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Autore: Ahiryn    14/02/2022    5 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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VI


Accademia




 

893 p.U.
 


Kieran non aveva il coraggio di uscire allo scoperto.
Era rintanato dentro un albero cavo e aveva paura anche solo di respirare troppo rumorosamente. I suoi occhi si erano abituati all’oscurità, ma a tratti la vista si sfocava. Era madido di sudore, il cuore gli batteva all’impazzata e sentiva un dolore pulsante e feroce diffondersi dal braccio. Aveva un gran bisogno di svuotare la vescica e i crampi insopportabili gli attanagliavano lo stomaco.
Non sarebbe uscito da quel tronco. Doveva rimanere nascosto fino all’arrivo dei guerrieri di Ferro. Che fossero giorni o settimane, non doveva uscire.
Lo avrebbero trucidato, lo avrebbero fatto a pezzi.
Singhiozzò, rannicchiato dentro l’albero, la ferita sul braccio non la smetteva di sanguinare e il dolore gli annebbiava la testa.
Si asciugò il viso bagnato da lacrime e sangue, e tentò di controllare la ferita. La fata lo aveva pugnalato nel braccio e il dolore che aveva provato era indescrivibile. Osservò il buco nella manica con occhi preoccupati. Le vene del braccio erano di un viola acceso, le più vicine allo squarcio si stavano tingendo di nero.
Veleno? O magia? Forse una combinazione di entrambi, non era abbastanza esperto da distinguerle, né da saper intervenire.
Se non esco da qui morirò comunque.
Passò le mani fra i capelli sudaticci e unti, al che cercò di convincersi a lasciare quel nascondiglio.
Gli altri cadetti avevano bisogno di lui. Quella bambina era stata portata via. Silas era solo nel bosco.
Cos’era che diceva sempre sua madre?
Un passo dopo l’altro.
Non doveva farsi sopraffare.
Iniziò a stilare una lista di priorità per ritrovare un po’ di calma e autocontrollo.
Doveva trovare Silas. Insieme avrebbero potuto elaborare un piano. Quella era la priorità e l’elemento che aumentava le speranze di sopravvivenza.
Le mani gli tremavano ancora, ma si sentiva più calmo.
Strisciò fuori dal tronco con cautela dopo essere rimasto in ascolto per qualche minuto.
La luce del sole veniva tamponata dai rami intrecciati degli alberi e dalle grosse fogli cuoriformi.
Poggiò una mano sul tronco per sorreggersi e come prima cosa liberò la vescica per evitare spiacevoli incidenti in caso di scontro. Per lo stomaco non poteva fare granché al momento, era meglio non vomitare, aveva perso già sangue e liquidi, sarebbe rimasto senza forze.
Come avrebbe rintracciato Silas?
Non c’era modo lì dentro.
Poteva solo sperare che Silas conoscesse una magia per trovarlo. Doveva aspettare che questo si verificasse. Fino a quel momento avrebbe potuto cercare gli altri cadetti e studiare il territorio.
Controllò i proiettili e la condizione dei suoi abiti. Poggiò lo zaino a terra. Estrasse alcune bende e avvolse la ferita al braccio. Quando strinse il nodo lasciò uscire una bestemmia per cui sua madre lo avrebbe ammonito. Rimase indeciso se togliere le placche metalliche dell’armatura, ma alla fine decise di tenerle.
Fai un bel respiro.
Il bosco era scuro e molto diverso da come lo immaginava. Imponente, aggrovigliato, dispersivo. Per qualche strano motivo, era molto più vasto di come appariva da fuori. Gli alberi erano enormi e altissimi, l'occhio vagava a lungo prima di perdersi fra i muri di rami in alto. Un sali e scendi di grosse radici fra il terreno discontinuo e collinare rendeva faticoso e difficile proseguire. Le fronde si presentavano impenetrabili, se non per sporadiche chiazze di luce solare che bucavano il tetto foglifero. Il terreno fangoso scompariva fra i cespugli, le erbacce e gli aghi d’istrice. Si chinò a raccoglierne uno e si guardò attorno. Non sentiva rumori di animali intorno a sé, neanche un cinguettio. Alzò il viso, preoccupato.
Le fate convivevano pacificamente con la fauna, erano persino protettive e potevano diventare molto ostili con i cacciatori. Si accompagnavano a cervi, lupi, falchi, non nuocevano agli animali. Perché allora regnava quel silenzio? Dov’erano tutti gli animali?
Iniziò a camminare, senza smettere di guardarsi le spalle. Non sapeva orientarsi granché in un bosco, conosceva soltanto qualche nozione base. Aveva con sé una bussola e sapeva che il cuore della corte doveva trovarsi più a est, ma a parte quell’indicazione non aveva idea di dove dirigersi.
Vagò per quelle che gli sembrarono ore, il senso del tempo sembrava confondersi dietro i suoi occhi stanchi. Il volto gocciolava sudore a ogni passo e sentiva di avere la febbre. Il braccio aveva cominciato a intorpidirsi e avvertiva un formicolio sempre più esteso.
Doveva stare attento, doveva tenere d’occhio le fronde e controllare che nessuna fata lo vedesse.
Silas si stava dirigendo verso la corte? No… forse era uscito dal bosco, era tornato al villaggio. Ma il torrente non era sicuro e il confine era sorvegliato, per questo li avevano scoperti.
Rallentò, incerto. Dove credeva di andare? Aveva perso il senno?
Halldora avrebbe proseguito.
Ma lui non era come lei. E non lo sarebbe mai stato.
Udì un urlo distante nel cuore del bosco, ma non capì da dove venisse. Accelerò il passo, incalzato da una sensazione che non sapeva spiegare. La ferita si stava espandendo e aveva iniziato a gocciolare un sangue nerastro e fetido.
Avevano studiato i diversi tipi di magia conosciuti finora e quella... quella aveva tutta l’aria di essere necromagia. Nessun medicinale avrebbe potuto guarirlo, nessun bendaggio o iniezione. Neanche i più abili chirurghi dell’Ospedale di Vanheim sarebbero riusciti a salvarlo senza la magia. L’unico modo era amputare, ma l’infezione sembrava troppo in là per quello.
Chissà se avrebbero ritrovato il suo corpo alla fine di tutto quello.
 
