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Autore: eddiefrancesco    18/02/2022    1 recensioni
Odyle Chagny aspirante artista, è costretta a lasciare la Francia per accontentarsi di fare l'istitutrice delle due figlie di Lord Moran.
Dalla sua posizione ai margini del bel mondo, la giovane si rende conto ben presto che in quell' ambiente dove tutto sembra perfetto, in realtà molti nascondono oscuri segreti.
Per esempio, Lord Tristan Brisbane, l'attraente e un po' impacciato gentiluomo la cui timida insicurezza mal si accorda con le voci inquietanti che circolano sul suo conto.
O dell'avvenenente Lady Moran, che pur circondata dal lusso conduce un esistenza triste e solitaria. Scoprendo a proprie spese che nell'Inghilterra puritana di fine Ottocento può bastare un sussurro per distruggere una vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Non-con
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Il mobilio che arredava la stanza di Mrs. Manfred era molto semplice e Cecilia sospettava che la fosse una di quelle donne pie e devote che vivevano nel terrore della religione ed erano talmente bigotte da fasciare le impudiche gambe del tavolo, come si diceva facesse la regina Vittoria. Si strinse nelle spalle e si voltò verso il semplice letto singolo in legno scuro. Sopra di esso c'era un crocifisso e, accanto, una vetrinetta contenente dei mazzi di chiavi appesi a dei ganci. «Ecco!» esclamarono entrambe, Mrs. Manfred ad alta voce, Cecilia solo nella sua mente. «Venite, Miss Cecilia, portiamo i sali a vostra zia» disse la governante mostrandole esultante la boccetta ritrovata. Cecilia annuì e cercò di sorridere mentre la governante raggiungeva la porta. Era la sua ultima occasione... Con il pollice, riuscì a far scivolare uno dei suoi anellini lungo il dito e lo lasciò cadere a terra. Il cerchietto dorato tintinno' sul pavimento e si infilò sotto un mobile. «Oh, santo cielo, Mrs. Manfred, mi si è sfilato un anello!» La donna si fermò sulla soglia, trepidante. «Vostra zia ci aspetta!» «Si, ma il mio anello? Vi dispiace andare avanti mentre lo cerco? Vi prego, non posso perderlo, apparteneva a mia madre.» Abbassò gli occhi costernata, e questo bastò a convincere la governante delle sue buone intenzioni. «Chiudete la porta, quando uscite» le disse Mrs. Manfred, andandosene. Cecilia controllo' che la donna si allontanasse lungo il corridoio e imboccasse le scale, dopodiché si chino' e recuperò il proprio anello. Nella vetrinetta c'erano molti mazzi di chiavi con diverse etichette. Cucina. Cantina. Capanno. Sala dei domestici. Chiavi primo piano. Chiavi secondo piano. Chiavi terzo piano. E poi una sola chiave, lunga e stretta, senza alcuna scritta. Cecilia la prese e se la infilò nella tasca del vestito. Il salotto sembrava diventato una specie di infermiera. Le cameriere andavano e venivano dalla porta lasciata aperta, trasportando pezzuole bagnate e vassoi di tè. Un paio di lacchè avevano sistemato i cuscini del divano in modo che vi si potesse appoggiare la testa e poi avevano acceso il fuoco che, in tutto quel caos, si erano dimenticati di alimentare. Lady Montgomery si era categoricamente rifiutata di fare le scale o di essere portata "di peso" fino alla sua stanza al secondo piano. Tutto quel trambusto era troppo per i suoi nervi delicati, aveva dichiarato, e neppure la prospettiva di ritrovarsi tra le braccia di uno dei giovani lacchè di Lord Brisbane era riuscita a farle cambiare idea. Distesa sul divano, con una mano abbandonata sulla fronte e l'altra studiatamente lasciata penzoloni, come la donzella di un dipinto di Fussli, emetteva lamenti sommessi e annusava i sali di Mrs. Manfred arricciando il naso fino a farsi lacrimare gli occhi. Su di una poltrona, poco distante, era