Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _etriet_    18/02/2022    1 recensioni
La vita è fatta di morali, di discorsi silenziosi che si imparano e si fanno man mano che si vive, un po' a gesti, un po' a parole, e poi un po' con tutti e due.
Come una scalinata fatta in silenzio, in cui i gradini appena fatti si cancellano autodistruggendosi dopo pochi secondi, e non rimane nient'altro se non la scelta di continuare, o rischiare di perdere l'equilibrio fermandosi.
Perché ad ogni passo avanti corrisponde uno sbilanciamento, fisico, morale e psicologico.
Veronica Lisi è sempre stata di idee chiare, ha sempre basato la propria vita su principi fondamentali, come quello che il passato non si cancella, si descrive, che il presente non va guardato, va vissuto, e che il futuro non deve essere sognato, ma costruito; mette tutta se stessa per portare avanti le cose al meglio.
La sua quotidianità, tuttavia, viene sconvolta nel giro di nemmeno un mese, e pur di vedere sua madre felice, cambia tutte le carte in tavola, prende, fa le valige e parte verso qualcosa a lei sconosciuto.
→→→→→→→→ LETTURA A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO: CLICHÉ TRATTATI IN MODO ORIGINALE, AMORE PERENNE PER TUTTI I PERSONAGGI E AGGIORNAMENTI LENTI ←←←←←←←←
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Veronica era rimasta ferma nel punto da cui aveva assistito alla scena di pochi minuti prima, cercando di trattenere le risa da quando aveva visto Leonardo col capo basso, Francesco con le braccia incrociate al petto e sua madre che non finiva più di sgridarlo. Era una di quelle situazioni che a lei, più che di noia o di rabbia, sapevano di amore e complicità. Il modo in cui Angela si era preoccupata faceva trasparire quanto affetto in realtà provasse per suo figlio, e gli ammonimenti continui di Francesco, oltre agli sguardi fugaci che i due si mandavano, le facevano presumere che ci fosse molto altro dietro a quella apparenza di lite.

Era facile capire, pensando da un punto di vista puramente razionale ed estraneo, come, dietro qualsiasi rimprovero di un familiare, ci fosse tanto amore da non poterlo nemmeno immaginare. Le prove concrete stanziavano nei ricordi più intimi, e nelle emozioni sbagliate, come la lecita paura di una punizione o la rabbia per il non essere capiti, che sormontavano appena il tono di un adulto si alzava oltre al conosciuto o al familiare. Aveva sempre pensato che i rimproveri fossero le forme di affetto più evolute, eppure, quasi nessuno, se non gli adulti, riuscivano a comprendere quel suo punto di vista forse troppo maturo.

Non era semplice per lei prendere le cose male, anche quelle che nella realtà dei fatti dovevano essere prese male. Aveva sofferto, un po' come tutti hanno sofferto nella loro vita, ma non si era mai demoralizzata o lasciata andare a emozioni troppo negative, perché quel genere di pensiero sadico e masochista, come altre convinzioni comuni, le faceva ribollire il sangue nelle vene tanto trovava quelle cose infantili e futili, non intendeva di certo che il soffrire fosse una cosa inutile, ma più che la demoralizzazione non portasse a niente.

Era della convinzione che soffrire fosse lecito, ma che crogiolarsi nel dolore fosse soltanto da sadici. Tutte quelle filosofie sulla sofferenza si erano andate a unire alla sua versione di insieme, allo sguardo che dava sul mondo, fino a formare nella sua mente la concezione che, qualsiasi fosse stata la situazione, qualsiasi fosse stato il danno, ci sarebbe sempre stato un modello che moralmente seguiva il suo pensiero positivo, ed era giusto così, perché lei sapeva già, fin da quando aveva cominciato a comprendere le sue stesse idee, che ognuno sceglieva il proprio cammino creandosi la strada dove camminare, senza che nessun'altra persona potesse aggiungere o togliere dei pezzi che, in un futuro prossimo, sarebbero potuti essere di intralcio o meno. Perché ognuno aveva la propria ottica dalla quale vedere le cose e cercare di introdurre dei filtri a quello che era già un filtro, fatto di emozioni e convinzioni proprie, cose che non appartenevano affatto a quel pensiero innaturale e introdotto e manipolato, era, per lei, un abominio.

