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Autore: AleeraRedwoods    18/02/2022    6 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-Epilogo-



    Erano passati solo due giorni dal termine della battaglia; due giorni dal maledetto momento che aveva sconvolto la sua breve vita di stella caduta.
    Sillen si strinse il mantello sulle spalle, riparandosi dal vento che spingeva le acque del fiume Anduin verso sud. Era quasi bello, quel paesaggio; il corso sinuoso dell’acqua pareva un nastro d’argento, morbidamente sfiorato dai bagliori dorati dell'alba.
    Nel frattempo, una generosa folla si era accalcata lungo le sponde del fiume e sui bastioni di Osgiliath, per assistere al triste evento che si sarebbe svolto da lì a poco: ovunque si posasse lo sguardo, s’incontravano solo le espressioni serie e gravi di Elfi, Nani, Uomini, dei soldati che avevano partecipato a quella guerra come fratelli, nessuno escluso.
    Persino i feriti, alcuni ancora febbricitanti e con ferite sin troppo fresche, avevano insistito per essere presenti.
    A Sillen parve di sentire ogni singolo cuore di quella folla batterle addosso, dentro, tanto era solenne il silenzio che avvolgeva le pareti di pietra della cittadella.
    Elessar e la Regina si avvicinarono alla riva lucente, affiancando la stella: -Le barche sono pronte, Sillen.- La Stella dei Valar annuì, incontrando i loro sguardi premurosi: -Procedete pure, non dovete preoccuparvi per me.- Deglutì, ingoiando a vuoto e ricacciando indietro le parole.
    Sapeva di non poter esprimere i suoi pensieri, in quel momento. Era troppo irrazionale perché potesse avere voce in capitolo, Thranduil l’aveva avvertita.
    Sorrise appena, rassicurando il Re degli Uomini: -Davvero, sto bene.- Questi sospirò, accettando quelle parole e la menzogna che nascondevano, impotente. Fece un singolo cenno e gli uomini sulla sponda opposta si mossero all’unisono: due corde furono tagliate e due barche, piccole e rapide, sfilarono lungo le acque dolci del fiume.
    Sillen si costrinse a rimanere immobile, mentre fissava quelle barche passarle tanto vicino da poterle sfiorare. Sapeva già di chi erano quei corpi distesi sul legno freddo e umido, eppure sperò di non riconoscerli. Immaginò di incontrare dei visi sconosciuti e distanti, come quelli di tutti i valorosi soldati che avevano bruciato dinnanzi alle mura di Minas Tirith, il giorno prima. Anime che, pur smuovendo la sua compassione di stella, non l’avevano toccata.
    Estranei senza valore. Era un pensiero terribile, crudele, ne era consapevole.
    Ma lei non aveva intenzione di mentire a sé stessa, non sarebbe servito a riportarlo in vita.
    Inevitabilmente, il suo sguardo riconobbe le due figure senza concederle neppure il beneficio del dubbio, i loro volti oramai marchiati a fuoco sulle sue retine: gli Stregoni Blu.
    La voce di Elessar le arrivò lontana e distorta, tanto da riuscire a malapena a distinguerne le parole: -Uomini dell’Ovest, amici del Nord, gente della Terra di Mezzo. Questo è un giorno di lutto per tutti noi.- Sulla sponda, Sillen sapeva che erano presenti anche i suoi compagni e odiò il fatto che anche loro, nel profondo, stessero patendo il suo stesso dolore. -Coloro che oggi salutiamo, non possiamo dire di averli conosciuti davvero. E non li abbiamo mai compresi davvero.- Continuò Elessar, solenne.
    -Eppure dobbiamo loro molto. Gli Stregoni Blu hanno protetto tutti noi, in passato, rischiando la loro vita e patendo sofferenze che vanno oltre ogni nostra immaginazione.-
    I suoi occhi grigi e benevoli si posarono brevemente sulle due figure incappucciate che assistevano al funerale, seppur incatenate per i polsi: -I racconti delle loro gesta sono stati finalmente tramandati e noi faremo in modo di non dimenticarli mai più.- Saedor e Lhospen, in lacrime, si strinsero tra loro, guardando i loro familiari venir trascinati via dalla corrente.
    -Pallando ha portato grande dolore su questa terra, è vero. Ma il nostro tempo non conoscerà il rancore, poiché nessuno di noi ha l’autorità per giudicare le sue azioni. Non noi, che abbiamo macchiato Alatar con la parola “traditore”.- Ammise, facendo tremare la stella.
    I ricordi di due giorni prima le ferivano l’animo come una lama rimasta a rovistarle nelle viscere, ad ogni respiro. Si rivedeva premuta contro il corpo dello stregone, fuori di sé: “Non è morto! Lasciatemi, non è morto, non è morto!”
    -Faremo ammenda per le ingiustizie che abbiamo riservato loro. Ricordatevi di questa guerra, fratelli. Ricordatevi di loro.-
    Sillen chiuse gli occhi, respirando a fondo. Rimpiangeva così tante cose che, se fosse stato possibile, avrebbe riavvolto il tempo a mani nude.
    Alatar, Alatar, il suo compagno, il suo migliore amico, quell’anima smarrita cui non aveva saputo offrire aiuto.
    Strinse forte i pugni, sentendo le vene bruciare per la furia che invase i suoi pensieri: non era stata solo colpa loro, non era forse così? Qualcuno, più in alto di lei, di tutti loro, aveva guardato senza fare nulla. Rabbiosamente, sperò che le due piccole imbarcazioni attraversassero il mare per intero, sino ad incagliarsi sulle sponde della lucente e immacolata Valinor: “guardate i loro cadaveri, potenti Valar. Sono l’onta che non laverete via, il fallimento delle vostre elucubrazioni, la cecità che negate in favore di tracotanti visioni del futuro”. Un sibilo sterile, quella condanna: nulla sarebbe cambiato, Alatar non sarebbe tornato indietro.
    Eppure… Seguì le sagome delle piccole barche con lo sguardo, la bocca dello stomaco serrata e il petto in subbuglio: eppure, non riusciva a non immaginare la familiare figura dello stregone riscuotersi come da un lungo sonno, per poi sollevare il busto e voltare prontamente la barca, incredulo e anche un po’ scocciato da quell’assurda situazione. Era un’immagine così vivida e impossibile da lasciarle le ossa indolenzite, scottate.
    Poi l’orizzonte inghiottì le salme e ogni altro pensiero venne sostituito dal fracassante silenzio che accompagnava la sua impotenza.
    Non raggiunse gli altri, non ne aveva ancora le forze.
    Quei cupi istanti sulla riva del fiume vennero bruscamente interrotti dallo sferragliare metallico dell’armatura di un soldato, diretto senza dubbio verso di lei. Sillen storse la bocca, infastidita, ma rimase ferma ad attenderlo. -Mia signora, Stella dei Valar!- La richiamò quello, ancor prima di raggiungerla: -Mia signora, l’Alfiere del Cielo si è- A lei non servì sentire oltre, perché la voce dell’arma, fino a quel momento sopita, le riverberò nella mente, un formicolio familiare e insperato a solleticarle la nuca:
    -Sillen. Dobbiamo parlare.-

    La sua stanza era fresca, in confronto all’esterno, e le tende impedivano al sole invadente di penetrare le ombre soffici, ammucchiate negli angoli di pietra. L’Alfiere del Cielo vibrò nel suo supporto regale, confezionato apposta per lui, e Sillen sentì il sollievo invaderla: -Stai bene.- Constatò, scrutandolo per intero.
    -Certo che sto bene.-
    -Sei rimasto in silenzio per due giorni, da quando hai infranto la barriera del Palantir.-
    -Lo so, dovevo solo riposare. Non sono un’illimitata risorsa di energia, scusami tanto eh.-
    -Non ho detto niente, infatti.- La stella sedette lentamente sul letto, dritta di fronte a lui, lasciando cadere nel vuoto quelle frasi di circostanza. Sapeva cosa stava per accadere e, a dirla tutta, aveva solo fretta di sentire cosa l’Alfiere avesse da dirle in proposito, stanca di rimanere sul bordo di un precipizio del quale, da sola, non poteva scorgere la fine.
    Inspirò a fondo, sporgendosi verso di lui sino ad appoggiare gli avambracci sulle cosce irrigidite: -Parla, dunque.- Il suo tono ferroso lasciò l’alabarda a corto di parole, per una volta: -S-sei tesa.- Parve mormorare, avvolto improvvisamente dalle emozioni della sua padrona.
    Dopotutto, era un po’ che non la sentiva così vicina: lei non tornava nella sua stanza da giorni, nemmeno per dormire. E quelle occhiaie riassumevano impietosamente il fatto.
    Sillen contrasse la mascella: -Alatar è morto.- Chiarì, ripetendolo nella propria mente per essere certa di ricordarlo a dovere. L’arma brillò placidamente: -Lo so, Sillen. Mi dispiace. Il suo incantesimo ha celato l’ultimo frammento, nessuno poteva immaginare quale fosse il suo piano.- Le mani della stella si contrassero in uno spasmo violento, mentre il suo respiro accelerava inconsapevolmente: -Io dovevo immaginarlo.- Sibilò, cruda.
    Doveva immaginarselo, perché amava lo stregone, lo conosceva, lo capiva meglio di chiunque altro e aveva sempre creduto in lui. E quelle bugie erano troppo preziose perché lei potesse negarle improvvisamente, dal giorno alla notte.
    -Poco importa. Sarò trascinata tra le mie simili, tra non molto.- A quella conclusione piccata, l’Alfiere del Cielo fremette: -Volevo parlarti di questo, Sillen.- Lei annuì, rivolgendogli finalmente la propria attenzione.
    Il tono dell’arma si fece grave, nella sua mente: -Stanotte la terra verrà battuta dai primi raggi di luna crescente.- Rimase in silenzio per qualche secondo, come a dare enfasi a quelle parole.
    Peccato che, per Sillen, quelle parole non avessero il minimo senso. Difatti, la stella si trovò a sollevare un sopracciglio, confusa: -E con questo?- L’altro crepitò, in un verso stizzito: -In che senso, “e con questo”?-
    -Cosa dovrebbe dirmi la luna crescente?-
    -Stai scherzando? I dettagli, Sillen, i dettagli. Non è che se tu sei abituata a fare tutto a caso allora è così anche per gli altri.-
    -Invece di criticarmi di continuo, vedi di spiegarti!-
    -Va bene, va bene! Per tutti i cieli, sei insopportabile.- La tensione nella stanza sarebbe dovuta sfumare nel giro di pochi secondi, come sempre accadeva in presenza dello scostante Alfiere del Cielo. Invece, nemmeno quel suo veloce scambio di battute fu in grado di scioglierla.
    -Tu sei caduta su questa terra nel primo fascio di luce crescente del mese di Maggio.- Spiegò questi, pazientemente.
    -Stanotte, saranno passati esattamente tre mesi da allora. Ci sarà di nuovo la stessa luna crescente.-
    -Tre mesi? Nella profezia non viene riportato niente del genere.- Sbottò lei, consapevole di non essersi realmente mai interrogata su quanto poco tempo ancora le rimanesse. -Credi sia un caso che la battaglia sia stata vinta a pochi giorni da questa notte? Il tuo tempo è scaduto.- E quelle parole la trafissero come una pugnalata in pieno petto.
    Irrevocabili, innegabili, inevitabili.
    Si ritrovò ad ansimare, terrorizzata: -C-cosa? No! Non è possibile, nessuno mi ha detto una cosa del genere, nessuno!-
    -Te lo sto dicendo io. Persino io già sapevo che sarei stato trovato adesso, lo sapevo ancor prima che cadessi su questa terra, non credere che si tratti di una coincidenza.-
    Il rifiuto bloccò in un istante la mente della stella, senza possibilità di penetrarla oltre. La giovane nascose la testa tra le braccia, muta e singhiozzante. Solo dopo aver sprecato interi monologhi nel silenzio della stanza l’arma divina si costrinse a tacere a sua volta. Quella ragazzina senza speranza! Non aveva sentito una singola parola. Si attardò nei propri pensieri, ponderando, riflettendo. Ma ogni singulto della padrona gli faceva tremare le lame affilate come fogli di carta al vento, maledizione.
    -Va bene, ecco quello che faremo.- Cominciò, sentendo l’energia da poco recuperata strepitare dentro di sé, contrariata.
    Finalmente, vide Sillen sollevare gli occhi gonfi di pianto su di sé, degnandolo di attenzione. Per quanto detestasse ammetterlo, ciò che stava per proporle non lo disgustava nemmeno così tanto: -Non spetta a me sorbirmi i tuoi piagnistei, bensì ho intenzione di scaricare la patata bollente a chi di dovere. Quindi stanotte tu raggiungerai i Valar e ti lamenterai per bene con loro. Spero di essere stato chiaro.-
    La stella sgranò gli occhi di ametista, incredula: -C-come? Tu puoi farmi parlare con loro?-
    -In un certo senso. Ma posso farlo una volta sola. Quindi vedi di non sprecarla, inutile ragazzina.-

