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Autore: NPC_Stories    04/02/2022    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Ikki_the_crow
Genere: sentimentale
Note: questa storia era stata scritta da Ikki_the_crow come regalo di compleanno per Dira_




Riflessi di luce



Waterdeep, Tempio delle Spire del Mattino, Anno 1366. Tardo pomeriggio.

“Do-o-o-ra?”
La ragazza bionda, china su un mucchio di pergamene e tomi dall’aria antica, sospirò. Al tempo stesso, però, non riuscì a trattenere un sorriso, nascosto dalla manica dell’ampia tunica da novizia che aveva addosso.
Con un tonfo sordo che riecheggiò nel silenzio della sala studio e fece voltare non poche teste, una seconda ragazza si lasciò cadere sulla sedia accanto a lei e le avvolse un braccio attorno alle spalle. A prima vista, non sarebbero potute essere più diverse: la prima era bionda, dalla pelle olivastra e gli occhi scuri; la seconda era pallida, con i capelli neri e gli occhi grigi, la pelle costellata di lentiggini. A parte l’età e il vestiario, non sembravano avere niente in comune.
“Ciao Kethra.” Dora sospirò ancora. “Non strillare. Vuoi farci sbattere fuori?”
Stavolta toccò all’altra sospirare platealmente. A dirla tutta, abbassò anche leggermente la voce. Ma appena appena. “Sei ancora dietro a quello stupido compito?” Si sporse un po’ di più, per osservare quello che l’altra stava scrivendo. Istintivamente, Dora si piegò in avanti per coprire il foglio con il corpo; così facendo, le due si ritrovarono praticamente guancia a guancia.
“Non è ancora finito! Piantala!” sibilò Dora, sentendosi arrossire.
“Il culto di Lathander e le religioni barbariche orchesche: similarità e differenze” scimmiottò Kethra. “Che palle.”
“Non è la cosa più divertente del pianeta, ma è un compito.” Dora spinse via l’altra, che ricadde sulla propria sedia con un risolino. “E poi ci sono più punti in comune di quanto potresti pensare. Sapevi che in un carteggio di Lord Elorfindar Floshin si fa riferimento a –”
Kethra gettò la testa all’indietro ed emise un rumoroso grugnito, come un orso in letargo. Questa volta, molte più teste si voltarono verso di loro e qualcuno intimò loro di fare silenzio con un sibilo. “Noioooooso!” Kethra si rigettò in avanti, appoggiando un gomito su uno dei tomi che Dora stava consultando. Era un codice miniato di almeno cento anni prima, e la ragazza bionda ebbe un fremito. “Senti, lascia perdere questa roba e vieni con me. Devo farti vedere una cosa.”
“La relazione va consegnata entro tre giorni.” Con delicatezza, Dora sfilò il libro da sotto il braccio dell’altra e lo mise da parte. “Non possiamo parlarne stasera in camerata?”
Anni prima, alle due ragazze erano stati assegnati due letti vicini, probabilmente nella speranza che l’influenza positiva (un eufemismo per dire “essere squadrati come un dado”) di Dora potesse mitigare un po’ l’esuberanza di Kethra. Aveva funzionato, almeno in parte, ma solo perché la ragazza illuskan aveva iniziato a sfogare gran parte della propria energia in discussioni e giochi con Dora. Questa, abituata fin da piccola a gestire un’orda di fratelli di varie età, non aveva avuto grossi problemi a ricadere nelle vecchie abitudini: in pochissimo tempo, si era affezionata a quella specie di gatto randagio che le avevano affibbiato, e ora che avevano entrambe quasi sedici anni la considerava la migliore amica che avesse mai avuto.
D’accordo, forse l’unica amica che avesse mai avuto. Dettagli.
“In camerata siamo metà di mille. Questa è una cosa personale. Per favo-o-o-re?” Kethra iniziò a sfregarle la testa contro il braccio, come faceva sempre quando voleva convincerla a fare qualcosa, gli occhi spalancati e luccicanti. Dora resistette per esattamente quattro secondi.
“D’accordo. Fammi solo mettere via le cose e poi andiamo.”
“Evvai!” L’altra ragazza saltò in piedi e mimò un pugno verso il soffitto, scatenando un concerto di sibili e soffi nella sua direzione, e perfino qualche “silenzio!” a metà tra un grido e un sussurro. Vedendo uno dei guardiani che si alzava dalla propria postazione con aria agguerrita, Kethra si lasciò sfuggire una mezza imprecazione.