Veronica era fatta di morali, che nella sua vita forgiavano i principi fondamentali su cui basava il proprio modo di vivere: il passato non si cancella, si descrive; aveva pensato mentre era ancora nascosta dietro al muro della cucina, il presente non va guardato, ma vissuto, e il futuro non deve essere sognato, ma costruito; e quello in particolare, era il mantra su cui faceva affidamento nei momenti in cui non sapeva cosa fare, il suo modo di fare era costituito da convinzioni, morali e discorsi ben articolati. Molte persone non erano d'accordo con questo suo modo di pensare, ma ormai lei non dava più credito a nessuna critica, lasciando che le parole altrui, a meno che non fossero di consiglio, colpissero le sue spalle e scivolassero lungo la sua schiena, fino a infrangersi ai suoi piedi dove non avevano più nessun peso. Mentre guardava anche sua zia che sgridava Leonardo, aveva pensato che in qualche modo, in quell'ambiente, sarebbe giunta a conclusioni che non aveva mai trovato, e così, anche la sua linea di pensiero si sarebbe sgretolata in mille pezzi lasciando solo quelli che erano i concetti fondamentali, perché trasferirsi non significava solo cambiare città, farsi nuovi amici e tante altre cose che non aveva ancora sperimentato, significava anche cancellare ciò che fino a quel momento era conosciuto e ritrovarsi con un mucchio di indesiderata ignoranza, trasferirsi significava cambiare sé stessi, smuoversi a prospettive mai scorte, ed era quello il principale problema. Aveva parlato certo con Francesco, ma non era riuscita ad essere sé stessa al cento per cento, perché ancora quel posto non se lo sentiva suo. Si era staccata dal muro, consolata, quando finalmente Angela aveva finito di litigare con Leonardo. Sapeva che nessuno le aveva chiesto o imposto di aspettare lì fino all'ultimo, quindi aveva cominciato a salire le scale indisturbata, facendo il meno rumore possibile, e si era chiusa in camera sua. Durante la notte, dopo che tutti si erano chiusi nelle proprie stanze, chi a rimuginare e chi a dormire, Veronica aveva finalmente preso sonno, e le ore successive erano trascorse tranquille, almeno fino alle otto e mezza della mattina successiva. Infatti, a quell'ora di quell'undici settembre, Veronica si era alzata, stanca e ancora con i muscoli indolenziti, era scesa in cucina, trovando tutti seduti a tavola, ognuno con una tavoletta di plastica sotto le tazze. Si era sentita un'intrusa, quando, già vestiti, i tre componenti della famiglia Villa avevano alzato lo sguardo su di lei, che ancora con il pigiama estivo addosso, si era bloccata per l'imbarazzo dallo stipite della porta. Si era schiarita la voce, che era ancora roca dal sonno e imbarazzata per gli sguardi che erano ancora profondamente puntati su di lei

«Buongiorno...»

«Buongiorno tesoro»

«Buongiorno»

«Giorno.» La voce di Leonardo, che era stata l'ultimo a ricambiare il suo saluto, l'aveva fatta tremare di disappunto, era per lei insolita, poco conosciuta e per nulla confortevole, la faceva sentire fuori posto, tanto che, quando si era seduta al fianco di Francesco, che con fare fraterno le aveva versato del caffè nella tazza da colazione, si era sentita inopportuna

«Zucchero?»