    Sillen cominciò ad avvertire qualcosa d’insolito solo al tramontare del sole. Non era sicura fosse reale, in quei giorni erano state troppe le volte in cui aveva dubitato delle proprie sensazioni.
    Eppure, un’impazienza vertiginosa le impediva di rimanere ferma. E il bisogno di uscire dalla camera e correre a vedere il cielo scurirsi si faceva via via più impellente. Strinse l’Alfiere tra le mani, respirando a fondo.
    -Lo so. Lo sento anche io.- Il tono dell’arma voleva essere rassicurante ma a lei suonò solo come una cupa certezza, la prova che tutto ciò fosse reale. -Vuoi andare da lui? Ormai non manca molto.- Sillen scosse la testa fermamente, ricacciando indietro le lacrime: -Non ce ne andremo stanotte.-
    -Non puoi saperlo. Se non lo raggiungi adesso potresti pentirtene per sempre.- Quelle parole, calde e materne, la scossero dall’interno. Nonostante il bruciante desiderio di assecondarle, Sillen scosse nuovamente la testa: -Te l’ho detto. Io stanotte non andrò da nessuna parte.- E quella sicurezza allucinata, l’Alfiere non poté scalfirla in alcun modo.
    Quando la luna si stagliò alta nel cielo terso, le sensazioni si erano ormai acuite al punto da far scattare la stella in piedi, ansimante: -Alfiere, io-
    -Sì. Andiamo fuori.- Lei non se lo fece ripetere due volte. Con la camicia e i capelli umidi di sudore freddo, la stella corse nel Cortile della Cittadella, il cuore che le martellava nel petto. Non c’era nessuno, a quell’ora della notte, se non due guardie che, prontamente, la giovane rimandò dentro.
    Non si fermò fino a che, quasi sfinita, non arrivò all’estremità più lontana del cortile allungato, laddove esso si apriva nel vuoto per sovrastare le cerchia sottostanti e gli ondeggianti Campi del Pelennor.
    Tese l’Alfiere davanti a sé, istintivamente, e sentì uno strattone tirarle il braccio, pericolosamente verso il vuoto: -N-non ti faccio cadere.- Strinse la presa sull’asta tiepida dell’arma e lo rassicurò, tremando. L’alabarda, per nulla intimorita, ruotò nel suo palmo, allentandole la stretta teneramente: -Lo so, Sillen. Mi fido di te.-
    E la luce della luna crescente li colpì con una pressione quasi fisica. L’arma divina brillò a sua volta, attraendo a sé il ciondolo viola della giovane: -Va tutto bene, va tutto bene. Stai ferma.- La richiamò l’Alfiere, vedendo gli occhi della stella riempirsi di terrore. Questa annuì, cercando di non sporgersi troppo nel vuoto.
    Fu questione di un attimo. Il vento parve scomparire, tutto d’un fiato. Ogni suono, persino il sangue che le pompava nelle orecchie, venne isolato ai suoi sensi. Qualunque cosa doveva accadere quella notte, stava accadendo.
    Il cielo sembrava immenso, le stelle parevano vibrare come soffioni battuti dalla Bora.
    E tutto era silenzioso e furioso, inarrestabile.
    Solo allora, l’Alfiere lasciò che la propria energia irrompesse nella notte: un lampo di luce, che fece serrare gli occhi alla stella, poi un suono sordo. Infine, un ronzio, insistente, fastidioso, incessante. E l’inspiegabile sensazione di star precipitando verso l’alto.

    Sillen si ritrovò a sbattere le palpebre, incredula. La sua mano era vuota: -Alfiere?- Provò a chiamare, eppure la sua voce le morì nella testa, senza intaccare l’esterno. Non si trovava nel Cortile della Cittadella. Per un secondo sentì il panico invaderla.
    Era tutto perduto? Era stata trascinata nel firmamento? Allora dov’era l’Alfiere? Dov’erano le altre stelle?
    Si guardò attorno, il fiato corto, e sgranò gli occhi: due immensi alberi avvizziti, uno dorato e uno d’argento, dominavano l’orizzonte, sovrastando nove scranni dalle dimensioni titaniche. Davanti a quella scena sproporzionata, Sillen si ritrovò a tremare senza controllo, cadendo a terra.
    -Non avere paura, figlia mia. Sei al sicuro qui.- Una voce la attraversò con la stessa incandescente potenza di un fulmine, tanto inintelligibile da stritolarle la mente e l’animo. -Mia adorata… Dovresti essere con le tue sorelle, adesso.- Nonostante la confusione palpabile, Sillen fissò lo sguardo a terra e si sforzò di parlare di nuovo: -Chi sei? Sei uno dei Valar?- L’altra voce si fece quasi materia, sopra e dentro di lei: -Lo sono. Sono colei che conosci con il nome di Varda.-
    -Mia.. mia madre?- Come poteva il tono della Valië essere dolce e terrificante allo stesso tempo?
    -Se così vorrai vedermi. Ne sarei felice.- Con un immenso sforzo, la stella sollevò la testa, azzardando un’occhiata davanti a sé. Su uno degli scranni, una figura dalle dimensioni inaudite sedeva con grazia, talmente luminosa da non riuscire a definirne i contorni. Bastò solo quella fugace occhiata a far bruciare e lacrimare gli occhi viola della giovane.
    -So bene perché sei qui. Sapevo che saresti venuta. Ma voglio sentirtelo dire ad alta voce. - La incalzò, Varda. Sillen non riusciva a fermare i pensieri, ronzanti in testa come api inferocite. Quella era Varda, la sua creatrice, la divinità cui apparteneva.
    Era… troppo. Aveva così tanto da dirle e, ciononostante, così poco da spartire con lei. Voleva urlare, arrabbiarsi, insultarla, piangere, pregarla. Era semplicemente troppo.
    Si fece forza, ingoiando quell’ancestrale timore che le stringeva la gola: -L’Alfiere mi ha aiutata, perché dovevo parlare con voi. Con voi che mi avete creata.- A quelle parole, la Valië si sporse un poco ma non la interruppe.
    Stette a Sillen trovare il coraggio per dire oltre: -Per dirvi che non ho intenzione di tornare nel firmamento.- Lasciò che la sua dichiarazione si depositasse, non importava dove, ma sperò ben visibile agli occhi della sua genitrice.
    Ella non rispose subito e si prese il tempo di ponderare ogni singola sillaba. Quando si decise, c’era una vena di comprensione, o forse compassione, nella sua voce: -Non è il tuo volere a decretare quale sarà il tuo destino.- E lo affermò con una naturalezza tale da trapassare il cuore della stella da parte a parte. -Il tuo volere è una dimensione che si esaurisce in un tuo intimo desiderio, non deve essere un fatto.-
    -Ma potrebbe, è questo che stai dicendo? Se volessi, potrei rimanere nella Terra di Mezzo?-
    La regina dei Valar sospirò: -C’è differenza tra la potenza e l’atto. Una differenza che può stravolgere il mondo in cui hai vissuto. Confido tu sappia di cosa sto parlando, L’Alfiere ti ha spiegato ogni cosa.- La stella strinse i pugni. L’atto, dunque, era contemplato tra le cose possibili: in poche parole, lei poteva ancora cambiare le sorti del suo destino, nessun vincolo le impediva davvero di agire. Tantomeno una semplice profezia.
    -So che l’Alfiere deve tornare nel firmamento. E so che anche la mia presenza attirerebbe altro male, d’ora in avanti. Ma perché devo essere io a pagarne il prezzo!?-
    Ecco, lo aveva detto. Ormai non sarebbe tornata indietro, era fatta. A suo discapito, Sillen non aveva mai messo in dubbio il valore del suo compito. Anzi, lo aveva accettato, e onorato. Ma come poteva rimanere indifferente, adesso? Relegarla a un destino scritto era stato come reprime un fuoco dietro una misera porta di legno: chi poteva pretendere che questa non si consumasse, prima o poi?
    Adesso, c’era solo cenere e tanta, tanta rabbia.
    -Io non ho chiesto tutto questo! Se sapevate dall’inizio che avrei dovuto soffrire una cosa simile, perché mi avete creata in questo modo?!-
    Varda soppesò quelle parole: -Nessuno di noi ha il potere di donare o togliere i sentimenti e le emozioni ad una creatura. Sono semplicemente parte del suo animo. Ti abbiamo donato alcuni talenti per superare le prove di questa sfida, niente di più, niente di meno. I tuoi sentimenti, la luce e il buio dentro di te, sono affare tuo.-
    -Io questi doni non li voglio più! Vi prego, prendeteveli! Lasciatemi priva di ogni potere, non m’importa! Qualsiasi cosa, andrà bene qualsiasi cosa pur di-
    -Lascia che ti chieda questo, figlia mia. Chi porterà l’Alfiere lontano, se tu ti rifiuti di farlo?- Sillen sentì tutto il suo corpo tremare violentemente quando comprese quale sarebbe stata la sua risposa. Era davvero diventata meschina. O lo era sempre stata. -Non m’importa, purché non sia io. Non ho forse fatto abbastanza? Perso abbastanza?- Mormorò, con tono piatto.
    Varda sembrò abbandonarsi contro lo scranno prezioso, quasi si piegasse a causa di una profonda stanchezza. Lasciò che la pace di quel luogo l’avvolgesse per un po’, prima di tornare a parlare:
    -Voi giovani creature siete imperfette. Non fartene una colpa, se pensi ciò che hai detto. Io non ti biasimerò.-
    Come se a Sillen fosse minimamente interessato il suo biasimo: -Devo prenderlo come un no, madre?- Quel tono insolito scosse appena la Valië, che fissò all’istante la sua luce addosso alla stella, imperiosa: -Sarà sempre un no. È tuo destino custodire l’Alfiere del Cielo, lontano dalle altre creature che popolano la Terra di Mezzo. L’Equilibrio tra Bene e Male verrà mantenuto. È un sacrificio che salverà le generazioni future da dolori più grandi di quelli vissuti in passato.-
    Sillen sentì il fuoco bruciarle nelle vene: -Ora mi è tutto così chiaro. Glorfindel aveva ragione.- Sbottò, stringendo i pugni e sollevandosi in piedi. Il Vanyar le aveva aperto gli occhi molto tempo addietro e tutto ciò che aveva vissuto, era solo una riprova: loro erano solo pedine ben disposte sulla scacchiera, votate a compiere i voleri di quelle divinità onniscienti senza alcuna alternativa.
    Lei, Glorfindel, Pallando… Alatar. Sbattuti su quella terra con un destino scritto cui non potevano sottrarsi, modellati contro la propria volontà solo per essere adeguati.
    Era così crudele, così ingiusto. E così necessario.
    -Sai che accetterai questo destino, figlia. Perché non c’è altro modo, perché è nella tua natura proteggere quella gente.-
    -Tutte le vite che avete distrutto per i vostri alti scopi, madre, che valore hanno per voi?- Sibilò, la stella, puntando fieramente le iridi di ametista sulla Valië: -Tutta la sofferenza di quelle creature sacrificabili, che valore ha per voi!? La vita di Alatar non valeva quanto la sopravvivenza di quelle persone?-
    La luce di Varda si fece violenta e pulsante, tanto da schiacciarla al suolo con uno schiocco di frusta: -Non osare parlare di ciò che non puoi comprendere, figlia! La sofferenza di ogni creatura pesa su di noi senza filtro alcuno, come i loro destini! Non ti permettere di additarci come tiranni quando non puoi comprendere la natura di potenze divine come noi!- Non stava urlando ma la forza esercitata da quella voce compresse tutte le ossa della giovane, che gridò terrorizzata.
    Si rannicchiò su sé stessa, singhiozzando e stringendo i pugni contro la testa: -Grida quanto vuoi, non sono pentita di ciò che ho detto!- Urlò, testarda, sfidando con la voce quell’immensa energia. -Non importaTu porterai via l’Alfiere.-
    -Certo che lo farò! Però, dannazione, credevi che non avrei tentato il tutto per tutto!? Perché pensi sia venuta fino a qui!? Sapevo di non avere speranza, l’ho sempre saputo!- Gridò la stella, piangendo a dirotto, abbandonata al suolo.
    Varda sfrigolò per parecchio, prima di sospirare nuovamente, assimilando quelle parole. Sillen, come tutti i figli ribelli, aveva solo bisogno di crescere. E lei non aveva nemmeno il cuore per arrabbiarsi oltre: -Tre mesi.- Sillen sollevò la testa di scatto, gli occhi sgranati: -Cosa?-
    -Ti concedo altri tre mesi, figlia mia. Non un giorno di più. E adesso sparisci, ne ho abbastanza di te.- La stella fece per protestare, cercando di sollevarsi, quando la luce della Valië sparì di colpo dalla sua vista.
    E la sensazione di precipitare nel vuoto le strozzò il respiro.


