Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: summerlover    17/02/2022    1 recensioni
La storia di due ragazzini e delle vicissitudini che li vedranno crescere e li coinvolgeranno per tutto il corso della loro vita, in una società tanto antica quanto saggia e piena di antico sapere.
Questa è la prima parte della storia, scritta intorno al 2000, e che solo oggi vede la luce in questa pubblicazione. Mi scuso per eventuali errori di battitura, sarà mia premura revisionare la storia una volta conclusa.
Personaggi, trama, ed ambientazioni sono totalmente frutto del mio lavoro. Vietato copiare.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La stella della Signora

 

Ormai erano quattro anni che Joser si trovava nella Casa degli Uomini, ed il suo aspetto fisico era molto migliorato: i suoi capelli erano un po’ più lunghi, cosa che faceva andare su tutte le furie i sacerdoti; la lotta all’aria aperta e le corse campestri avevano temprato il suo fisico fino a farlo diventare un ragazzo atletico ma non muscoloso. Il suo carattere si era rivelato molto freddo con le altre persone, era molto più serio rispetto ai suoi coetanei riguardo lo studio, mentre per il resto era di gran lunga il più vivace, se non il maggior fomentatore di guai. In sostanza, Phlegus non disperava che il ragazzo sarebbe diventato responsabile non appena avrebbe sentito sulle sue giovani spalle il peso di una famiglia.

 

Era una giornata come tutte le altre di inizio primavera. I giovani ragazzi della Casa degli Uomini stavano sgusciando di soppiatto per raggiungere la polla delle lemish del Tempio Oscuro. Il loro piano era molto semplice: usufruire della crepa che si era creata nel muro per vedere con i loro occhi ciò che avevano sentito quando erano ragazzini. Sapevano che circolavano ogni sorta di voci sulle lemish, me pensare che fossero addirittura tra le più belle era quasi assurdo.

Joser stava strisciando dietro a Kaherl, stando attento a non farsi male contro i cespugli spinosi che attorniavano le mura.

-Kaherl, dannazione, ma quanto manca! – si lamentò il ragazzo.

-Abbi pazienza ancora qualche minuto. Non credere che sia facile ritrovare quella maledetta breccia. Le edere l’hanno ricoperta proprio bene. – si difese Jaherl, continuando a tastare il muro di cinta. Inaspettatamente, il ragazzo si fermò, dicendo: - Trovata!

Joser per poco non gli sbatté contro, mentre tutti gli altri si raggruppavano per vedere coi loro occhi le promesse bellezze descritte da Kaherl.

-Ehi! Non spostate troppo quelle edere, o ci farete scoprire! – fece sotto voce il ragazzo, spostando di lato un ramo per permettere a lui ed a Joser di vedere nell’interno.

Joser rimase senza fiato: la polla era gremita di belle fanciulle, molte delle quali avevano i capelli scuri della popolazione, ma la loro pelle chiara dava loro una strana bellezza.

In un angolo, con un catino, una giovane donna attirò l’attenzione di Joser, che rimase a fissarla mentre lei si liberava dell’inopportuna veste color fumo. Il corpo di lei destò uno strano senso nel ragazzo, come se conoscesse già i lineamenti di quella schiena, i movimenti che le braccia compivano nel portare il catino al di sopra della testa e poi nel rovesciare l’acqua, persino la posizione dei piedi. L’eccessiva magrezza della ragazza lo lasciò di stucco, poiché era abituato alla ragazza paffute (se non grassocce) della Città del Tempio, ma quella che aveva davanti, avrebbe destato l’invidia di molte donne di sua conoscenza.

Notò la lunga treccia della ragazza, che le arrivava fino alla cintola: quel tipo di colore era inusuale fra tutte quelle lemish, anzi, erano castani… Che si trattasse…?

No, si disse, era impossibile. Come poteva, fra tutte quelle donne, trovarsi proprio lei, ed in quel momento!

La ragazza si girò verso il sole, coprendosi il volto con le mani. Si mosse, alzandosi in piedi per spruzzare una compagna che si stava lavando accanto a lei, cominciando a giocare come se fosse stata una bambina.

Accanto a se, alcuni dei ragazzi risero, altri si lasciarono sfuggire dei commenti osceni, ma Joser rimaneva incantato da quella ragazza, senza avere la possibilità, o il coraggio, di staccarle gli occhi di dosso. Il suo viso ora era visibile: il sorriso vivace, delle piccole ombre sul viso somigliavano vagamente a delle lentiggini, gli occhi…azzurri!

No, non poteva essere! No, era tutto troppo strano per essere vero!

Per un breve istante, il suo sguardo incontrò quello della ragazza, che senza esitazione lanciò un grido e si nascose sotto un velo scuro, rannicchiata. Tutte le altre lemish la imitarono, urlando a andandosi a nascondere sotto dei veli. In poco tempo arrivarono due uomini, armati, che cominciarono a frugare in tutto il cortile della polla.

-Presto, andiamocene! – disse Kaherl, in fretta e furia, mentre a casaccio tutti tentavano di scappare per non essere scoperti.

Joser corse più che poté, evitando di trovarsi vicino al muro di cinta del Tempio Oscuro. Il gruppo si separò; ognuno dei ragazzi pensò per sé, mentre i sacerdoti oscuri riuscivano a raggiungere alcuni dei bricconi ed ad intrappolarli.

Con il fiatone, il ragazzo si nascose dietro una statua, tornandosene con calma alla Casa degli Uomini. Ma la sua mente ripensava ancora alla bella lemish.

 

Nella Sala del Sole, la nera figura di Ojimahl guardava spazientita i Dieci Custodi.

