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Autore: NPC_Stories    09/02/2022    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Dira_
Genere: sentimentale, malinconico




Qualche certezza. Parecchi dubbi.



Waterdeep, Anno 1367, Tempio delle Spire del Mattino. Inizio estate.

La camerata dei Risvegliati all’ora di pranzo era baciata dal sole in maniera a dir poco gloriosa. Le grandi finestre ad ogiva, ricoperte di vetrate istoriate il cui colore predominante era l’oro e il rosa, gettavano luce dorata su ogni anfratto, cancellando ogni ombra.
Non era il momento migliore per star lì però, specialmente quando era il mese di Kythorn - intorno al Solstizio d'Estate - e il calore del sole rendeva lo stanzone più simile ad una fornace che ad un luogo di riposo.
Non che a Kethra importasse. Non quando la sua migliore amica era lunga distesa sul proprio letto con la testa nascosta sotto il cuscino.
La Risvegliata Kethra aveva diciotto anni ed amava due cose: primeggiare e prendere in giro, e non necessariamente in quest’ordine. Primeggiare negli studi, negli allenamenti e nel beneplacito generale era soddisfacente… ma sfidare il mondo a colpi di ironia lo era molto di più.
Specialmente quando il suo mondo si racchiudeva spesso nella seriosissima Risvegliata Dora.
Tranne oggi a quanto pare.
“Do-o-ra?” cantilenò chinandosi all’altezza del viso dell’altra. “Non lo sai che l’ozio fa piangere Lathander?”
L’amica emise un borbottio ma non diede segno di volersi muovere dalla sua posizione.
Kethra, senza troppe cerimonie si sdraiò sopra di lei pesantemente, battendo con le mani sul cuscino. “Ohi? Non crepi di caldo?”
“Lasciami in pace…” arrivò da sotto. “Va’ via.”
“Sì, ti piacerebbe,” ribatté scivolandole accanto. Le brandine del dormitorio non erano fatte per ospitare due persone, specialmente se una aveva la stazza della sua amica chondatan, ma Kethra era bravissima a ritagliarsi angoli anche nei posti più angusti.
Vecchi privilegi da orfano di strada, avrebbe vociferato maligno qualcuno. Abilità che continuo a tenere in allenamento, avrebbe risposto lei.
Kethra sollevò il cuscino abbastanza per rivelare la faccia dell’altra: aveva il viso rosso dal caldo e l’espressione corrucciata con cui l’aveva conosciuta.
Tre anni prima la Signora dell’Alba Jhessail Tulach, responsabile dei novizi e palo in culo di rara levatura, l’aveva spedita per punizione nella camerata assegnata ai nuovi arrivi.
Kethra si era aspettata di dover eludere la sorveglianza dell’ennesimo compagno rompipalle, ma era rimasta piacevolmente sorpresa nello scoprire che si era sbagliata. E di grosso.
Meno lo era stata la vecchia Jhessail, che si era trovata due ragazzine che non solo avevano legato per la pelle ma che erano diventate virtualmente impunibili. Perché se lei era quella con le idee, era Dora che pianificava l’esecuzione perfetta - principalmente per evitare la pubblica gogna, ma anche perché, perfettina com’era, amava i piani ben riusciti.
E così: perfetti raid nelle cucine, uscite anticipate da lezioni barbose, violazione del coprifuoco per andare per taverne fino all’alba…
Dietro quella patina da brava bambina Dora nascondeva un'indole ribelle come la sua. Erano un duo rodato.
Notando che il cipiglio di Dora non accennava a rilassarsi, Kethra si preoccupò. “Oh, ma che c’hai oggi?”
“Niente… non è giornata.”
“Sarà meglio che lo diventi perché ‘sto pomeriggio abbiamo gli allenamenti con i culi di latta.”
“Non chiamarli così, sono Paladini.”
“Sono aspiranti Paladini,” la corresse. “E pure loro hanno nomignoli per noi, che ti credi?”
Dora sbuffò un sorriso. “Sì, ma non hanno il coraggio di usarli quando siamo poi le stesse persone che devono rattopparli.”
Kethra sogghignò; era riuscita a farla sorridere, ora poteva concentrarsi su cose più serie. “Stai poco bene?”
“No, no… è solo che… non ho voglia di andare all’arena stasera.”
Kethra inarcò le sopracciglia sorpresa; Dora, come lei, amava vincere, anche se mascherava la cosa come desiderio di migliorare sé stessa. Non che fosse sincera nei suoi ideali, ma il modo in cui combatteva nell’arena non parlava tanto di crescita personale, quanto piuttosto di ti sbatto nella polvere, cazzone.
Cosa che la rendeva la migliore amica del mondo, almeno secondo i suoi standard.
“Tu? Che non hai voglia? Come mai?”
Dora evitò di nuovo il suo sguardo.
Kethra aveva vissuto i primi sette anni della sua vita nei bassifondi di Waterdeep, Quartiere del Porto, un luogo poco adatto ad una bambina… a meno che suddetto frugoletto non fosse stato capace di leggere le intenzioni della gente per trovarne i punti deboli e poi sfruttarli. Era così che sopravvivevi nel lato sbagliato della Città degli Splendori.