 
**
 
    Glorfindel raggiunse il cortile pochi minuti dopo, stravolto.
    Tutta quell’energia che aveva avvertito… Il cielo pareva spalancarsi sulla città, lì fuori. No, non voleva nemmeno pensarci.
    Si guardò attorno, cercando febbrilmente una figura tra le ombre. -Ti prego, ti prego- Aggirò l’Albero Bianco, cercando di regolare il respiro. Poi, un familiare brivido gli attraversò la spina dorsale, tranquillizzandolo: la sentiva ancora, sentiva la presenza di Sillen. Fu il suono di singhiozzi strozzati a condurlo da lei.
    -Sillen…- La stella non si mosse, rannicchiata contro il parapetto del Cortile, l’Alfiere del Cielo abbandonato a terra al suo fianco. Il potere di entrambi rendeva l’aria elettrica, frizzante, come dopo una violenta tempesta. -Perché stai piangendo?- Le sue parole caddero nel vuoto, accolte solo da singhiozzi irrefrenabili, disperati.
    Vederla così lo consumava dall’interno e nemmeno sapeva perché. Però, qualunque cosa fosse successa, lei era ancora lì, davanti a lui. Per un secondo, aveva davvero creduto che il cielo l’avesse reclamata a sé senza preavviso.
    Sospirò, sentendo la tensione allentare la presa sui suoi muscoli e si lasciò scivolare al fianco alla giovane, stiracchiando le gambe davanti a sé.
    Attese per chissà quanto tempo che lei si calmasse, paziente, senza azzardare nemmeno un altro commento, fino a quando non percepì il suo battito tornare regolare.
    -Ho parlato con Varda.- Esordì la stella, d’un tratto, la voce spezzata. -Stanotte sarei dovuta partire per sempre. Avrei dovuto… Avrei dovuto portare con me l’Alfiere, proprio stanotte.-
    Glorfindel si voltò verso di lei, deglutendo: -Però, sei qui.-
    Il viso della stella si accartocciò tristemente: -Sono qui.- L’elfo sentì lo stomaco serrarsi e chiuse gli occhi per un momento, cercando le forze: -E per quanto sarai qui?- Altre lacrime colarono dagli occhi d’ametista di lei, come gocce di luce: -Tre mesi.- Confessò, in un soffio. Tre mesi.
    Quella consapevolezza li trapassò, impietosa. Tre mesi.
    Il Vanyar si alzò di scatto, come ustionato. Strinse i pugni, fletté le dita lunghe, e Sillen s’impose di non cedere a quell’istinto che le urlava di stringerle forte tra le sue.
    Erano già abbastanza distrutti così.
    Si alzò a sua volta, voltandosi per non lasciare che lui vedesse ancora le sue lacrime. -C’è un modo per impedirlo?- La voce roca dell’elfo le fece tremare le spalle: -Anche se ci fosse, non potrei permettermi di provarci. Perché rischierei di riuscirci.- E quella innegabile realtà fu l’ennesimo schiaffo che l’elfo dorato accusò senza difese. Contrasse la mascella, distogliendo lo sguardo con un sibilo frustrato.
    Non voleva, dannazione. Non voleva affatto.
    -Glielo dirai?- Sputò fuori a fatica quella domanda scomoda, anche se già prevedeva la volontà della stella. E, soprattutto, sapeva che qualunque cosa lei avesse fatto d’ora in avanti non lo riguardava più.
    Deglutì, avvertendo la rabbia irrompere da dentro, un dolore quasi tangibile. Non gli importava, si disse -mi importa, mi importa troppo, fa troppo male, non reggerò- e premette una mano sugli occhi, inspirando forte, costringendosi ad ingoiare ossigeno. Ascoltò i singhiozzi della stella morire lentamente contro il cielo notturno, quel maledetto cielo, e un po’ morì anche lui. Morì di nuovo. Di nuovo e ancora, ancora, ancora, al suono di ogni lacrima che batteva sulla pietra tiepida.
    -Non gli dirò niente. Non dirò niente a nessuno.- Sussurrò lei, infine, dopo minuti infiniti. Solo allora, il Vanyar le puntò gli occhi dorati di nuovo addosso, accusatori. Egoista. -Perché?- Chiese, tra i denti, nonostante riuscisse ancora ad anticipare ogni sua parola come fosse propria.
    Lei sollevò la testa e si voltò, affondando impietosamente le iridi di ametista in quelle dell’elfo, provocandogli una scossa che gli strozzò le viscere: -Perché non ne ho il coraggio.- Ammise, stringendo i pugni in un moto di frustrazione: -Perché non voglio passare gli ultimi giorni della mia vita con il suo dolore addosso.- Egoista.
    -E quando te ne andrai, non sarai tu a raccogliere i pezzi.- Quelle parole la ferirono, tuttavia sollevò il mento, decisa: -So che non è solo. Andrà tutto bene.-
    -Certo che andrà bene, lui è forte. Supererà anche questa. Ma non è una giustificazione per le tue azioni. Sei tu quella che non ce la farà.- Le abbaiò contro il Vanyar: -Questi tre mesi saranno un tormento, una tortura, lo sai benissimo.-
    Sapeva che sputarle addosso sentenze tanto velenose non era giusto ma non poteva farne a meno. Dopotutto anche lui, come lei, non poteva farcela.
    Sillen sospirò, senza ribattere. Lasciò vagare lo sguardo nel cielo nero, costellato di stelle, mentre l’elfo divorava senza vergogna il suo profilo tinto dalla luna. Sillen poteva quasi sentire quelle iridi spogliarla, impietose, fisiche.
    Glorfindel non le aveva mai rivolto lo sguardo tormentato e dolce di Thranduil, non possedeva lo stesso affetto accorato: no, Glorfindel non la guardava, lui la scuoiava viva, le scavava nella carne e nelle ossa, con violenza. Lo lasciò fare, quasi beandosi di quel bruciore reale. Tre mesi, e nessuno l’avrebbe mai più guardata.
    -Quando Alatar è morto… No, quando ho accettato la sua morte, pensavo sarebbe stato più facile.- Confessò. -Ho pensato che il mio fallimento, il mio dolore, mi avrebbero portata a rinunciare a tutto questo. Una sofferenza così grande che pur di non sentirla, pur di lasciarmela alle spalle, sarei scappata in cielo senza voltarmi indietro.-
    Le parole erano un fiume in piena, il pianto che tornava a spezzarle il fiato e la voce: -Però mi sbagliavo! Io voglio vivere, voglio vivere tutto questo, lo voglio, lo voglio, lo voglio e basta! È vero, saranno tre mesi orribili, perché saprò quanto ogni giorno mi avvicinerà alla fine, saprò che non saranno mai abbastanza. Eppure non vedo l’ora di viverli! Ma perché? Perché voglio ancora rimanere qui, perché sono così debole? Perché sono fatta così male!?-
    Glorfindel avvertì il cuore contrarsi su sé stesso e allungò le braccia verso la stella senza nemmeno rendersene conto. La strinse, incastrando il viso di lei contro di sé per arrestare quei singhiozzi convulsi. -I Valar ti hanno donato tante belle qualità Sillen. Sei forte, coraggiosa, generosa, una valida stella. Certo che lo sei. Ma tu non ti esaurisci solo in questo. Sei molto, molto di più. Sei egoista, sei testarda, sei incosciente, avida, arrogante, sfiancante, ingenua, viziata, ingiusta.- Sorrise amaramente, chinando il viso sui suoi capelli scuri: -Dei se sei ingiusta.-
    Avvertì distrattamente il respiro di lei calmarsi, il tremore farsi più lieve: -E hai tanta voglia di vivere. Quindi soffri, ma vivi questi tre mesi con la consapevolezza di non essere sbagliata. È il destino ad esserlo. Tremendamente sbagliato.-
    Cercando di darle forza, sapeva di sfiancare il proprio animo. Voleva solo portare via quella maledetta stella e lasciare il mondo intero dietro di loro, a bruciare. “Non avrai mai il mio addio, non te lo concederò nemmeno prima della fine. Ma porta con te tutto il mio amore, Stella dei Valar. E con esso, tutto ciò che avrei potuto darti e che rimpiangerò per sempre.”
    Ascoltò i battiti della stella tornare regolari, soffocato da un sentimento che conteneva dolore e amore in egual misura, un ossimoro capace di spezzargli il respiro.
    Solo allora, l’Alfiere del Cielo brillò lievemente, avvolgendo i due compagni con la sua luce calda e gentile: -Una vita così dolorosa, eppure così bella… non vale forse la pena viverla? Se solo Pallando avesse avuto la vostra forza, tante cose non sarebbero accadute. Alla fine, tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare col tempo che ci viene dato.-