-E’ più di un oltraggio! Quello che i vostri… pupilli… hanno osato posare i loro occhi sulle mie lemish! Voi non capite il pericolo che quelle ragazze stanno correndo!

Phlegus restava impassibile di fronte alla donna: non avrebbe ceduto alle sciocche superstizioni di quel maledetto culto che andava contro ogni etica morale e umana.

-Ojimahl, - disse l’uomo, - in quanto Sommo Custode sarebbe mio dovere prendere dei provvedimenti se quei ragazzi avessero arrecato danno al tuo Tempio. Ma ciò non è avvenuto! – l’ultima frase risuonò in tutta la Sala.

La donna restò calma, lasciando che l’eco si spegnesse. Alle sue spalle, Adserth restava immobile, più simile ad una statua che ad un uomo: sapeva che presto la Sacerdotessa non si sarebbe più controllata, e per allora pregava di essere fuori da quella stanza. Che i Custodi assaggiassero pure l’ira di Ojimahl e quella furente della Signora.

-Così non avrebbero arrecato nessun danno. Sai bene anche tu in quale posizione si trova la Stella, e sai bene che molto presto celebreremo il nostro rito più raro, - la voce di Ojimahl si alzò di tono. – Quelle lemish sono delle vergini. Ora che occhi maschili le hanno guardate, non oso pensare a ciò che potrebbe accadere loro.

L’eco della donna di protrasse per parecchio tempo. Phlegus la guardò, con ira. Come osava quella donna arrivare senza preavviso e pretendere di essere ascoltata? Manteneva ancora la voce imperiosa di quando lui l’aveva conosciuta, ma ormai la sua bellezza si era eclissata, lasciando il posto alla vecchiaia.

-I vostri problemi non sono affare nostro. – accompagnò questo detto con un gesto imperioso, - Che le vostre lemish continuino pure a nascondersi, e che scompaiono da questo mondo.

-Ti sei forse dimenticato chi si trova tra le mie lemish? – incrociando le braccia davanti al petto, la donna manteneva la più assoluta calma, e lo sguardo stupefatto che vide sul volto del Custode le diede maggior sicurezza.

Adserth, dal canto suo, era certo che la Sacerdotessa l’avrebbe spuntata molto presto.

-Che tipo di provvedimenti dovrei prendere, secondo te? – il tono calmo e rassegnato del –custode diedero a Ojimahl un senso di potenza.

-Che i colpevoli vengano frustati. Penso che cento colpi a testa possano bastare. – la richiesta della donna sollevò parecchi mormorii di dissenso.

-E sia. Verranno frustati solo coloro che sono stati presi. Se gli altri verranno scovati, avranno duecento colpi di frusta sulla schiena. Spero che questo soddisfi la tua…Signora.

 

La donna uscì soddisfatta dalla Sala del Sole: ancora una volta era riuscita a far abbassare la cresta a quei perbenisti dei sacerdoti della Luce. Se solo avesse potuto cancellare dalla Terra tutti coloro che tentavano di uccidere il suo culto…

In fondo, sapeva benissimo che non sarebbe stato compito suo mantenere in vita il Tempio Oscuro in terra straniere.

Adserth la seguiva, in silenzio, senza gradarla con odio.

-Adserth, - fece la donna, - so che disapprovi i miei metodi, ma ancora mi chiedo cosa ti spinse quasi vent’anni fa a restare nel mio Tempio.

L’uomo non rispose. Se lo avesse fatto, tutto ciò in cui credeva si sarebbe perduto. Era molto meglio tacere e continuare a limitarsi a obbedire agli ordini.

Ojimahl non proferì parola per tutto il tragitto fino al Tempio. Una volta varcate le solide porte di ferro, si ritirò nei suoi alloggi, dove fece convocare subito Harysya, la quale si presentò il prima possibile.

-Madre, spero che l’incontro con mio padre sia stato calmo e sereno. – esclamò la ragazza, avvolta nel suo abito scuro e nel velo.

-Vorrei che fosse stato così, ma non si è avverato il tuo desiderio. Descrivimi il giovane che hai visto.

Harysya cercò di ricordare nuovamente il viso dello sconosciuto, dai capelli scuri ai lineamenti che credeva di conoscere. Ojimahl le aveva fatto ripetere tutto tante volte che la ragazza credeva ormai di poter ripetere a memoria l’accaduto. Ma in fondo sua madre non aveva tutti i torti, anzi, forse aveva dalla sua parte la piena ragione: conosceva molto bene la storia della Stella della Signora, e se i sacerdoti avevano predetto con esattezza la notte in cui la Stella sarebbe scomparsa, a lei sarebbe toccato il grande onore di intonare il Canto della Vergine.

-Spero vivamente che scoprano chi era quel ragazzo, così il tuo onore davanti alla Signora sarà purificato. Sai bene che dovrai danzare nel cerchio delle vergini quella notte. – Ojimahl restò in silenzio, congedando la figlia con un semplice gesto.

Ancora tre notti, e poi la Stella sarebbe scomparsa per diversi mesi. Pregava perché la fortunata fosse tra le sue lemish, e si malediceva per aver osato pensare di poter essere lei ad avere quel privilegio sacro, ed aveva avuto la giusta punizione: aveva vissuto lontana da sua figlia. Presto Harysya avrebbe compiuto i suoi 18 anni. E presto sarebbe tornata nella Città dei Sacerdoti per sposare un sacerdote della Luce. Se solo non avesse mai preteso di riconoscerla davanti ai Dieci Custodi, ora avrebbe potuto tenerla con sé…

No, non doveva pensare a se stessa, doveva pensare al bene di sua figlia, e Adserth doveva pregare di averle detto la verità su giovane Joser se non voleva conoscere sulla propria pelle la sua frusta.

