace.»
«Lo sappiamo.» L’amazzone guardò Becky, i cui capelli ramati si andavano asciugando al calore del fuoco, brillando degli stessi riflessi delle fiamme. Aveva l’aria triste, di sicuro non era la stessa persona di quando erano partiti. «E tu, generale? Cosa hai visto?»
Drew spostò l’attenzione sulla donna che aveva salvato solo qualche ora prima, l’aveva tirata letteralmente fuori dal Mare Muto, dove sarebbe annegata. Non aveva bisogno di chiederle cosa avesse visto nei suoi sogni, quale paura avesse dovuto affrontare. Lo immaginava già.
«Io niente» intervenne il corazziere, per toglierla dall’imbarazzo.
«Niente?» Ripeté Rhia, incredula. «Niente, niente?»
«Zero!»
«Però… sei uno tosto tu!»
Drew piegò il braccio per mostrare il bicipite muscoloso e strappare qualche sorriso.
«E lui? Cos’era quello scarafaggio?» Era stata Beanka a porre la domanda a Edgemas.
«Magia nera, te l’ho detto. La coscienza dell’essere che ne è vittima non esiste più, viene annullata, completamente soggiogata».
Seth dormiva con la schiena rivolta al falò, non sapevano di quanto tempo avesse avuto bisogno per riprendersi del tutto. Edgemas però sapeva che senza di lui la missione sarebbe fallita. Aveva bisogno della sua magia occulta, perché – checché se ne dicesse – Seth era un mago potente, possedeva un acume fuori dal comune, furbo e scaltro. Volkàn non aveva pensato a supportare la squadra con un mediceo, il che per Edgemas era stata una mancanza importante, ma senza un occultista al suo fianco non avrebbe avuto nessuna possibilità per fermare la Dama. Qualcosa in mente ce l’aveva, ci aveva riflettuto ogni benedetta notte, peccato non ci fosse stato tempo per discuterne con Seth. E adesso lui sembrava fuori gioco.
Il Mago Vikingo scrutò uno a uno i suoi alleati.
Becky, spigliata e tenace, pareva aver perduto la sua verve giorno dopo giorno. Qualcosa in lei era cambiato, una nuova realtà forse, o una vecchia ferita che si era riaperta e mai rimarginata. Aveva perso Shayna, è vero, forse se ne sentiva responsabile e quindi il fardello delle vite di Rhia e Beanka gravava sulle sue spalle, già fortemente provate. Ma c’era dell’altro ed Edgemas sperò che qualsiasi cosa fosse, non avrebbe influenzato la sua forza fisica e mentale nel momento più importante della missione.
Drew, il guerriero gentiluomo, le sedeva accanto. Che tra i due ci fosse qualcosa, era chiaro come il sole. Ma lei era un’amazzone convinta, e lui? Il mago aveva sentito parlare di Drew, un mercenario forte quanto intelligente, fondere insieme queste due virtù significava avere dalla propria il prototipo del cavaliere perfetto. Sarebbe stato un ottimo leader, soppesò Edgemas, un buon comandante, coscienzioso e severo al punto giusto. Adesso però era ferito a entrambe le braccia, le ustioni che le scosse elettriche di Seth gli avevano procurato erano profonde, addirittura avrebbe potuto rischiare la cancrena se non fossero state disinfettate adeguatamente. E un cavaliere senza braccia serviva a ben poco.
Da’miàn di Delundel. Un abile arciere, un uomo con un forte senso della giustizia, continuamente ignorato dal padre, che tuttavia lui sembrava venerare come un dio. Discendente degli Elfi, la cui magia curativa sarebbe potuta tornare utile se non fosse stato uno di quelli che rinnegano le proprie origini. Da’miàn sarebbe stato un ottimo diversivo per la Dama, le sue frecce avrebbero potuto arrestare i suoi tentativi di invocare incantesimi, come aveva fatto prima con Seth. La sua postazione strategica quindi sarebbe dovuta essere da lontano, un’altura sarebbe stata l’ideale, magari anche un po’ nascosta…
Ora restavano le due giovani amazzoni, fortissime nel corpo a corpo, ma cosa avrebbero mai potuto contro una maga potente come quella che si preparavano ad affrontare?