“Ops. Meglio che vada. Facciamo che ti aspetto al solito posto.”
Prima ancora che Dora potesse reagire, era già sparita. La ragazza bionda sospirò di nuovo, gettando uno sguardo sconsolato alla pergamena scritta a metà che aveva di fronte.
Dovrò passare un paio di notti in bianco per finirlo. Spero che qualunque cosa sia, ne valga la pena.

Mezz’ora più tardi, dopo essere passata al dormitorio a lasciare le proprie cose, Dora era in piedi di fronte alla scalinata che collegava i vari livelli della torre ovest. Era il punto di ritrovo che le due ragazze utilizzavano da anni, abbastanza frequentato da non attirare l’attenzione ma non così tanto da non consentire un minimo di privacy. A una certa distanza, poteva sentire i fedeli che sciamavano nella sala principale per la messa serale: non era frequentata come quella del mattino, e pertanto i novizi non erano tenuti a partecipare, ma Dora si sentiva comunque in colpa a non essere ad uno dei portoni a dirigere i fedeli verso le panche ancora libere. “Eccoti, finalmente!” La voce di Kethra, che era comparsa alle sue spalle apparentemente dal nulla come suo solito, la fece sobbalzare. Si voltò con aria seccata.
“Veramente sono qui da almeno dieci minuti! Sei tu che sei in ritardo!” Nel tempo che ci mise a finire di pronunciare quelle parole, il fastidio si era già dissolto. Non riusciva a restare arrabbiata con l’amica, non importava quanto ci provasse.
L’altra non parve per nulla impensierita. “Avevo un paio di cose da sistemare.” Le tese una mano. “Andiamo?”
Dora la fissò con sospetto. “Dove?”
“Quante domande. Non ti fidi di me?”
“Io…” Per qualche motivo, la domanda fece incespicare Dora. “Mi fido… Ma non mi fido, se capisci cosa voglio dire.”
Non lo capisco nemmeno io.
Per tutta risposta, Kethra rise e le afferrò la mano. “Ottima risposta. Andiamo! Non te ne pentirai!” Insieme, si inerpicarono su per le scale. Kethra sembrava avere una certa fretta, ma al tempo stesso era guardinga come una tigre in caccia. Un paio di volte costrinse Dora a gettarsi in qualche nicchia nelle pareti o in un qualche angolo buio per evitare uno dei chierici più anziani che pattugliavano quelle zone in cerca di ladri, fedeli dispersi e novizi intenti a fare qualcosa che non avrebbero dovuto fare. Un po’ come loro in effetti.
“Kethra, mi vuoi dire cosa –”
“Shh!” La ragazza mise una mano sulla bocca di Dora e la spinse ancora di più nell’intercapedine tra il muro e la statua dietro cui si erano nascoste. Erano talmente vicine che Dora poteva sentire il respiro dell’altra sul collo, il calore del suo corpo contro il proprio attraverso le tonache. Le faceva pizzicare la pelle, ma non era una sensazione sgradevole.
“D’accordo, via libera,” bisbigliò Kethra dopo qualche secondo. Spostò la mano e fece un passo indietro, permettendo a Dora di fare un paio di respiri profondi. Si sentiva senza fiato.
“Via libera per cosa? Dove stiamo andando?”
“Calmati, principessa. Ci siamo quasi.” Con un sorriso furbo, la ragazza mora ricominciò ad inerpicarsi per le scale, e Dora non poté fare altro che rimangiarsi una rispostaccia e seguirla. Alla fine, arrivate in un punto all’apparenza del tutto anonimo, Kethra si fermò.
“Adesso guarda.” Si sollevò le maniche e piegò le braccia nell’esagerata imitazione di uno scaricatore di porto. Quindi appoggiò entrambi i palmi contro un pannello di legno del rivestimento interno e spinse. Per qualche secondo non successe nulla; poi ci fu un clic appena udibile e l’intera sezione iniziò a scorrere all’indietro.
“Ma che…”
Dora era senza parole. Quello che sembrava un semplice pezzo di muro era appena scivolato su cardini invisibili, rivelando uno stretto passaggio oltre il quale si intravedeva luce arancione.
“Passaggio di servizio. Per la manutenzione del tetto. Vieni.” Kethra si mise a quattro zampe ed iniziò a strisciare nel cunicolo. “Riaccosta bene la copertura, mi raccomando,” bisbigliò, la voce che rimbombava nello spazio stretto.