 

Forse passò un’ora o forse due giorni. Impiegò tutte le sue energie per muoversi e riprendere a camminare.
Stava per morire.
Non poteva salvarsi in alcun modo.
Prendere atto di ciò aveva avuto un impatto violento nella sua mente. Il suo corpo aveva smesso di muoversi, come se non lo trovasse rilevante o prioritario, mentre i suoi pensieri si erano spenti come il motore di una vaporetta.
Dopo aver singhiozzato in ginocchio come un moccioso e aver sbattuto i pugni a terra e chiamato sua madre in cerca di aiuto, si era però rialzato. Non aveva più lacrime ed era esausto e spezzato.
Forse una fata come Zario potrebbe guarirmi con la magia.
Cercò una via d’uscita, un modo, finché non abbandonò quei pensieri pieni di terrore.
Doveva preoccuparsi di ciò che poteva ancora controllare.
Forse era spacciato o forse no. Di certo gli rimaneva ancora la possibilità di scegliere come morire. E non voleva morire singhiozzando lì per terra.
Non sapeva quanto tempo avesse prima che l’infezione compromettesse del tutto il suo corpo, perciò accelerò il passo.
Incontrò una sola fata nel percorso verso est e si nascose, silenzioso, mentre questa pattugliava il bosco volando a gran velocità. Sembrava diretta verso ovest, forse si dirigeva al torrente.
Intraprese il sentiero accidentato da cui era giunta la fata e faticò per non cadere dalla stanchezza.
Attraversò un piccolo laghetto nascosto dalle fronde di un salice piangente. Lì intorno alcune pietre erano state incise da linee geometriche, i massi semisommersi mostravano i volti stilizzati e scolpiti di alcuni animali, come gufi e lupi.
Scostò il fogliame rigoglioso che s’immergeva nelle acque verdi e superò la radura.
Il sole gli ferì gli occhi e l’aria cambiò violentemente, come se fosse uscito da una cantina buia e umida.
Kieran non riusciva a spiegarsi ciò che vedeva e sentiva; udiva risate cristalline, note di un’ocarina armoniosa, cinguettii dolci e melodiosi, e il profumo di limoni maturi, di fiori e zucchero caramellato, e poi ancora lavanda e anice dolciastro. Il bosco era fitto e ombroso fino a poco prima, ma ora la luce filtrava dai raggi calorosa e creava giochi di luce, le foglie verdi brillavano e la clorofilla scorreva quasi luccicante nelle venature, come nettare divino. Grossi e spropositati funghi raccoglievano l'acqua piovana e offrivano un piacevole riparo alle piccole creature luminose che svolazzavano ridenti.
Le voci giocose lo invogliavano ad avvicinarsi, toni caldi e bassi come quelli di un amante.
Tentò di fare un passo avanti, ma un ammonimento lo fermò.
Non fidarti del bosco.
Silas aveva gridato qualcosa del genere prima di correre.
Gli sembrò di udire anche la sua risata fra quelle fronde invitanti. Forse aveva trovato gli altri cadetti, forse aveva già risolto la situazione.
Una mano ferma lo bloccò per il polso prima che potesse avanzare. Si voltò e incontrò gli occhi tesi di Silas. La luce del sole illuminava le iridi viola e la pelle lucente.  Con un gesto lento e misurato, Vaukhram si portò l’indice di fronte al viso e gli intimò di non parlare.
– Indietreggiamo, cerchiamo un rifugio – sussurrò.
Kieran distolse dolorosamente gli occhi dall’ambiente circostante. – Sono illusioni? – boccheggiò.
Ogni respiro era così dolce, aveva l’acquolina in bocca e un senso devastante di nostalgia, nostalgia per ricordi mai avuti ed emozioni mai provate.
‒ Non del tutto, le corti sono intrise di magia e crescono influenzate da essa. Gli odori che senti sono il risultato di una magia che ha modificato piante, terriccio e fiori permanentemente qui. Ci sono vegetali unici, non seguono le regole della natura a noi conosciute, come neanche gli animali. Quindi dobbiamo fare estrema attenzione.
Kieran indietreggiò, ma i suoi occhi sondarono la natura rigogliosa di fronte a lui, l’acqua cristallina e i suoni armoniosi.
A poco a poco la luce si espanse come colore su una tela; fu come notare il volto di un conoscente fra la folla, qualcosa che a primo acchito aveva sorvolato con lo sguardo. Soltanto che era impossibile non accorgersene.
Trattenne i conati e Silas lo tirò indietro lentamente. Kieran incespicò, il fiato bloccato in gola.
I corpi degli abitanti del villaggio si stagliavano di fronte a loro, almeno una ventina, trafitti da grossi rami. Il legno li aveva trapassati con precisione, elevandoli in alto e tenendoli sopra le loro teste. I rovi delle fronde si erano amalgamati ai loro corpi e alcuni fiori crescevano dai loro occhi e dalle loro labbra.
Fra di loro c’era anche il corpo di uno dei cadetti e a giudicare dagli spasmi del suo corpo non era ancora morto.
‒ Dobbiamo aiutarlo ‒ rantolò.
Silas contrasse il viso. ‒ Non possiamo fare nulla per lui, i fiori crescono dentro di lui, i suoi organi sono già collassati. Purtroppo è caduto nella trappola. Non è più cosciente ed è immerso in un’illusione. Non morirà soffrendo.
Kieran si sorresse al tronco del salice, febbricitante. ‒ Tutto questo non può essere reale, questo orrore è solo un incubo, un terribile incubo.
Silas lo guardò preoccupato. ‒ Stai bene?
Gli uscì una risata disperata e scosse la testa. ‒ No, affatto.
‒ Ho trovato un rifugio, una piccola caverna. Nascondiamoci lì per ora.
 
 
 
