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Autore: blackjessamine    17/02/2022    10 recensioni
È una verità universalmente riconosciuta che i maghi non sappiano nulla di leggi economiche. Tuttavia, Gilderoy Allock una cosa la sa: in un mercato stagnante e chiuso come quello dell'editoria magica non c'è posto per due regine.
Per questo Queenie Royal, la misteriosa autrice capace di fare impazzire ogni strega con i suoi libri d'amore, rappresenta una minaccia pericolosissima per chiunque voglia indossare una corona d'inchiostro.
Una minaccia resa ancor più pericolosa dal suo essere invisibile, dal momento che nessuno, nemmeno gli editori più scaltri, sembrano aver mai posato lo sguardo su questa gallina dalle uova lilla.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gilderoy Allock, Kingsley Shacklebolt, Rita Skeeter, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fiasco




 

[Dal taccuino di Rita Skeeter, giovane e promettente collaboratrice di Fattucchiera 2000 – bozza redatta tramite Penna Prendiappunti]

 

Si può perdere anche quando si ritira un premio?

Gilderoy Allock, pluripremiato scrittore di fama ormai internazionale, ultimo vincitore del premio per il Sorriso-Più-Affascinante nonché punta di diamante della casa editrice Magic Inkheart, probabilmente, dovrà imparare ad affermare che la risposta a questa sibillina domanda è, senza ombra di dubbio, sì.

Il principe della carta stampata ha fatto la sua comparsa al dodicesimo congresso nazionale della Magica Editoria Britannica illuminato da una sicurezza di sé che denota la tracotanza tipica della giovane età e delle lusinghe: niente, nel suo modo di aggirarsi per il salone salutando vecchi e nuovi amici, ha mai lasciato presagire che il dubbio sull'assegnazione di quel premio abbia mai potuto sfiorare il cervello che si nasconde sotto una cascata di boccoli perfetti. Allock e Septimus Thesaurus – direttore della casa editrice Magic Inkheart, mentore e intimo amico di Allock – hanno sfoggiato per tutta la sera un'irritante sicurezza nei confronti del proprio operato, senza nemmeno avere la buona creanza di fingersi stupiti quando il premio per il più alto numero di copie vendute è andato proprio al giovane mago capace di affrontare tante avventure senza mai riportare nemmeno un graffio su quella pelle che sembra vedere più crema illuminante che maledizioni. 

Il premio non ha sorpreso nessuno in sala, nemmeno Ebenezer Flintshire  (direttore editoriale della casa editrice TuMiStreghi), che con una freccia dal nome Queenie Royal nel proprio arsenale era probabilmente l'unica persona in grado di contrastare almeno in parte la sfolgorante ascesa di Allock e di Thesaurus. Queenie Royal, del resto, rimanendo avvolta nel proprio anonimato, ha sì dato una svolta decisiva al panorama editoriale contemporaneo, ma con la pubblicazione di un solo romanzo nell'ultimo anno non avrebbe comunque potuto competere con le tre straordinarie pubblicazioni partorite dall'inarrestabile Allock – verrebbe da chiedersi come mai Gilderoy Allock, lo scapolo più desiderato di tutta la Gran Bretagna e oltre, si dedichi così indefessamente al lavoro, senza mai lasciarsi distrarre da un femminile sorriso, ma non è questa la sede… o forse sì?

Tuttavia, la Royal non si è data un regale soprannome per nulla: il suo tocco da maestra ha saputo colpire anche questa sera, ribaltando una situazione apparentemente irribaltabile. E lo ha fatto senza mai uscire allo scoperto, con il sottile acume che contraddistingue tutto il suo operato, attraverso le parole del compiaciutissimo Ebenezer Flintshire. Il direttore della TuMiStreghi, degno re della sua Regina, ha infatti saputo giocare al meglio con i tempi e la sportività. Ha applaudito gli avversari e lasciato loro tutto lo spazio necessario per i discorsi di circostanza, per i fiori, le foto di rito – alleghiamo in prima pagina il ritratto di Allock, raggiante nel suo completo blu e dorato, colori che prevediamo domineranno le vetrine dei migliori stilisti nelle prossime settimane, quindi sì, signore, è proprio arrivato il momento di togliere dalla naftalina quello chiffon d’oro che conservate per le occasioni importanti! – salvo poi far scivolare con studiata noncuranza l'informazione capace di eclissare il successo di Gilderoy e rendere la sua Queenie una vera signora.