«Ah, uhm, sì, grazie», aveva mescolato piano il caffè dopo che Francesco le aveva messo lo zucchero, ritrovandosi in sovrappensiero a intingere i biscotti e a rigirarli con la punta del cucchiaino dentro alla tazza calda. Non era abituata a quel genere di attenzioni, a dirla tutta non era abituata nemmeno a fare colazione, la sua giornata tipo, in estate, era costituita dall'alzarsi tardi, tanto tardi che la colazione era il pranzo, ripassare una materia al giorno per un paio di ore nel primo pomeriggio, poi uscire, fino a quando il buio non era tanto intenso da far paura, e tornare a casa, per ripetere successivamente tutto ancora una volta, con le eccezioni che in alcune settimane non usciva nemmeno un giorno ed altre era perennemente fuori. C'erano giorni in cui nemmeno la compagnia di sé stessa le andava a genio, e quindi si rifugiava dove sapeva di stare bene, dove era consapevole che la compagnia altrui non l'avrebbe fatta stare male, dove era certa di non poter essere ferita in alcun modo. Era una presunzione complessa perché, per quando i libri e la musica le tenessero compagnia, niente di quel che sentiva e vedeva era realmente tangibile. Non poteva di certo entrare nel libro e compiere le azioni dei personaggi, e tralasciando quella che era la sua vera vita certamente fisicamente era impossibile, ma mentalmente, gli infiniti orizzonti del finito si spezzavano fino a diventare polvere, perché quando era tra sé e sé nulla era reale, ed esisteva solo quello impostava lei, un po' come quando doveva identificare le condizioni di esistenza di una equazione, in modo che non diventasse impossibile, perché decidere di dare uno zero al denominatore dava la conseguenza di un calcolo che alla fine era un errore, e lei ne era consapevole. Angela si era alzata e si era diretta in salotto, lasciando i tre ragazzi da soli, Veronica, ancora un po' imbarazzata, si era portata il biscotto alla bocca, e ne aveva presi altri due dal sacchetto, intingendoli insieme, generalmente probabilmente lo avrebbe fatto con le mani, ma era in quella famiglia da meno di due giorni, quindi preferiva non sbilanciarsi troppo, ma aveva preso la decisione di capire come quella famiglia fosse così completa nonostante l'assenza di un padre fisso e presente, e dopo aver mangiato anche quelli, presa una bella dose di coraggio dopo aver finito il caffè, aveva alzato lo sguardo quasi incerta

«Come mai siete già vestiti?»

«Andiamo in centro. -Questa volta, invece di essere l'ultimo, Leonardo si era preso la briga di rispondere per primo, spostando lo sguardo dal suo telefono fino a lei- Dobbiamo prendere dei libri che sono arrivati ieri, in più tua zia...» e a quel punto il tono di voce di Leonardo si era incrinato, tanto che aveva fatto una piccola pausa, aveva anche provato a riprendere il discorso, ma Francesco si era intromesso, rassicurandola con un sorriso

«Tua zia vuole farti vedere la città, almeno per darti una piccola infarinatura delle vie, ma comunque andiamo a scuola nello stesso istituto, quindi caso mai ti daremo delle indicazioni noi.» Poi si era alzato, prendendo con sé la tazza e la tovaglietta, e si era messo al lavello, Leonardo si era stravaccato sulla sedia, mentre lei si era alzata quando Francesco aveva preso le stoviglie di suo fratello e le sue, gli si era avvicinata, incurvando leggermente un sorriso quando aveva constatato che stava realmente lavando i piatti

«Vuoi una mano?» lui aveva girato gli occhi verso di lei, mentre continuava a passare la spugna sul piattino dove sua zia aveva messo il burro, che poi avevano usato sulle fette biscottate

«Sì, grazie -lei gli aveva sorriso di rimando, felice di potersi rendere utile- fammi un favore, metti in tanto le tazze nella lavastoviglie, così poi, col ciclo lungo, quando rientriamo è già finita.»

«Va bene.»

Aveva fatto tutto con molta calma, rispettando i tempi che aveva Francesco nel risciacquare le varie stoviglie e passargliele, avevano anche un po' scherzato, quando per sbaglio lui l'aveva schizzata con l'acqua mentre ci passava sotto un cucchiaio, lei aveva fatto lo stesso per scherzare e tra un istante e l'altro si erano ritrovati entrambi con le magliette zuppe, e Leonardo dietro di loro che imprecava quando arrivava addosso dell'acqua anche a lui. Avevano finito quel teatrino spensierato poco dopo, quando il fratello minore si era alterato più del dovuto e aveva lasciato la cucina con qualche santo sulla bocca, Veronica e Francesco si erano guardati, ridendo ancora, e si erano tranquillizzati solo dopo, quando lei si era alzata un'ultima volta e aveva impostato il lavaggio lungo. Angela, che era seduta sul divano, già truccata, li aveva guardati per un attimo, prima di assumere un'espressione confusa

«Ma che diavolo avete fatto?»