 
Per entrare nella grotta furono costretti a strisciare dentro la tana di un animale non identificato, poi le pareti di roccia si allargarono fino a creare uno spazio più ampio che proseguiva in profondità. Si sentiva il gorgogliare dell’acqua e a giudicare dalla presenza di stalagmiti doveva essere una caverna scavata dal torrente.
Kieran si accasciò a sedere, scosso dai brividi. Silas si spazzolò via il fango dalla divisa e guardò il tunnel da dove erano strisciati. Estrasse un gessetto bianco dalla tasca e si posizionò di fronte all’entrata.
‒ Credi ci stiano cercando? ‒ ansimò Kieran.
Silas stava disegnando alcune rune sull’ingresso, ma sembrava incerto. – Naturalmente, ma forse daranno prima la caccia agli altri.
Questo non lo faceva di certo sentire meglio. Aveva sfilato l’armatura e aveva rimboccato la manica larga della blusa spiegazzata, aveva grosse chiazze di sudore sulla schiena, sotto le ascelle e intorno al collo, i ciuffi di capelli sulla nuca erano umidicci, correre in armatura era veramente sfiancante.
‒ Rune magiche?
Silas mostrò tutta la sua incertezza. – Dovrebbero invogliare a non cercare nella grotta, ma non so quanto possano essere efficaci contro una fata come quella. 
‒ Sai già fare rune così articolate – constatò, sorridendo.
Si batté le mani sporche di gesso e ripose i gessetti. – Studio magia da sempre e sono portato, ma è una disciplina che richiede la mente sgombra e lucida, non si sposa bene con situazioni frenetiche. Ho cercato di trovarti con un trucchetto, ma continuavo a perderti. Poi ha funzionato.
‒ A me sembra che te la sia cavata.
Poggiò la testa indietro contro la roccia, gli occhi gli si incrociarono per un attimo. Silas assottigliò lo sguardo nel buio e si avvicinò.
‒ Cos’è quest’odore…
‒ Credo sia la mia carne, che marcisce.
Di fronte al viso gli danzavano ancora gli schizzi di sangue del maestro. Ricominciò a tremare.
‒ Non credo mi resti molto tempo.
Chiuse gli occhi. Sentì il calore di una fiamma accanto a lui. Quando li riaprì Silas gli era di fronte. Lo guardava, pallido. Prese il braccio con delicatezza e scostò la benda insanguinata. Lasciò uscire un’imprecazione. – Perché non me lo hai detto subito?
‒ Perché… non avrebbe fatto… alcuna differenza ‒ rispose affannosamente.
La testa iniziò a ciondolargli e gli occhi a chiudersi. Silas lo schiaffeggiò senza scrupoli.
‒ Devi rimanere cosciente. Non ne usciamo vivi altrimenti.
Sempre quell’aria pragmatica. – Io non ne esco vivo, ma tu puoi farcela.
Gli prese il braccio con più forza, i denti serrati per la tensione. – L’arma era intrisa di necromagia, ma il ferro nel tuo sangue ha rallentato molto l’infezione. C’è ancora tempo.
Tolse del tutto il bendaggio rudimentale. Kieran contrasse il viso dal dolore. ‒ Che differenza vuoi che faccia? I rinforzi non arriveranno mai in tempo.
‒ Non hai bisogno di loro ‒ lo contraddisse Silas, concentrato. ‒ Ora stai fermo. Devo concentrarmi.
Qualcosa cadde a terra e Kieran ebbe a malapena la forza di osservare. Vide un paio di piccoli vermi bianchi, alzò gli occhi e notò che altri ne uscivano dalla ferita.
Si ritirò indietro, scioccato, ma Silas cercò di tenerlo fermo con vigore. – La loro magia marcente è sempre… affascinante. I maghi umani non sanno usare la necromagia come loro ‒ commentò con una punta di ammirazione. ‒ Provo ad annullarla, ma non posso assicurarti che funzionerà.
‒ Annullarla?
Prese un pugnale dalla cintura e si passò la lama sulla mano non dominante, aprendo un taglio non troppo profondo. Kieran cercò di fermarlo, ma quello gli lanciò un’occhiataccia.
Poggiò il palmo aperto sulla ferita e iniziò a intonare una lieve melodia, aveva il suono del carillon che teneva in camera, note malinconiche. Le vene del suo corpo brillarono di un colore violaceo e la pelle perse un po’ di colore, i suoi tratti fatati divennero più marcati e il suo aspetto assunse un che di alieno e inumano.
Kieran avvertì un dolore insopportabile invaderlo e lasciò uscire un verso strozzato. Silas tolse le mani di scatto, spaventato.
‒ Scusa ‒ mormorò. ‒ Guarire è la magia più difficile. Io… l’ho fatto pochissime volte.
Si sentiva più stanco di prima. ‒ Stai tranquillo.
‒ No! ‒ rispose. ‒ Lasciami riprovare.
Kieran scrollò le spalle. Non aveva granché da perdere d’altronde.
Silas tentò ancora, i suoi lineamenti si assottigliarono, le iridi emanarono un luccichio spettrale e il suo sangue iniziò a gocciolare veloce.
La ferita smise di marcire, si rimarginò molto poco, mettendo su una crosta scura e minacciosa. I vermi si dissolsero e il nero si ritrasse dalle sue vene, succhiato indietro dalla magia di Silas.
Tolse il palmo con un gesto esausto e iniziò a rabbrividire. – Non ci credo che ci sono riuscito. Per Titania. La magia dei purosangue è spaventosa – mormorò rauco, senza fiato.
Ricadde indietro con un sospiro esausto e iniziò a fasciarsi il palmo. Il sudore per lo sforzo gli aveva appiccicato i capelli al volto. Tossì più volte e portò le dita alla tempia con una smorfia.
Kieran si guardò il braccio, sconvolto. Il dolore era ancora presente, ma molto più sopportabile; la febbre era scesa e riusciva a muovere la spalla.
 Alzò gli occhi su Silas, senza parole. – Tu… mi hai appena salvato la vita – balbettò.