"In casa TuMiStreghi siamo felicissimi dei risultati ottenuti da Come un fiore è il nostro amore, ha dichiarato Flintshire in quella che doveva essere una conversazione privata, caduta però in un convenientissimo momento di silenzio, "e speriamo che le vendite continuino a salire. Non per noi, ovviamente, ma per il modesto contributo che stiamo cercando di dare alla ricerca". Sono bastate poche domande per arrivare a una completa confessione: Queenie Royal ha insistito affinché il ricavato delle sue royalties (perdonate il bisticcio linguistico) non finisse a ostruire la superficie della sua camera blindata alla Gringott, ma venisse invece interamente devoluto ai ricercatori del San Mungo del reparto Lesioni da Incantesimo.

La vostra Rita Skeeter è troppo scaltra per non individuare l'ennesima perfetta mossa pubblicitaria attuata dalla Royal per mano di Flintshire, ma quando la pubblicità si piega alla nobile causa della beneficenza la vostra corrispondente non può fare a meno di commuoversi. 

È dunque con le migliori intenzioni che vi esorto a correre a svegliare il gufo di famiglia per piazzare al più presto un ordine nella vostra libreria di fiducia: Queenie Royal e la sua generosità hanno bisogno di voi!

 

***

 

Gilderoy aveva una particolare inclinazione per il meglio. Amava le cose belle, ma non si accontentava mai di qualcosa di ottimo, lui voleva solo la cosa migliore. E no, non si trattava solo di gretto materialismo: certo, era disposto a sporcarsi la fedina penale per accaparrarsi gli abiti migliori e sì, il fatto che il suo piccolo appartamento negli ultimi anni si fosse trasformato da un buco di nessun valore pieno di mobili comprati a buon mercato in un raffinatissimo esempio di buon gusto e arredamento di ottima qualità, costruito con pazienza assecondando i progetti dei migliori arredatori del Paese lo riempiva di una gioia che poche altre volte nella vita aveva provato. Ma non si esauriva tutto qui: la sua ricerca del meglio si articolava su scale più complesse e articolate, fatte di traguardi personali e obiettivi stabiliti da lui stesso. Gilderoy non era capace di accontentarsi di un secondo posto, di un complimento mediocre o di essere tenuto in considerazione solo in parte. La perfezione doveva risiedere in ogni aspetto della sua vita, o lui non si sarebbe mai detto soddisfatto. 

Fu dunque con un’ironia che non era però disposto a cogliere – non quando l’irritazione gli bruciava così tanto nel cuore – che Gilderoy si ritrovò a constatare che, da esperto in meglio, la sua posizione si stava trasformando in un esperto in peggio. Perché che quella serata sarebbe stata solo un continuo peggiorare in una inevitabile discesa nell’umiliazione più cocente lui avrebbe dovuto capirlo fin dall’inizio, fin dal suo completo d’un lilla perfetto rimasto inerte a penzolare da una gruccia nel suo armadio. Lo avrebbe dovuto capire, avrebbe dovuto riconoscere una causa persa in partenza, alzare bandiera bianca – un bel bianco ottico, per carità, ché il panna gli ingrigiva terribilmente l’incarnato! – e restarsene chiuso in casa, invece di sprecare tante energie cercando di aggiustare qualcosa di rotto in partenza. 