 

Nel campo di allenamento della Casa degli Uomini, -joser ed altri ragazzi si stavano esercitando per la gara annuale di corsa campestre. Il ragazzo, però, non era molto entusiasta di partecipare alla festività, soprattutto dopo che suo padre lo aveva informato che sarebbe giunto molto presto, e ormai mancavano solo due giorni all’arrivo di Re Medestor.

Continuava anche a riflettere sulla proposta di Adserth di andare ad assistere ad uno dei loro riti che il vecchio sacerdote aveva definito raro. Il suo precettore non gli aveva rivelato molto al riguardo, ma gli aveva assicurato che poteva tranquillamente assistere alla cerimonia, senza prendervi parte.

Il rito, però, si sarebbe tenuto la sera stessa del giorno della gara, e non sapeva se vi sarebbe andato. Magari avrebbe potuto rivedere la bella lemish, anche solo per un attimo.

Joser, pensò, sarà impossibile, visto che quelle donne sono velate dalla testa ai piedi, ma forse, per una volta. Faranno un’eccezione. Decise che avrebbe accettato la proposta di Adserth.

 

L’alba illuminava il lavoro delle lemish, nella sala del filato non vi era nessun uomo, così poterono levarsi i fastidiosi veli e lavorare più tranquillamente. Harysya continuava a filare la lana, mentre Sorhaya le stava accanto, intenta a colorare dei gomitoli di filo di una tinta nera intensa.

-Questa sera cesserai di essere una lemish e diventerai una rhakr, - disse Sorhaya, tristemente. – Io sono qui dalla nascita, sono lemish da molto più tempo di te, ma Ojimahl ha deciso che tu entrerai nel cerchio delle vergini. Quella donna a volte è senza cuore.

-Non dire così, in fondo è anche tua madre, o sbaglio. – disse Harysya, in difesa della sacerdotessa. – Forse, tu sei stata molto più fortunata di me: hai potuto viverle sempre accanto, mentre io sono stata costretta a sopportare le rigidità della Città dei Sacerdoti. Credimi, sono stata più felice nel momento in cui sono diventata lemish piuttosto che in una sola ora trascorsa nella Casa dei Bambini.

-Ma tu ti sposerai. Ed io sarò ancora qui, senza un vero nome, con dei figli che non saranno mai riconosciuti come esseri umani. – il tono di Sorahya divenne più sottile, simile al sibilo di un serpente.

Harysya sospirò, lasciando che il silenzio calasse tra loro. Sorhaya non sapeva come lei si sentisse: darsi ad un uomo solo perché sua madre aveva decretato così, le sembrava assurdo. Almeno lo avrebbe dovuto sopportare una sola volta, ma avrebbe dovuto sopportare le voglie di Joser per tutta la vita.

Rabbrividì. Non le interessavano molto gli uomini, e preferiva di gran lunga rimanere vergine a vita, però capiva il punto di vista di Ojimahl, e il perché l’avesse scelta per inserirla nel cerchio delle vergini quella stessa sera.

Sperava soltanto che il suo Iniziatore fosse un uomo che lei conosceva, e non uno di quei sacerdoti anziani che non perdevano occasione di mettere le mani su della giovani ragazze come loro.

 

La gran nave che attraccò al porto quella mattina mise in agitazione tutta la Città dei Mercanti. L’imponente figura dell’uomo che stava per sbarcare fece rabbrividire persino i più forti tra tutti i pescatori del porto: Re Medestor incuteva timore in chiunque.

Per chi lo osservava da vicino appariva come un uomo sulla sessantina d’anni che ancora conservava la robustezza e la tirannia di un giovane despota, gli occhi scuri ricordavano quelli di un toro inferocito, sempre pronto ad attaccare.

In quell’uomo, tutto faceva presagire che avrebbe solo portato dei guai. L’uomo indossava delle vesti riccamente ornate con fili d’oro, al collo portava un grande medaglione la cui pietra era dello stesso colore del sangue, e si guardava in giro con aria di disprezzo verso la popolazione ed era irritato poiché il figlio non era venuto ad accoglierlo. Quel ragazzo era diventato più indisciplinato del previsto: che si fosse rammollito?

Attese che i suoi servitori arrivassero con la portantina per poi dirigersi verso la Città dei Sacerdoti. Presto avrebbe rivisto suo figlio, ed era meglio per lui se si fosse rivelato un uomo. Con quel pensiero nella mente, accarezzò la piccola frusta che portava alla cintura.

 

Nel campo da allenamento, Joser stava coinvolgendo alcuni dei suoi compagni in una lotta amichevole: erano tutti bagnati fradici, poiché durante la lotta erano caduti nella piscina per le gare di nuoto. Il gruppo, formato da circa una decina di ragazzi, fu richiamato dai sacerdoti quando un uomo fece la sua comparsa nella pista: era imponente.

-Joser, - fece Ryunan, in direzione del ragazzo, - tuo padre è arrivato.

Il ragazzo si presentò davanti all’anziano uomo, guardandolo apertamente negli occhi, cosa che Medestor non approvò, e leggendoglielo sul volto, Joser rispose.

-Io non ho approvato quando voi mi mandaste in questa parte del mondo, ed ora, voi vorreste disapprovarmi perché ho abbracciato le usanze locali e mi sono integrato in questo luogo?

Medestor divenne paonazzo in volto, ma si trattenne dall’usare la sua frusta contro il ragazzo: in fondo, aveva ragione. Restare in quel luogo non aveva giovato al figlio, ma se serviva a rendere migliori i propri affari, tanto valeva lasciare le cose come stavano.

