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Autore: Alina_Petrova    06/02/2022    0 recensioni
Come inizia una storia?
Qualche volta è amore a prima vista – un’attrazione spontanea alla quale uno non può resistere, anche se all’apparenza i due non hanno nulla in comune. Ma se riescono trovare il coraggio di avvicinarsi l’uno all’altro, qualcosa che li unisce spunta fuori. Una stupidaggine forse, che sembra quasi uno scherzo, però non è niente male per cominciare.
Altre volte, un passo falso, parole sbagliate – tra i due si solleva un muro. Sembra difficile abbatterlo, ma con un po’ di fortuna e di buona volontà forse possono riuscirci.
Alcuni sono sempre in attesa di un incontro e altri hanno perso la speranza. Ma a cosa servono gli amici, se non per darci una spinta nella mischia?
Ci sono amori guidati dal destino.
Una storia potrebbe iniziare in un modo banale oppure del tutto bizzarro, se poi dovesse funzionare, andare avanti, durare nel tempo, dipende solo dai nostri protagonisti. Intanto, come si dice, chi ben comincia è a metà dell’opera, no?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Tane non aveva mai nutrito una grande passione per gli animali domestici, nemmeno da bambino. Quando sua madre non era riuscita a reggere gli effetti di una depressione post-partum dopo la nascita di due gemelline ed era fuggita di casa, lui, ragazzino di soli dodici anni, si era dovuto prendere cura delle sorelle, diventando prima del tempo autonomo e acquistando molto presto, un fin troppo pratico punto di vista su molte cose, capacità abbastanza insolita per un bambino. La scuola, i compiti, le faccende di casa e la cura di due neonate urlanti occupavano praticamente tutto il suo tempo, riducendo la vita sociale del ragazzo al minimo. Quando le sorelline divennero più grandi e iniziarono a frequentare la scuola materna, Tane trovò un lavoro parttime come aiutante presso la biblioteca comunale, per riuscire a mettere da parte qualche soldino per il college, quindi tempo per le solite stronzate adolescenziali non ne aveva comunque. Sì, a un certo punto, quando i compagni di classe avevano cominciato a lanciare sguardi interessati verso le ragazze, lui a sua volta si era reso conto che preferiva fissare i maschi, ma tutto finiva lì, visto che non aveva tempo né per farsene un problema, né per intraprendere qualsiasi cosa a riguardo. Finita la scuola, entrerò al college, allora forse... si diceva a volte. Senza troppo ottimismo comunque, perché, guardandosi allo specchio, Tane non vedeva assolutamente nulla di attraente. Piccolo di statura, non poteva definirsi né magro né grasso, più che altro era robusto, molto scuro di pelle e con lineamenti ereditati dal nonno maori, troppo grossolani per i suoi gusti – il ragazzo non corrispondeva minimamente alla propria idea di bellezza, o quanto meno di qualcosa gradevole alla vista. A lui piacevano gli uomini alti e snelli, possibilmente di aspetto nordico... quando si sogna, bisogna farlo in grande, giusto? Per il suo diciottesimo compleanno Tane ebbe un dono assolutamente inatteso e altrettanto meraviglioso: una matrigna perfetta, alla quale il ragazzo poteva tranquillamente affidare sia il padre che le sorelline. Fino a quel momento, la possibilità di continuare gli studi fuori dalla nativa Toledo, nonostante voti altissimi e ottime referenze degli insegnanti, poteva solo sognarsela. Ora invece, davanti a lui si erano spalancate le porte del mondo, e appena ricevuta la lettera di ammissione con tanto di borsa di studio dalla facoltà di letteratura del Columbia college, Tane, senza perdere tempo, racimolò la sua poca roba e, pieno di entusiasmo, si precipitò verso la sua nuova vita. L’aspetto più allettante di questa nuova vita era la prospettiva di godere finalmente della sua privacy, cosa che gli era mancata terribilmente durante tutti i suoi diciotto, quasi diciannove anni. Soprattutto per questo Tane non aveva ceduto alla tentazione di risparmiare, dividendo l’affitto con qualcun altro – preferiva vivere di pane e acqua, ma avere un proprio angolo. La perseveranza del ragazzo alla fine fu premiata: pochi giorni prima dell’inizio delle lezioni aveva trovato un appartamentino minuscolo, ma tutto per lui, ed era anche abbastanza vicino al campus. All’inizio gli sembrava strano non avere continuamente qualcuno intorno, prendersi cura solo di se stesso e non dover rendere conto a nessuno. Qualche volta gli venne addirittura una lieve forma di depressione, e nel bel mezzo di un attacco di solitudine, il ragazzo si lasciò quasi prendere dalla folle idea di alleviarla adottando qualche simpatico animaletto. Certo, sarebbe stato così piacevole poter ogni tanto accarezzare un bel micino dietro l’orecchio, ascoltando come quello avrebbe ronfato grato in risposta, oppure fare una corsa con un cucciolo-giocherellone... Ma, la parte razionale del suo cervello gli rammentò subito che, ahimè, questi bei gattini e cagnolini graffiavano i mobili, masticavano le scarpe e spesso facevano i bisognini sul pavimento. E Tane invece amava la pulizia e l’ordine e trattava le scarpe con una certa riverenza. Quindi no, Tane non aveva il benché minimo desiderio di adottare un cucciolo. Almeno fino a un certo punto. In un bel pomeriggio di settembre, tornando dalle lezioni, Tane decise finalmente di dare un’occhiata alla nuova pasticceria caldamente raccomandatagli da una compagna dell’università. La piccola stradina dove si trovava il negozio era una zona a lui completamente sconosciuta, perciò il ragazzo procedeva lentamente, studiando ogni insegna e vetrina con la curiosità di un pioniere.