E invece no, Gilderoy aveva insistito. Aveva ascoltato la voce pacata e ragionevole di Septimus, aveva pensato che il blu e l’oro fossero degni sostituti del lilla, aveva sorriso e aveva fatto il suo ingresso nella sala congressi esattamente al momento giusto, quando la maggior parte degli invitati erano già arrivati, i giornalisti erano stanchi di fotografare personalità insulse ma nessuno si era ancora stancato di restare rinchiuso in quel salone agghindato a festa con pessimo gusto. Aveva sorriso ai flash, aveva scambiato sorrisi con vecchie conoscenze e personalità che sapeva di doversi ingraziare, aveva chiacchierato leggero e aveva finto il giusto grado di disinteresse mescolato alla curiosità per il premio che di lì a poco sarebbe stato assegnato (come se lui non sapesse di essere l’unico possibile vincitore, e come se davvero non gli importasse di esserlo!). E tutto sembrava andare nel verso giusto, anche se lo champagne servito da giovani camerieri in livrea scura era troppo caldo e le tartine erano tanto buone quanto farcite di calorie, rendendo ogni vassoio una sofferenza continua di vorrei-ma-non-posso a cui Gilderoy si era stoicamente sottoposto. 

E poi era arrivata la premiazione, il discorso della Writer and Publisher Magic Association, la proclamazione del suo nome, gli applausi, nuove foto, nuovi sorrisi e quella meravigliosa sensazione che gli scaldava il petto ogni volta che un nuovo mattone andava a rendere più solida la fortezza in cui si era rinchiuso. 

Tutto bellissimo, tutto praticamente perfetto, tutto così al posto giusto da farlo abboccare scioccamente all’amo che quella serata rappresentava. Si era fidato, aveva creduto che tutto stesse andando bene, si era lasciato andare all’illusione e alla serenità, e quando tutto era crollato lui non se n’era nemmeno accorto. 

Le parole di Ebenezer Flintshire Gilderoy non le aveva nemmeno sentite. Era troppo impegnato ad ascoltare le lusinghe di un impiegato del Ministero che chiaramente doveva essersi vestito al buio, ma era disposto a perdonarglielo, non fosse altro che per il modo in cui accanto a lui Gilderoy spiccava e appariva decisamente migliore. 

Era stato un attimo: la conversazione aveva languito un istante di troppo, l’uomo si era guardato attorno lasciando che i suoi occhi indugiassero sul capannello di gente raccolta attorno a Flintshire, e poi Gilderoy aveva incontrato l’espressione impassibile di Septimus. Quello era stato il chiaro segnale che una tragedia doveva essersi consumata.
Perché Septimus non era mai impassibile, non in pubblico: in mezzo a un gruppo di persone, Septimus sorrideva sempre, o chiacchierava, o rideva, o trovava il modo di raccogliere informazioni apparendo amabile e interessante. Septimus in pubblico era sempre un concentrato esasperato ed esagerato di emozioni, dunque l’imperturbabilità, su di lui, agiva per difetto: arrivare al grado zero di emozioni significava aver rinunciato a così tanto che la situazione doveva essere a dir poco disperata. 

I due uomini si erano scambiati un’occhiata rapida che però Gilderoy non era stato in grado di decifrare, Septimus aveva applaudito e aveva stretto la mano a Flintshire con la stessa gioia negli occhi di un uomo costretto a baciare un rospo, e Gilderoy si era ritrovato a gravitare attorno a un centro di attrazione. Lui che fino ad un istante prima era stato il centro esatto di satelliti che gli orbitavano attorno, sperando di poter cogliere parte della sua luce, ora era solo un’ombra. Il centro della festa era diventato, incredibilmente, Ebenezer Flintshire. Ebenezer Flintshire e quella maledetta Queenie Royal, naturalmente. Queenie Royal e la sua beneficenza, Queenie e il suo buon cuore, Queenie e la generosità che per contrasto faceva apparire il premio di Gilderoy qualcosa di gretto e meschino, qualcosa per cui provare imbarazzo e in pizzico di compassione, addirittura. 

 

Gilderoy era accanto a una finestra aperta, cercando di respirare a pieni polmoni l’aria fresca della sera. Doveva stare tranquillo.

Doveva stare tranquillo, perché Septimus aveva detto che avrebbe sistemato ogni cosa. 