Kethra aveva abbandonato quella mentalità da un pezzo, ma capire le micro-espressioni era uno dei talenti che si erano portata dietro, e c’era da dire che con Dora aveva la strada spianata: l’amica era un libro aperto.
“Qualcuno t’ha trattata male?”
Il loro Dio non si limitava a pretendere una forma fisica perfetta soltanto dal proprio braccio armato. La consigliava caldamente anche al suo braccio misericordioso.
Quindi, tre volte a settimana, si allenavano con i Paladini della vicina caserma dell’Ordine dell’Astro. Kethra odiava quei momenti e li trovava inutili considerato che non aveva intenzione di competere ai giochi di Mezzestate. Inoltre, in quanto chierica, avrebbe finito per combattere soprattutto con la magia: e infatti, come la maggior parte dei compagni, ci andava per dovere.
Dora no; Dora per quei giochi si allenava duramente, e negli scontri caricava a testa bassa, incalzando il partner della giornata fino a che questi non perdeva ogni facciata cavalleresca e le dava un combattimento onesto. Ne usciva sempre malconcia e spesso sconfitta, ma con un sorriso capace di illuminare l’intero Tempio.
Solo che quel suo atteggiamento aveva attirato commenti salaci da parte degli altri chierici.
Deve sempre strafare? Si calmasse un attimo, è solo un allenamento…
“No, i paladini sono sempre così gentili!” esclamò Dora perplessa. “Perché? Ti hanno detto qualcosa?”
“Ma va’… se non è quello, allora cos’è?”
“Mi prometti che non lo dici a nessuno?”
“Sei scema?” argomentò annoiata. “Dai, apri quella ciabatta Honeycomb! Qual è il problema?”
“Jherek si è dichiarato. Mi ha detto che è innamorato di me.”
Kethra ci mise qualche attimo a fare mente locale; non aveva gran memoria per i nomi delle persone. Poi ricordò che l’amica aveva passato gli ultimi allenamenti a menarsi sempre con lo stesso tipo con una voluminosa zazzera rossa, che parlava troppo ma sapeva il fatto suo con spada lunga e scudo. Si erano spesso trattenuti a chiacchierare dopo. E ora ricordava…erano anche usciti per una bevuta allo sciccoso Quartiere del Castello, dove viveva il tizio!
Era stata una serata di un palloso allucinante, perché avevano bevuto poco e male, e il tipo aveva passato tutto il tempo a misurarsi la mazza con i suoi compagni di merende.
Però a Dora quelle cose non davano fastidio; era cresciuta in mezzo ad una ridda di fratelli, tollerava meglio di lei le spacconate testosteroniche. Lei si era divertita.
Kethra sentì un peso nel petto. “Ah… hai fatto colpo… Non sei contenta?”
“Beh… credo che dovrei, vero?”
“Ti piace o no?”
Non voleva saperlo. Nel momento in cui glielo chiese comprese che non aveva nessuna intenzione di ascoltare la sua migliore amica sbrodolare su Jerry il Paladino.
Kethra ebbe l’impulso di alzarsi e andarsene; scappare a nascondersi in qualche punto alto e raccolto, come le piaceva fare da bambina, quando la strada diventava troppo cattiva e dura. Un gatto randagio rimane tale anche se lo porti in casa, aveva commentato una volta quella stronza di Jhessail pensando che non la stesse ascoltando.
Aveva ragione però; solo che in quel caso rintanarsi in buco non l’avrebbe aiutata.
Dora, ignara dei suoi pensieri, si tirò a sedere sul letto. “Jherek è simpatico e combatte bene… sarà un ottimo paladino. E zia Jhessail ha detto che la sua famiglia è molto devota e grande contributrice del Tempio.”
“Ne hai parlato con tua zia?
“Ma figurati! È stato Jherek, è andato a chiederle il permesso di farmi la corte.”
“Molto cavalleresco da parte sua…” non riuscì a frenare l’amarezza e stavolta Dora - benché di solito fosse inconsapevole come un neonato nato sotto un cavolo - la fissò assorta.
Ti prego non capirlo.
Perché l’aveva capito lei e aveva capito anche un’altra cosa.
Che è una cazzata.
Dora le voleva bene ma non le voleva bene nello stesso modo in cui gliene voleva lei. Dopo averla vista battersi feroce nell’arena, non se la sognava la notte svegliandosi accaldata, e confusa, con il terrore di voltarsi e farsi leggere tutto in faccia.
Non era gelosa di chiunque le si avvicinasse durante le lunghe ore di studio e preghiera.
Quando si facevano la doccia nei bagni comuni, non passava tutto il tempo a fissare le piastrelle come una maniaca perché non poteva permettersi di guardare la linea dei muscoli dell’altra, e il modo in cui l’acqua le scivolava lungo il solco dei seni, verso gli addominali e…