E fu allora che accadde. Che apparve lui

Tane incontrò lo sguardo di quei penetranti occhioni castani, sussultò e si congelò sul posto, incapace di fare un altro passo. Sì, all’inizio il ragazzo notò solo gli occhi, e soltanto un attimo dopo si accorse che erano circondati dal più incantevole musetto che lui avesse mai visto. Tane rimase imbambolato davanti alla vetrina del pet-shop fissandolo come uno stupido, fino a quando il cucciolo non piegò la testa di lato abbaiando un paio di volte, come se volesse dire: «Beh, cosa stai aspettando?» A questo suono Tane si riscosse dallo stupore e, scuotendo la testa si diresse verso la pasticceria con decisione, mormorando sotto il naso: «Nononono... mai e poi mai... per niente al mondo... semplicemente, non esiste!» Aveva già fatto alcuni passi, quando udì un urlo inquietante che lo costrinse a girarsi. «Mammiiiiina! Guarda! Guarda che cariiiiino! Lo voglio, lo voglio, lo voglio! Voglio questo cucciolo, mamma, dai, è il mio compleanno, per favoooore!» Tane vide un ragazzino di circa sette anni tirare la madre per la manica, puntando con il dito la vetrina del negozio di animali, davanti alla quale meno di un minuto prima si era bloccato lui stesso. La madre tentennò indecisa, e nel cervello di Tane, improvviso e assolutamente inaspettato anche per lui, esplose: Ma nemmeno per sogno! Lui è mio! Tane tornò indietro quasi di corsa e come una furia irruppe nel negozio.

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Sin dall’infanzia Daniel non si era distinto per la propensione all’altruismo e alla preoccupazione per gli altri. Il padre e la madre, perennemente assenti, lasciavano il figlio alla cura delle tate e governanti cercando di sopperire con i regali costosi alla propria incapacità come genitori. Il ragazzino, abbandonato e viziato in eguale misura, molto presto aveva imparato la lezione: prendi dagli altri ciò che vuoi e non ti preoccupare di nessuno. Se qualcuno avesse chiesto alle persone che lo conoscevano di descrivere Daniel con una parola sola, la risposta unanime sarebbe stata: «egoista». Non che fosse una brutta persona, semplicemente non gli veniva naturale preoccuparsi di qualcuno oltre se stesso. Dan preferiva definirla autosufficienza. Cioè, gli piaceva trascorrere del tempo in buona compagnia, più o meno stretta, ma non voleva creare delle relazioni vere, perché le relazioni significavano dipendenza, e Daniel sopra ogni cosa teneva alla propria libertà. Ma non perché gli mancasse, al contrario, era abituato alla libertà, semplicemente era l’unico modo di vivere che conoscesse. Non riusciva nemmeno a immaginare, che nella sua vita potesse entrare qualcuno di cui avrebbe dovuto prendersi cura, a cui avrebbe dovuto pensare prima di prendere una decisione, i cui desideri e sentimenti avrebbe dovuto tenere in considerazione. No, Daniel era sempre stato libero come il vento e aveva la ferma intenzione di rimanere tale, tanto più che trovare partner per una notte non costituiva mai un problema per lui. Fisico alto e slanciato, sicuro di sé, grazie al suo sorriso aperto e sincero entrava in confidenza con chiunque senza fatica, e altrettanto facilmente evitava le relazioni. E questa riluttanza ad affezionarsi a qualcuno non si limitava agli umani, anche amici a quattro zampe non avevano con lui nessuna chance. Finché aveva vissuto nella casa dei genitori – più che una casa si poteva definirla un’enorme villa con ampio giardino – Daniel aveva avuto animali domestici: due pastori afgani di purissima razza, un gatto persiano e addirittura un pony. Solo che ad occuparsi di loro non era certo lui, ma la servitù. Quindi, una volta iscritto all’università e trasferitosi nel proprio appartamento a New York, Daniel aveva rinunciato alla compagnia degli amici a quattro zampe – troppa fatica per il dubbio piacere di accarezzare una miagolante o abbaiante palla di pelo, pensava lui. Almeno fino a un certo punto. Quella sera Daniel aveva rimorchiato al bar un bel sedere. Quello gnocco gli aveva dato da fare: l’aveva dovuto corteggiare per un paio di giorni, e finalmente era vicino alla meta. I ragazzi stavano giusto andando verso la macchina di Daniel, per finire la serata a casa sua.