Ma Gilderoy non poteva stare tranquillo, non dopo che la sua serata si era trasformata in un disastro. Non dopo che Septimus gli aveva mormorato all’orecchio quanto successo, non quando gli aveva riassunto rapidamente il contenuto del taccuino di Rita Skeeter, la giornalista più promettente della scena contemporanea. Gilderoy non aveva idea di di come Septimus avesse superato le difese della chiusura rigida di quell’orrore di borsetta che la Skeeter sembrava portarsi appresso ovunque, anche quando andava in bagno a incipriarsi naso e mascella, ma Gilderoy aveva smesso da tempo di interrogarsi sui metodi utilizzati da Septimus. Sapeva solo che il loro obiettivo, fino a quel pomeriggio, era stato quello di essere protagonisti del nuovo articolo della Skeeter, ma qualcosa era decisamente andato nel verso peggiore possibile. Perché Gilderoy in quell’articolo era solo una comparsa ingombrante, una comparsa pronta a occupare giusto lo spazio di una figura meschina prima di cedere il posto alla reginetta assente della serata.

Septimus aveva scacciato presto l’imperturbabilità e aveva ripreso a sorridere di quel suo sorriso distratto che nascondeva solo macchinazioni: aveva intimato a Gilderoy di restare lì, davanti a quella finestra semiaperta, di restare lì e lasciare che la gente gli scivolasse attorno registrando la sua presenza e nulla più. Ci avrebbe pensato lui a sistemare le cose, aveva promesso, ma poi era sparito. 

Gilderoy aveva sbocconcellato elegantemente un grissino al formaggio, cercando di nascondere il nervosismo che lo stava divorando da dentro. Si fidava di Septimus, lo aveva sempre fatto e non aveva mai avuto motivo di pentirsi della sua fiducia, ma Septimus sembrava essersi completamente dimenticato di lui. Da ore ormai parlava con una giovane donna con cui la natura non era stata particolarmente generosa, a giudicare dai suoi occhi sporgenti incastonati su un viso anonimo dalla carnagione giallastra che il lungo abito di chiffon rosa cipria non aiutava minimamente. Gildeory non riusciva proprio a capire che cosa il suo editore potesse trovare interessante in quella signorina anonima: non era alcun nome importante, non aveva potere, era probabilmente una lontana cugina di un’amica di una qualche moglie di un editore di infima importanza, capitata a quella festa un po’ per caso e spinta soprattutto dalla curiosità di gettare almeno per una volta uno sguardo su un mondo fuori dalla sua portata.
Per un attimo, Gilderoy si ritrovò a pensare a Queenie Royal: nessuno sapeva chi si nascondesse dietro quel nome, ma Gilderoy avrebbe scommesso almeno uno dei suoi gemelli di madreperla che la Royal somigliasse molto di più a quella figura sciatta e insignificante che a qualcuna delle belle dame che volteggiavano eleganti nella sala. Lui si era sempre divertito a immaginarla più vecchia, ma insomma, sarebbe stato proprio il culmine di una serata disastrosa se Septimus, invece di pensare ad aiutare Gilderoy, si fosse lasciato distrarre nientepopodimeno che dalla sua nemesi. 

Oh, ma forse allora quella era davvero Queenie Royal: Gilderoy non ci aveva fatto caso, perché il suo aspetto era troppo insignificante perché lui la guardasse per più di un secondo, ma magari quella donna aveva ascoltato la conversazione che lui e Septimus avevano avuto, e ora aveva deciso di intervenire e distrarre l’editore, sperando così di salvaguardare la propria vittoria totale.

Ma non poteva essere. 

Gilderoy si rifiutava di cedere a quella donna così tanto potere. 

Gilderoy si rifiutava di vedersi sconfitto su così tanti fronti.

Queenie Royal non poteva prendersi tutto – non poteva prendersi anche il suo editore, maledizione!
Eppure, forse lo stava facendo.
Forse Septimus era a conoscenza della vera identità della Royal, e il suo sistemerò tutto non voleva significare sistemerò tutto in modo che tu possa uscire vincitore, Gilderoy, ma solo sistemerò tutto in modo che io possa uscirne vincitore, e al diavolo quell’Allock, molto meglio riuscire a strappare la Royal al suo contratto con la TuMiStreghi.

Non poteva essere… eppure poteva essere. Lui e Septimus erano sempre andati così d’accordo, si erano sempre capiti tanto bene proprio perché nessuno dei due conosceva scrupoli, perché entrambi sapevano bene che cosa volessero ottenere – il successo – ed erano pronti a fare ogni cosa necessaria per raggiungere l’obiettivo, e al diavolo tutto il resto. 