‒ L’ho sempre detto che sei un tipo acuto ‒ ribatté con un’alzata d’occhi.
Kieran si passò le mani sugli occhi. ‒ Credevo di essere spacciato, credevo che non avrei più rivisto la mia famiglia ‒ e la voce s’incrinò fino a sparire.
Rimase per qualche secondo con i pugni premuti contro gli occhi. Si asciugò le lacrime, imbarazzato. ‒ Scusa, tutto questo mi ha… ora mi do un contegno.
Silas inclinò la testa, studiandolo. ‒ Le emozioni non sono qualcosa che mi turba, Kieran. Le hanno tutti.
‒ Non è appropriato che un soldato pianga ‒ ribatté, ostinato.
Cercò di dirlo con forza, ma aveva ancora la voce arrochita dal pianto. All’improvviso si vergognava parecchio del suo crollo.
Silas aveva smesso di guardarlo. ‒ In ogni caso non è ancora detto che rivedrai la tua famiglia. Prima dobbiamo uscirne vivi.
Aprì i primi bottoni della blusa per respirare meglio e si tirò i capelli indietro. Kieran lo osservava, travolto dal senso di gratitudine e sollievo. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che la sua vita avesse incrociato qualcuno come Silas. Qualcuno che gli guardava le spalle, che lottava per lui, che sfidava i superiori, le gerarchie e persino le fate più feroci per lui. Qualcuno di così coraggioso. C’erano state persone che lo avevano amato profondamente, ma nessuna di loro purtroppo era mai stata abbastanza forte da proteggerlo a sufficienza, come sua madre, che era la persona più forte che conoscesse. Si era dovuto arrangiare da solo per gran parte del tempo, ma con Silas sentiva di potersi lasciare andare.
Perché io?
Perché uno come lui lottava e proteggeva uno come Kieran?
In realtà non gli importava la risposta. Voleva solo fare lo stesso, voleva solo proteggerlo, aiutarlo e lottare con lui.
Mentre lo pensava guardò l’apertura della blusa e il profilo del suo viso, i graffi che aveva sulla guancia e l’ematoma del pugno del capitano. La pelle d’ebano era fredda e lucida come una pietra levigata, l’incavo del collo mostrava una curva morbida e delicata, malgrado le vene tese.
A volte si ritrovava a pensare a quanto quella pelle gli facesse uno strano effetto, come un cibo invitante. Si raccontava che fosse normale guardare Silas a quel modo, perché era il perfetto esempio di tutti i loro migliori canoni estetici, era armonioso, aggraziato, affilato e morbido allo stesso tempo, col naso appena appuntito, occhi allungati e stretti, tratti alieni, distanti. Aveva alcune cicatrici più chiare e a guardarlo da vicino presentava altre imperfezioni, come piccoli sfoghi sulle guance, alcuni denti lievemente storti, ma Kieran non riusciva a smettere di osservarlo, a volte pensava di esserne assuefatto e si chiedeva se fosse come guardare un bel dipinto o una statua realistica e ben fatta. Si diceva che fosse normale guardare così a lungo qualcosa o qualcuno di bello, che chiunque fosse dotato di un paio di occhi funzionanti avrebbe passato minuti interi a esaminare di sottecchi l’aspetto di Silas.
In quel momento però non sentì nulla di normale nel proprio sguardo; non erano i soliti tratti a calamitare i suoi occhi, ma tutti quei dettagli che gli erano diventati familiari. Le sopracciglia aggrottate, i piccoli nodi fra i capelli, gli orecchini che Silas metteva in ogni occasione, il modo in cui portava l’unghia del pollice fra le labbra quando era pensieroso, le dita che ticchettavano la propria gamba, nervose.
Era già sudato di suo, ma per qualche motivo iniziò ad avere ancora più caldo vedendo Silas aprire la blusa sul petto. Il cuore ebbe un sussulto inaspettato e Kieran si ritrovò confuso e agitato senza motivo apparente. Osservò ancora il pollice fra le labbra di Silas e represse il folle istinto di toccare quelle labbra con le proprie dita.
‒ Ti senti ancora male? Ci metterà un po’ a fare del tutto effetto la mia magia.
Silas si accorse del suo sguardo e inclinò il capo, studiando il suo viso per scovare segni di dolore.
Kieran avvertì il volto andargli a fuoco e uno strano panico invaderlo. Distolse lo sguardo.
‒ No, sto molto meglio.
‒ Ah sì? Sei rosso, forse è uno sfogo.
Scosse la testa con forza. ‒ Sto benissimo.
Silas sogghignò e aprì un po’ di più la blusa. ‒ Non starai facendo pensieri inappropriati su di me, cadetto.
L’accusa lo mandò talmente tanto nel pallone che reagì con un’indignazione pari a quella di un re. ‒ Ti arriva poca aria al cervello quando usi la magia? Dici le cose più stupide!
L’altro ridacchiò appena in modo nervoso. ‒ Stavo solo scherzando, sei sempre troppo rigido, Reed.
Bofonchiò qualcosa, ma gli veniva da ridere. Era ancora vivo, poteva sentire paura, imbarazzo, contentezza. Poteva ancora sentire qualcosa, per quanto fragile.
-Silas… grazie, per avermi salvato ‒ sussurrò, tenendosi il braccio. ‒ Io non lo dimenticherò mai.
L’altro agitò la mano, imbarazzato. ‒ Di niente, e poi hai cominciato tu quando hai deciso di caricare quella fata come una vaporetta impazzita. Ora però devo riposare. Oggi ho usato troppa magia, non so quando mi riprenderò. Non so se ci troveranno – la sua voce suonava angosciata. ‒ Anche tu devi riposare, hai perso sangue e il ferro in te ha faticato per contrastare l’infezione magica. Riprendiamo le forze, poi decideremo che cosa fare.
 