Il ragazzo, poi si era irrobustito, promettendo di diventare forte come lui. Ma aveva sempre la lingua tagliente e non sapeva stare al suo posto. Fradicio, seminudo, ed abbronzato: assomigliava di più ad un bracciante che al figlio di un Re potente quale era lui.

-Questa sera si svolgeranno i Giochi in onore della bella stagione, e del Sole, che come ogni anno riporta il caldo e fa crescere i frutti della terra e degli alberi. – Joser si sorprese di quanta calma si servì per fargli quell’annuncio.

-Sarò lieto di vederti gareggiare, figlio, - disse accigliato Medestor, - e sarò ancor più lieto quando incontrerò la tua sposa.

Ryunhan osservò l’anziano uomo, con aria austera: - Joser non si è ancora sposato. Harysya si è recata presso sua madre per studiare, e fino a che entrambi non avranno completato gli studi, non vi sarà il matrimonio.

-Come osi parlare a me con questo tono insolente, - Medestor alzò la voce tanto che tutti i ragazzi si voltarono a guardarli, - Un semplice uomo come te dovrebbe tenere la bocca chiusa di fronte ad uno che gli è nettamente superiore.

-Se non lo sapete, - sentenziò Ryunhan, senza perdere la calma, - in questo Tempio voi siete come chiunque altro: soltanto un uomo. Vostro figlio ha saputo dimostrare molto più buon senso di voi, accettando fin dall’inizio le nostre usanze e cercando di ambientarsi quanto più gli era possibile.

Medestor rimase senza parole, lasciando di gran passo il campo degli allenamenti, senza voltarsi.

-Joser, ricorda ciò che hai visto oggi: sono gli uomini come quello che porteranno alla rovina questo mondo. – disse il sacerdote, tristemente. – Uomini che credono di essere degli dei perché governano un popolo.

Joser rimase assorto per tutta la mattinata, riflettendo sulle parole di Ryunhan, chiedendosi se suo fratello maggiore sarebbe stato un sovrano più giusto di quel vecchio burbero.

 

La sera giunse tra le acclamazioni della festa e gli elogi per i giovani della Casa degli Uomini. Erano state vinte molte gare, quel pomeriggio, ed i ragazzi si apprestavano a ritornare nelle loro stanze. Joser, steso sulla sua stuoia, ripensava ancora alla proposta di Adserth di assistere ad un rituale molto raro al suo Tempio, assicurandogli che chiunque avrebbe potuto assistervi, anche dei bambini.

Senza pensarci troppo, il giovane si recò velocemente ad una delle vasche, rinfrescandosi in fretta ma accuratamente, indossando le bianche vesti degli studenti della Casa degli Uomini.

Corse fino all’ingresso del Tempio Oscuro: i bassorilievi che decoravano l’enorme porta nel buio lo fecero rabbrividire. Non ricordava cosa rappresentassero, ma da quel poco che vide, dedusse che si trattava di immagini demoniache.

Le guardie lo squadrarono da capo a piedi, richiamando poi l’attenzione del sacerdote più vicino alle porte: Adserth.

L’uomo fu felice di rivedere il suo giovane allievo, e in silenzio, si diressero verso uno spiazzo interno, dove molte figure scure e giovani ragazze nei veli fuliggine danzavano compiendo figure complesse che Joser non capiva.

-Cerca di vedere il tutto da un’altra prospettiva. – gli suggerì Adserth, mentre il ragazzo cercava di capire dove poteva aver visto quel tipo di forme. Alzò un momento gli occhi al cielo, riconoscendo la costellazione del Grande Carro, ed intuendo che le lemish stavano eseguendo lo spostamento delle stelle, con movimenti molto lenti ma percettibili.

Joser notò che la mezzanotte doveva ancora arrivare. Adserth lo condusse fino ad un lungo tavolo dove piatti semplici ma ben decorati facevano bella mostra di se. Gli occhi del ragazzo non si erano ancora abituati del tutto al buio, e le poche torce si trovavano lontane dallo spiazzo aperto dove si stava celebrando il rito.

-Questa sera potrai parlarle di nuovo. – disse d’improvviso il vecchio sacerdote.

Joser lo osservò con aria perplessa: non capiva di chi stesse parlando. Il suo sguardo cadde su una ciocca di capelli grigi, e le prime rughe della vecchiaia si formavano vicino ai suoi occhi.

-O meglio, - si corresse Adserth, - potrai sentirla cantare. Harysya ha una voce splendida, o così mi ha assicurato sua madre. Questa sarà la prima volta che canta fuori dalle mura del Tempio.

-Sarò lieto di risentire la sua voce, se questo mi sarà concesso. Le vostre leggi non permettono ad una lemish di restare sola con un uomo. – Joser guardò l’uomo fisso negli occhi, aspettandosi una risposta affermativa.

Adserth sembrò meravigliato nel sentire il ragazzo così duro e serio, quasi fosse diventato una copia di Phlegus. Per Harysya forse sarebbe stato un brutto colpo.

Il silenzio calò all’improvviso con la comparsa di Ojimahl, scortata da tre lemish. La vecchia donna prese posto al centro del cortile, che si era liberato da tutti coloro che lo occupavano, lasciando intravedere il disegno complesso formato dai ciottoli: la rappresentazione del cielo in modo dettagliato e complesso.

-Come molti di voi sapranno, - la voce di Ojimahl risuonò imperiosa nell’oscurità, - in questa notte la Stella della Signora tramonterà. Era da molto tempo che ciò non accadeva, e pregheremo perché le stelle seguano il loro cammino.