Ma Gilderoy era ancora il migliore, doveva essere il migliore: Septimus doveva ancora credere in lui, non doveva pensare che la strada migliore per raggiungere il successo fosse Queenie Royal, non poteva – non doveva – non…

“Ti senti bene?”
Gilderoy aprì gli occhi che nemmeno si era accorto di aver serrato, risucchiato fuori dal frastuono dei suoi pensieri da una voce profonda e calda come il velluto. Da qualche parte sopra la sua testa, due occhi scurissimi e venati di preoccupazione lo fissavano dal centro di un volto concentrato. Il volto apparteneva a un uomo alto e imponente che se ne stava leggermente proteso verso Gilderoy. Un uomo che, con la sua stazza e il peso che sapeva mettere in quello sguardo attento, avrebbe corso il rischio di apparire minaccioso, ma sotto quello sguardo Gilderoy si sentì improvvisamente piccolo, indifeso e smarrito come solo un bambino potrebbe fare. Un bambino che però si trovava saldamente sorretto dalla mano di un genitore, certo che ogni cosa sarebbe andata bene, d’ora in poi.

“Io… credo di aver solo un po’ di caldo”. 

L’uomo lo fissò ancora un po’, soppesando le sue parole – e Gilderoy, scioccamente, fu certo che quell’uomo avesse visto attraverso quella mezza bugia, tracciando il contorno del suo respiro mozzato e delle sue gote rosse per l’ansia che aveva appena combattuto – e poi si aprì in un sorriso appena accennato. Un sorriso che mise subito in chiaro quanto quell’uomo fosse poco più di un ragazzo, a dirla poi tutta, di certo non più grande di Gilderoy.

Un sorriso decisamente apprezzabile, avrebbe voluto notare Gilderoy, se solo non fosse stato circondato da persone ostinatamente decise a vedere in lui il personaggio che si era faticosamente costruito a colpi di piuma e donne innamorate, quel personaggio che il sorriso di un uomo non lo avrebbe mai dovuto notare se non per fare paragoni e trovarsi ancora una volta il migliore. 

“Fa caldo, sì. Forse ti conviene aprire un po’ di più quella finestra, se non vuoi uscire a prendere una boccata d’aria e rischiare di perderti la festa”.

La sua voce era un mormorio lento e costante, lo sciabordare di onde placide in una notte d’estate. E le sue parole… c’era forse un invito, celato lì in mezzo?
Gilderoy si riscosse, ricordandosi improvvisamente di essere pur sempre l’uomo del momento. E l’uomo del momento non avrebbe mai potuto permettersi di ascoltare gli inviti celati nelle parole di un gigante dal sorriso luminoso. 

“Io credo che…”
Che cosa credesse, Gilderoy non lo pronunciò mai, perché in quel preciso istante successero molte cose nel medesimo momento. E Gilderoy ne riuscì a capire molte poche.
Capì solo che gli occhi di quell’uomo si impigliarono in qualcosa ai margini del loro campo visivo, trasformando tutto il suo atteggiamento in vigile tensione. E poi, con un movimento così rapido da far girare la testa a Gilderoy, l’uomo estrasse la bacchetta da un anfratto della veste, voltandosi ad affrontare qualcosa al centro della sala e riuscendo col medesimo gesto a spingere Gilderoy alle proprie spalle.

L’uomo non pronunciò ad alta voce nessun incantesimo, e nascosto dietro quelle spalle ampie e imponenti Gilderoy non riuscì a vedere che cosa stesse succedendo, ma anche un uomo che le avventure sapeva viverle solo sulla carta come Gilderoy era in grado di riconoscere un assalto magico.
Ci furono urla e schiamazzi, occhi puntati su di loro e flash della macchina fotografica a illuminare la scena, e quando Gilderoy finalmente prese coraggio e osò uscire dal cono d’ombra che era la schiena dell’uomo dallo sguardo penetrante, ciò che vide lo lasciò di sasso.