Si era ripromesso di difendere Beanka, qualsiasi cosa fosse successa. Il sovrano di Kratøos le aveva detto che restando al suo fianco sarebbe stata al sicuro, ma le profezie lasciavano il tempo che trovavano. Quindi lei e Rhia sarebbero state di guardia, in caso di un attacco via terra di demoni o bestie feroci che la Dama a volte invocava quando preferiva non combattere personalmente.
La magia nera era un problema.
All’Accademia dei Maghi era bandita, solo i grandi magi potevano venirne a contatto e imparare gli incantesimi per contrastarla, ma i comuni maghi no. Anzi, chiunque se ne avvicinasse veniva allontanato per sempre e la sua memoria cancellata, lasciando il disertore simile a una specie di contenitore vuoto, senza più alcuna nozione di sé o della vita condotta fino a quel momento.
«Edge!» La voce di Beanka irruppe nei suoi pensieri simile a una spada affilata. Vide gli altri scattare in piedi – eccetto Becky, Drew e ovviamente Seth, ancora addormentato –, con le mani pronte sulle proprie armi. Edgemas li imitò.
 
Dall’intrico degli alberi secolari della foresta ne uscì una figura esile, minuta, che avanzava a piccoli passi, tenendosi a un vecchio bastone di legno – quercia forse –, tutto curve, con una pietra priva di colore incastonata alla sommità. La pietra brillava di un’intensa luce bianca, squarciando la nebbia e il buio della sera che andava posandosi sull’isola.
«Chi sei?» Urlò Rhia, ma Edgemas la tirò indietro, muovendosi in avanti di qualche passo. La figura camminò ancora, fermandosi a un paio di metri da lui, il quale poté accorgersi che si trattava di un’anziana dai capelli bianchi, raccolti in una crocchia sul capo, lasciando scoperte le orecchie a punta; indossava un abito lungo e sfrangiato, mentre un poncho le copriva le spalle strette e ossute.
«Sono la donna che siete venuti a prendere» disse senza timore. «Eccomi, quindi, fate quello che volete». Spalancò le braccia, lasciando cadere il suo bastone, la luce si spense e l’oscurità tornò a scendere su di loro come una vecchia coperta.
La nonna della Dama, quindi esisteva davvero un villaggio al centro dell’isola oltre gli alberi della Foresta di Nebbia?
Il Mago Vikingo si chinò a raccogliere il bastone storto della donna per porgerglielo nuovamente. Come aveva sospettato, la pietra incastonata era un Diamante. Conosceva solo un’altra persona al mondo che dominava la magia attraverso quello stesso gioiello, ed era Volkan, l’Arcimago. La invitò a seguirlo intorno al fuoco, non avevano intenzioni ostili, ma solo raccontarle la loro storia.
La vecchia riprese il suo andamento claudicante, aggrappata al proprio supporto, quindi raggiunse il falò, dove gli altri erano ancora in piedi, in attesa. Si studiarono, senza avversità, e trattennero il respiro quando lei si inginocchiò accanto al capo di Seth. La vecchia chiuse gli occhi, il Diamante s’illuminò mentre posava un palmo sul capo dell’occultista. Da’miàn lanciò un’occhiata a Edgemas, il quale gli fece cenno di stare calmo.
Seth aprì gli occhi e scattò a sedere, guardando i suoi compagni prima e l’anziana dopo, incredulo e spaurito.
«Co-cosa è successo?» Chiese.
«Hai dormito come un bambino, ecco cosa è successo!» Esclamò Rhia, alleggerendo l’atmosfera.