E fu allora che accadde. Che apparve lui...

Dall’altro lato della strada dal marciapiede si staccò una piccola sagoma arruffata che trotterellò spensierata attraverso la strada. Attraverso tutte le sei infinite corsie. Daniel si bloccò sul posto, osservandolo come se fosse in trance: il cane sembrava di non prestare la minima attenzione alle macchine che sfrecciavano intorno a lui, e la cosa era reciproca. Eppure, per qualche miracolo, senza rallentare né aumentare il passo, l’animale stava riuscendo a evitare la collisione. Era ormai quasi arrivato al marciapiede opposto, quando una moto a velocità folle spuntò da dietro di un camion. Il tutto accadde in modo dannatamente veloce: un colpo – e il cane con un guaito lamentoso venne catapultato dritto sotto le ruote del mezzo pesante. Daniel, senza nemmeno capire come, nello stesso attimo si buttò sulla carreggiata, sollevò le mani, fermando il camion in arrivo e afferrò il tremolante corpicino grondante di sangue per lanciarsi poi con lui in braccio verso la sua auto. Nella più vicina clinica veterinaria l’animale fu rattoppato da un medico anziano. Uscito dalla sala operatoria il dottore disse a Daniel che era fuori pericolo, ma c’era mancato poco perché il suo amico a quattro zampe ci rimanesse secco. Al che il ragazzo rispose che il cane non era suo e gli domandò cosa ne sarebbe stato ora. Il veterinario scosse la testa sconsolato e confessò che in questo caso la povera bestiolina avrebbe avuto ben poche possibilità di sopravvivenza, visto che difficilmente qualcuno si sarebbe preso un animale ferito gravemente come quello. Sicuramente in un canile senza cure adeguate non sarebbe durato a lungo. «Ma a lei, giovanotto, cosa interessa? Tanto il cane non è suo, quindi la cosa non la riguarda, giusto?» concluse con un sorriso triste il vecchio medico. In quel momento nel cervello di Daniel, improvviso e assolutamente inaspettato anche per lui stesso, esplose: Nemmeno per sogno! Lui è mio! «Ora mi riguarda», come dall’esterno, sentì la propria voce, ferma e convinta.

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Olaf.

Se qualche statistico-pazzoide dilettante avesse scelto come obiettivo quello di capire qual era il nome che più spesso aveva pronunciato Tane durante l’ultimo paio di settimane, come risultato della sua ricerca, al primo posto con un vantaggio enorme sarebbe uscito esattamente questo nome: Olaf. Sì, proprio così, Tane aveva chiamato quel miracolo a quattro zampe dalla pelliccia candida come la neve appena caduta, che si era rivelato un labrador di pura razza e per cui il ragazzo aveva dovuto sborsare una bella cifra, praticamente dimezzando la somma che teneva da parte per i casi d’emergenza. Già dal primo giorno aveva scoperto che il suo coinquilino scodinzolante non era soltanto una creatura assai affettuosa e giocherellona, ma anche piuttosto curiosa e agitata. Appena messo piede nell’appartamento, il cucciolo aveva cominciato con ammirevole diligenza a esplorare la sua nuova dimora, annusando tutti gli angoli, provando ad addentare ciò che era abbastanza morbido e a graffiare ciò che era troppo duro, aveva persino tentato di alzare la zampetta posteriore nei punti che trovava particolarmente accoglienti. Tentativi che, tuttavia, venivano puntualmente stroncati dal suo padrone che lo seguiva paziente, passo passo. La sera, Tane non sentiva più i piedi dalla stanchezza, e dopo una variante molto ridotta del suo tradizionale complesso rilassante di yoga, era letteralmente crollato sulle lenzuola. Seguito a ruota dal cucciolo, che era salito sul letto dopo di lui. «Eh, no! Non esiste proprio, amico!» lo fermò Tane, a fatica resistendo alla tentazione di addormentarsi, tanto per cambiare, abbracciato a qualcuno caldo e affettuoso, anche se a quattro zampe. Con una mossa decisa Tane acchiappò Olaf e lo portò nel soggiorno dove lo mollò nella cuccia morbida e accogliente acquistata appositamente per lui... Dopo cinque viaggi dalla camera da letto fino al soggiorno, con il cucciolo sotto il braccio e altrettanti viaggi di ritorno di quest’ultimo, Tane si arrese. Come risultato, dopo una breve sequenza di mosse e contromosse, lui e Olaf erano giunti a un compromesso: il cane aveva accettato di dormire sul tappeto accanto al letto, ma per questo Tane aveva dovuto rinunciare in parte alle proprie comodità – l’imprescindibile condizione della transazione era il palmo della sua mano sulla schiena del despota quadrupede. E questo si era rivelato il primo, ma non l’ultimo dei compromessi, ai quali, con sua sorpresa, Tane si era scoperto capace di scendere. Il jogging mattutino si era trasformato in una serie di corsette da un albero adocchiato da Olaf all’altro, con il sacchettino e la paletta a portata di mano. Tane poteva comprare decine di giocatoli delle più svariate forme e dimensioni, ma il cane con ostinazione continuava a farsi i denti sulle sue ciabatte da casa. Una volta Tane ne aveva addirittura comprate due paia cercando poi di dare in pasto al cucciolo quelle di scorta, ma non ci fu niente da fare, il furbacchione chiaramente preferiva le scarpe che sapevano del padrone. La compagnia di Olaf, allietava non poco le sue serate solitarie, perciò il ragazzo era pronto ad assecondare il cucciolo quasi in tutto. Per sua fortuna e salvezza, durante l’ennesima visita, il veterinario si era accorto che nella loro coppia, sembrava il cane piuttosto che l’umano a fare da padrone. «Lei, giovanotto, lo accudisce benissimo il suo cucciolo, ma mi sento in dovere di farle notare che c’è un aspetto molto importante che lei, secondo me, sta perdendo di vista. Questa creaturina è assolutamente selvaggia! Alla bestiola sono del tutto sconosciute le fondamentali regole di comportamento e persino i comandi più semplici, non dà minimamente retta nemmeno a lei che è il suo padrone», Tane aprì la bocca per dire qualcosa in sua difesa, anche se non sapeva esattamente cosa, ma il medico l’aveva fermato con un gesto imperioso della mano. «Forse, per ora, la cosa non rappresenta un grande problema, ma tra qualche mese, se non saranno presi provvedimenti, avrà a che fare con un animale ingestibile più forte di lei, e questo, le assicuro, è molto frustrante, e inoltre pericoloso. Bisognerebbe urgentemente iniziarlo all’addestramento. Eccole l’indirizzo: questo parco dispone di un’area per i cani, dove ci sono sempre a disposizione un paio di cinologi professionisti», Tane ringraziò sinceramente il medico e lasciò l’ufficio con l’intenzione di seguire il suo consiglio a partire dal giorno successivo.