All’altro capo di quello che era senza ombra di dubbio un Incantesimo Scudo estremamente potente, un Septimus Thesaurus estremamente confuso e spaesato alternava lo sguardo fra Gilderoy e il gigante con la bacchetta e la donnina insignificante accanto a lui, anche lei confusissima, ma saldamente aggrappata a sua volta alla propria bacchetta.

“Signora”, risuonò di nuovo la voce dell’uomo, bassa e pacata, ma con una vena di determinata risolutezza a renderla più fredda, “metta via la bacchetta e io scioglierò l’incantesimo”.

“Ma cosa… il signor Thesaurus… lui mi…”
“Signora, metta via la bacchetta!”
La voce di Septimus non aveva assolutamente niente di simile alla calma controllata dell’uomo accanto a Gilderoy. Anzi, Gilderoy era pronto a giurare che fosse spiazzato e anche decisamente spaventato. E questo spaventò Gilderoy, perché se Septimus era sull’orlo di perdere la calma, la situazione era davvero grave. Tra l’editore e la donna ci fu uno sguardo d’intesa, poi Septimus distolse rapidamente gli occhi, quasi a voler negare quell’intesa, e la donna abbassò la bacchetta. In quel medesimo istante, l’Incantesimo Scudo si sciolse, rischiando di far scivolare a terra i due. Gilderoy vide Septimus allontanarsi subito di qualche passo dalla donna, cominciando a spargere attorno a sé chiacchiere fitte e confuse.

Fu allora che l’uomo imponente, senza mai abbassare la bacchetta né distogliere l’attenzione dalla scena che si svolgeva davanti ai loro occhi, si sporse leggermente verso Gilderoy.

“Tu stai bene, vero? Non ti ha colpito?”
“Io… cosa? Colpito?”
Quella donna aveva cercato di affatturarlo? Ma allora era davvero Queenie Royal, e quello era stato il suo maldestro tentativo di eliminare la concorrenza!
“Via, via, non è successo nulla!”
Septimus sembrava aver ritrovato compostezza e sorriso: scoppiò a ridere, abbattè una mano sulla spalla di Gilderoy e lanciò un’occhiata compassionevole – e del tutto falsa – verso la donna che se ne stava ancora sola e confusa in mezzo a un capannello di persone che la fissavano ostili. 

“La signorina Nightingale è solo una donna accecata dall’amore, ma sono certo che non sia pericolosa, non davvero. Mi stava giusto pregando di presentartela, Gilderoy, perché sosteneva di non poter vivere un solo istante ancora senza poterti guardare negli occhi e…”
“Ha cercato di affatturarlo. Forse sarebbe il caso di risolvere la questione in una sede più tranquilla”. 

L’uomo che ancora non aveva lasciato la bacchetta non sembrava affatto incline a lasciarsi blandire dal sorriso di Septimus, che tuttavia scacciò con un leggero gesto della mano la sua protesta. 

“Sciocchezze, sciocchezze! Ha solo cercato di lanciare un innocuo Incantesimo d’Abbaglio sperando che Gilderoy si accorgesse di lei… è tutta colpa mia, in effetti, avrei dovuto provvedere ad accontentare il suo cuore disperato e presentarli”.

Il rammarico sul viso di Septimus era tanto accorato quanto studiato ad arte, Gilderoy lo sapeva bene. E Gilderoy sentiva che qualcosa non tornava: era stato Septimus ad approcciare quella Nightingale, di questo era sicuro, dunque Gilderoy non riusciva a credere alle motivazioni di quel gesto. O meglio, poteva benissimo credere che quella signorina fosse follemente innamorata di lui – come biasimarla, del resto – ma faticava a credere a tutto il resto. 

“Per fortuna che il nostro Auror Shaklebolt si è dimostrato così pronto a difendere le virtù dell’uomo della serata, allora!”