«Eh mamma, hanno fatto i gavettoni.»

«In cucina?»

«In cucina -aveva sospeso la frase per pochi secondi, senza lasciargli possibilità di replicare, e aveva aggiunto, con un tono mieloso che a lei aveva fatto salire i nervi sopra le stelle- questa settimana potresti dare l'aumento di paghetta a me, visto che non ho cercato di allagare casa.» Francesco lo aveva fulminato con lo sguardo, suo fratello non ci aveva per nulla fatto caso, e non era riuscito a intervenire perché lo aveva fatto lei

«Sei esagerato, stavamo semplicemente scherzando tra noi, e mi sembra proprio di aver asciugato tutto, quindi non si è allagato proprio un bel niente.» Lui l'aveva guardata per pochi secondi, prima di assumere un comportamento di sufficienza, incrociando le braccia al petto

«Okay, basta, questa settimana nessuno di voi due -la voce di sua zia era stata autoritaria, molto più del solito, mentre passava lo sguardo dal figlio maggiore a quello minore- avrà un aumento di un bel niente, e Leo, smettila di essere scortese.»

«Ma che ho fatto? -sua madre, fulminandolo, lo aveva poi costretto con lo sguardo a sedersi vicino a lei- ma in questa casa non si può più fare niente insomma.» Aveva borbottato lui di rimando, beccandosi un occhiata da Francesco che invece si era seduto sulla poltrona, Angela aveva riposto lo sguardo su di lei, dopo aver guardato i due ragazzi un'altra volta, sorridendole

«Veronica, cara, vai a sistemarti, così tra poco partiamo.» lei aveva annuito

«Certo, vado.»

Era salita su per le scale velocemente e si era chiusa la porta di camera sua alle spalle. Non sapeva cosa mettere, fatto che per una ragazza adolescente era del tutto normale, ma che a lei sembrava quasi strano. Non si era mai trovata in una situazione simile, la mattina generalmente prendeva quello che le piaceva di più e se lo metteva addosso, senza tanti pensieri, consapevole che volente o nolente, doveva uscire comunque, quindi era giusto il caso di vestirsi con qualcosa che le piaceva e in cui stava comoda, prima di guardarsi allo specchio e non sopportare la vista degli abiti che aveva addosso. Infine, anche se ancora la risposta quella sua insicurezza non l'aveva trovata, aveva preso dei baggy jeans beige e una semplice maglietta verde, che aveva messo dentro ai pantaloni, giusto per dare un po' più di personalità all'outfit. Veronica non aveva uno stile, e principalmente se ne rese conto mentre si allacciava le Nike, ma le piacevano i colori, quindi molte volte puntava su quello senza nemmeno accorgersene. Si era guardata intorno, cercando i suoi occhiali da sole, che si era messa in testa per non perderli, aveva preso la borsa nera, capiente abbastanza per metterci dentro il telefono, il portafoglio, dei fazzoletti e il burrocacao, si era passata velocemente il mascara sulle ciglia e un po' di cipria, giusto per non sembrava proprio struccata, e poi era scesa giù velocemente. Non ci aveva messo tanto, giusto il tempo di darsi una rinfrescata, passare i capelli con una crema, pettinarli e poi vestirsi, quei quindici minuti che le servivano più o meno sempre. Erano usciti tutti dalla casa, dopo essersi assicurati di aver chiuso tutte le porte, ed erano saliti in macchina, lei si era impostata dietro ad Angela, mentre Leonardo aveva preso posto dietro a Francesco, che si era messo di fianco a sua madre. Veronica aveva lanciato una veloce occhiata al ragazzo di fianco a lei da sopra gli occhiali, per poi sistemarli meglio sul naso e mettersi la cintura, girandosi per cominciare a osservare fuori dal finestrino. Non aveva voglia di conversare, quindi, per quasi tutto il viaggio era stata taciturna, eccezione fatta quando era Angela a cercare di avere una conversazione con lei, con ovvi scarsi risultati. Erano arrivati in centro una ventina di minuti dopo e sua zia aveva parcheggiato la macchina in dei parcheggi che si trovavano oltre le mura della città, quello era il primo posto che Angela, in successione a imprecazioni poco carine sulla quantità di persone presente nel centro storico quella mattina, aveva trovato libero, visto che, per cinque minuti buoni, avevano girato tutte le possibili zone in cui ci potesse essere un parcheggio, senza però riscontri. Veronica era scesa dalla macchina e si era stiracchiata, sistemandosi meglio gli occhiali da sole sul naso quando un raggio le aveva colpito gli occhi, scoperti per via degli occhiali abbassati. Era una bella mattina, lo aveva constatato mentre attraversavano le strisce pedonali, l'aria era fresca, quasi frizzante, e sapeva di nuovo, come se tutto fosse rinato all'improvviso, in perfetto contrasto con quello che aveva provato solo la mattina prima, era una cosa che ancora faticava a comprendere, quella di non essere più a Bergamo, di non poter più salire la funivia o di arrivare a Milano prendendo la metro, di non poter più raggiungere la sua migliore amica semplicemente attraversando la strada o di dover fare salite e discese infinite prima di arrivare a scuola, e probabilmente, se Francesco non l'avesse tirata verso di sé, sarebbe anche potuta essere investita da una bicicletta, perché era tanto assorta dai suoi pensieri da nemmeno riusciva a fare caso a ciò che succedeva intorno a lei