Quel discorso alle orecchie di Joser non aveva alcun senso, ma se Adserth e tutti gli altri sacerdoti neri vi credevano, lui non poteva disilluderli.

Una delle lemish si avviò lungo una scalinata, che la portò in cima ad un piccolo muro, con la schiena rivolta verso le stelle. Joser rimase colpito dal modo di muoversi della giovane, identificandola con la ragazza che quel giorno aveva lanciato l’allarme alla polla.

-Che nessuno osi proferire parola, che nessuno osi rimanere impassibile al Canto della Vergine. – le parole di Ojimahl risvegliarono qualcosa in Joser. Il ragazzo sentì il proprio corpo avvamparsi come una torcia, trattenendo il respiro nell’aspettare che la ragazza innalzasse la prima nota del suo canto.

 

La Grande Stella è sulla via del Tramonto

La Grande Stella sta per lasciare il suo posto

La Grande Stella ci lascerà nell’oscurità

 

In questa Sacra Notte una donna morirà

Lei è stata la Voce della Signora

Lei è stata la Volontà della Signora

Lei è la Signora

 

Joser sentì il proprio corpo riscaldarsi ancora di più: quella voce era acuta e si librava nella notte con un’intensità che la voce di un uomo non avrebbe mai saputo fare. Ora capiva alcuni degli insegnamenti di Adserth: le voci femminili raggiungevano meglio il cielo proprio perché le note che sprigionavano erano più alte. Ma quelle note avevano anche raggiunto il suo cuore.

 

In questa Sacra Notte una vergine concepirà

Lei ritornerà su questa Terra

Lei tornerà ad essere Grande

Lei tornerà per ricondurci sulla Sacra Via

 

La Vergine più pura

La Vergine più casta

La Vergine più splendente

 

 

Signora, guarda in me

Signora, osserva la mia anima

L’anima di una Vergine a Te votata

 

Che fosse rinchiuso in quel canto il vero significato delle lemish? Joser lo avrebbe voluto chiedere al suo vecchio precettore, ma Adserth gli fece un severo cenno di silenzio. Continuò ad ascoltare quella voce, e si chiese se sotto quel velo si celava realmente Harysya. Se era lei, allora si era mantenuta illibata fino a quel momento.

 

In questa Sacra Notte entrerò nel cerchio

Compirò il dovere con gioia

Mi concederò ad un uomo

 

Ti supplico, o mia Signora

Sceglimi per la tua nuova Vita

Ti supplico, o mia Signora

Ascolta la mia umile preghiera

 

Harysya era figlia di un Custode, come si poteva non ascoltare la sua preghiera? No, non doveva incollerirsi con quella dea che nemmeno conosceva. Ormai lei era votata ad un altro aspetto della conoscenza, molto diverso da quello che lui poteva capire. Quei pensieri lo fecero trasalire: come poteva essere così certo che esistessero più parti di una stessa Verità? Gli sembrava di avere già scoperto quel lato della Verità di cui ora Harysya faceva parte, assieme a quel canto antico quasi quanto il Mondo.

 

In questa Sacra Notte una vergine concepirà

La sua vita sarà legata alla Tua

Sarà una madre fortunata

Signora, fa che sia io quella Vergine

 

La voce si spense nella notte, mentre Ojimahl tornava a guardare la Stella della °signora che si stava sempre più avvicinando al suo Tramonto.

-Prima che la Stella tramonti, avrà luogo il Cerchio delle Vergini. Fino ad allora, bevete e sfamatevi, gioite nella semplicità della rinascita della vita.

Con quelle parole, Ojimahl diede inizio ai festeggiamenti, ed il cortile fu invaso dai musicisti e dalle lemish che danzavano vivacemente, mentre tavoli ricoperti di vivande apparivano quasi magicamente ed i mormorii di voci allegre risuonavano in ogni angolo del Tempio.

Joser rimase silenzioso, Adserth chiacchierava animatamente con alcuni anziani sacerdoti. Nell’atmosfera serena della notte, Ojimahl si avvicinò al ragazzo, scortata dalla lemish che aveva intonato il Canto della Vergine. La ragazza era di media statura, ricoperta in ogni parte del suo corpo: indossava un lungo abito scuro, un velo color fuliggine ricopriva la testa, euanti e calze di seta nera nascondevano mani e piedi. Solo la lunga treccia era visibile.

-Sono lieta che il tuo giovane discepolo sia qui tra noi, Adserth! – disse lìanziana Ojimahl , nel vedere Joser accanto al sacerdote.

-Ho pensato che non avrebbe creato nessun disturbo, se avesse assistito a questa parte del Rito. – si giustificò Adserth. – Ma è mia intenzione rispedirlo alla Casa degli Uomini prima che abbia luogo il Cerchio delle Vergini.

L’espressione decisa dell’uomo convinse Ojimahl delle sue intenzioni. La donna acconsentì con un lieve cenno del capo, sorridendo compiaciuta. – Non tutti avrebbero il coraggio di unirsi a noi in quello che definirebbero “blasfemo”. Cosa ti ha convinto, ragazzo, ad assistere a questo Cerimoniale?

Joser rimase allibito dalla domanda inaspettata quanto l’atmosfera gioiosa che regnava in quel Tempio.

-Forse la curiosità – rispose, dopo aver riflettuto qualche istante. – Non saprei dirlo nemmeno io, ma sono convinto di aver già udito quel Canto intonato poco fa. Ma non ricordo dove…

Ojimahl si accigliò per qualche attimo, inarcando un sopracciglio. La lemish lo guardò incuriosita, mentre sul volto di Adserth appariva un’espressione del tutto confusa e inaspettata.