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Jo.

Daniel non sapeva, se prima di lui questo piccolo barboncino meticcio fosse appartenuto a qualcun altro, o se avesse già avuto un nome, e visto che non c’era nessuna possibilità di scoprirlo, decise di battezzarlo chiamandolo in onore dell’altrettanto biondo e riccio solista degli Europe – Joey Tempest, o più brevemente – Jo. Dal momento dell’arrivo a casa sua di questo coinquilino peloso, tutti i pensieri di Daniel si erano concentrati quasi esclusivamente su di lui. Avrà mangiato Jo? Avrà bevuto? Si sarà mica grattato fino a far sanguinare i punti... Santo cielo, gli ho dati tutti i farmaci prima di uscire? Oh cavolo, sono tutto il giorno all’università, si sarà annoiato a morte lì, solo-soletto! Qualche volta a Daniel sembrava di star andando fuori di testa – in tutta la sua vita non si era mai preoccupato così tanto di nessuno. Forse perché finora non aveva mai dovuto prendersi cura di nessuno. La responsabilità per la vita di un altro essere vivente era una sensazione a lui completamente nuova, ma stranamente non gli pesava. La mattina, senza lamentarsi, si alzava almeno mezz’ora prima, per riuscire a cambiare le fasciature al cane, somministrargli antibiotici e vitamine, riempire una ciotola di acqua fresca e aggiungere del cibo nell’altra, pulire la lettiera e coccolarlo un po’ durante la colazione. Sì, Jo sembrava avere un grande bisogno del contatto fisico con il suo padrone. Quando se ne andava, il cane si accucciava in uno dei posti preferiti di Daniel – dove il suo odore rimaneva più nitido, e l’aspettava pazientemente. Al suo ritorno invece, in modo molto discreto ma altrettanto insistente, gli zoppicava dietro per tutta la casa, e appena Daniel si sedeva o si sdraiava da qualche parte, anche lui gli si accomodava affianco. Con una sorta di malsana curiosità, Daniel osservava i propri cambiamenti. Prima non si sarebbe mai sognato, nemmeno in un incubo, che di sua spontanea volontà, anzi ben volentieri, avrebbe iniziato a restare la sera a casa per fare compagnia a una bestiola, soltanto perché quella aveva fedelmente atteso il suo ritorno per tutto il giorno ed era infinitamente felice di sua semplice presenza, senza chiedere né desiderare nulla di più e ripagandolo per questo con tutto ciò che aveva a disposizione, il proprio calore e affetto. Sì, finché si trattava di Daniel Jo era tutto coccoloso e docile, era con il resto del mondo che chiaramente aveva dei problemi grossi. Non appena nell’appartamento metteva piede un estraneo, il cane si rintanava in qualche angolo remoto e restava lì nascosto fino a quando non se ne andava l’ultimo degli ospiti. E di farlo uscire per una passeggiata non se ne parlava proprio, non sulle sue zampe, almeno. Per le visite dal veterinario Daniel dovette acquistare una di quelle borse fatte apposta per il trasporto dei cani. Continuarono a frequentare lo stesso anziano medico che aveva rattoppato Jo dopo l’incidente e che, probabilmente per quello, godeva di una certa fiducia da parte di quest’ultimo. Quando tutti i punti furono rimossi, il dottore si complimentò con Daniel per l’eccellente cura del animale, ma gli raccomandò caldamente di iniziare a portarlo fuori, meglio se al parco, e preferibilmente in un posto dove ci fosse una zona speciale per i giochi e per l’addestramento dei cani. In modo che l’animale potesse osservare l’interazione dei «colleghi» con i loro padroni. «Questi ragazzi dovrebbero pagarmi per la pubblicità», ridacchiò il medico, consegnando al cliente un bigliettino con l’indirizzo dello stesso parco con la zona cinologica che nemmeno un’ora prima aveva consigliato a Tane con Olaf, «ma sono davvero ben organizzati e hanno personale altamente qualificato. Non bisogna cercare di forzare Jo a entrare in contatto con gli estranei, lasci che guardi gli altri cani, lasci che inizi a sentirsi al sicuro in mezzo alle altre persone e agli altri animali. Chissà, cosa avrà dovuto subire quella povera bestiolina prima di incontrarti, la vita di sicuro non l’ha trattato con i guanti». Daniel l’aveva ringraziato, promettendo di essere paziente, ed era tornato a casa, intenzionato ad avviare il processo di socializzazione del suo piccolo amico il giorno successivo. «Vedrai, sarà divertente, e poi lì potremo trovarti una bella cagnetta, promesso!» sussurrò con dolcezza nell’orecchio di Jo. E io ho bisogno di un analista... uno bravo! – aggiunse poi tra sé e sé.