    Quella mattina, quando Thranduil lasciò le sue stanze, trovò la stella dinnanzi alla sua porta, seduta scompostamente contro la parete. Aveva gli occhi grandi e gonfi, il viso stravolto, come se non avesse mai smesso di piangere. Come se i suoi singhiozzi strazianti avessero continuato a vessarla dal momento in cui era riuscito a staccarle le mani dorate dal mantello blu di Alatar sino a pochi istanti prima.
    Per quanto ne sapeva, poteva essere successo esattamente quello. Erano due giorni che lei non tornava da lui. Due lunghissimi giorni.
    Si bloccò sulla porta, la linea della mascella tesa e lo sguardo tagliente. Fino a quando Sillen non si aprì in un sorriso dolce, genuino, di quelli che il Re temeva di non rivedere mai più.
    -Torniamo a casa, Thranduil.-
    Dopo un attimo di stupore, gli occhi di ghiaccio dell’elfo si fecero lucidi e caldi, come il cielo estivo. -Torniamo a casa.-

 
**
 
 
3 mesi dopo…
 
    Miniel si affacciò dalle alte mura del cortile della Città Bianca, sbracciandosi per salutare un’altra volta ancora i suoi più cari amici: -Arrivederci, arrivederci!- Sorrise dolcemente, mentre il vento le scompigliava i capelli bruni.
    Il sole di quell’alba autunnale le scaldava piacevolmente le guance ma non era lontanamente paragonabile al calore che le avvolgeva il cuore nel posare lo sguardo sulla sua pacifica Gondor: i mercanti lungo le strade di Minas Tirith vociavano allegri e scanzonati, famiglie e carovane andavano e venivano dai paesi vicini e i profumi dei forni della città impregnavano l’aria. Persino i Campi del Pelennor erano tornati ad essere quelle erbose distese che, la prossima primavera, sarebbero graziosamente rifiorite.
    La Principessa premette una mano sul petto, respirando a fondo per non lasciare che quelle meravigliose sensazioni venissero gradualmente sopraffatte da ricordi meno lieti: ciò che era accaduto aveva lasciato molti segni dentro di lei, segni che forse nemmeno il tempo avrebbe potuto cancellare.
    I capelli biondi di Legolas spiccavano sulla via maestra, ben settecento piedi più in basso ma ancora perfettamente riconoscibili, e Miniel lo vide sollevare il braccio, per sventolare il lungo arco nella sua direzione.
    Tornò a sorridere, ricambiando il saluto: -Vi voglio bene! Tornate presto!- Gridò, consapevole che Legolas e Gimli non l’avrebbero comunque sentita. Non le importava: dopotutto, aveva passato gli ultimi mesi incollata ai due come la resina sugli alberi e di certo aveva ripetuto quelle parole abbastanza volte da rendersi persino fastidiosa. Anche se i due amici non l’avrebbero mai dato a vedere, pensò felicemente.
    Elessar e Arwen, accanto all’Albero Bianco, sorrisero della scena, tenendosi teneramente per mano.
    -Faramir è ripartito?- Chiese la Regina, posando la testa sulla spalla forte del suo sposo. Elessar sollevò giocosamente le sopracciglia: -Stamani all’alba! È sempre più impaziente di tornare a casa, ora che sua moglie ha annunciato l’arrivo di un altro bel piccolo erede.[1] Certo è dedito al suo ruolo di Sovrintendente ma è giunto il momento che si prenda un meritato congedo. Éomer e Dama Lothíriel andranno a trovarlo presto.-
    Anche Arwen rise, dolce come un usignolo: -Così deve essere.-
    I suoi occhi grigi corsero al cielo, accesi come il suo sorriso:
    -Chissà, forse i Valar doneranno anche a noi un’altra gioia.-
    Elessar la guardò con rinnovata attenzione: -Un’altra gioia?- Lei annuì, posando il mento sul suo petto per poterlo guardare in viso e lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio: -Una piccola principessa… o un piccolo principe.- Il Re socchiuse gli occhi, divertito, e abbassò la voce in un mormorio eloquente: -A tal proposito, non credo servirà scomodare i Valar.- Baciò la sua Regina, tranquillo come non era da molto tempo.
    Nelle sue vene, il sangue di Dunadàn scorreva placido e soddisfatto, finalmente: il suo regno era al sicuro, la sua famiglia al suo fianco e nessun male si sarebbe nuovamente azzardato a mettersi lungo il suo cammino, ne era certo.
    Ora, tutti i suoi compagni più fedeli erano in pace, le loro terre floride e piene di vita.
    E di amore.
    -Anche Sillen vorrà crearsi una famiglia, un giorno.- Pensò, tra sé e sé. A quelle parole, la serenità di Arwen parve incrinarsi leggermente, ma si ritrovò a sperare che Aragorn non riuscisse notarlo. Distolse lo sguardo, il sorriso più tirato: -Chissà…-
    -Sto forse interrompendo qualcosa?- I due sovrani voltarono la testa, sorridendo istintivamente. Il ghigno saputo di Thorin Elminpietra li accolse, mentre questi puntava le grosse mani sui fianchi: -Ma guarda un po’, ultimamente sembrate tutti fin troppo rilassati. Come se non ci fosse del lavoro da sbrigare!-
    Arwen si portò una mano alle labbra, tentando di nascondere le risa, e Elessar si avvicinò all’amico: -Per fortuna il Signore dei Nani ha tutto sotto controllo!- Gli assestò diverse pacche sulle spalle massicce e il nano quasi perse l’equilibrio: -Prendi pure in giro, vecchio ramingo! Intanto, i miei uomini hanno appena concluso il restauro.-
    -Incredibile, in soli tre mesi sono riusciti a svolgere un lavoro che ci avrebbe impegnati per anni!- Era sincero, il Re di Gondor e di Arnor. I Nani di Erebor, abili minatori e forgiatori, avevano restaurato le mura esterne e il magnifico portone in mithril, sotto la guida esperta di Gimli e del mastro fabbro del Re, Ibûn.
    -Vi siamo grati per il vostro aiuto. E grazie per essere tornato a valutare i lavori, Thorin.- Sorrise, Elessar, commosso.
    L’altro agitò una mano: -Consideralo un dono da parte del popolo dei Nani. Abbiamo rischiato di morire fianco a fianco, no? Ora sarà il caso di vivere facendo altrettanto.- Arwen si chinò con estrema gratitudine: -Sarai sempre il benvenuto in queste terre, mio signore.-
    Thorin si perse ad ammirare il paesaggio per qualche istante, il viso disteso in un’espressione soddisfatta: -Sapete, è una bella sensazione.- Strinse gli occhi chiari, trattenendo la commozione:
-Credo proprio che i miei padri, adesso, non avranno niente da ridire sulle mie gesta.-
    Prima che qualcuno potesse aggiungere altro, si riscosse, battendo le mani con fare gioviale: -Bene! È giunto il momento per noi di tornare alla Montagna Solitaria. Penso passerò a trovare Sillen, sulla via del ritorno. Ah, si starà annoiando, con tutti quei folletti dei boschi! Se partiamo subito, potremmo accodarci a Gimli e a quell’altro folletto: è possibile che vogliano venire anche loro.-
    In quel momento, la voce della Principessa fendette di nuovo la calma della città, propagandosi nella valle come lo squillo acuto di una tromba d’argento. Stava puntando il dito proprio verso i lontani Legolas e Gimli, seria e accigliata come non mai: -E non litigate più, voi due! Solo baci e carezze, chiaro?!-
    Elessar e Arwen sgranarono gli occhi all’unisono, preoccupati per la presenza del Re dei Nani vicino a loro. Aveva di certo sentito tutto. -Miniel!-
    Invece, Thorin sollevò il sopracciglio folto, alzando la voce per difendere l’adorabile Principessa: -BEH? Che avete da urlare? C’è forse qualcuno che ancora non l’ha capito, miseriaccia?!-

    Intanto, Legolas si grattò un orecchio, infastidito: - Mi fischiano le orecchie! Qualcuno sta parlando di me.- Con il naso arricciato dall’ilarità, Gimli sistemò la pesante sacca sulla schiena, prendendo una boccata dalla sua fidata pipa: -Sarà perché quelle appendici a punta prendono troppa corrente, altroché.-
    Legolas lo colpì sulla testa con l’estremità dell’arco, aprendosi all’istante in un’espressione falsamente dispiaciuta solo per beccarsi un’occhiataccia furiosa: -Non l’ho fatto apposta!- Poi scoppiò a ridere, cosa che, suo malgrado, fece desistere Gimli dal complottare qualsivoglia vendetta.
    Oramai i due compagni solcavano i Campi del Pelennor, diretti verso Nord, e niente sembrava poter turbare la profonda quiete che albergava dentro di loro.
    -Mi manca viaggiare tutti insieme, in un certo qual modo.- Ammise Legolas, tra lo scemare delle risate. Il nano dovette convenire con lui: -Già ma ora sono tutti sistemati e pieni d’incombenze. Nessuno ha tempo per le scampagnate. A ben vedere, pure noi avremmo delle responsabilità ad attenderci.-
    Legolas si imbronciò, aggrottando le sopracciglia delicate. Non avrebbe voluto incrinare quel momento perfetto ma ignorare la domanda che aleggiava tra loro sarebbe stato più che inutile, giunti a questo punto: -Ti sei pentito della tua scelta? Vorresti tornare alle Caverne Scintillanti?-
    Gimli, con sua somma sorpresa, lo zittì senza esitazione: -Lo sapevo che stavi pensando a questo! Ma cosa ti salta in testa? Sono anni che aspetto di tornare a viaggiare, non saranno di certo quelle irrilevanti responsabilità a fermarmi!-
    E si schiarì la voce, conscio che declassare i suoi doveri di reggente a “irrilevanti” fosse stato comunque un atto decisamente coraggioso: -E poi, non avrei più occasione di vederti. Tu torneresti nell’Ithilien, ad almeno…- Si fermò per contare a mente, cosa che fece sorridere l’elfo al suo fianco: -…almeno quattrocento miglia da me! Io sia dannato se passo un altro decennio come quello appena trascorso.- Esclamò.
    Legolas arrossì, senza più preoccuparsi di non darlo a vedere:
    -Giusto. Grazie per queste tue parole, le custodirò nel cuore.-
    Gimli tossicchiò il fumo, borbottando tra sé e sé: -Sentiti, adesso fai il tenero. Tanto impiegherai meno di due minuti per passare ad un’altra rottura di scatole, parola mia.-
    -Invece credo ci divertiremo molto, tu ed io.- Rise, Legolas.
    -Magari vivremo nuove avventure e salveremo paesi stranieri dalle grinfie del male! E quando sarai troppo vecchio per viaggiare ti cucinerò la zuppa, soffiandoci pure sopra.- E quasi finì per lacrimare dal ridere, al pensiero.
    Gimli scrollò una mano: -Certo, guarda che ne deve passare di acqua sotto ai ponti prima che io mi ritrovi ridotto così! Sono ancora forte e resistente, cosa credi?-
    Lo sguardo di Legolas si fece più sottile e brillante, malizioso, mentre incontrava i suoi occhi scuri: -Resistente..? Andiamo, ho imparato a mie spese che voi nani siete “scattisti nati”.- Sibilò, intendendo nemmeno troppo velatamente ben altre resistenze, che avevano poco a vedere con l’innocente corsa campestre.
    Gimli sgranò gli occhi, talmente colpito da riuscire a malapena a rispondere a tono: -T-tu! Rimangiatelo! Ti farò passare un brutto quarto d’ora!- Legolas prese a scappare: -Solo un quarto d’ora? Lo sapevo, avevo ragione!- Rise, mentre l’altro lo inseguiva con l’ascia in mano: -Smettila immediatamente, piccolo sfacciato!-
    Il cuore del giovane elfo batteva all’impazzata, felice e innamorato. Per una volta, era nel luogo giusto, al momento giusto e con la persona giusta. Non importava dove si sarebbero ritrovati all’alba, o fra molti anni da adesso, né cosa avrebbero mangiato o dove avrebbero riposato. Non esistevano confini o vincoli nel futuro che avevano scelto, purché lo affrontassero insieme.
    Correndo di qua e di là, inseguito da un rossissimo nano brontolone, Legolas si commosse, improvvisamente consapevole di essere riuscito, finalmente, a trovare il suo posto nel mondo.
    Adesso era tutto perfetto.
    I due si lasciarono Gondor alle spalle e, tra una provocazione e l’altra, non poterono fare a meno di ripensare ai loro compagni.
    In particolare, si chiedevano come se la cavasse la Stella dei Valar, che da ormai tre mesi non vedevano. Una stella che aveva cambiato le loro vite. E che, ignari e spensierati, si auguravano di rincontrare presto.