La voce di Ebenezer Flintshire, gioviale e allegra, calò sul gruppo, ed ebbe il potere di alterare qualsiasi equilibrio. L’uomo accanto a Gilderoy – un Auror, nientepopodimeno! Fresco fresco di accademia, a giudicare la sua giovane età, ma pur sempre un Auror – si irrigidì e assunse la stessa espressione che Gilderoy aveva visto sui suoi colleghi in occasione di cerimonie ufficiali: una maschera impassibile dietro cui poteva covare qualsiasi tipo di emozione senza che gli astanti potessero cogliere anche solo il minimo calore. Doveva essere qualcosa che insegnavano assieme a maledizioni e tecniche d’interrogatorio. Nella stanza si diffuse un curioso mormorio, mentre lo sguardo di tutti si distoglieva dalla scena pietosa di due addetti alla sicurezza che scortavano via la signorina Nightingale per seguire invece lo scambio di battute fra gli uomini più chiacchierati della serata. Septimus si lasciò andare ad un sorriso ancora più ampio, lo stesso sorriso che avrebbe potuto fare chi addentando una meringa di zucchero si fosse ritrovato invece ad affondare i denti in un limone acerbo.

Ebenezer Flintshire era un mistero: giovanissimo e affascinante, con le morbide onde dei suoi capelli scuri che scendevano a ombreggiare un viso affilato tutto occhi brillanti e sguardi maliziosi, quell’uomo era la nemesi di Septimus. Dove Septimus conquistava un traguardo, Ebenezer lo seguiva, raggiungendo lo stesso traguardo in modo più brillante. Septimus aveva risollevato le sorti della Magic Inkheart, e qualche mese dopo Flintshire aveva ridato lustro alla TuMiStreghi. Septimus aveva creato un mito attorno a Gilderoy, Flintshire ne aveva creato uno ancora più grande attorno alla Royal. 

“Ebenezer, amico mio, comincio a capire perché non vuoi esporre al pubblico la tua preziosa Queenie. Di certo per una donna attenzioni tanto insistenti sarebbero ancor più dure da sopportare che per un duellante esperto come Gilderoy…”
Septimus lanciò a Gilderoy uno sguardo eloquente: era lo sguardo di chi voleva dire eccoti un amo, aggrappatici, ricorda a tutti quanto tu sia bravo con la bacchetta, oltre che con la penna, ricorda a tutti che questo Mr. Muscolo ti ha salvato solo per un caso fortuito e che tu non sei mai stato in pericolo.

Ma Gilderoy si era perso. 

Sapeva che cosa avrebbe dovuto fare, ma i suoi occhi continuavano a scivolare sulla figura dell’Auror Shacklebolt, sul suo viso impassibile su cui era però certo che stesse sbocciando un’espressione vagamente irritata, sulla mano che ancora stringeva la bacchetta, sulla schiena che gli aveva fatto da scudo a un’assalto che non era pericoloso, ma che avrebbe potuto essere pericoloso, sullo sguardo insistente e pieno di significato che Ebenezer continuava a lanciare all’Auror…

Nessuno si era mai preso la briga di salvarlo da una fattura a lui indirizzata. E forse l’Auror Shaklebolt lo aveva fatto solo per deformazione professionale, rispondendo a un istinto insito in lui, ma era stato comunque un bel gesto.

E così, a coronare una serata fatta di insuccessi e tragedie, Gilderoy non seppe cogliere la mano che Septimus gli tendeva.
Pur sapendo di avere lo sguardo avido di Rita Skeeter puntato addosso, Gilderoy non riuscì a pensare a cosa fosse meglio per la propria carriera, mentre mormorava:
“Sono certo che l’Auror Shacklebolt non avrebbe mai permesso a nessun malintenzionato di fare del male a Queenie Royal. Se al mondo ci fossero più Auror Shacklebolt, nessuna Queenie Royal si troverebbe costretta a nascondersi ai propri ammiratori”. 






 

 


 

Note: 

Lo so, lo so, sono in un ritardo mostruoso.

Davvero non avrei voluto far passare così tanto tempo fra le pubblicazioni, soprattutto perché vi giuro che questa storia scalpita per essere scritta, ma sembra incredibile come sia possibile che a ogni settimana che passa il tempo sia sempre meno.

Insomma, ci sono, però.

So che la scena finale risulta confusa e molte motivazioni probabilmente non sono molto chiare, ma è una scelta precisa, e già nel prossimo capitolo dovrei riuscire a spiegare tutto. 

Grazie di cuore per la pazienza di chiunque sia arrivato fino a qui!
 




 

   
 
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