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Quando il giorno seguente Daniel vide quel ragazzo con la carnagione olivastra e i capelli neri abbastanza lunghi raccolti in una coda, non gli fece nessuna impressione. Cioè, in altre circostanze, probabilmente non l’avrebbe nemmeno notato, solo che in quel momento, tranne lui e il suo cucciolo il campo era praticamente vuoto – qualcuno doveva pure guardare. A quanto pareva, questa doveva essere la loro prima lezione, il cane che non voleva obbedire tentando la fuga a ogni occasione, mentre il padrone e l’addestratrice cercavano in tutti i modi di costringerlo a eseguire i comandi più semplici come «seduto» o «vieni». Daniel aveva occupato una panchina proprio di fronte al parchetto e, tirato Jo fuori dalla borsa, si preparò insieme a lui a osservare l’addestramento. Per un po’ di tempo non successe nulla di interessante. Il piccolo labrador, sembrava ignorare consapevolmente i tentativi degli umani di insegnargli almeno qualcosa, e l’addestratrice decise di fare una pausa. In sua assenza, il ragazzo moro si sedette sull’erba e si diede due pacche sulle ginocchia, richiamando il cane, poi accarezzò quel piccolo pelandrone e iniziò... a spiegargli qualcosa. Proprio così, il ragazzo con la massima serietà stava parlando al cane, gesticolando lievemente. Alla fine del discorso aveva guardato il cucciolo dritto negli occhi, annuendo brevemente e, lasciandolo a terra, si era alzato e si era allontanato di qualche passo. «Seduto!» comandò il giovane forte e chiaro, e il cane – oh, miracolo! – si sedette. E fu in quel momento che Daniel lo vide... il sorriso che spuntò timidamente negli angoli delle labbra del ragazzo. «Vieni!» disse leggermente più piano, forse involontariamente allargando le braccia con i palmi rivolti in avanti in un gesto di invito. Cucciolo che sembrava non stesse aspettando altro, scattò, addirittura sobbalzando un pochino per l’eccesso dell’entusiasmo e si precipitò verso il suo padrone. A quella vista, Daniel avrebbe voluto poter strizzare gli occhi e spalancarli allo stesso tempo. Quando il ragazzo con una risata di pura felicità acchiappò al volo il cagnolino che emetteva dei piccoli guaiti gioiosi e lo fece girare in aria, gli parve che dalle nuvole fosse spuntato un secondo sole, irradiando generosamente intorno a sé luce e calore. E gli venne un desiderio quasi irresistibile di immergersi in quella luce, di sentire sulla sua pelle quel calore, ma insieme a questa attrazione arrivò anche la paura. Totalmente irrazionale e certamente prematura – paura di restare impigliato, perché l’istinto gli diceva – basterà un solo contatto con questo ragazzo e non sarai più in grado di tirarti indietro, o meglio, non vorrai farlo. Sarebbe stato così facile avvicinarsi a lui, fare un paio di complimenti al cucciolo e, una parola dietro l’altra, iniziare una conversazione, per poi invitarlo a prendere un caffè. Era come l’abc, un affare di routine per Daniel. Dopo quel caffè ci sarebbe stata una serata in un nightclub, seguita da nottata di sesso – sì, sarebbe andata proprio così... con qualcun altro. Ma per qualche motivo Daniel era sicuro che non avrebbe mai osato invitare quel ragazzo in uno dei soliti locali pieni di gente fatta e seminuda che balla sotto le luci intermittenti stordita dalla musica assordante. Non riusciva a immaginarlo in un posto simile – così vivo, così troppo vero per il mondo degli incontri fugaci e delle relazioni superficiali. Daniel voleva ammirare il suo sorriso sincero e la grazia un po’ selvaggia dei suoi movimenti alla luce del giorno, assorbendo ogni momento. Immerso in questi pensieri rimase lì, fissando spudoratamente l’oggetto della propria riflessione. Ad un certo punto si era stiracchiato strizzando gli occhi per un attimo, e quando li aveva aperti, aveva catturato uno sguardo fisso su di lui. Più precisamente, su quella parte del suo corpo, dove la t-shirt, sollevata da un movimento brusco, gli aveva lasciato scoperta una piccola porzione di pelle. Senza staccare gli occhi da lui, il ragazzo moro velocemente si era passato la lingua sulle labbra – oh cazzo! – Daniel balzò in piedi, infilò in fretta Jo dentro la borsa e si ritirò quasi correndo.