 
**
 
    Quella stessa stella, intanto, si rigirava nel letto, disturbata da un delicato raggio di sole che penetrava dalla grande finestra della stanza del Re degli Elfi. Era stranamente indolenzita ma il letto era talmente accogliente e comodo che l’idea di abbandonarlo non le passò nemmeno per l’anticamera del cervello.
    Mugolò qualcosa, sfregandosi i pugni sugli occhi come poteva, intralciata da un paio di braccia sin troppo strette attorno a lei.
    -Come mai stamattina non ti alzi?- Ancora per metà avvolta dal sonno, si rigirò di nuovo, voltandosi verso il proprietario di quelle braccia solide: -Di solito sei già in piedi da ore.- Thranduil scrollò le spalle, per nulla intenzionato a spostarsi: -Stamattina non era necessario.-
    -Niente incombenti impegni da Re?-
    -Solo farti compagnia.- Sillen sorrise, aprendo gli occhi. Suo malgrado, dovette reprimere un brivido inopportuno. Lo aveva visto in ogni modo possibile, quell’elfo dispotico, ma non si era abituata a quella particolare visione, nemmeno in tre mesi. Semplicemente, era impossibile.
    Thranduil sollevò appena un angolo di quella dannatissima bocca, stringendo gli occhi a due fessure lucenti: -Fai quella faccia tutte le mattine, sei incredibile.- Lei, per tutta risposta, si cimentò in una smorfia teatralmente infastidita, nascondendo il rossore che le aveva tinto le guance: -Guarda che sei tu a sconvolgermi tutte le mattine, non farmene una colpa.-
    L’elfo la avvicinò un po’ di più a sé: -Lo so. E non sono affatto dispiaciuto.- Affondò lo sguardo cangiante nel suo, attento: -Non so cosa ti sia preso ieri notte ma ero così stanco che credo di essermi addormentato persino io.- Constatò.
    A quelle parole, Sillen si svegliò violentemente da quell’idillio e la realtà, con tutti i ricordi della sera prima, le piombò addosso come un macigno. -G-già. Scusami.- Sorrise, ignorando il battito del proprio cuore impazzito.
    Giusto, i tre mesi…
    Era giunta al capolinea. Quella notte, ci sarebbe stata di nuovo la luna crescente.
    La sera prima era talmente disperata da…
    Avrebbe dovuto controllare il panico, la disperazione. Invece, ricordava benissimo di aver fallito miseramente, ormai giunta al limite della sopportazione. Aveva fallito nel momento stesso in cui si era lasciata consumare dalla crudele e irrefrenabile necessità di soffocare il dolore e la sofferenza tra le mani del Re degli Elfi. Quelle mani sempre gentili cui aveva chiesto, quasi pregando tra le lacrime, di stringerla più forte, di scavarle nella carne, di strapparle la pelle e assorbirla, prima che fosse troppo tardi.
    Invece, si era svegliata ancora una volta e niente era cambiato.
    Non si sarebbe più ridestata così, con lui, mai più. Non avrebbe rivissuto quel brivido impossibile, che al mattino la svegliava più di qualsiasi raggio di sole.
    Niente di tutto ciò, mai più.
    Per tutti i cieli, non doveva crollare proprio adesso.
    Strinse inconsciamente le dita sulle spalle dell’elfo, che la avvicinò dolcemente di rimando, e allargò il proprio sorriso, regolando il respiro: -Perdona l’irruenza, non è da me.-
    Thranduil rimase immobile per qualche attimo, senza lasciarle la possibilità di distogliere lo sguardo: -Hai pianto. Anche dopo, nel sonno, hai pianto.- Il suo viso non tradiva nessuna emozione, nessuna anomalia, eppure Sillen sentì lo stomaco contorcersi.
-Non me ne sono accorta.- Mentì, deglutendo a vuoto.
    Dannazione, dannazione, non doveva crollare proprio adesso!
    Poi, il Re la spinse di schiena, premendola contro il materasso con il proprio peso. La fissò dall’alto, i capelli argentei a celarli al mondo e, per un secondo, alla stella parve infinitamente triste.
    Solo fino a quando le labbra calde di lui non cercarono le sue, ponendo fine ai pensieri impazziti nella sua testa.
    Almeno per un po’.

    Mentre si rivestiva, Thranduil si attardò a seguire i movimenti della stella. Sulla pelle di entrambi, ancora spiccavano i segni di ciò che era accaduto la scorsa notte.
    Era stato diverso. Diverso da tutte le altre innumerevoli volte.
    Così diverso da ferirli entrambi.
    Accarezzò distrattamente con il pollice un piccolo livido dalla medesima forma, sul braccio dorato della stella, compagno di tanti altri identici, e lei sollevò lo sguardo con un sorriso rassicurante. Passò a sua volta la mano aperta sulla sua schiena forte, come a scusarsi per le sottili linee arrossate che adesso la percorrevano: -Va tutto bene, stiamo bene.- Si rallegrò lei, sistemando poi il vestito verde scuro che Emlinel le aveva amorevolmente confezionato, tirando bene giù le maniche.
    Thranduil non rispose, tornando a vestirsi.
    La stella superò lo studiolo, mentre il Re indossava la sua corona: -C’è qualcosa in particolare che devi fare oggi?-
    Non diceva mai dobbiamo. Thranduil era il Re ma Sillen non aveva mai nemmeno pensato di diventare Regina. Lo aveva chiarito da subito, che quello non era il suo compito, né il suo giusto ruolo. Non lo sarebbe mai stato, anche se avesse avuto a disposizione una vita, al posto di quei tre, miseri mesi. Amava Re Thranduil come Stella dei Valar e gli aveva fatto compagnia, lo aveva supportato e affiancato sempre come tale.
    -No. Rechiamoci alla Sala del Trono.- La stella sospirò: -Però, oggi pomeriggio andiamo all’arena? Voglio combattere un po’ con te.- Quasi mise su il broncio ma, stranamente, quel giorno Thranduil pareva più conciliante del solito: -Anche io ne ho voglia. Sbrigherò le mie pratiche in fretta.- Sorrise appena, lui, sospingendola verso la porta.
    Sillen si sentì stringere il cuore, per l’ennesima volta.
    Dannazione, quanto lo amava.

    Superando lentamente gli innumerevoli corridoi del Palazzo, Sillen si prese tutto il tempo per ammirare il paesaggio variopinto che faceva capolino dalle arcate di pietra. L’autunno, nel Reame Boscoso, si mostrava in tutti i suoi spettacolari colori. Le fronde fiammeggianti degli alberi sarebbero rimaste tali sino alla prossima primavera, senza spogliarsi mai.
    Avrebbe tanto voluto vederle mutare i loro colori ancora una volta. Ancora mille volte.
    Invece, si ritrovò a sobbalzare per lo spavento: -Ben svegliata, inutile stella.- L’ingombrante voce dell’Alfiere le sfondò il cranio con ben poca gentilezza e Sillen sibilò infastidita, sollevando gli occhi al cielo. -Finalmente tu e quel ghiacciolo reale avete deciso di darci un taglio.- Continuò l’altro.
    Nessuno poteva sentire le sconvenienti battute di spirito di quell’arma petulante, per fortuna; ma, pur sapendolo, la stella si sentì avvampare dall’imbarazzo.
    -Vi siete proprio ostinati a dar ragione a tutti quei piccanti pettegolezzi che girano a Palazzo.-
    La stella ringhiò in risposta, nella propria mente: -Resta fuori dalla mia testa, Al.-
    -Per carità, questo è sicuro. Non ci tengo proprio a vedere certe cose. Già non posso fare a meno di sentirle riecheggiare nel terreno, ne ho anche abbastanza.- Si finse disgustato, mentre avvolgeva la padrona con il proprio calore. Lo avrebbe negato sino alla morte ma le mancava, quell’inutile stella, quando non l’aveva accanto.
    -Che cosa diamine vuoi? Sono venuta a trovarti ieri.-
    -Oh niente. Volevo solo fungere da promemoria.- L’altra trattenne un respiro tremolante. Come se ce ne fosse mai stato bisogno…
    Ne avevano parlato anche il giorno prima. E quello prima ancora. Ne parlavano sempre, anche se si trattava solo di poche frasi: a Sillen serviva sfogare quei pensieri angoscianti, in qualche modo.
    L’alabarda doveva aver sentito ciò che era accaduto la scorsa notte e quell’incursione mattutina era semplicemente il suo modo di preoccuparsi per lei.
    Anche se non era lì, nel palazzo.
    Aveva deciso di rimanersene impiantato nel bosco, laddove la stella era caduta tempo addietro, per godersi le albe e i tramonti di quella terra che non avrebbero mai più rivisto.
    Desiderio che la stella, dal canto suo, aveva compreso fin troppo bene.
    -Ci vediamo più tardi…- Concluse lui, abbandonando la sua mente con più dolcezza di quand’era arrivato. Già, più tardi.
    Istintivamente, la mano della stella corse a stringere quella grande e affusolata del Re, al suo fianco.
    Questi le scoccò un’occhiata dall’alto, scrutando il suo profilo adombrato con le labbra tese in una linea piatta. Sarebbe stata una cattiva notizia, per lei, eppure Thranduil non si premurò di celarle la verità: -I corvi sono tornati da Imladris. Anche questa volta, senza esito.- Sillen trattenne il pianto che le premeva in gola, cercando di sorridere con naturalezza: -Ti avevo avvertito che Glorfindel non avrebbe risposto. Pazienza, è comprensibile no?- L’altro strinse leggermente gli occhi adamantini, studiando le sue reazioni: -Ci ho provato per te, a me non interessa cosa prova lui.- Lasciò cadere lì la conversazione, senza infierire e Sillen gliene fu grata.
    Sapeva che mentiva, invece: gli interessava eccome.
    Il Vanyar, dopo la battaglia, si era riservato l’incarico di custodire i due elfi oscuri e curare le loro ferite, a Gran Burrone, rifiutando l’invito degli Elfi di Eryn Lasgalen. Ma l’intento era chiaro: non voleva più stare con loro. La stella non si era opposta. A che scopo costringerlo a rimanere con lei quando questo gli avrebbe procurato solo dolore? Di certo, non sarebbe tornato adesso per darle l’ultimo saluto, non era da lui. Ma cielo, come le mancava.
    Quando aveva salutato i suoi compagni, a Minas Tirith, aveva impresso nella sua memoria ogni secondo. Loro non potevano sapere che quelli, per lei, fossero degli addii strazianti. Ci aveva fatto i conti allora ma le mancavano tutti, le mancavano terribilmente.