seduto Victor Rouel, che Oswald aveva aiutato a tornare in casa dopo avergli strappato Tristan di dosso. Victor non si lamentava, ma si premeva sul viso uno straccio in cui era stato avvolto del ghiaccio. «Se continuerai ad annusare quei sali ti sanguinera' il naso, mia cara» disse Lord Montgomery ammonendo la figlia. «Oh, padre... Forse è così che ci si sente prima di morire...» Si lamento' ancora Lady Montgomery. «Non lo so, ma se insisterai con le sciocchezze dello spiritismo, un giorno potrei tornare a dirtelo!» esclamò lui. «Avanti, alzati. Non hai più l'età adatta per questi spettacoli.» Lady Montgomery si isso' sul divano, appoggiandosi poi una mano sul petto. Dopo qualche istante riacquisto' le forze e, ignorando completamente la situazione, disse: «È proprio bella come dicono, Parigi, Monsieur Rouel?» Victor scosto' leggermente l'involto freddo dalla faccia, mostrando un occhio gonfio e semichiuso. Valuto' per qualche istante la situazione, nel silenzio generale, poi rispose: «Così pare, ma fa piuttosto freddo in questa stagione.» Soddisfatta, Lady Montgomery fece cenno a Mrs. Manfred di passarle il bicchiere di sherry che aveva appoggiato al tavolino e lo trangugio' tutto d'un fiato. «Non c'è che dire, Mary Jane» esclamò Lord Montgomery guardandola inorridito. «Sei proprio una donna di "spirito".» Lady Cartwridge fece il suo ingresso nel salone reggendosi con fermezza al braccio del figlio. Era pallida, ma il suo sguardo era risoluto. «Monsieur Rouel!» esclamò con voce stridula. «Spero che vorrete andarvene immediatamente dopo quello che è successo.» Victor la guardò con disprezzo, senza dire una parola. «Sono d'accordo con mia madre» convenne Michael stringendo la mano di Lady Angelina, come a volerle infondere nuova forza. «Miss Chagny... o Latuvielle, o qualsiasi sia il suo nome, fa parte della nostra famiglia adesso e non vi permetteremo di portarcela via o di farle del male.» Rivolse uno sguardo dolce a sua madre. «È una ragazza speciale, Monsieur Rouel, non so dirvi in quanti modi ci abbia aiutato... e forse non vi interessa neppure. Comunque, merita di poter essere felice... nel modo che sceglierà. Liberamente.» Victor accenno' ancora un sorriso, ma lo sforzo gli fece tremare le labbra. «Di nuovo...» farfuglio' con le labbra gonfie, «Parlate senza cognizione di causa, Lord Moran... Questa non è casa vostra, e Odyle non è vostra parente. I suoi genitori sono a Parigi e mi hanno chiesto di riportarla a casa.» «Emma, vi prego, non rendete tutto più difficile!» Odyle si aggirava per la stanza riempiendo alla rinfusa una valigia con i suoi vestiti, mentre Lady Emma gliela svuotava allo stesso ritmo, rimettendo tutto al suo posto. «Non te ne devi andare, Odyle! Sarà lui ad andare via, non tu» la imploro' Emma. «Non capite? Victor Rouel non mi lascerà mai in pace. Mi farà rinchiudere in un manicomio! Non c'è niente che lo possa fermare.» «Lady Angelina ci ha spiegato tutto, Odyle... ci ha raccontato chi sei e che cosa ti è successo a Parigi. Non ti devi preoccupare di niente, sei al sicuro con noi.» Odyle la fissò con espressione incredula, poi il labbro inferiore prese a tremarle e scoppiò in lacrime. «Non posso restare... Io... » I singhiozzi aumentarono e Odyle si nascose il volto tra le mani. «È tutto perduto...» Si gettò sul letto e iniziò a piangere. Emma le si sedette accanto e le accarezzo' la schiena, come avrebbe fatto con una delle sue figlie. «Certe cose sono gravi... ma la vita continua, Odyle...» Si fermò, un po' imbarazzata. «Lord Brisbane...» Odyle sussulto' nell'udire quel nome, ma Emma proseguì, «Lord Brisbane ha sbagliato... ti ha fatto del male...» A quel punto, Odyle alzò la testa. «Cosa state dicendo?» «Cara... sono una donna... certe cose...» Emma