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Tane fece un sospiro pesante accompagnando con uno sguardo pieno di rammarico l’allontanarsi della figura del ragazzo. Quando, un paio d’ore prima l’aveva visto arrivare con un’andatura sicura e disinvolta, il suo primo pensiero era stato: «Oh, uno sbarco dal Olimpo». Cioè, naturalmente, nei film e negli spot pubblicitarie gli era capitato di contemplare una magnificenza simile e sbavarci sopra segretamente, ma così, dal vivo, e poi praticamente a portata di mano ... Datti una calmata, scemo, che differenza fa, attraverso lo schermo o così, tanto è uguale, puoi solo guardarlo per un po’... se sei fortunato – rimproverò se stesso per tornare all'addestramento, senza negarsi però il piacere di lanciare ogni tanto delle occhiate furtive in direzione della panchina, dove si era accomodato il nuovo arrivato con il suo amico a quattro zampe. Formavano una strana coppia loro due: accanto a un gigante del genere uno si aspetterebbe di vedere un cane di taglia grande come un pastore tedesco o un bulldog, e non un meticcio di barboncino-nano, che sta comodamente in una borsa. Tuttavia i due sembravano andare d’amore e d’accordo: il cane stava continuamente attaccato al padrone, era sceso a terra una sola volta in tutto il tempo per tornare subito indietro, e il padrone, a sua volta, non si risparmiava in coccole e biscottini. Non è che Tane stesse proprio fissando lo sconosciuto. Olaf non voleva collaborare per niente, e lui si sentiva un po’ in imbarazzo davanti a Sheila, l’addestratrice, che si occupava di loro. La poveretta cercava di non darlo a vedere, ma si notava che la sua pazienza si stava esaurendo. Mentre lei si era ritirata per una pausa, Tane e il suo cucciolo erano riusciti a compiere un piccolo passo avanti, quindi, contenti e orgogliosi di loro stessi, si voltarono verso la ragazza. Ma Sheila stava guardando nell’altra direzione. «Caspita, che spettacolo di spasimante ti sei beccato! Piccolo ma sveglio, giusto, Tane?» gli strizzò l’occhio lei. Tane seguì il suo sguardo, e quando capì che la ragazza parlava di quel dio greco con il buffo cagnolino riccioluto, le sue guance presero il fuoco. «Ma che dici, Sheila? Uno così non si accorgerebbe di me nemmeno se mi ci piazzassi di fronte!» commentò con tristezza. A questo punto l’oggetto della loro conversazione sollevò le braccia, si stiracchiò strizzando gli occhi, scoprendo nel movimento parte del suo addome bello tonico, e Tane rimase a fissarlo imbambolato da quella visione. Si leccò involontariamente... e proprio in quel momento il ragazzo sulla panchina aprì gli occhi e incontrò il suo sguardo. Per l’imbarazzo a Tane venne voglia di sprofondare sul posto, e quando il giovane subito dopo ficcò in fretta il suo cane nella borsa e quasi correndo scappò via, si sentì ancor più male. «Ehi! Perché questo muso lungo?» si allarmò la ragazza, vedendolo improvvisamente tutto spento. «Oh, niente di grave. Pensavo che non mi avrebbe degnato nemmeno di uno sguardo, ma mi sbagliavo. Mi ha guardato... ed è scappato a gambe levate», spiegò Tane con tono abbattuto. «E quindi? Si sarà ricordato di qualche questione urgente. Io so cosa ho visto: ti guardava eccome, anzi, ti fissava, mancavano solo i cuoricini al posto degli occhi! Anche se in un certo senso hai ragione, il tuo aspetto non è troppo presentabile. Sul serio, nessun gay che si rispetti indosserebbe una camicia di flanella! E questa tua coda di cavallo... sai che ti dico, ci penso io a fare di te un vero gnocco!» disse Sheila sorridendo dei propri pensieri, con un allegro luccichio negli occhi. «In che senso, ci pensi tu?» la guardò circospetto Tane. «Fra un’ora, tu e io, shopping e parrucchiere! È praticamente un mago, uscito dal suo negozio sembrerai un principe azzurro, e questo Apollo cadrà ai tuoi piedi non appena ti vedrà!» l’ho rassicurò Sheila, dandogli una pacca sulla spalla. «Anche tu hai notato, che sembra una divinità greca? Beh, certo che l’hai notato, mica sei cieca... E va bene, facciamolo, tanto peggio non potrebbe andare, giusto?»