Dora dibatté con sé stessa per un paio di secondi, prima di abbassarsi e iniziare a strisciare a sua volta dietro l’altra. C’era davvero poco spazio, tanto che le spalle di Dora sfioravano le pareti in marmo ogni volta che si muoveva. Con attenzione, spinse il pannello dietro di sé (che per fortuna aveva una maniglia all’interno per poterlo riaprire) finché non sentì di nuovo il blocco che scattava, per poi avanzare sulle tracce della sua amica. Quando Kethra spinse con le spalle un secondo sportello, l’intero passaggio fu invaso di luce arancione, e per un attimo Dora rimase immobile a battere le palpebre, abbagliata.
Quando finalmente poté rimettersi in piedi, si ritrovò a fissare una distesa di tetti. Erano su uno dei contrafforti del lato ovest, e sotto di loro si spandeva l’intera Waterdeep – o almeno, la sensazione era quella – invasa dalla luce del tramonto. Dietro di loro, una delle spire di bronzo, oro e argento che davano il nome alla cattedrale luccicava negli ultimi raggi del sole.
E poi, oltre le mura, il mare. Era uno spettacolo mozzafiato. “Ehi, non farti cadere la mascella.” Kethra tirò all’altra una gomitata nel fianco, riscuotendola. “Forza, o facciamo tardi. Di qua. Attenta a dove metti i piedi.”
“Tardi per cosa?” Dora ricominciò a seguire l’amica, muovendosi con attenzione lungo il tetto. La pendenza non era eccessiva, e c’era uno strato di foglie secche e altri detriti che rendeva il fondo poco scivoloso, ma in ogni caso era meglio stare attenti: un volo da quell’altezza sarebbe stato fatale, a meno di un intervento divino.
Kethra non rispose, limitandosi ad arrampicarsi lungo il tetto e poi per una scalinata che si avvolgeva a spirale lungo la guglia, i gradini tanto sottili da dover procedere di lato come granchi. Dopo quella che a Dora parve un’eternità, all’ennesima svolta della scala, la ragazza bionda si accorse che l’amica non era più di fronte a lei. Ebbe un attimo di panico, pensando al peggio – è caduta di sotto! – prima che una mano le afferrasse il polso. Fece un salto per lo spavento, perdendo l’equilibrio, ma si sentì tirare verso il muro. Atterrò pesantemente sopra qualcosa di morbido, all’interno di una nicchia scavata nella parete della guglia. Sotto di lei, Kethra sbuffò.
“Mi sa che hai messo su peso,” rise.
Dora si districò dall’abbraccio dell’altra e si guardò intorno, il cuore in gola per lo spavento. Erano in quello che una volta era stato l’alloggiamento di una statua, identico agli altri mille che punteggiavano la cattedrale. In un momento non meglio precisato, l’inquilino doveva essere crollato sotto il peso degli anni e delle intemperie: era rimasto solo il basamento, da cui spuntavano i moncherini di un paio di gambe. Quasi tutto il resto era stato fatto sparire, probabilmente per evitare che cadesse in testa a qualcuno in una giornata ventosa, e mai più ripristinato. A occhio, doveva essere così da decenni. Il metallo che ricopriva le pareti era brunito e opaco, ma pulito. Il fiato corto, Dora tornò a guardare la sua amica. “Come hai trovato questo posto?”
Kethra sorrise. “Lo sai che a lezione mi annoio. Quando posso, svicolo fuori e mi metto a esplorare.”
La ragazza mora si chinò a raccogliere qualcosa dietro quel che restava del piedistallo della statua. Quando si raddrizzò, aveva in mano un involto di tela. Lo sistemò con cura sopra il piano di pietra e lo aprì con gesto teatrale, rivelando una torta di ricotta e uvetta.
“Ta-da!” esclamò. “Buon compleanno, Dora!”
L’altra la fissò come se le fosse appena cresciuta una seconda testa.
“Cosa… Come… È oggi?” balbettò.
Kethra le rivolse un’occhiata a metà tra il divertito e il rassegnato.
“Te ne sei dimenticata anche quest’anno. ” La sua non era una domanda. “Com’è possibile che ti ricordi il compleanno di tutti i tuoi fratelli ma non il tuo?”