«Tutto bene?» Francesco ancora le teneva il braccio, insicuro se fidarsi a lasciarla libera

«Sì... cioè, sì, mi ero distratta, scusami.» gli aveva fatto un sorriso cordiale, ed era tornata taciturna, ma attenta a dove andava con gli occhi. In quel momento stavano attraversando una via non troppo stretta, ma dalle case alte e di colori differenti, poi, erano arrivati davanti a un altro incrocio, e davanti a Veronica stanziava infiniti portici e la Caffetteria Cavour, o almeno così c'era scritto che si chiamava, avevano preso la via subito dopo, e ancora una volta, lei si era ritrovata a guardare l'altezza delle case e l'infinità di portici alla loro base

«Questa è via Riccati -Francesco l'aveva affiancata- e praticamente porta direttamente al duomo, da queste parti c'è anche la scuola di musica dove abbiamo preso lezioni di piano, giusto mamma?» Angela si era voltata verso il figlio maggiore, per poi osservarsi meglio intorno

«Mi par di sì», Veronica aveva inclinato la testa, di colpo curiosa

«Sapete entrambi suonare il pianoforte?»

«Io sì, modestamente.»

Leonardo era intervenuto rivolgendosi a lei con un tono saccente e guardandola di sbieco, visto che le si trovava esattamente davanti, e Veronica gli aveva risposto con un sorriso parzialmente ironico

«Io me la cavo meglio con la chitarra», Francesco era intervenuto di nuovo, sorridendo fraterno

«Io non so suonare nessuno strumento, siete fortunati.»

«Davvero? Eppure hai tanto l'aria di una classica brava ragazza... -il fratello minore era intervenuto di nuovo, con lo stesso sguardo inclinato e lo stesso tono borioso- Sai no? Una di quelle che suonano il violino, vanno in chiesa quasi ogni domenica, si sono lette pure la bibbia e visto più film basati suoi libri di Nicholas Sparks che altro...»

«Io avrei l'aria di un cliché?» lui aveva fatto una smorfia divertita

«In sintesi, però forse...»

«Leo, smettila, non sei affatto divertente.» Francesco aveva fulminato suo fratello con lo sguardo

«Peccato.» il più piccolo si era avvicinato di nuovo alla madre, che nel frattempo era stata intrattenuta da una telefonata e si era sospinta leggermente più avanti di loro

«Scusalo, certe volte pare non capire quando è il momento giusto di frenare le parole.»