 

Quando Kieran tornò cosciente, era scesa la sera. Non c’era luce nella caverna, ma era scomparso anche il piccolo spiraglio di sole che sbucava dal tunnel. L’umidità di quel posto non era stata clemente col suo corpo.
Guardò la ferita e notò con piacere che si era molto ridotta. Spostò gli occhi sul corpo di Silas addormentato e sorrise.
Credono tutti che sia un talento, ma non hanno idea di quanto lo sia davvero.
Tirò fuori dallo zaino una mela che aveva portato dal treno e iniziò a tagliarla a spicchi. Scosse Silas per svegliarlo, ma non ottenne risposta. Si sporse e notò che aveva il respiro flebile.
‒ Silas?
Questo aprì debolmente gli occhi e venne scosso da un brivido. Si tirò a sedere con flemma e poggiò la schiena contro la roccia. Appariva pallido e debole.
‒ Stai bene?
Annuì e deglutì. ‒ Neutralizzare la necromagia è stato… molto più faticoso di quanto pensassi. Il mio corpo è pesante, non so neanche se riuscirei a correre in questo stato.
Kieran gli allungò uno spicchio di mela. ‒ Intanto devi mangiare.
Silas osservò lo spicchio. ‒ E la buccia?
Sbatté le palpebre. ‒ Dici sul serio? Non mangi carne e lasci le bucce della mela?
Voltò lo sguardo, punto sul viso. ‒ Non mi piace la buccia.
Con un sospiro iniziò a sbucciare alcuni spicchi. ‒ Come sua maestà desidera. Certe volte dimentico che sei un bel viziatello.
‒ Sono selettivo, è ben diverso.
Li prese e li addentò, socchiudendo gli occhi. Mangiarono in silenzio la mela, ognuno perso nei propri pensieri.
Kieran aveva ritrovato un briciolo di calma, ma Silas invece appariva provato. Aveva un aspetto stanco e malaticcio, i suoi occhi erano turbati e spaventati. La magia usata lo aveva in qualche modo… consumato. Non sapeva bene spiegarsi il motivo, ma qualcosa in lui era spento ed emaciato.
‒ Come ti senti?
Silas si passò una mano fra i capelli e una ciocca venne via. ‒ Male.
‒ Cosa ti succede?
Deglutì e si leccò le labbra secche. ‒ Io canalizzo il mio stesso corpo per lanciare magie. Non è diverso dal sollevare pesi usando la propria forza. Il mio corpo ha un limite, che posso estendere allenandomi ogni giorno. Se provi a sollevare un peso troppo eccessivo per il tuo corpo, rischi di spezzarti qualche osso, di farti venire un’ernia e di rimanere senza forze e coi dolori per diverse ore. Per me è più meno la stessa cosa. Ho sforzato troppo il mio corpo, ho superato il limite e mi sento come se non mangiassi da giorni.
‒ Se recuperassimo un… pezzo delle fate nemiche per lanciare magie, sarebbe la stessa cosa?
Inclinò la testa con aria stanca. ‒ Non proprio, faticherei sicuramente meno, ma anche se usiamo il corpo di altre fate per canalizzare la nostra magia, attingiamo sempre almeno in parte alla nostra energia vitale.
Kieran si affannò per tirare fuori qualche altra provvista. Non era un medico, ma sapeva per certo che a stomaco vuoto era difficile ritrovare le forze.
‒ Ne usciremo vivi.
Era consapevole che dirlo non lo avrebbe reso reale, ma vedere Silas così sconfitto e turbato lo scoraggiava. Aveva bisogno di instillare speranza, quanto bastava per non farsi distruggere dalla paura.
Silas sollevò piano gli occhi su di lui. ‒ Non dire cose che non pensi.
‒ Io non ‒.
‒ Sei l’unica persona onesta in quest’Accademia, non iniziare a mentire adesso.
Quella considerazione gli strappò una risata nervosa. Tremava ancora nella sua divisa, non aveva idea di come sarebbero sopravvissuti a tutto quello. Avrebbe rivisto sua madre? Henry? Il rettore?
E Magda, Dalia.
Prese un po’ di carne essiccata dalle provviste, ricordandosi stupidamente che Silas non la avrebbe mangiata. Ne mangiucchiò un pezzo.
‒ Credevo sarebbe durato ancora un po’ ‒ mormorò, la voce roca dal dispiacere.
‒ Cosa?
‒ Questo sogno ‒ rispose amaro. ‒ L’Accademia.
Silas era intento a mordicchiarsi un’unghia con gli occhi piantati verso il basso, ma alzò di poco la testa a quelle parole. ‒ Sogno? Strana scelta di parole. Non hai mai raccontato a nessuno come tu sia riuscito a entrare. Visto che non menti mai. Preferisci aggirare certe domande.
Kieran cercava di tenere le mani occupate spezzettando la carne.
Non sopportava quelle parole. Non sopportava che Silas avesse quest’idea falsata di lui, manipolata. Non voleva andarsene fra altre bugie, non voleva che la sua vita si concludesse nella menzogna.
‒ Sono molto bravo a mentire invece o a omettere ‒ commentò con voce esile. ‒ Ne è la prova che ho convinto persino uno come te. Sono sempre stato un gran bugiardo.
Silas sbatté le palpebre, curioso. Non sembrava credergli, ma decise di incoraggiarlo. ‒ Ah sì? E perché?
‒ Per mio padre.
‒ Credevo che non avessi un padre.
Kieran abbozzò un sorriso. ‒ Ho un uomo che mi ha concepito e che abita nella mia stessa casa, ma non è un padre.
Vide lo sguardo di Silas realizzare e si grattò la nuca. ‒ Non è un buon padre ‒ constatò, come se fosse qualcosa che conosceva personalmente.
‒ La mia famiglia ha antenati fatati ‒ rispose Kieran con tono calmo. ‒ Sai che è comune alla maggior parte di persone ormai, avere almeno un lontano antenato di origine fatata.
Lo vide annuire. Era difficile trovare umani che non avessero neanche un briciolo di sangue fatato, ma era ininfluente. Soltanto i diretti figli di fate purosangue presentavano un valore; avere un bisnonno o un trisavolo fatato non arricchiva in alcun modo una famiglia. Forse si ereditava una predisposizione lieve alla magia, ma il sangue umano annacquava del tutto quello fatato.
‒ Almeno è quello che raccontava mia nonna, ma noi sappiamo che è la verità. Né io né lei né mio padre abbiamo ereditato niente di utile dai lontani antenati fatati, non abbiamo la loro bellezza o la loro grazia né tanto meno il talento con la magia. Il sangue umano nella nostra famiglia è sempre stato più forte. Se non per una sfortunata mutazione.
Silas appariva concentrato sulle sue parole. ‒ Una mutazione? ‒ domandò cauto.
‒ Si può chiamare anche così. Mio padre non può mentire.
‒ Cosa? Dici sul serio? ‒ balbettò, stupito. ‒ Non può mentire? Mai?
Kieran annuì. ‒ Mai. Come le fate purosangue. Tutto ciò che il sangue fatato ha tramandato a mio padre è questa maledizione.
Voleva fermarsi, ma sapeva di non poterlo fare. Aveva bisogno di spiegarsi, di dirlo a qualcuno. Di far capire che non era del tutto colpa sua.
Silas sembrava perso in qualche elucubrazione. ‒ Avevo sentito di casi simili, ma soltanto nei luoghi più prossimi alle Terre Spezzate dove la magia muta anche gli umani, i villaggi vicino alla Giungla, o quelli presso le Fosse degli Echi. È incredibile, neanche noi mezzosangue la maggior parte delle volte ereditiamo questo tratto fatato. Figuriamoci a distanza di generazioni.
La meraviglia nella sua voce strappò quasi un sorriso a Kieran. ‒ Già, siamo sempre stati portati ad avere sfortune uniche. Ad ogni modo mio padre non ha mai potuto mentire. Anche provandoci non ha mai potuto fingere di essere un genitore decente. I ricordi piacevoli che ho con lui si contano sulle dita di una mano, mentre ho centinaia di immagini del tubo arrugginito con cui amava picchiare me o mia madre.