Si sedettero intorno al fuoco e la vecchia fece altrettanto. Li guardò, uno per uno.
«Era da tanto che non parlavo con qualcuno» disse. «Ma non abbiamo molto tempo. Mia nipote arriverà presto.»
Quindi era davvero la nonna della Dama…
«Puoi aiutarci a sconfiggerla?» Le chiese Edgemas.
«Non combatterò con voi, questo no. Ma posso indebolirla». Calò nuovamente il silenzio, sebbene le domande che avessero voluto porle erano tante. «Miarìel è mia nipote. Ha incantato la mia vita rendendomi immortale, a meno che qualcuno non mi trapassi il cuore.» La donna si posò una mano sul petto, senza sentire alcun battito. «Sono una specie di burattino. Perciò alla fine di questo racconto, chiederò a uno di voi di colpirmi».
Beanka sussultò, ma la vecchia le mostrò il palmo per zittirla.
«So cosa stai per dire, giovane amazzone, ma tu sei una bambina, hai dalla tua il tempo, il fisico, i ricordi ancora felici. Non biasimarmi». Tutti tacquero e lei riprese. «Miarìel è il frutto di un amore vero, forte e potente tra mio figlio e un’amazzone. Ai miei tempi non c’era inimicizia tra i due popoli, sebbene l’amore per un uomo non sia mai stato visto di buon’occhio tra le guerriere di Scizia…» questa volta gli occhi verdi della donna saettarono verso Becky e Drew, seduti alla sua destra. Il generale amazzone chinò il capo. «E non è vero che tra un discendete degli elfi e un’amazzone nascono esseri con poteri disumani. Mia nipote è stato un caso, il suo potere nefasto è il risultato di una sofferenza smisurata.
Quando i suoi genitori morirono, nella capitale del Regno del Vento la sua forza magica non era ben accetta. Seppi da fonti sicure che il re avrebbe preso in custodia la mia bambina, per trasformarla in un’arma bellicosa. Aveva solo sei anni quando la lasciai all’Accademia, chiedendo all’Arcimago del tempo di prendersene cura. Lei pianse, mi pregò di non abbandonarla. Le mentii, affermando che era per il suo bene. Sbagliai, sbagliai tutto. Sapete quante volte mi sono detta che se l’avessi cresciuta io, se le fossi stata vicina, forse sarei riuscita a lenire il suo dolore?»
Di nuovo la donna si arrestò dal raccontare, prima di proseguire.
«Miarìel crebbe bella e forte, il suo potere magico – effettivamente fuori dal comune – venne ridimensionato da una runa».
«La runa di contenimento» intervenne Seth, il quale si era ripreso del tutto.
«Esatto, occultista, esatto. Divenne una medicea amata e rispettata dal popolo, ma si sa, l’altra faccia della medaglia della magia bianca è quella nera. Durante una missione in un piccolo villaggio, Miarìel si innamorò di un giovane della sua stessa età. I due avevano avuto un passato simile, entrambi orfani di genitori di due razze differenti. Si sposarono, si amarono e dopo un anno nacque la loro bambina. La conobbi, Miarìel veniva spesso a farmi visita a Eos. Ma un giorno, tornando al proprio villaggio, lo trovò in fiamme. I banditi erano ancora lì, a banchettare sui cadaveri degli uomini massacrati e a spassarsela con le donne. Miarìel sarebbe rimasta ad aiutare gli altri, forse suo marito era ancora vivo e la sua magia benefica avrebbe potuto salvargli la vita, ma aveva la bambina a cui badare. Fece per andare via, tuttavia uno di loro la notò e in breve tempo le furono addosso. Con la magia bianca non avrebbe potuto difendere né se stessa né la figlia. Maledisse la runa che le imprigionava il suo vero potere.