“Beh, dovevo organizzare le feste per tutti… e non avevo mai tempo per la mia… dovrò scrivere a Rupert e trovargli un regalo o se la prenderà a morte…” Dora si avvicinò al piedistallo. Notò che grosso pezzo di pietra, probabilmente resti della statua, erano stato fatto strisciare sul pavimento fino ad essere posizionato come un ampio sedile improvvisato, vista mare. Dovevano pesare almeno dieci chili: il pensiero che Kethra si fosse messa a spostare un sasso di quelle dimensioni, da sola, in una nicchia a decine di metri d’altezza, solo per farle una sorpresa le fece salire un groppo in gola. Per un attimo la vista le si appannò, e dovette battere gli occhi un paio di volte per ricacciare indietro le lacrime.
“Ehi ehi ehi. Non diventarmi emotiva adesso, eh?”
La ragazza mora si avvicinò, il lembo di una delle maniche della veste stretto in mano, e sfiorò con delicatezza le guance dell’altra per asciugargliele. Per un istante parve sul punto di dire qualcos’altro, poi il momento passò.
“Scusa.” Dora tirò su col naso e si ricompose. “Mi hai anche preso una torta… Non dovevi.”
“Lo so. Questa è per me.” Kethra le fece un occhiolino, poi rise all’espressione confusa dell’altra. “Sto scherzando. Forza, siediti qui. Sta per iniziare.”
“Sta per iniziare cos – ” Dora non fece in tempo a finire la frase. I raggi del sole, arrivato quasi al punto più basso del suo arco prima di sparire oltre l’orizzonte, colpirono direttamente la parete dietro di loro e si spezzarono in un nugolo di riflessi multicolore, che riempirono la nicchia con migliaia di minuscole luci. Sembrava di essere in mezzo ad uno sciame di lucciole, solo che invece di essere tutte dello stesso colore giallo-verdastro, quelle luci erano di ogni sfumatura dell’arcobaleno. Dora fece una piroetta su se stessa, guardandosi lentamente intorno, gli occhi spalancati per la sorpresa. Sentì una risata affacciarlesi sulle labbra, e non fece nulla per fermarla. Poco più in là, appoggiata ad una parte, Kethra la osservava con un mezzo sorriso sulle labbra. “Allora?” Quando il sole fu sprofondato oltre il mare e le luci si furono spente, Kethra si chinò per tagliare una fetta di torta con un coltello che doveva aver sgraffignato in sala mensa. Aveva un ghigno che le andava da un orecchio all’altro. “Me la sono meritata questa torta, o no?”
“Puoi mangiarla anche tutta.” Dora era ancora senza fiato. “E puoi avere il mio dolce per una settimana, se lo vuoi. Kethra, è… È stato… Incredibile.”
La ragazza mora ridacchiò, poi passò una fetta di torta all’altra. Insieme, si sedettero sul basamento della statua, la torta in mezzo a loro, ad osservare il tramonto oltre il mare di tetti. “Non è che rischiamo di restare bloccate quassù, vero?” domandò Dora. Stava scherzando solo fino a un certo punto.
L’altra scosse la testa. “Si vede abbastanza bene almeno per un’ora dopo il tramonto. E poi comunque possiamo creare delle luci. Siamo Chieriche in fondo. Ne ho preparate quattro stamattina, giusto nel caso.”
Dora prese la mano dell’altra e la fissò dritta in viso. “Grazie. Davvero,” disse. “Nessuno aveva mai fatto niente del genere per me.”
A quel punto, Kethra fece qualcosa che Dora non si sarebbe mai aspettata. Invece di ridere e fare una battuta come suo solito – qualcosa tipo “sapevo che avevi avuto un’infanzia di merda, ma non così tanto” – arrossì e distolse lo sguardo. Sembrava imbarazzata.
“Figurati,” mormorò, gli occhi fissi sulla fetta di torta sbocconcellata che teneva in mano. Prese fiato, come per dire qualcos’altro, ma Dora la anticipò. Con un movimento rapido, avvolse l’altra tra le braccia e le appoggiò la testa contro il suo petto. Iniziò ad accarezzarle lentamente i capelli lisci. “Grazie. Davvero,” ripeté. “Sei l’amica migliore che una persona possa desiderare.” Per un attimo, sentì l’altra irrigidirsi contro di lei. Poi Kethra si rilassò di nuovo e strofinò il viso contro la tunica di Dora.
“Lo so,” mormorò. “È a questo che servono le amiche, no?”

   
 
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