-Come? – sussultò la sacerdotessa, strattonando il giovane per un braccio. – Sei sicuro di questa tua sensazione?

-S… si… - confermò Joser, spaventato dalla reazione della donna. – Mi è sembrato di vedere come delle colonne, con simboli molto antichi… era in un Tempio molto più grande, ma non so dove potesse trovarsi…

Adserth rimuginò per alcuni momenti, quasi volesse schiarirsi le idee. La lemish continuava a rimanere in disparte, confondendosi con l’oscurità della notte. Tutt’intorno a loro i festeggiamenti proseguivano senza badare minimamente ai loro discorsi.

-E’ senza dubbio il ricordo di una vita passata – sentenziò Adserth. – Quello che non capisco è come tu possa ricordartene. In genere, non è consentito a nessuno ricordare ciò che è già vissuto, ma forse tu hai un compito molto importante da assolvere, e quei ricordi ti saranno di grande aiuto.

-Si, deve essere così, - confermò Ojimahl, lasciando cadere l’argomento. – Ma non siamo qui per parlare di cose così complicate. Dobbiamo festeggiare un concepimento questa notte. E probabilmente il nostro giovane principe non sa nemmeno di cosa si tratta. Vuoi spiegarglielo tu, figlia mia?

-Con immenso piacere, madre.

La lemish rispose con voce molto dolce e suadente, come se fosse stata addestrata ad avere un tono musicale anche mentre non cantava. A guardarla bene, Joser dedusse che doveva avere pressappoco sedici anni, forse qualcuno di più. Si chiese come doveva essere il suo viso sotto quel velo scuro. Poteva avere gli occhi chiari, oppure scuri. Forse si trattava della stessa Harysya?

Adserth rise sommessamente, imitato da Ojimahl. Joser non capiva il perché, chiedendosi cosa ci fosse di buffo.

La ragazza accennò a parlare, attirando l’attenzione del giovane.

-Per antica credenza, tramandataci dai nostri antenati che provenivano dalle Terre Sommerse, si vuole che in questa notte la Signora, la Dea della Vita e della Morte, si reincarni nel grembo di una donna vergine. Il perché di questo si è perso nei secoli, ma l’unica certezza che abbiamo è che Lei viene tra noi per farci capire i nostri errori. Distruggendoci, se necessario.

L’espressione divertita sul volto di Adserth aumentò, sentando a trattenere le risate. Anche la lemish si lasciò sfuggire una risatina, forse più per imitare gli altri che per deridere lui.

-Ancora non l’hai capito? – chiese la ragazza.

Joser dovette assumere un’aria piuttosto stupita, perché riuscì a provocare uno scoppio di ilarità nel suo vecchio precettore, che si calmò dopo alcuni attimi. Anche Ojimahl risa, ma in modo più contenuto rispetto all’uomo. Quella donna sapeva proprio il fatto suo, e non si lasciava intimorire da nessuno.

-Sono Harysya.

La notizia che la lemish diede a Joser arrivò a bruciapelo, lasciando il ragazzo del tutto sgomento. Non riusciva a credere che davanti ai suoi occhi stesse quella stessa ragazzina che pochi anni addietro non poteva sopportarlo!

-Ora capisco perché quella voce mi era tanto familiare! – disse il ragazzo, giustificandosi e ridendo della propria stupidità.

-Ci devi scusare se non ti abbiamo avvertito della sua identità. – si scusò Ojimahl, indicando la figlia. – Ma in questo Tempio non si fa molto caso a come queste ragazze vestono, tanto che i nostri occhi ormai abituati a distinguerle, anche noi stessi siamo arrivati a dare per scontato che anche gli altri possano riconoscerle.

Adserth si ricompose, sorridendo incoraggiante al ragazzo, che guardò Harysya con affetto e attenzione. Si, era cresciuta, ed il suo corpo aveva acquistato delle rotondità molto femminili…

Qualcosa in se stesso gli proibiva di continuare a pensare a lei in quel modo. No, era un sacrilegio, non doveva

Si massaggiò le tempie, cercando di riprendersi dall’improvviso mal di testa che lo assalì. Il dolore se ne andò quasi subito, ma vide l’espressione preoccupata sul volto di Adserth, e si sentì in obbligo di rassicurarlo sul suo stato di salute.

-Sto bene, ma questa notte sono accadute tante di quelle cose strane…

Un bambino arrivò trafelato accanto ad Ojimahl, sussurrando qualcosa all’orecchio. La donna riassunse l’espressione decisa e severa, preparandosi ad andare.

-Sono spiacente di dovermi separare da voi, ma la mia presenza è indispensabile per la preparazione del Cerchio delle Vergini. – si scusò la donna. – Adserth, temo che sia ora che il ragazzo ritorni alla Città dei Sacerdoti. La prossima parte del Rito non è adatta a lui, e non si devono accorgere della sua scomparsa.

Ojimahl si allontanò dal gruppo, col suo passo fiero e deciso, mentre tutti le aprivano la strada senza che lei dovesse chiedere o pronunciare una singola parola.

Adserth guardò i due ragazzi, sorridendo.

-Joser, è giunto il momento per te di tornare alla Casa degli Uomini. Harysya, vai a preparati, sai bene che tu sarai tra le prime ad entrare nel Cerchio.

Joser sospirò, rassegnandosi all’idea di doversene andare.

-E sia. Ma prima, mio vecchio precettore e buon amico, vorrei abbracciare Harysya. So bene quali sono le vostre regole, ma tra tutta questa gente, come potrei farle qualcosa di sbagliato? – il giovane prevenne ogni tentativo di persuasione da parte id Adserth, e l’uomo non poté non acconsentire.