«Già, l'ho notato -si era lasciata sfuggire una risata- Pare quasi voglia solo attirare l'attenzione su di sé.» Veronica aveva guardato la schiena del ragazzo che le stava davanti, la maglietta bianca seguiva tenue i suoi movimenti

«Certe volte sì, altre vuole solo capire meglio le persone. -Francesco aveva sospirato- Per spiegarmi meglio, le spiazza per vedere le loro reazioni, ma, a tratti, è davvero insopportabile» la conversazione si era conclusa poche battute dopo, quando avevano dovuto percorrere tutto il duomo, e per poco, se non fosse stato sia per uno che per l'altro dei due fratelli, probabilmente sarebbe andata a scontrarsi con chiunque fosse stato sulla sua linea di cammino. Non era sbadata, odiava esserlo, ma non si era mai trovata a suo agio nelle grandi folle e quella mattina il duomo sembrava eccezionalmente pieno, come se tutti avessero deciso che quella era la mattina ideale per farsi una vasca nel centro storico, senza stare a guardare quanta gente ci fosse in realtà. Veronica si era prefissata con l'idea che in quella città ci sarebbero state meno persone, meno confusione, di quando non aveva lei nella sua città di origine, invece le sue aspettative si erano completamente infrante quando erano quasi arrivati davanti alla libreria, quasi per sbaglio aveva spostato gli occhi a destra, notando che, oltre alla chiesetta vicino lì vicino, c'era un'altra strada, e che se possibile, quella era molto più gremita di gente di quanto non lo fosse ciò che la succedeva, in più, ad aumentare quell'atmosfera piena, c'era anche il caldo che, nonostante non fosse così insopportabile, si faceva presente comunque. Erano entrati nella libreria e Veronica, dopo una rapida occhiata in giro, si era diretta istintivamente verso il ripiano dei gialli, dei thriller e dell'horror, cominciando a sfogliare con lo sguardo le varie costine. Non sceglieva mai un libro dalla copertina, quello era ovvio, ma la cosa che la catturava sempre per prima era il titolo, come presumeva fosse per un qualsiasi altro lettore. Dopo aver lasciato lo sguardo correre su e giù per gli scaffali, cercando gli autori, e a destra e a sinistra, per cercare le opere, la ragazza aveva preso su tre libri di cui due, in quel momento, erano appoggiati sopra una mensola, nel giusto equilibrio per far in modo che non cadessero. Le unghie, di media lunghezza, battevano sulla carta lucida della stampa del libro mentre leggeva il terzo di copertina

«Genere Giallo, eh?» Lei era sobbalzata, colta all'improvviso e si era girata, mentre ancora stringeva il libro tra le mani

«Già.»

«Mi sorprendi.»

«Vedi quante cose si possono imparare da un presunto cliché?»

Leonardo aveva fatto una piccola scenetta, in cui faceva finta di essere stato colpito al cuore, e quell'immagine l'aveva fatta sorridere, e di rimando lo aveva fatto anche lui, anche se di poco, poi si era tirato su, impostando le mani dentro le tasche dei pantaloni

«Ti consiglio "La prima indagine di Theodore Boone"»

«Di cosa parla?»

«Racconta di un omicidio perfetto -aveva fatto un piccolo sorriso- Theodore Boone è un tredicenne che vuole diventare un avvocato, cosa non proprio normale, per questo dà consulenze private ai suoi compagni di classe. -sembrava perso in un mondo tutto suo mentre raccontava quella trama, smarrito in chissà quale ricordo- Il suo passatempo preferito è indagare in prima persona quando la situazione non lo convince, e poi, improvvisamente, si trova nel mezzo del processo di Peter Duffy, un giocatore di golf accusato di aver ucciso la moglie, tuttavia, l'uomo per insufficienza di prove sta per essere scagionato. Ma Theodore può cambiare il corso delle indagini grazie ad un testimone, ma sfortunatamente questo non può parlare perché vincolato a un patto di segretezza -aveva fatto una pausa, e poi aveva sorriso, inclinando la testa e prendo il libro da un ripiano della libreria, e glielo aveva porto- Sembra scontato all'inizio, ma alla fine si rivela tutt'altro»