    Poco dopo, il Sindar prese posto sul suo trono, mentre Sillen si sistemava discosta, comodamente seduta sui gradini di legno.
    Come ogni mattina, Galion trotterellò alacremente verso di loro, i lunghi capelli bruni a rimbalzargli sulla schiena ritta: -Mio signore, l’ordine del giorno. Ci sono diverse cose piuttosto impellenti da risolvere, stamani ho atteso lungamente e-
    -Non adesso, Galion.- La brusca interruzione di Thranduil fece arcuare le spocchiose sopracciglia dell’elfo silvano, preso in contropiede: -N-non adesso. . E quando, se posso permettermi?- Bastò lo sguardo gelido del Re a convincerlo a zittirsi. Lanciò giusto l’abituale occhiataccia alla stella, prima di inchinarsi e andare ad affiancare la scalinata con impeccabile professionalità.
    Non gli era proprio andato giù il fatto che Thranduil non dedicasse più anche la notte al suo lavoro.
    Proprio no.
    Un elfo della guardia si chinò dinanzi al Re, una mano sul cuore: -Aran Thranduil, i ricognitori di Amon Lanc[2] sono qui.- Lo informò. Sillen si sporse verso il trono, curiosa: -Dei ricognitori?-
    Lo sguardo dell’elfo argenteo si fece carezzevole, mentre tornava su di lei: -Pazienta, Sillen.-
    In realtà, non passò molto prima che il suono di molti passi invadesse la Sala del Trono, diretto verso di loro. In un gesto di cortesia, Sillen si alzò in piedi, spazzando il vestito: -Non avevo mai sentito parlare di questi ricognitori.- Borbottò, tra sé.
    Una dozzina di elfi silvani s’inchinò al cospetto del Re, la mano sul cuore. Il portavoce del gruppo si sollevò per primo, il viso stanco ma determinato: -Aran Thranduil, Belain en Gil (Stella dei Valar).- Al cenno assertivo del Re degli Elfi, anche tutti gli altri tornarono in piedi, in file ordinate. -Ho con me il rapporto scritto delle nostre ricognizioni, come richiesto.-
    La voce di Galion attirò improvvisamente l’attenzione di tutti, interrompendo l’elfo silvano: -E lui cosa ci fa qui?- Gli sguardi degli elfi si fecero confusi, mentre si guardavano tra loro.
    Non che Galion si facesse problemi ad utilizzare i suoi modi bruschi con chiunque, solo che quel sibilo era stato più pungente e serio del solito. Doveva essere molto arrabbiato, per lasciarsi andare così dinanzi al Re.
    Interessata, anche Sillen lasciò scivolare gli occhi d’ametista sui presenti. Fino a quando il fiato le si mozzò in gola. -F-Felon.- Espirò, fissando gli occhi gentili dell’elfo, proprio davanti a lei.
    Felon. Quasi non riuscì a metterlo a fuoco, tanto era il suo sconcerto. Non l’aveva nemmeno visto.
    -Perché è qui?- Insistette Galion, fissando con astio il giovane elfo. Questi parve non sentirlo: guardava a sua volta la stella con gli occhi sgranati, incapace di dire una parola. Come tutti i suoi compagni, era abbigliato con logori vestiti da viaggio, il suo mantello bruno era ancora impolverato e umido. Pareva quasi volersi nascondere nel piccolo gruppo.
    Sillen superò i presenti, giungendo ad un passo da lui e lo spinse con una mano, piano, gli occhi ancora piantati sul suo viso: -Ma dove sei stato?- Vedendo che l’altro non rispondeva, continuando invece a fissarla, la stella gli strinse un braccio.
    -Nessuno voleva dirmi dove fossi! Non parlava nemmeno Emlinel! Perché sei andato via?- A quelle parole, Felon sussultò, abbassando lo sguardo sulla mano della stella. Lei, zittendosi, fece altrettanto: in effetti, stava stringendo una candida fasciatura. -Oh, perdonami, ti sei fatto male?-
    Solo allora, Felon trovò il coraggio di parlare: -Uuma dela ten’ amin, Belain en Gil (non preoccuparti per me, Stella dei Valar).- Si inchinò, con una deferenza tale da lasciare la stella senza parole. -Questa ferita è quasi guarita.-
    -Ma perché non eri qui, dove sei stato?- Lui la guardò con l’espressione più colpevole e triste che lei gli avesse mai visto.
    Quando vide le mani della stella avvicinarsi nuovamente, il silvano lanciò uno sguardo teso verso il trono, scostandosi leggermente. Thranduil ricambiò, gli occhi impietosi e il viso scuro. Tuttavia, prese un lieve respiro, prima di alzarsi dal suo Trono e raggiungere i nuovi arrivati: -Andate a riposare. Mi occuperò personalmente dei resoconti.- L’elfo a capo del gruppo annuì, consegnando il suo libro ormai liso al Re.
    Quando questi si voltò verso la stella, lei fece per parlare ma si ritrovò brevemente stretta contro il suo petto: -Tu resta. Mi raggiungerai.- Le posò il viso tra i capelli: -Non metterci troppo.-
    L’ultima occhiata, fredda ed eloquente, la riservò all’elfo gentile, che chinò la testa, mentre il sovrano lasciava la sala e i restanti presenti si disperdevano.
    Non senza un “assurdoincredibile!”, squittito da un Galion più che furente.
    Sempre più confusa, Sillen si voltò nuovamente verso Felon.
    -Sei sparito per mesi.- Rimarcò. Felon annuì, suo malgrado e i delicati ciuffi ramati gli accarezzarono i lineamenti fini: -Alla fine sono tornato, mia signora.- Si azzardò finalmente a prenderle le mani tra le proprie, con un sospiro. -Il Re non mi ha espressamente chiesto di non parlarti ma sarebbe saggio per me cercare di essere breve. Non voglio che perdiate tempo.- Ammise e Sillen aggrottò le sopracciglia sottili.
    Che significato stava attribuendo, lui, a quel “perdere tempo”?
    Sapeva forse qualcosa?
    -Comunque credo di meritare di sapere cosa è accaduto qui in mia assenza. E cosa è accaduto a te.- Felon la guardò con dolcezza. -Sai, mi sono macchiato di tradimento, quando sei partita.- La rivelazione rimbombò nella sala vuota come uno scoppio e, davanti all’espressione attonita dell’altra, l’elfo distolse lo sguardo: -Sì, è così. All’ennesima udienza rifiutata, dopo che il Re aveva dichiarato di non volersi schierare al tuo fianco, mi sono preparato a disertare. All’inizio eravamo in tanti. Però, la paura di contrariare il nostro signore portò tutti quanti a desistere. Alla fine, sono rimasto solo.-
    Sillen non si mosse, sconvolta. -T-tu hai tradito…-
    -Galion mi ha trovato prima che io riuscissi a varcare i cancelli. E sono stato portato al cospetto del Re.- Il cuore della stella perse un battito, mentre fissava terrorizzata l’elfo davanti a lei.
    Come poteva parlarne con tanta serenità?
    Sapeva, dannazione, sapeva quanto freddo e brutale potesse essere Thranduil: nonostante non l’avesse mai provata da sé, conosceva la reverenziale paura degli elfi nei suoi confronti e non osava immaginare cosa volesse significare trovarsi al suo cospetto da suddito, dopo un tremendo tradimento.
    Strinse più forte la mano di Felon, come per accertarsi che fosse ancora lì, vivo. -Dunque quella ferita…- Cominciò, deglutendo. L’altro scosse la testa: -Il Re avrebbe dovuto uccidermi, mia signora. Era un suo dovere farlo. Eppure, quando venne il momento, lui colpì solo il mio braccio.- Sfiorò le bende, gonfio di un sentimento che pareva quasi una devozione assoluta: -Guardando questa cicatrice, ricorderò il mio tradimento. Così disse. E mi esiliò. Per questo non ero qui, al tuo arrivo.- Sorrise alla stella, che aveva ripreso un poco di colore: -Il Re sapeva che la sofferenza più grande l’avrei provata nel rimanere lontano, quando scelse infine di partire per la battaglia.-
    Sillen non capiva: -Ma perché scelse di partire? Lui, purtroppo, non ha mai voluto rispondere a questa domanda.- Felon piegò il collo sottile, sollevando lo sguardo sul Trono maestoso: -Chi lo sa. Forse, è un po’ merito mio. O almeno, mi piace pensare che sia così. Nemmeno lui poteva stare lontano da te, io gliel’ho solo ricordato.-
    Sillen strinse le labbra, arrovellandosi nei propri pensieri. Tutti i pezzi, infine, s’incasellavano nel disegno della sua breve vita.
    -Quando Thranduil è arrivato a Minas Tirith, era più confuso di me.- Sorrise, stringendo con più forza la mano dell’elfo gentile:
-Ed è il Re più devoto che conosca. Deve aver avuto paura, quando ha compreso che i suoi fedeli dubitavano delle sue azioni. Tanto da dubitare anch’egli. È e sarà sempre una buona guida, per questo.-
    Felon schiuse le labbra, assimilando quelle parole con dolce ammirazione: -La mia signora è saggia. Sei cambiata tanto, in così poco tempo.- Lei rise, ripensando a tutti gli avvenimenti che l’avevano riportata al Reame Boscoso: -Sono sempre la stessa stella imbranata a cui hai insegnato a camminare, mio caro Felon. Hannon le, per tutto.-
    Lo abbracciò con forza, grata per averlo potuto rivedere almeno una volta. Aveva rinunciato a chiedere di lui, eppure eccolo lì, davanti a lei.
    Avevano così tante cose da dirsi e così poco tempo da spendere insieme.
    Improvvisamente, Sillen venne travolta da un pensiero. In realtà, più che altro, venne scossa da un terribile presentimento.
    -Felon, il Re ti aveva destinato all’esilio, giusto?-
    Lui annuì: -Sarei dovuto restare con la guarnigione di Amon Lanc, a Sud. Invece, ci è stato ordinato di tornare.- Sillen lo guardò negli occhi, seria: -Non vi era mai stato domandato di portare i resoconti personalmente, vero?- Lui rimase per qualche secondo in silenzio, sbattendo le palpebre. Vedendolo così rigido, Sillen si affrettò a correggersi: -Non fraintendermi, sono così felice che tu sia qui. Però devo saperlo, per favore.-
    -Sì, non è mai successo che fossimo noi a muoverci, al posto dei messaggeri. Anch’io rimasi sorpreso, quando mi avvertirono che il Re aveva espresso delle direttive per noi, qui a Palazzo. Prima di allora, non avevo nemmeno sperato di poterti rivedere.- Quella limpida ed innocente risposta lasciò la stella pietrificata. Preoccupato dal pallore che aveva tinto la sua pelle dorata, l’amico le strinse una spalla: -Mia signora?- Poi lanciò uno sguardo ansioso verso i corridoi: -Ora dovresti andare, il Re ha detto chiaramente di non trattenerti.- Sillen annuì, lentamente.
    Era una stupida, una vera stupida.
    -Va’ pure a riposare anche tu, Felon. Verrò a salutarti più tardi.-
    L’elfo gentile la guardò andare via, confuso e allertato da quel tono carico di un’emozione che non era riuscito ad identificare.
    L’unica cosa che aveva intuito era che la luce di quella giovane stella, in qualche modo, si era lievemente affievolita.