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Il giorno successivo Daniel tornò nuovamente al parco un pochino più tardi di Tane, che era già completamente immerso nell’addestramento del cucciolo e non si accorse del suo arrivo. E Daniel... anche lui non aveva notato Tane. Cioè, in realtà, l’aveva notato, solo che non lo riconobbe in quel giovane uomo con addosso una semplice t-shirt blu aderente e i morbidi capelli neri leggermente ondulati, che giocava sul prato con un piccolo labrador. Il cane, invece, gli sembrò stranamente familiare, e guardando più attentamente, Daniel con orrore capì che il suo padrone era il ragazzo di ieri, che aveva avuto su di lui lo stesso effetto che hanno i raggi di sole sul gelato. Cosa allora si poteva aspettare da questa, per così dire, versione perfezionata? Più Daniel lo guardava, e più gli diventava chiaro – era spacciato. L’astratta attrazione verso questo ragazzo che aveva sentito ieri si trasformò in qualcosa di molto più concreto: i polpastrelli di Daniel letteralmente pizzicavano dalla voglia di toccare... i suoi capelli. Quando l’aveva visto il giorno prima, non era evidente, ma ora, più corti e lasciati liberi, apparivano così morbidi e setosi, che sembravano implorare: sfioraci! Ma non si può mica avvicinarsi a una persona sconosciuta e... accarezzarla! Oppure si può?

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«Posso accarezzare?» Tane si voltò e si congelò sul posto con la bocca spalancata, perché davanti a lui c’era niente popò di meno che quello gnocco gigante su cui aveva sbavato il giorno precedente, con un sorriso abbagliante stampato in faccia. No, ma sul serio? Pure le fossette? Solo questo mi mancava... – riuscì a formulare il cervello stordito di Tane, ma lo sguardo degli occhi verdi di fronte era così aperto e sincero, che non lo sfiorò nemmeno l’idea di aspettare qualche fregatura. «Ehm, certo, prego!» trovò lo spirito di rispondere, facendosi leggermente da parte. Ma un attimo dopo era successo qualcosa di totalmente inaspettato e assurdamente bizzarro: lo sconosciuto, all’apparenza così simpatico e innocuo, invece di chinarsi per accarezzare il suo cucciolo... aveva applicato questo trattamento su di lui! Come a rallentatore, impotente, Tane osservò la mano con le lunghe dita che si abbassava lentamente per posarsi sulla sua testa, scompigliando completamente e irrimediabilmente i capelli per una volta messi in ordine; sentiva quelle dita che si immergevano nella sua chioma, e dopo una grattatina fugace dietro l’orecchio, scomparivano insieme al loro arrogante proprietario. Il quale non mancò di strizzargli l’occhio con un ghigno soddisfatto, allontanandosi lungo il viale a passo svelto... ora non sembrava più tanto innocuo. «Che cosa è stato?» Tane sconcertato si rivolse a Sheila che si era appena avvicinata. «Beh, penso abbia mostrato in quel modo il proprio interesse, lasciandoti il diritto di scegliere, rispondergli o no. Anche se, francamente, sono sorpresa. Da un tipo come quello mi aspettavo qualche mossa più decisa. Vorrà dire che toccherà a te dimostrare il coraggio!»