-Se è solo questo… - Harysya lasciò in sospeso la frase, sentendosi avvampare di rosso le guance, ringraziando gli dei per il velo che le copriva il volto.

Joser la stinse a se, dolcemente, avvicinando la sue labbra circa all’altezza dell’orecchio di lei.

-Ho bisogno di parlarti. Va da sola alla polla esterna. Nel muro esiste una breccia.

Joser si staccò da lei, avviandosi al fianco di Adserth per essere ricondotto all’esterno del Tempio Oscuro.

 

L’aria della sera era fresca, alla polla esterna, ed il cielo illuminato dalle stelle era limpido e sereno. Harysya passeggiava, attenta ad ogni minimo movimento: se l’avessero scoperta da sola, l’avrebbero frustrata.

Si stava ancora chiedendo se fosse giusto o sbagliato ciò che aveva chiesto a Sorhaya: effettuare una sostituzione così, senza aver consultato Ojimahl, avrebbe attirato sulla testa di entrambe le ire della madre. Sperava soltanto che la sorella non l’avesse tradita, rivelando i suoi sospetti.

Un lieve fruscio proveniente dal muro di recinzione le fece interrompere i suoi pensieri. Si avvicinò, piano e lentamente, seguendo la voce di Joser che la chiamava. Attraversò il groviglio di rampicanti che nascondevano la breccia del muro, maledicendo il velo che le copriva il volto e che le impediva di vedere nitidamente dove metteva i piedi.

Oltrepassando il passaggio, si ritrovò in uno spiazzo di prato buio, circondato da salici piangenti, un angolo solitario, quasi ignorato.

Harysya si sentì prendere un braccio, trascinata gentilmente tra le fronde di uno degli alberi, per poi sedervi ai suoi piedi. Joser se ne stava immobile, respirava soltanto, il viso inespressivo, quasi marmoreo, con lo sguardo perso nel vuoto, oltre il cielo.

Le prese la mano guantata, portandosela al volto, baciandola leggermente. Restarono fermi, a lungo, mentre le stelle cambiavano la loro posizione di pochi passi, secondo la vista umana. Harysya pensò al volto adirato di sua madre, se l’avesse scoperta in compagnia di un uomo, e sola.

-Mio padre ha dato un ultimatum ai Custodi, - disse Joser, rompendo il silenzio che regnava. – Ha detto che il matrimonio deve essere celebrato il prima possibile, anzi, che doveva essere già stato celebrato e consumato da almeno tre anni, con altrettanti figli, - sospirò. Poi aggiunse, - I Custodi gli hanno ripetuto più volte che fino a che non saremmo entrambi ritenuti adulti, o che tu non ultimi i tuoi studi presso questo Tempio, non ci sarà nessuna cerimonia nuziale.

Harysya restò perplessa: come poteva quell’uomo essere così ottuso, e non capire che interrompere gli studi fondamentali avrebbe potuto rovinare tutto?

-Resterà qui fino a che non saremo sposati. Ha detto che non ha problemi, viste le buone mani in cui ha lasciato il suo regno: quelle di mio fratello, una perfetta copia del padre! – il tono del ragazzo era pieno di disprezzo. – Ha avuto anche il coraggio di dire di fronte ai Custodi che “educare una femmina è solo uno spreco di tempo e denaro, quando il suo unico compito è quello di sformare marmocchi”! avresti dovuto vedere la faccia di tuo padre: era furente. Ma Ojimahl è stata l’unica che ha avuto il buon senso di dirgli in faccia quello che è realmente.

Harysya non aveva mai saputo di quell’incontro, anzi, ne era stata completamente tenuta all’oscuro. Forse sua madre aveva delle valide ragioni, o più semplicemente pensava che non la dovessero riguardare.

-Ma quello che più mi preoccupa è l’ultimatum di mio padre: o mi sposo entro un anno a partire da oggi, o me ne dovrò andare!

Harysya sospirò, pensando di lasciare il Tempio prima del previsto; ormai aveva quasi completato il suo ciclo di studi, e la sua presenza non era più così necessaria. E poi, Joser era stato l’unico a chiedere di lei quando aveva deciso di recarsi al Tempio Oscuro, e si sentiva quasi obbligata a sdebitarsi con lui per questo.

-Ma nessuno ha chiesto a me cosa voglio! – concluse Joser.

-E tu, cosa vuoi? – gli chiese Harysya, quasi con un sussurro.

Joser soffocò un singhiozzo, nascondendo il volto tra le mani bianche. – Voglio restare qui! – disse, appoggiando il volto sull’abito scuro di lei, inumidendolo di lacrime.

Harysya non poté fare a meno di abbracciarlo, consolandolo come se fosse stato un bambino. Il suo cuore si riempì di una tenerezza improvvisa, a cui non poteva resistere.

Inaspettatamente, Joser le sollevò il velo, baciandola. Fu come se una passione fino ad allora repressa fosse esplosa in tutta la sua potenza. Il ragazzo la guardò negli occhi, riconoscendo quel volto che aveva già visto.

-Sei tu la lemish che ha dato l’allarme alla polla qualche giorno fa! – l’esclamazione fece trasalire Harysya, che si ricoprì subito il volto.

Joser le accarezzò una guancia, dicendo: - Ho sempre sospettato che fossi tu. – Sorrise, continuando a baciarla.

Non proferirono più nessuna parola, abbracciati l’uno all’altra.

In una notte di primavera senza luca, la Stella della Signora risplendeva dei suoi ultimi raggi prima di tramontare.