Le ultime parole gli uscirono fuori piene di veleno e fu costretto a riprendere fiato. ‒ Sono sempre stato terrorizzato da lui. Anche nelle altre famiglie spesso era così, ma mio padre era considerato alla stregua di un appestato, era deriso da tutti. Ricordo le prese in giro degli altri bambini, mi facevano così vergognare di lui. Lui poi si sfogava su di noi. Rovinava ogni cosa, ogni festa, ogni evento con le sue scenate da ubriaco. Accusava mia madre di mentire, accusava tutti di mentire sempre, non come lui. Mia madre cuciva per guadagnare, sai quante volte le ha stracciato un corredo finito accusandola di chissà quale menzogna? Non lavorava e non guadagnava lui, ma si permetteva certe cose.
Silas ascoltava senza emettere un fiato, ma quando lo vide zittirsi cercò di farlo continuare. ‒ Accusava anche te di mentire?
Kieran era sopraffatto dal disgusto verso quell’uomo. Strinse le labbra e scosse la testa.
‒ No. Io avevo una fortuna: mio padre era convinto che avessi ereditato la sua stessa maledizione. Che non potessi mentire. E io glielo ho sempre fatto credere. Finché c’è stato con la testa almeno, negli ultimi anni non si alza neanche più dal letto per fortuna.
Silas allargò la bocca. ‒ Non posso crederci. Lo hai convinto di questo? E lui ti ha creduto?
‒ Credo che all’inizio fosse un modo di imitare mio padre, lui diceva sempre la verità in faccia agli altri senza curarsi di nulla e io quando ero ancora molto piccolo tendevo a imitarlo. Poi ho capito l’utilità di quella convinzione e l’ho usata a mio vantaggio.
‒ Davvero astuto. Eri un bambino e hai elaborato questo stratagemma da solo.
Kieran non sapeva come accogliere quel commento. ‒ Per anni ho dovuto interpretare una persona sincera e onesta, una persona che non sa mentire. Dovevo dire bugie credibili, a volte dovevo espormi, era una continua prova per non farmi scoprire da mio padre. Ci trovava gusto a farmi dire verità scomode, gli dava un senso di potere umiliarmi con la mia sincerità obbligata. Quando la facevo a letto, quando non capivo qualcosa o quando mi vergognavo. Ammettilo, dì a tua madre che ti sei pisciato sotto. Cose così.
Silas aveva gli occhi contratti. ‒ Non capirò mai come un genitore possa trattare così un figlio.
Kieran scrollò le spalle e continuò: ‒ se mentivo dovevo apparire il più sincero possibile. A volte mi aiutava mia madre, lei faceva ciò che poteva. Ci presi gusto dopo un po’, adoravo prenderlo per i fondelli, rigirarlo come volevo. Per questo mentire mi riesce così bene, spesso non riesco a evitarlo. Da quando sono in Accademia ho cercato di non farlo, di mentire il meno possibile, soprattutto a te. Se posso evitarlo, lo evito, ma a volte è difficile resistere. A volte vorrei mentire anche su scempiaggini, su discorsi di circostanza. Dire che ho letto quel libro anche se non è vero, che conosco una persona che non ho mai visto. Mentirei anche su questioni che non mi portano alcun beneficio, sull’orario in cui ho mangiato per esempio o sul giorno del mio compleanno. Non so perché lo faccio, non so come fermarmi. Lotto ogni giorno contro la tentazione di mentire, a volte sembra che io non riesca a evitarlo. Cerco di essere me stesso, di far capire agli altri chi sono veramente e di non dire sempre falsità, ma fallisco troppo spesso.
Non riusciva a smettere di parlare. Doveva fermarsi, prima di perdere ogni briciolo di rispetto da parte di Silas, prima di vedere nei suoi occhi la diffidenza. Non voleva rovinare l’immagine che Vauk aveva di lui, non voleva che potesse guardarlo in modo torvo o cauto.
Silas sospirò e gattonò fino a lui. Gli si sedette accanto, così da guardarlo meglio. Era fin troppo vicino e Kieran ritrasse appena il viso, imbarazzato. Sentiva il suo odore, misto a quello di sudore e sangue.
‒ Credo che tu ci riesca ogni giorno. Tutti mentiamo, Kieran, di continuo, non è qualcosa di così grave come pensi. Mi sembra che tu ti affligga troppo per qualcosa che è nella natura di ciascuno di noi.
‒ Nel mio caso è diverso ‒ replicò, agitato. ‒ Io non riesco a farne a meno.
Silas poggiò la guancia sulla mano. ‒ Hai un vizio.
‒ Un vizio?
Annuì. ‒ Io pure ne ho. L’importante è non farsi distruggere la vita e tenerli a bada. Sei davvero troppo duro con te stesso, forse perché tuo padre era ossessionato da questa faccenda dell’onestà…
‒ Lo era. Pensava che tutti lo prendessero costantemente in giro, e aveva ragione. Io però ero quello che lo faceva più di tutti.
‒ Se lo meritava di essere preso per i fondelli. Ma non è che tutto ciò che sei è una bugia. Riesci comunque a far emergere il vero te. Sei uno dei pochi in Accademia che non ha mai cercato di accattivarsi la mia compagnia, sei sempre stato te stesso con me. Che si trattava di spaccarmi il naso sul ring o insultarmi dopo. Hai tenuto testa a Siegan, avresti potuto mentire per salvarti, dirgli che avresti lasciato l’Accademia, ma non lo hai fatto. Non m’importa se dici che hai letto un libro che non hai letto, se provi a dirmi che non hai sporcato tu per terra in camera o se t’inventi di non avere un padre. Le fate mentono di continuo pur non potendolo fare, manipolano e rispondono in modo vago e ambiguo. Sono le tue azioni che ti definiscono e che fanno capire agli altri chi sei.
Kieran si toccò la ferita e affondò il viso nelle braccia incrociate. Gli sembrava che qualcuno lo stesse guarendo da un’altra infezione.
‒ Se lo dici tu ci credo ‒ sussurrò. ‒ Tu sei sempre te stesso, Silas. Non stai mai zitto, dici sempre quello che pensi, non hai paura di urlarlo in faccia ai superiori o persino al Gran Consigliere. Vai sempre per la tua strada e non t’importa del giudizio di nessuno.
‒ Di qualcuno m’importa ‒ rispose a voce bassa. ‒ Del tuo m’importa.
Distolse gli occhi e gli zigomi pallidi mostrarono un accenno di colore. Kieran gli diede una lieve spallata affettuosa e rise. Silas alzò gli occhi al cielo e tirò fuori il suo sorriso beffardo.
‒ Non hai risposto alla mia domanda però. Come sei entrato in Accademia. So che è per il rettore, ma come.
Kieran sbuffò, colto in flagrante. Guardò a terra. ‒ Ho derubato il rettore. Venne alla fabbrica dove lavoravo io, erano di proprietà della sua famiglia. Non sapevo chi fosse, ma aveva un orologio da taschino d’oro che gli sbucava dai pantaloni. Lo derubai, ma lui se ne accorse. Invece di punirmi però vide qualcosa in me a quanto pare. Dice sempre che se ne accorse per puro caso e che rubare un ufficiale del Ferro è un’impresa non da poco.
Silas stava ridendo di gusto e si teneva la pancia. ‒ Eri un ladruncolo?
‒ No! ‒ rispose frettoloso. ‒ Voglio dire, non sempre. A volte. Quando ne avevo davvero bisogno, non sono molto agile. Da quel giorno non ho più rubato niente.
Almeno quella parte poteva risparmiarsela. Silas però continuava a ridere.
‒ Anche perché in quel caso avresti avuto due vizi! Sei una sorpresa continua, Reed. Il rettore ha visto bene.
Kieran divenne timido all'improvviso. – Lui è come un padre per me. So che non dovrei dirlo, ma mi ha dato più lui in pochi anni che mio padre in una vita. Non riuscirò mai a sdebitarmi.
– Sì, sapevo che eri il suo cocco. Ma la storia del furto è fantastica. Che moccioso sfacciato che eri!
‒ Non capisco se è un complimento.
‒ Lo è, accettalo. 
 