 Li supplicò di non far del male alla piccola, di prendere lei e di lasciar andare la figlia. Ma gli uomini sanno essere davvero crudeli, più degli animali. Presero entrambe, o meglio, quando capì che avrebbero violato il candore della propria bambina di appena otto anni – non si poteva neanche definirla una donna – il suo potere magico, fino a quel momento assopito, esplose, prendendo la forma di tanti piccoli stiletti appuntiti che si conficcarono nel petto dei presenti. Tutti, nessuno escluso, neanche della sua bambina.»
«È morta per mano sua…» sussurrò Becky, l’anziana la guardò.
«I lunghi capelli neri divennero bianchi, il bastone mutò forma deformandosi, la pietra azzurra, lo Zaffiro della magia bianca, perse ogni colore». La donna alzò gli occhi sulla pietra del bastone che reggeva. Quindi non era un Diamante quello, ma uno Zaffiro scolorito, e quella era l’arma della Dama.
«Miarìel cominciò a uccidere le bambine della stessa età di sua figlia, con lo stesso metodo: uno stiletto nel cuore. Il dolore per la perdita è ancora vivo e non si placherà fin quando ogni donna, ogni mamma, non proverà il medesimo strazio. Venne a prendermi, dicendo che ero l’unica persona cara che le ero rimasta, non avrebbe permesso alla morte di portarmi via da lei. Mi congelò il cuore e mi relegò qui, costringendomi a una vita che non è vita.»
«Il suo cuore…» bisbigliò Becky, ricordando le parole di Shayna appena prima di cadere nel vuoto.
«So cosa si dice in giro: chiunque lo mangi ne acquisterà i poteri, trasformandosi in un essere immortale e invincibile. Non so se sia vero, ma se anche uno di voi dovesse avere questo ardire, ve lo sconsiglio. L’eternità non è fatta per noi, esseri mortali».
Calò il silenzio, di nuovo. Poi la vecchia si alzò, mantenendosi all’arma che era stata di sua nipote Miarìel, quindi si rivolse a Becky e a Drew, invitandoli a mettersi in piedi. I due lo fecero, senza controbattere, poi la luce chiara della magia li avvolse, guarendo le loro ferite.
«La magia, per quanto potente, non può nulla sui dolori dell’anima», disse, posando una mano tra i seni di Becky. «Solo in noi possiamo trovare la forza e le risposte che cerchiamo. E quelle che già conosciamo ci fanno paura, come tutte le cose importanti». Si prese un’altra pausa. «Tornare indietro non vuol dire per forza aver perso».
L’amazzone fece un passo per allontanarsi dalla medicea.
«Come facciamo a sconfiggerla, vecchia?» Chiese Edgemas richiamando l’attenzione della nonna della Dama.
«Ammazzatemi per richiamarla e poi distruggete la sua arma o ne attingerà potere», spiegò, il suo sguardo si era indurito. Lasciò cadere il bastone che rotolò ai suoi piedi, di nuovo aprì le braccia. «Colpite, dritti al cuore». Nessuno si mosse. «Ponete fine alla mia effimera esistenza, vi prego. Ponete fine alla sofferenza della mia Miarìel, vi scongiuro. È l’ultimo desiderio di una donna morta tempo fa.» Gli altri chinarono il capo, il fuoco divampò. «Ve lo ordino!»
La lama di una spada infiammata la trapassò da parte a parte, qualcuno urlò di meraviglia. L’anziana sorrise:
«Grazie, occultista» furono le sue ultime parole, prima di accasciarsi al suolo. Alle sue spalle Seth era in piedi, l’espressione del volto indecifrabile. L’Ametista brillava, poi si spense.
Il corpo della vecchia diventò polvere in pochi secondi, mischiandosi alla sabbia.
L’aria si fermò, il mare si ritirò di qualche metro, la nebbia si diradò completamente, il falò si spense.
«Arriva!» disse Edgemas mettendosi in piedi, gli altri lo imitarono, ognuno brandendo la propria arma.



 
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