 

Harysya si sistemò l’abito scuro. Da pochi minuti si era separata da Joser, dopo aver passato buona parte della notte insieme. Si guardò attorno, assicurandosi che nessuno la vedesse rientrare in quello stato: aveva l’abito sgualcito, ed i capelli scompigliati. Oltrepassò la soglia, muovendosi molto lentamente, quasi timorosa di venire scoperta ad ogni passo che faceva.

Attraversò tutti gli angusti corridoi, tremando al pensiero della punizione che l’aspettava se sua madre l’avesse scoperta.

Giunta alla porta della sua stanza, si permise di tirare un sospiro di sollievo. Stava per aprire la porta di legno, quando la mano di Ojimahl le afferrò il braccio, stringendo fino a strapparle un gemito di dolore.

-Impudente, - fu tutto ciò che la donna disse.

L’anziana donna cominciò a trascinare Harysya per i corridoi, incurante delle flebili proteste della ragazza. I suoi modi non erano dei più teneri, eppure, quasi le doleva il cuore ad eseguire quel rito crudele.

La gettò a forza in una stanza, la stessa dove la ragazza aveva formulato il giuramento tempo fa, per poter entrare tra le sue lemish. Ed ora, dopo tutti i suoi sforzi, quella ragazzina aveva rovinato ogni cosa.

-Non hai idea di cosa hai fatto? – gridava la donna, con furia, mentre spostava diverse leve, azionando così il meccanismo che spostava il soffitto della stanza. – Non hai la benché minima idea delle conseguenze che hai scatenato?

Harysya restava nel centro della stanza, distesa sul pavimento, trattenendo i singhiozzi, forse più per la rabbia che per la vergogna del disonore.

Ojimahl le prese la testa tra le sue mani, con forza.

-Io credevo che tu avessi appreso cosa significasse veramente il Tramonto della Stella congiunto con il tuo piano astrale. Ti ho concepita vicino ad un possibile Tramonto, e per questo eri destinata ad un grande evento, e quando ho visto il Tramonto di questa notte, ho capito che forse tu saresti stata la Vergine. – Ojimahl le lasciò il volto, quasi scaraventandolo sul pavimento. – Ma era molto più importante il tuo tornaconto personale!

La ragazza continuava a versare lacrime, ed ora i suoi singhiozzi erano isterici.

-Sai ora che ti succederà? Dovrò tagliarti i tuoi bei capelli, privarti di tutti i simboli che hai acquistato nei tuoi anni di studio, e denigrarti davanti a tutto il Tempio, riducendoti a meno di una serva. – si avvicinò alla figlia. – Nei tempi antichi quelle che si comportavano in questo modo venivano giustiziate nel centro delle piazze, mentre la famiglia di origine veniva ricoperta di disonore e privata di tutto tranne che del minimo per sopravvivere.

Harysya sostenne lo sguardo materno, con una luce di sfida negli occhi. Si alzò in piedi, osservando la donna. Il suo volto era ancora segnato dalle lacrime, ma aveva smesso del tutto di piangere.

-Cosa hai intenzione di fare? – in quella semplice domanda, Harysya aveva rinchiuso un altro interrogativo. – Se è vero che la mia vergogna deve essere sbandierata, allora perché ci sei solo tu? O hai forse paura che gli altri ti accusino di non avermi istruita a dovere.

-Taci! – Ojimahl accompagnò quell’ordine con un sonoro schiaffo, voltandosi di spalle subito dopo per il pentimento.

Il silenzio che calò tra le due donne era palpabile, quasi solido. Harysya aveva quasi colto nel segno: il cuore di Ojimahl era troppo legato alla figlia per poter essere veramente crudele con lei.

Adserth osservava la scena, nel silenzio. Incontrò lo sguardo di Ojimahl. La donna lo invitò ad andarsene, ma l’uomo varcò la soglia della stanza, son passo sicuro.

Ojimahl rimase stupita: in tutti quegli anni, Adserth non aveva mai osato disubbidire ad un suo ordine.

-Non sarà necessario fare tutto quello che ritieni giusto. – la voce del sacerdote era calma e rilassata, ma le sue labbra erano serrate, quasi disprezzasse il gesto che la donna voleva compiere. L’uomo mostrò una strana tavola, dove un complicato meccanismo mostrava il piano astrale di Harysya.

Il silenzio calò quasi come nebbia, mentre la ragazza guardava le dita di Adserth muovere alcuni piccoli oggetti sferici su di una tavola rotonda e piatta, mentre su di una seconda stava il disegno del piano astrale di Harysya. Una terza tavola stava formando un altro disegno, ma la giovane non capiva a cosa potesse servire quell’arnese così strano. Forse nei tempi antichi, quando i loro antenati erano arrivati su quelle coste, tutti sapevano usare quello strumento, ma ora, forse soli pochi ricordavano il suo uso originale.

Ojimahl rimase senza parole. Afferrò lo strano arnese, e lo portò con sé, davanti alla figlia.

Harysya contemplò quello strano oggetto: tre tavole rotonde erano collegate l’una all’altra da tre sbarre di legno. Le dita della donna più anziana spostarono una delle piccole sfere, e da una delle sbarre Harysya vide muoversi degli ingranaggi –Ringrazia gli dei che ti proteggono. – furono le ultime parole di Ojimahl, prima di mettere il velo scuro sulla testa della figlia e consegnarla ad Adserth.

Il sacerdote sospirò, guardando la vecchia sacerdotessa, chiuse la porta e condusse con sé la ragazza, che non capiva cosa era successo in quella stanza.

Quella notte, Harysya avrebbe partecipato all’ultimo Cerchio delle Vergini prima dell’alba.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: summerlover