 
 
 
‒ Sono solo congetture e lo sai.
Dopo essersi riposati per qualche ora, avevano deciso di uscire dal nascondiglio e cercare altri sopravvissuti. Si erano dati il tempo limite di mezza giornata, se non avessero incontrato nessuno, avrebbero cercato un modo per mettersi in salvo. Kieran era meno incline ad andare via, ma Silas era stato categorico. Non era in forma e voleva lasciare quel posto.
Mentre camminavano cauti per il bosco, avevano tentato di ricostruire alcuni scenari possibili, ma entrambi erano fin troppo stanchi per ragionare con la giusta acutezza.
La fata Visnia era una principessa fatata, figlia della Piangente, questo le aveva permesso di uccidere sua madre.
A giudicare dalle parole di Zario, c’era stato uno scontro fra i congiurati ‒ se così potevano essere chiamati ‒ e le milizie della Piangente. Questo voleva dire che la fazione vincitrice di Visnia non poteva esserne uscita senza perdite. Magari il motivo di un attacco così improvviso e feroce al torrente stava proprio lì; dovevano essere veloci ed efficienti a eliminare il Ferro, prima che questo si organizzasse e colpisse in un momento di vulnerabilità.
‒ Lo so, lo so ‒ replicò Kieran e scostò alcuni rami per chinarsi e avanzare. ‒ Ma è una possibilità concreta.
‒ Non se le forze di Visnia erano molto maggiori.
L’umidità della sera si era attaccata al viso come un lenzuolo bagnato. La notte si preparava a tramontare e presto i raggi dell’alba avrebbero sfiorato il bosco con delicatezza.
I versi degli animali continuavano a essere assenti, si udiva soltanto il bubolare di un gufo verso est, lì dove iniziava il territorio della corte.
Continuarono a camminare, stanchi, seguendo quelle che sembravano orme di stivali. Nessuno dei due era un gran seguitore di tracce, non si sentivano molto speranzosi di ritrovare gli altri.
‒ Kieran è inutile. Dobbiamo cercare di lasciare il bosco il prima possibile, gli altri avranno fatto lo stesso e ‒.
Kieran lo zittì con un gesto improvviso e scrutò le fronde. ‒ Lo hai sentito?
Anche Silas si mise in ascolto, silenzioso, e i suoi occhi si allargarono appena.
‒ Vi prego, vi prego…
Una voce familiare arrivò ovattata dall’alto, oltre la parete scoscesa della collina boscosa. Iniziarono a risalirla tenendosi ai rami e alle radici che sbucavano del terreno, facendo attenzione a non scivolare sul muschio umido e a non fare troppo rumore.
Arrivati in cima si acquattarono dietro un tronco spezzato e osservarono la scena che gli si parava davanti.
In ginocchio nel fango erano presenti tre cadetti: il primo era Thomas, col volto tumefatto e l’armatura scheggiata. Singhiozzava e chiedeva pietà. Gli altri due erano cadetti delle Accademie minori di cui non ricordava il nome. La ragazza aveva il naso spaccato e la divisa imbrattata di fango, erba e sangue, guardava a terra senza parlare. Il suo compagno muoveva nervosamente gli occhi, terrorizzato. La pelle acneica del viso era piena di sfoghi rossi e non smetteva di sussurrare qualcosa fra sé e sé.
I loro carcerieri erano due fate. Dal nascondiglio del tronco, Kieran ebbe finalmente la possibilità di studiarle con calma. Erano così aliene rispetto a lui, avevano una forma umanoide slanciata e aggraziata, una pelle lucida e compatta, due occhi sopra il naso, un paio di labbra, mani e piedi, sì, gli arti erano tutti nei punti giusti, ma nessuno avrebbe mai potuto definirli umani. Le gambe erano secche e ben più lunghe di un corpo umano, il busto e il bacino erano così stretti che avrebbe potuto avvolgerli con le mani. Le vene si srotolavano lungo il corpo in rilievo come venature di una foglia o radici nel terreno. Le loro armature non erano strumenti rudimentali o arrabattati, erano di ottima fattura, in legno e in osso, perfettamente levigate e dipinte. Apparivano leggere e dinamiche, non pesanti e fastidiose come le loro.
La più alta delle due fate aveva un’ala strappata e un braccio ferito, parlava al suo simile in una lingua musicale e ferina. Il compagno anche non era in ottime condizioni, aveva una fasciatura intorno all’occhio e la sua lancia era spezzata.
‒ Guarda ‒ mormorò Silas, stupito.
Ferito e legato da fil di ferro stava Zario. La fata guardiana appariva incosciente fra la stretta spietata del metallo. Kieran riconobbe il rotolo di ferro che ciascuno di loro teneva nello zaino. Le fate dovevano averlo preso dai cadetti per impedire a Zario di ribellarsi.
Astuto.
A volte dimenticava che il nemico non era una bestia ferale e instupidita, ma un essere pensante e intelligente che poteva ricorrere ai loro stessi stratagemmi.
Erano solo due, ma avevano i tre cadetti in pugno. L’alba illuminava il gruppetto con oziosa energia, ma non spingeva la sua luce fino al nascondiglio di Kieran e Silas.
Devo aiutarli.
Doveva intervenire al più presto, fare qualcosa. Li avrebbero uccisi a momenti. Non sembravano legati, ma erano tutti e tre provati ed esausti, feriti, disidratati e affamati forse. Se avesse distratto le fate uscendo allo scoperto, si sarebbero alzati e le avrebbero affrontate tutti insieme. Avevano soltanto bisogno di un diversivo per aggredirle.
Cercò di alzarsi, ma una mano gli premette la spalla e lo spinse giù. ‒ Datti una calmata.
Girò la testa verso Silas; le sue occhiaie si erano fatte più marcate, ma aveva ripreso un po’ di colore nelle ultime ore.
‒ Non possiamo lasciarli lì.
 ‒ Cos’hai intenzione di fare?
‒ Caricare le fate. Si distrarranno e Thomas e i due cadetti le aggrediranno da dietro.
Silas ascoltò assorto. ‒ Non funzionerà.
‒ Perché?
Guardò fra i buchi del tronco le figure. ‒ Thomas è uno smidollato, gli altri due sono feriti. Se distrai le fate, scapperanno e ti lasceranno morire.
‒ Questo non…