    Sillen entrò nello studio del Re e richiuse la porta, appoggiandosi ad essa con un respiro profondo. Sapeva che lo avrebbe trovato lì.
    Thranduil, in piedi al centro della stanza, sollevò lo sguardo di ghiaccio su di lei e Sillen si sentì pugnalare al petto senza pietà. Da quando c’era così tanta consapevolezza, negli occhi del Re?
    Stupida, stupida. Era davvero una stupida.
    Lui non parlò, aspettando che fosse lei a cominciare quella crudele conversazione. E Sillen, poco dopo, lo fece, senza abbassare lo sguardo: -Tu lo sapevi.- Il Sindar non si mosse, nemmeno respirò, lasciandole il tempo di riordinare i pensieri.
    -Quei silenzi, l’insistenza nel cercare Glorfindel, il ritorno di Felon… Ora è tutto chiaro.- Frenò il tremore delle proprie labbra, stringendo i pugni tanto da sbiancare le nocche: -Perché non mi hai detto niente?-
    -Aspettavo che fossi tu a dirmelo, Sillen.- Pareva quasi un rimprovero ma c’era troppo dolore nella voce del Re: -Dovevi essere tu a confidarti con me. Non l’hai fatto e credimi, mi hai ferito.- La stella poté avvertire ogni lembo del proprio animo contorcersi su sé stesso: -Non potevo dirtelo, Thranduil. Avevamo così poco tempo e-
    -Credevi che avrei permesso al dolore di portarmi via gli ultimi giorni che potevo passare con te?- Ringhiò, il Re, facendosi più vicino: -Io convivo con il dolore da più tempo di quanto immagini. E lo porterò con me per molto tempo ancora, per tutta la mia esistenza. Hai ragione, tutto ciò mi farà ancora male.- Sillen non riuscì a distogliere lo sguardo nemmeno quando fu costretta a gettare la testa all’indietro, mentre il corpo fremente del Re la opprimeva contro la porta: -Ma io voglio te abbastanza da poterlo affrontare.-
    -Thranduil-
    -Credevi di poterlo nascondere a me?- Sillen tremò, stringendo istintivamente le maniche preziose della veste del Re: -C-come lo hai scoperto? G-Glorfindel?- Quelle domande parvero infiammare ancora di più il Sindar: -Ci sarà sempre qualcosa che quel maledetto sa mentre io no?-
    -Se non lui, chi?-
    -Non insultarmi, Sillen. Sono un elfo della Prima Era. Puoi fingere dinanzi ai tuoi amici umani, ma non c’è stato un singolo istante in cui io non abbia letto le tue emozioni chiare come specchi d’acqua. I saluti che hai rivolto agli alleati, erano addii.-
    Nonostante quelle parole fossero dure e severe, l’elfo si chinò sino a posare la fronte su quella della stella, il volto contratto.
    -Ho continuato a osservarti e ad aspettare. Ogni giorno era peggiore del precedente. Lo vedevo in ogni cosa che facevi, che dicevi, nei tuoi sforzi per nascondermelo.-
    -Mi dispiace, mi dispiace- Il Re asciugò le lacrime della stella, prendendole il viso tra le mani: -Quando?- Soffiò poi, la voce malferma. Sillen sgranò gli occhi viola: lui non lo sapeva. Aveva capito ma non sapeva tutta la verità. E lei non poteva davvero fargli questo...
    Sentì le forze abbandonarla, mentre cercava di spingere fuori la voce: -Stanotte, Thranduil.- Tenne gli occhi fissi in quelli di lui e si lasciò investire da ogni cosa. Ogni emozione, ogni pensiero.
    Meritava di lasciarsi annegare dentro essi, dopo aver provato in ogni modo ad evitarli. Era così egoista e, allo stesso tempo, così debole.
    Strinse forte il Re, mentre si lasciavano scivolare a terra. Che cosa poteva dire ora? Quali parole avrebbero potuto salvarli da quelle onde inarrestabili? Mentre singhiozzava, quasi non sentì le parole dell’elfo stretto a lei.
    -Melin le, Sillen. (ti amo)-
    Sillen aveva sempre creduto che il cuore fosse come un contenitore. Lo si riempie di emozioni e sensazioni per tutta la vita, fino a che, troppo pieno, non finisce per creparsi e andare in mille pezzi. Dopo, si può solo morire. Eppure non avvertì nessuno schianto, nessun frastuono. Solo silenzio e quelle due parole che invadevano ogni anfratto di quel contenitore, che si espandeva e si espandeva sotto la loro feroce pressione. E non morì.
    -Melin le.- Affondò il viso nel petto del Re e pianse senza ritegno, ripetendo quelle parole all’infinito.
    I Valar l’avevano ingannata ancora una volta.
    Quei tre mesi, e tutti i ricordi che le avevano donato, l’avrebbero dilaniata per sempre.


 
**

    La notte aveva avvolto ogni cosa, oramai. La luna crescente accarezzava i profili scuri del bosco, con pennellate gentili. Alle porte del Reame Boscoso, sul ponte che sovrastava l’impetuoso Taurduin,[3] non vi era anima viva.
    Non c’era Emlinel, con i suoi occhi pieni di lacrime; non c’era Felon, con il suo sorriso gentile; tantomeno Galion, impegnato a lamentarsi di chissà cosa, chissà dove.
    Sillen si strinse nel mantello, sorridendo al pensiero di tutti loro. Probabilmente, a quest’ora Miniel stava già dormendo, con la certezza di salutare la nuova alba al suo risveglio. Arwen avrebbe rimproverato Elessar, perché era tardi e le carte potevano aspettare. Legolas e Gimli, non voleva nemmeno immaginare cosa stessero facendo, decisamente. Di certo, Thorin e i suoi stavano festeggiando, anche senza un valido motivo, quasi sentiva le loro voci tonanti. E Glorfindel, il suo saggio elfo dorato, era di sicuro troppo codardo e orgoglioso per alzare gli occhi al cielo come stava facendo lei.
    Le stelle tremavano e la sensazione di vertigine ed impazienza era più forte che mai. Persino la luce dell’Alfiere del Cielo, laggiù tra le fronde, risplendeva più del solito.
    -Oggi è stato tutto perfetto.- Sussurrò la Stella dei Valar, voltandosi verso il Re.
    Thranduil sorrise, stringendole la mano dorata.
    -È crudele ma anche bellissimo, non trovi? Sei sempre stato tu. Sei colui che mi ha trovata in quella radura e colui che adesso mi guarderà partire. Il mio principio e la mia fine.- Allacciarono le dita tra di loro, avvicinando i visi per sentirsi ancora una volta.
    Per l’ultima volta.
    -Non parlare di fine, Sillen. Questo è solo l’inizio.- Lei annuì, contro di lui.
    Avrebbe trascinato con sé ogni dettaglio di lui. Per sempre.
    Avrebbe ricordato tutto, lo sapeva.
    Era compito di una stella.
    E nessuno le avrebbe portato via questa verità.


    La Stella dei Valar e l’Alfiere del Cielo lasciarono la Terra di Mezzo quella notte. Accadde davvero.
    A Minas Tirith, tutti si affacciarono per seguire quella luce splendente che ascendeva al cielo.
    A Imladris, qualcuno giurò di aver udito lo schianto di oggetti che si frantumavano contro le pareti.
    Molti dicono di aver sentito il mondo tremare.
    Altri, ricordano un calore dolcissimo.
    Ma nessuno, in realtà, poté dire con certezza di aver visto cosa accadde, quella notte.
    Restò solo il fatto che qualcosa di unico era certamente arrivato e poi certamente ripartito, come poche volte capitava.

    E, si sa, sta nella caducità delle cose la nascita di leggende destinate a rimanere eterne.

 
**
 
 
Ai Porti Grigi, estate, sei mesi dopo.

    La nave era pronta a salpare e il tempo, così mite e assolato, non poteva essere dei migliori.
    -Beh, direi che ci siamo tutti.- Batté le mani, il Vanyar dorato. I due elfi oscuri si strinsero tra loro, osservando il mare con timore. -Non preoccupatevi, andrà tutto bene.- Li rassicurò l’altro, posando le mani sulle loro spalle tremanti.
    Ci sarebbe voluto tempo ma nutriva grandi speranze per quei due giovani elfi dal talento straordinario. Non vi era posto migliore delle Terre Immortali, per curare le loro ferite.
    Altri elfi, alcuni di Gran Burrone, altri di Bosco Atro, seguitarono a salire sul ponte, con calma e grazia.
    Era davvero quasi ora di partire, dunque.
    Mancava giusto un ultimo passo da compiere.
    Infatti, prendendo un profondo respiro arreso, Glorfindel si voltò verso il molo di pietra. -Che carino, sei venuto a salutarmi?- Ammiccò, incontrando lo sguardo gelido del Re degli Elfi. 
    Che faccia indecente, si ritrovò a pensare.
    Dopotutto, non erano passati che pochi mesi da quella notte...
    Ingoiò a vuoto, forzando l’ennesimo sorriso malizioso: -Se vuoi, puoi farmi un’appassionata dichiarazione. Forse mi convinceresti addirittura a rimanere.- L’altro sollevò un sopracciglio: -Persino in questo momento riesci ad essere insopportabile.-
    -Sono un animo romantico, sai? Mi basterebbe un bel gioiello per farmi cambiare idea.-
    -Ti farei legare all’albero maestro, se potessi.-
    -Mhm, che cosa eccitante.-
    -Ma perché sono venuto fino a qui.- Sospirò, il Re. Glorfindel sentì il proprio sorriso incrinarsi. Lo sapevano entrambi perché era lì. Avevano fatto una promessa, e stavano per infrangerla.
    -Sei tu che non vuoi venire con me.- Mormorò il Vanyar, distogliendo lo sguardo. Thranduil strinse gli occhi a due fessure taglienti: -Io non scappo, al contrario di te.-
    -Rimanere qui o salpare per Valinor non fa differenza.­-
    -Forse. Ma non ho intenzione di vivere dove non posso vederla, anche se è solo una luce nel firmamento.- Il Vanyar sentì il fuoco ardergli dentro: -Sta’ un po’ zitto.- Ringhiò. Poi gli diede le spalle, rigido e altezzoso: -Fai come vuoi. Namárië, giovane Re degli Elfi.-
    Thranduil fece un passo in avanti, schiudendo le labbra.
    Quasi tese la mano per fermarlo.
    Poi abbandonò il braccio lungo il fianco, guardandolo allontanarsi sempre di più lungo il pontile di pietra.
    Il Vanyar non aveva motivo di rimanere, in vero. Ed era di certo più razionale di lui che, invece, rimaneva ostinatamente aggrappato a quelle terre ormai prive di magia, soltanto per poter ammirare ogni notte un’ignara stella.