arrossi' fino alla radice dei capelli. «Certe cose una donna le capisce... specie se quella donna è sposata...» Le accarezzo' i capelli scompigliati. «Ieri notte eri molto vulnerabile e lui...» «No!» Odyle balzo' in piedi. «Lui non mi ha costretta a fare niente...» Emma la guardò con occhi sgranati. «Cara... i tuoi vestiti... c'era del sangue, insomma...» Era un discorso difficile e Lady Moran non si sarebbe mai creduta capace di poterlo affrontare. Toccava delle corde e dei temi che le era stato insegnato evitare perché non era appropriato che una donna sapesse "certe cose". Eppure, con Odyle, poteva parlarle in quel modo, si disse. La sua amica aveva aiutato lei e Michael in più di un'occasione, aveva salvato il loro matrimonio e con pazienza e dolcezza l'aveva riportata alla vita. Cos'erano delle parole in confronto, anche se dovevano menzionare scabrosita' di fronte alle quali una donna avrebbe dovuto per lo meno arrossire se non, addirittura, svenire piena di sgomento? Vedendo che l'amica non rispondeva, Emma inspiro' profondamente e cominciò. «Amica mia... non posso tacere. Avevo già notato il modo in cui Lord Brisbane ti guardava e temo che ieri notte, anche se non era sua intenzione, lui non si sia reso conto di farti del male... Cara, forse ti ha fatto credere delle cose ma...» Scosse la testa. «Ricordati che venite da realtà molto diverse e che la tua posizione...» Odyle si asciugo' le lacrime e cercò di tornare a respirare regolarmente. Doveva farsi forza. «Lui non mi ha fatto del male... Sono stata io a volerlo...» La porta fu aperta con brutalità e Tristan entrò nella stanza senza troppe cerimonie. «Allora sei ancora qui! Pensavo che te ne fossi già andata.» Emma gli rivolse uno sguardo inorridito. Come poteva rivolgersi a Odyle in quel modo, soprattutto dopo averla rovinata per sempre? Lui scocco' un'occhiata severa alla ragazza, poi vide la valigia sul letto. «D'altra parte, è quello che vuoi fare...» Emma lo vide frugarsi nella tasca interna della giacca, dalla quale prese delle monete che lasciò ai piedi di Odyle con brutalità. «Ecco. Così potrai andare dove vuoi e non avrai bisogno di concederti a nessun uomo per sentirti libera!» Lady Moran lanciò un grido indignato e si alzò dal letto. «Come osate parlarle in questo modo? Mascalzone, approfittatore che non siete altro! Vergognatevi!» Odyle alzò una mano, facendole cenno di fermarsi. «Lady Emma... Emma, per favore, potreste lasciarci da soli?» Tremava visibilmente e non era mai stata tanto pallida, ma le labbra erano tirate in una linea risoluta. Cecilia aveva fatto gli scalini a due a due, fuori di sé per l'euforia. La casa era in subbuglio per l'arrivo e le pretese di quel francese e nessuno si era accorto che lei era sparita poco dopo aver aiutato la prozia a riprendersi. In fondo al cuore, Cecilia nascondeva un animo romantico. Fin da quando aveva perso i genitori era stata un'accanita lettrice e aveva prediletto i romani gotici - come quello con cui aveva terrorizzato suo fratello Richard - e d'amore. Aveva letteralmente divorato tutti i libri di Jane Austen, immedesimandosi nelle sue eroine. E fu sentendosi appunto come una di queste che imbocco' il corridoio dell'ultimo piano che conduceva alla fatidica ala ovest. Aveva intravisto Bernard solo per qualche breve istante e non le era sembrato un granché, ma la vaga somiglianza con Tristan Brisbane, che nonostante fosse più vicino ai quaranta che ai trenta era ancora un bell'uomo, le era bastata per mettere in moto il meccanismo della sua immaginazione. Si era immedesimata nell'eroina di inchiostro e carta di uno dei suoi romani preferiti, e si era invaghita dell'idea di un misterioso principe segregato in una torre. Una cosa era certa, Bernard Brisbane era il legittimo erede