«Sembra carino»

«Lo è, in più lo scrittore ha uno stile che cattura quasi subito, quindi non dovrebbe essere un problema entrare nella storia» la ragazza aveva girato il libro per vederne la copertina

«Meglio dai, altri libri da consigliarmi?» Leonardo aveva fatto vagare lo sguardo sugli scaffali, e lei gli si era messa al suo fianco per non intralciarlo

«Vediamo allora -aveva preso un libro e come per il precedente, glielo aveva lasciato- questo»

«"Ricordati di me"? Sei sicuro?»

«Sì.»

«La trama?» il ragazzo aveva sospirato accennando un sorriso

«Ma non ti fidi proprio.»

«No, direi di no -lei aveva ridacchiato- 'sta trama allora?» lui aveva alzato gli occhi al cielo, ma aveva annuito sconsolato

«È un altro romanzo giallo, uno di quelli in cui il detective è anche la vittima. La protagonista si chiama Shari, e la sera prima aveva partecipato ad una festa di compleanno, ma quando si era svegliata si anche era resa conto che c'era qualcosa che non andava. Solo una telefonata e la reazione dei genitori che si precipitano in ospedale le svelano la verità: è morta ed ora è un fantasma, ed è esclusivamente quando vede il suo stesso cadavere a terra, in seguito di una caduta che ha fatto nel vuoto dal balcone, si convince che quanto è successo sia vero. Tutti pensano che si sia suicidata, ma lei, anche se non ricorda nulla delle ultime ore sulla terra da viva, è convinta che qualcuno l'abbia uccisa. Il colpevole in realtà è uno dei suoi amici, ma toccherà a lei scoprire chi è stato e il perché del suo gesto»

«Scegli sempre libri un po' particolari tu eh- la ragazza aveva fatto un'alzata di sopracciglia e poi gli aveva sorriso, quasi sornione- però sono tutti interessanti»

«Lo so.»

«Ne hai un altro?»

«Ancora?»

«Sì.»

«Okay, va bene, ma che sia l'ultimo, che devo anche vedere di un libro per me, d'accordo?» lei aveva annuito, seguendo lo sguardo di Leonardo, che spostava veloce l'attenzione da una copertina all'altra, in cerca di qualcosa che potesse piacerle, alla fine, le aveva messo l'ennesimo libro tra le mani

«"Più fiori che opere di bene"?» aveva guardato il titolo confusa

«Sì -aveva fatto la sua tipica piccola pausa- Clotilde Grossi, è una fioraia ma coltiva un innata passione per il crimine. Non riesce a resistere di fronte a una nuova notizia di cronaca nera, cosa che avviene spesso anche grazie al suo fidanzato, che, per la cronaca, possiede un'impresa di pompe funebri. Un giorno nella piazza principale di Bergamo, che dovrebbe esserti famigliare, no? -Veronica aveva abbassato lo sguardo per un attimo, facendo vagare i ricordi su quel posto, sentendosi quasi ferita all'idea di non poterlo vedere più per mesi, poi, sbattute le palpebre e scacciate le lacrime, aveva ripreso subito a prestare attenzione al ragazzo, che era tornato a parlare solo quando lei era tornata a guardarlo- Praticamente viene ritrovata la testa di un uomo, macabramente sfigurato, e per Clotilde sembra l'occasione giusta per mettere in pratica, ma soprattutto in mostra, la sua passione. Durante le indagini conosce il commissario Riccardo Leonardi, un uomo dai rari sorrisi e dall'intuito infallibile»

«C'è anche una storia d'amore di mezzo, quindi?»

«Se ti interessa leggi il libro, no?» lui le aveva fatto un sorrisetto complice, e poi si era allontanato verso un altro reparto.

Doveva ammetterlo, aveva un gusto letterario niente male, e cosa ben più importante, non aveva tutto quel gusto di cliché che fino a pochi momenti prima le era sembrato avesse addosso.

♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _etriet_