    Glorfindel salì sul ponte dell’aggraziata nave elfica e questa, finalmente, si staccò dal molo.
    Era fatta, basta così.
    Rimanere significava finire coinvolti nelle vicende future di quella terra maledetta. E lui ne aveva decisamente abbastanza. Si era guadagnato il riposo, la libertà. I Valar non si sarebbero azzardati a chiedergli altro, dannazione.
    Ma allora perché più si allontanava più sentiva l’irritazione mordergli le ossa?
    Prese a sbattere il piede sul legno spesso della coperta, nervosamente, incrociando le braccia.
    Dopo un po’, all’ennesimo sbuffo scocciato del Vanyar, alcuni degli elfi lì accanto si guardarono tra loro, confusi.
    Con chi diamine stava parlando?
    -Non mi girerò.- Sibilava, infatti, Glorfindel, blaterando al nulla, fissando caparbiamente l’orizzonte. Col cavolo che si faceva dei problemi per quel dispotico Re dei ghiaccioli. Ancora pochi metri e non avrebbe nemmeno più sentito la sua presenza. Avrebbe guardato avanti, sempre e solo avanti, lasciandosi alle spalle tutto quanto, per una buona volta.
    Era la cosa giusta da fare.
    Era quello che voleva.
    Giusto?
    Glorfindel si girò di scatto, trovando la figura del Sindar esattamente dove l’aveva lasciata.
    E imprecò in una decina di lingue diverse: -Tsk, dannazioneee-
    Sotto gli occhi attoniti degli altri passeggeri, il Vanyar mise un piede sul parapetto: -Ti conviene cominciare ad essere più gentile, brutto ragazzino viziato!-
    Avrebbe voluto godersi le espressioni dei presenti, mentre si buttava in mare con ben poca grazia.
    Thranduil sgranò gli occhi, fissando incredulo la figura dell’elfo dorato nuotare e sputacchiare acqua tra i suoi stessi improperi.
    Suo malgrado, sentì le lacrime rigargli il viso. Quasi corse sul molo di pietra, andandogli incontro.
    Glorfindel s’issò sul molo, scrollandosi l’acqua salmastra dai capelli dorati. -Questa era pure la mia camicia preferita, maledizione!- Si voltò giusto in tempo per incontrare lo sguardo sconvolto del Re degli Elfi e lo raggiunse a grandi passi, puntandogli il dito contro: -Che sia chiaro! È tutta fottutamente colpa tua!- E lo tirò a sé, fregandosene altamente di inzupparlo dalla testa ai piedi.
    Thranduil rimase pietrificato, contro la spalla solida del Vanyar.
    -Come se potessi mollarti qui così, razza di idiota. Non sopravvivresti altri due secoli senza di me.- Lo strinse l’altro, trattenendo il tremito della propria voce. Solo allora, il Re si concesse di cedere. Sollevò le mani e strinse la camicia fradicia sulla schiena dell’amico, singhiozzando senza ritegno.
    Alla fine, quella dannata stella ha vinto di nuovo, sorrise amaramente Glorfindel, accarezzandogli i capelli sottili.
    Attese fino a quando Thranduil non tornò in sé, consapevole che l’orgoglioso Re non avrebbe mai voluto farsi vedere in quel modo dalle sue guardie. -Andiamo adesso, ho bisogno di un bagno caldo.- Si lamentò il Vanyar, strizzando altra acqua dai propri vestiti.
    Raggiunsero le guardie, lentamente: -Non sai quando partirà un’altra nave.- Gli fece notare, il Re. Glorfindel sollevò un sopracciglio elegante: -E ti sembra che serva a qualcosa ricordarmelo adesso?-
    -Magari non ci avevi pensato.-
    -Io penso sempre a tutto.-
    -Sono convinto che la tua capacità di raziocinio sia nettamente inferiore alla media.-
    L’elfo dorato, esasperato, fece per colpirlo quando, con sua sorpresa, si ritrovò a fissare due occhi gentili, decisamente familiari. Istintivamente, sollevò le labbra in un ghigno saputo.
    -Guarda chi si rivede…-
    Felon arrossì dalla punta dei capelli sino alla punta dei piedi, stringendo le mani al petto: -H-heruamin. (mio signore)-
    La mano alzata per punire il Re si abbassò, finendo ad assestare a quest’ultimo un’energica pacca amichevole: -Bene bene, si prospetta un’estate interessante.-
    Thranduil si raddrizzò, furente: -Scordatelo! Felon lo rimando ad Amon Lanc stanotte!-
    -Eheh, contaci.-
 
**
 
    Nella frenesia del momento, nessuno avrebbe fatto caso alla figura nascosta nelle ombre del porto. Questa si mosse lentamente, in uno svolazzo del suo singolare mantello bianco sporco: -Brava, stellina. Hai fatto un ottimo lavoro, dico davvero.-
    Prese ad allontanarsi, aiutandosi con il bastone ricurvo, che ticchettava sulla pietra con ritmica cadenza.
    Un piccolo falco, dalla testa scura e le ali dorate, si posò sulla sua spalla, arruffando le penne con uno stridio quasi contrariato: -Oh andiamo, gallinella. Li rivedremo presto. Tutti quanti.-
    E la figura sorrise, gli occhi grigi che brillavano nella penombra:
    -È una promessa.-
 


 
Fine
.
.
.
?


 
[1] Il Professore non ha fatto riferimenti ad altri figli di Faramir, oltre ad Elboron. Questa mia aggiunta è personalissima, perché ho sempre immaginato il nostro Sovrintendente come un padre modello <3
 
[2] Amon Lanc: nome elfico dell’antica fortezza di Dol Guldurfondata dagli elfi silvani. In principio, fu la Capitale del regno di Oropher, il padre di Thranduil e venne poi occupata da Sauron introno all’anno 1000 T.E. Sconfitto l’Oscuro Signore, l’intero Bosco Atro venne bonificato e così anche la zona di Amon Lanc, tornata presidio elfico. Thranduil ancora ne detiene il controllo.
 
[3] Taurduin: nome elfico del Fiume della Foresta, che attraversa la parte Nord di Bosco Atro (ora Eryn Lasgalen), fino a Lago Lungo.


 



N.D.A

Ciao a tutti, amici!
Beh *si asciuga la lacrimuccia* ecco l’epilogo.

CHE SUDATA RAGA sto malissimo XD
Non so per quanto tempo ho continuato a guardarlo e riguardarlo, certa di NON volerlo pubblicare.
E invece l’ho pubblicato. E sto piangendo.

Ma andiamo con ordine.
Questa storia è stata compagna indissolubile dei miei ultimi 4 anni. E sono successe tante cose in questi 4 anni, che davvero mi hanno cambiata tanto. Adesso riesco a vederlo, rileggendo quei primi, brevi capitoli. Quasi non riesco a crederciii!!
Non immaginavo che arrivare a destinazione mi avrebbe lasciata così vuota e raggiante allo stesso tempo. Vi confesso che è il primo vero progetto a lungo termine che sono riuscita a concludere e non potrei essere più fiera dei miei personaggi.
È vero, il mondo a cui appartengono non è una mia creazione ma spero di aver messo davvero del mio nel comunicare ciò in cui credo e che ritengo importante.
La vita è bellissima ma è anche una grande sofferenza. Elargisce bene e male in quantità casuali e quella proverbiale lotta tra destino e caso, per me, sarà sempre seconda alle scelte che ognuno di noi deve compiere: ci autodetermineremo per sempre, che questa vita sia una o solo una tra le tante. O almeno, mi piace pensare che sia così <3

Ora, ho due domandine da farvi, a voi che avete seguito dal principio questa storia, a chi è arrivato nel mentre e a chi è appena approdato:
-qual è il vostro personaggio preferito? (domanda cattivissima, okay - vale anche “qual è il vostro ssspreferito?”)
-c’è qualcosa che proprio non vi ha entusiasmati, di tutto ciò che è stato narrato? Qualcosa che vorreste cambiare? (non fatevi problemi, siate brutali XD)
-quale capitolo porterete (almeno un pochino!) nel vostro cuoricino di fan del grande e amato mondo creato dal Professore?

Inoltre, e poi la smetto perché dopo tutto sto popò di epilogo anche basta, ho da parte ben 3 capitoli inediti. Sono, in realtà, parti della storia (approfondimenti di ceeeerte situazioni, inzomma) che ho dovuto tagliare per motivi di scorrevolezza.
Sto pensando di pubblicarli in una mini raccolta di One Shot (non sono pratica, mi informerò!) voi che dite?

Ultimi ma non ultimi, i ringraziamenti.
Perché, ne sono davvero felice, non sono mai stata sola in questo percorso.
Il primo grazie va a Chiara: perché le voglio un mondo di bene, perché mi ha sopportata e supportata dall’inizio, perché siamo due cuori e un cervello malato e perché è la persona più intelligente e buona che io conosca. Grazie per avermi accompagnata e consigliata come la migliore persona che sei <3
Grazie a 
Kaiyoko Hyorin, la mia Kaiy-chan che, da quando ha recensito la prima volta, non ha mai mancato di donarmi tutto il suo appoggio. Proprio capitolo dopo capitolo! In lei non ho solo trovato una compagna fangirl ma anche una grande ispirazione. Vi consiglio di fare un salto sulla sua pagina, se già non la conoscete ;) Grazie Kaiy-chan, per tutto il tuo supporto :3
Grazie anche a 
Nimue, che con il suo modo di scrivere mi ha sempre fatto sognare. Ogni sua pubblicazione è stata una spinta in più a continuare questa storia. Grazie amica <3
E grazie infinite a chi ha recensito, seguito, messo nelle preferite o nelle ricordate questo mio umile lavoro.
Vi mando tanto affetto, tantissimo, non immaginate nemmeno quanto sia stato bello compiere questo viaggio con tutti voi.

Beh, alla prossima amici!

Un abbraccio,
la vostra

Aleera
 

P.S La storia sarà revisionata da cima a fondo nei prossimi giorni. Ci sono cose che vanno aggiustate, aggiunte, levigate e legate, ora posso vederle con chiarezza. Avrò premura di segnare fino a che capitolo avrò corretto mano a mano!
Baci
   
 
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