‒ Ascolta. Le milizie fatate non sono composte da quattro idioti raccattati da qualche anfratto umido del bosco. Parliamo di guerrieri abili e attenti, guerrieri che hanno combattuto battaglie di ogni sorta. Le fate vivono molto più degli umani, ora come ora non puoi pensare di affrontare una fata esperta in uno scontro diretto. Da quanto tempo usi la spada? Sei mesi? Quelle lì vivono con la lancia in mano da decenni. Oltre al fatto che sapranno usare la magia. Il nostro unico vantaggio è questo ‒ e indicò la pistola, ‒ insieme al ferro.
Kieran rimase frustrato dalle sue parole, ma sapeva che aveva ragione. ‒ Che cosa suggerisci?
‒ Dobbiamo sparargli. Il problema è che da questa distanza schiveranno lo sparo, sono troppo agili.
‒ Forse uno di noi potrebbe distrarle mentre l’altro spara.
Silas rifletté e posò la propria sacca a terra. Estrasse la bottiglia di liquore che aveva portato dal treno e la guardò con amarezza.
Prese le garze di scorta e le infilò nella bottiglia, bagnandole con l’alcool. Infine tirò fuori un acciarino.
‒ Possiamo lanciarla contro le fate, l’esplosione le lascerà disorientate.
Kieran guardò la bottiglia e sorrise. ‒ Oh Silas, ti adoro.
Quello arrossì e abbassò gli occhi. ‒ Sì, beh, non ho mai fatto niente del genere, ho solo seguito alcune lezioni degli artificieri del secondo anno, ma non so se funzionerà.
‒ Se la lanciamo e non esplode? Avremo rovinato il nostro vantaggio.
‒ In quel caso dovrai sparare alla bottiglia. Sei un bravo tiratore, no?
Kieran esitò, poi annuì. ‒ Scoppierà un incendio.
‒ Le altre fate verranno qui a domarlo, noi ci saremo già allontanati. Però dobbiamo essere veloci, lancerò la bottiglia, dopo lo scoppio spara a tutte e due più veloce che puoi.
Si prepararono. La fata dall’ala spezzata afferrò Thomas per i capelli e ne studiò il volto, interessata. Gli raccolse una ciglia dal viso e la poggiò sulla propria lingua, curiosa.
Silas lanciò la bottiglia dopo averla accesa.
Si schiantò sul terreno pieno di foglie ed esplose in uno scoppio assordante, scagliando frammenti di vetro e fiamme. Le fate vennero colpite in pieno dai residui, rimasero disorientate e si tennero le orecchie a punta con le mani. Alcuni vetri colpirono anche Thomas e i cadetti che lanciarono un urlo spaventato.
Kieran sparò in testa alla prima senza esitare. Non credeva di riuscirci, non aveva mai sparato a un altro essere vivente, si era soltanto esercitato molto in Accademia. La fata cercò di scostarsi, ma il proiettile le forò la tempia. Si accasciò a terra, coperta dall’ala ferita.
Fece fuoco contro la seconda, ma questa si spostò con una velocità disumana. Si voltò verso Kieran, e tese la lancia contro di lui pronta a ucciderlo.
Prima che potesse fare altro, Thomas e gli altri due cadetti a sorpresa la afferrarono con violenza da dietro e la trascinarono a terra. La ragazza tirò fuori uno dei pioli metallici e glielo conficcò in gola con un colpo forte e assestato.
Il corpo della fata si contrasse e si dimenò per qualche secondo, poi cessò di muoversi.
Per una manciata di secondi il bosco si riempì dei loro ansimi e nessuno osò parlare. Alcune fiammelle crepitavano lì dove la bottiglia era esplosa e stavano lentamente attecchendo sulle sterpaglie umide.
Thomas e i due cadetti si voltarono a guardarli. Kieran aveva abbassato la pistola, si scostò le ciocche sudate dal viso e poggiò le mani sulle ginocchia. Il cuore gli batteva all’impazzata.
‒ State bene?
Thomas annuì e si asciugò gli occhi. ‒ Ci avete salvato la vita ‒ osservò, incredulo.
Aveva il volto sporco di fango e sangue, un occhio nero e gonfio che continuava a strofinare.
Guardò Kieran e Silas come se volesse dire qualcosa, ma fu interrotto.
‒ Dobbiamo allontanarci subito ‒ commentò la ragazza. ‒ Arriveranno.
Kieran si voltò verso Zario e notò che aveva gli occhi scarlatti aperti e puntati su di loro. Si inginocchiò, cauto e con movimenti lenti sciolse il fil di ferro per liberarlo.
La ragazza gli prese il braccio. ‒ Che diavolo fai?
‒ Non è ostile. È dalla nostra parte.
Jean. Sì, si chiamava così quella ragazza. Aveva il volto contratto, ma si limitò ad annuire e a farsi da parte.
Zario aprì le ali una volta libero e si passò le dita sulla spalla ossuta per sciogliere i muscoli. Fecero tutti un passo indietro, intimoriti da quella creatura. Seguivano i suoi movimenti con occhi attenti, ma Zario sembrava poco interessato a loro.
Si chinò a raccogliere una delle lance delle due fate morte. Voltò il corpo della prima e le diede una carezza. Mormorò qualcosa d’incomprensibile, ma Kieran percepì un sincero dolore nella sua voce.
Dolore.
Il suo viso appariva contratto, di rabbia, sì, ma anche di sofferenza. In quel momento sembrava molto più come loro. I suoi cari erano appena stati colpiti da una guerra intestina, chissà quanti amici aveva perso in quello scontro.
Kieran si sentì strano di fronte al dolore di quella fata, quasi arrabbiato. Non voleva vederlo.
Zario si alzò, la pelle di betulla venne sfiorata da un raggio di sole e sembrò che le venature nere fossero aumentate; si rivolse a Silas senza guardare gli altri. Iniziò a parlare.
‒ Dice di seguirlo, che conosce un posto dove riorganizzarsi.
‒ E ci fidiamo? ‒ domandò Thomas, scettico.
‒ Non abbiamo scelta ‒ rispose Silas. ‒ Altre fate sopravvissute potrebbero arrivare qui a momenti. Dobbiamo nasconderci per il momento.


 
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Ciao a tutti!
Ho dovuto tagliare un pezzetto di questo capitolo che inserirò nel prossimo ç__ç, sennò veniva troppo lungo.

Dopo il prossimo si tornerà al presente.
Forse non riuscirò a mettere il nuovo capitolo entro domenica o lunedì perché ho un esame questo venerdì, in caso slitterà di qualche giorno.
A presto e buon San Valentino ^^''.
Fonte immagine: 
https://www.artstation.com/artwork/GBPDa (Kamila Szutenberg)
 
   
 
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