Kethra non si reputava una cattiva persona, ma quei pensieri, quelle pulsioni la facevano vergognare. Specialmente perché Dora le donava un amore puro e privo di doppi sensi.
“Kethra, che hai?”
Si riscosse tirando fuori il migliore dei suoi sorrisi. “Scusa, mi ero distratta… dicevamo, il belloccio in armatura! Che farai?”
“Tu che faresti?”
Lo corcherei di incantesimi finché non si farebbe passare la voglia di farti diventare sua moglie.
“Beh… la corte non la sta facendo a me. La scelta è tua. Che gli risponderai?”
Dora si mordicchiò un labbro. “Che non voglio diventare sua moglie.”
Kethra l’avrebbe baciata. Lì, in mezzo al dormitorio caldissimo, con il rischio di essere beccate da chiunque, con il sudore che le colava a fiotti lungo la schiena. Le avrebbe preso il viso tra le mani e l’avrebbe baciata finché non avrebbero dovuto rianimarle perché avevano smesso di respirare un’ora prima.
Fu un pensiero che venne e passò. Non era stupida.
“Allora rifiutalo alla svelta prima che si faccia strane idee.” Notando l’espressione sconfortata di Dora sogghignò. “Aspetta… è per questo che non vuoi venire ad allenarti?”
Dora si nascose il viso tra le mani. “…non prendermi in giro…”
Kethra scoppiò a ridere, placcandola e buttandola sul letto tra le sue proteste. “Do-o-ra è una cacasotto!” cantilenò facendole il solletico. “Do-o-ora si vergogna a rifiutare un culo di latta!”
“Sta’ zitta!” sbuffò ridendo e cercando di spingerla via. “Rifiuterei chiunque, non è perché è un paladino… è che non voglio sposarmi, lo sai!”
Kethra si fermò, scivolando stesa accanto all’altra. Le posò una testa sulla spalla, soffiando per spostarle una ciocca di capelli. Dora le piazzò una mano sulla bocca. “Lo so…” bofonchiò contro il palmo. “…sei sposata a Lathander. In effetti è difficile reggere il paragone con il nostro dio figone.”
Dora alzò gli occhi al cielo e tolse la mano. “Non è questo. È che se voglio fare la differenza, aiutare la gente di questa città e servire Lathander con tutta me stessa… non posso legarmi ad una persona sola.”
Kethra sorrise. Era per questo che si era innamorata di lei. Perché ardeva di desiderio di cambiare il mondo. Potevano essere diverse per tante cose ma su quello erano anime gemelle.
“Guarda che se ti sposi potresti comunque continuare a servire il Tempio,” le fece notare. “Nessuno ti chiederebbe di rinunciare ad essere una chierica.”
Dora scosse la testa. “Mi conosco, se mi sposassi… finirei per dedicare tutte le mie energie al mio sposo, come facevo quando dovevo badare a Rupert. Non posso permettermelo… non quando ho lavorato tanto per arrivare fin qua.”
Kethra annuì.
Ecco perché, caro il mio Jerry, né io né te abbiamo mezza possibilità.
“Allora digli questo. Vedrai che capirà.”
“E se mi odiasse? Mi piace allenarmi con lui. Non voglio perdere la sua amicizia.”
Dora si voltò verso di lei, fissandola con quei suoi grandi occhi color nocciola: erano banalotti, ma le ricordavano le foglie d’autunno, le castagne e un sacco di cose buone, e calde.
Dora non era l’unica ragazza al mondo, né la più bella e Kethra era consapevole del suo aspetto… piaceva e avrebbe potuto facilmente avere altre persone. Forse innamorarsene. Forse dimenticarla.
Ma un gatto randagio rimane un gatto randagio. E sceglie solo una persona. La sua.
“Non ti odierà. Magari ti terrà il muso per un po’, ma sono sicura che rimarrete amici.”
“Lo pensi davvero?”
“Lo so. Fidati,” mormorò. “Rimarrete amici…”
Dora le sorrise. “Grazie. Anche per essere venuta a controllare dov’ero finita.”
Kethra sentì il cuore dolere. Era una sensazione strana, perché non era fisica era più… dentro. Inspirò, alzandosi in piedi di scatto. “E come faccio senza la mia noiosona preferita? Mi annoio!”
“Non ha molto senso quello che hai detto…”
“Dettagli!” le tese la mano e l’altra la prese. “Su, che sto bollendo viva qua dentro, andiamo a picchiare un po’ di Paladini!”
“Più che picchiarli, le prendiamo…” le fece notare Dora alzandosi. Poi le passò un braccio attorno alle spalle e le posò il mento sulla testa, un gesto tutto suo per dimostrare affetto. “E a questo proposito, stavolta cerca di non sgusciare via come un'anguilla quando ti attaccano. Lasci sempre la guardia aperta e poi mi tocca difenderti.”
“Solo se posso blastarli con la magia.”
“Non sono queste le regole!”
Fuori il sole splendeva glorioso preannunciando un'estate torrida.
Però forse andava bene. Forse, finché Dora fosse rimasta dell’idea di non sposarsi, e lei avrebbe fatto lo stesso, avrebbe funzionato.
Kethra si asciugò il sudore dalla fronte.
Forse.

   
 
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