del titolo di Blackborough e suo fratello minore, Tristan, lo teneva rinchiuso in una specie di soffitta con la connivenza di alcuni domestici e l'aiuto di un medico compiacente che lo stordiva a forza di sedativi. Cecilia aveva il "dovere" di fare qualcosa! Arrivata in fondo al corridoio immerso nell'oscurità, con delicatezza staccò il quadro dalla parete e tirò la cordicella che apriva lo spioncino. Da lì, con il cuore in gola, osservò la piccola stanza attraverso le sbarre. Non riusciva a vedere Lord Bernard da nessuna parte, quindi decise di chiamarlo, piano. Nessuna risposta. I suoi sogni di gloria sembravano sfumare, dissolvendosi come neve al sole. Si appoggiò con entrambe le mani alla finestrella e si issò in punta di piedi premendosi un po' contro le sbarre per vedere meglio. All'improvviso, il volto di Bernard parve materializzarsi davanti a lei, facendole fare un salto indietro per lo spavento. «Cecilia, siete tornata!» esclamò l'uomo. Aveva i capelli arruffati e gli occhi lucidi. Forse, pensò la ragazza, aveva pianto. «State bene, milord?» gli domandò. Bernard si chino' verso una delle sue mani, ancora aggrappate allo spioncino, e Cecilia sentì le sue labbra umide sulle dita. Un brivido le percorse la schiena, ma volle ignorare il disgusto a quel contatto, scambiandolo per ritegno ritrosia. «Cara Cecilia, siete la mia unica amica! Oh... quanto ho sentito la vostra mancanza!» Bernard accenno' un sorriso e lei notò che aveva i denti molto rovinati e radi. Be', forse non sarebbe stato il principe dei suoi sogni... ma quell'uomo aveva bisogno di lei. «Ho trovato la chiave!» disse sentendo un fremito, questa volta di eccitazione, scaldarle il corpo. Bernard parve illuminarsi in volto. «Dolce Cecilia! Sapevo che non mi avreste deluso! Forza, apritemi!» Fu a quel punto che Cecilia ebbe una specie di premonizione. Gli occhi dell'uomo di fronte a lei sembravano febbricitanti più che pieni di lacrime, e c'era un che di sinistro nel modo in cui la fissava. «Avanti!» la esorto' ancora il prigioniero con malcelata rabbia. «Vi prego...» Cecilia si disse che era tutta colpa della propria fantasia. Non doveva aver timore di quell'uomo che, dopotutto, aveva ogni ragione per essere fuori di sé vista la prolungata prigionia. «Da quanto tempo vi tengono rinchiuso qui dentro, Bernard?» gli domandò facendo scattare la serratura della porta. «Che mi hanno confinato in quest'angusta stanzetta? Sono poco più di tre anni... Mi ha obbligato mio fratello, come vi ho già detto.» Cecilia era entrata nella camera e l'uomo si trovava a poco più di un metro da lei, con le braccia che ricadevano abbandonate lungo i fianchi e le spalle un po' cadenti. «Ma sono all'incirca diciotto anni che per il mondo sono solo una scritta su una lapide. Quando Tristan ha convinto mia madre a farmi morire...» Bernard si avvicinò, accennando un sorriso. Il suo volto si era illuminato di gioia e sembrava anche più giovane. Cecilia, che aveva immaginato quella scena più volte, gli corse incontro e si gettò tra le sue braccia. «Siete libero, adesso! Vi ho liberato!» Doveva averlo colto di sorpresa con quella manifestazione d'affetto, perché Bernard non fece assolutamente niente per ricambiare il suo abbraccio. Rimase immobile e impassibile di fronte a lei. Cecilia alzò lo sguardo verso di lui, intimorita dall'idea di averlo offeso, di essersi presa troppa confidenza con quel povero prigioniero. No. Lui la guardava estasiato. Poi, rassicurandola, le prese il viso tra le mani, facendole una carezza. Le sue dita scesero sul collo di Cecilia, che sentì un altro forte brivido percorrerle la spina dorsale. Gli sorrise, e non si mosse finché non capì quello che le stava facendo.
   
 
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