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Coraggio... certo, come no! É proprio il mio pezzo forte quello! E dove diavolo dovrei raccoglierne a sufficienza per attaccare a parlare con l’uomo dei miei sogni? Ma che dico, parlare! Non ne ho abbastanza nemmeno per avvicinarmi a lui... Immerso in queste riflessioni meste, Tane stava camminando verso il parco, sempre più lentamente, fin quando non si era fermato del tutto davanti all’entrata. Non gli era mai capitato di fare conoscenza con qualcuno senza un motivo valido, tipo gli studi oppure il lavoro in comune. Non si era mai avvicinato a una persona semplicemente perché voleva, perché provava simpatia o... attrazione e la cosa lo spaventava da morire. Non aveva idea di cosa dire e come comportarsi per non coprirsi di ridicolo e non morire d’imbarazzo. E poi, probabilmente, dando ascolto a Sheila, aveva frainteso quello strano gesto dello sconosciuto. Sarà stato solo uno scherzo senza secondi fini... É meglio che torni a casa, tra poco giusto inizia la puntata di Supernatural... pensò codardamente Tane, facendo dietrofront per andare via. Ma Olaf non era chiaramente dello stesso avviso, con un potente strattone in avanti, strappò il guinzaglio dalle mani del padrone, e si lanciò a tutta birra nella direzione a lui ormai abituale. Tane riuscì a raggiungerlo solo arrivato alla panchina ben conosciuta, dove il suo cucciolo era seduto, la testa piegata di lato, osservando con interesse come un piccolo cane bianco si alzava sulle zampette posteriori, si sedeva e abbaiava a comando, ricevendo in cambio i deliziosi biscotti. Ansimante, Tane gli si fermò accanto e in silenzio fissò l’oggetto della propria ammirazione, sentendosi un idiota completo. «Arrabbiato? Voglio dire... per ieri», Daniel interruppe il silenzio che stava diventando pesante. «No... non più. Devo ammettere che è stato divertente», disse con sollievo Tane, e qui gli venne un’illuminazione: «Posso offrirgli un bocconcino?» domandò, guardando il cane. «Certo, nessun problema, prego!» Daniel ingenuamente allungò al ragazzo la bustina con i biscotti, ma, per sua grande sorpresa, quello nemmeno ci fece il caso. «Allora, tra un’ora e mezza ci vediamo qui! Conosco un locale molto carino, dove ammettono anche i padroni dei cani. A proposito, mi chiamo Tane», sparò per concludere e trattenne il respiro in attesa di una risposta, incredulo della propria audacia. «Ottimo! Io sono Daniel. É stato il più originale invito a cena che abbia mai sentito, anche se un plagio spudorato!» ridacchiò Dan. «Io lo chiamerei un’interpretazione». Entrambi abbassarono lo sguardo con un sorriso imbarazzato sulle labbra e dopo una breve pausa, all’improvviso contemporaneamente iniziarono a parlare: «Di solito non sono così...» si zittirono, fissandosi a vicenda sorpresi. «Timido...» finì la frase Daniel. «Audace...» con un secondo di ritardo disse Tane e, spostando lo sguardo sul barboncino accoccolato comodamente in grembo al ragazzo appena conosciuto, ridacchiò. «Quindi normalmente sei una tigre? Non te la prendere, è che giudicando dalla scelta del cane non si direbbe», Daniel gli rivolse uno sguardo interrogativo, e Tane precisò: «Beh, sai, si dice che di solito il cane e il suo padrone si assomigliano...» «Ah, no... nel nostro caso non si trattava di una scelta! In pratica, gli ho salvato la vita», confessò Daniel, e Tane spalancò gli occhi incredulo. «Guarda un po’, che coincidenza! Anch’io ho salvato il mio da un destino crudele: stava rischiando di finire nelle grinfie di un spietato tiranno di sette anni, quindi, non mi restava che intervenire. E qual è la vostra... storia?» Tane chinò la testa di lato, guardando l’altro con curiosità. Senza nemmeno accorgersene, aveva già smaltito tutta l’ansia di poco prima e ora sentiva solo voglia di conoscere questo ragazzo, niente più paure né preoccupazioni. «L’aveva investito una moto», Tane trasalì a quelle parole, «e poi aveva rischiato di finire sotto un camion», continuò Daniel, accarezzando con estrema dolcezza la schiena del suo animale. «Perciò sono stato costretto a intervenire, gli avevano messo un casino di punti, si muoveva a malapena, beh, insomma, non me la sono sentita di abbandonarlo». «Ecco...» farfugliò Tane, arrossendo leggermente, «non c’è che dire, questo sì che è un salvataggio, ora mi sento davvero in imbarazzo!» «Dai, smettila! Anche il tuo lo è, hai salvato questo bellissimo cucciolo da una terribile prospettiva. Ti dirò, io personalmente non avrei voluto appartenere a un piccolo terrorista squillante, mai e poi mai... e se si trattasse di te invece, il discorso sarebbe ben diverso!» con fare incoraggiante Daniel gli fece l’occhiolino, e Tane avvampò. «Beh, se non altro, ora abbiamo appurato che qualcosa in comune l’abbiamo», replicò Tane con un sorrisetto malizioso non appena gli era tornata la parola, notando con soddisfazione di essere riuscito a far arrossire Daniel a sua volta, anche se di poco. Poi specificò: «Siamo entrambi salvatori dei cani! Niente male per cominciare, vero?» «Per cominciare, non è affatto male!»
   
 
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