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Autore: Elis_Alike    19/02/2022    0 recensioni
Dove poniamo il limite di ciò che è giusto? Quando il male si confonde con il bene, la verità è nell'occhio di chi guarda.
A niente vale la luce più forte senza l'ombra a definirne l'essenza
La figura si voltò lentamente, sentii i suoi occhi su di me prima ancora di vederli, fece un passo avanti e un raggio di luce gli illuminò il volto. Allora lo vidi: Un uomo sulla trentina dai lineamenti delicati, i capelli neri lunghi fino alle spalle, una corta barba ben curata gli incorniciava la mascella. E poi quegli occhi, neri anch’essi, come il fondo di un pozzo, imperscrutabili come un cielo senza stelle.
Il Generale Kirigan. Capo del Secondo Esercito. L’Oscuro.
L’uomo più temuto e più potente di tutta Ravka, secondo solo al Re. Colui che aveva riscattato con le sue gesta eroiche il nome dei Grisha.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alina Starkov, Darkling, Malyen Oretsev
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alina

Il giorno volgeva quasi al termine quando il Piccolo Palazzo comparve davanti a noi. Nonostante il nome, era un edificio imponente, circondato da alte mura su cui svettavano due torrette di guardia per ogni lato. Una prigione. Ci trovavamo ormai a pochi metri dal portone principale ma Kirigan non accennò a rallentare la corsa. Le pesanti porte si aprirono all’ultimo momento lasciandoci passare e fu solo quando raggiungemmo la corte interna che tirò le redini riportando il cavallo al passo. 
Lanciai uno sguardo alle mie spalle appena in tempo per vedere le porte chiudersi sulle colline. Sono in trappola. 
Il cortile era ampio. Attorno al piazzale che fungeva da ingresso al palazzo vero e proprio si apriva un giardino rigoglioso e ben curato, pieno di alberi e fiori di vario genere ed adornato da alte fontane che rappresentavano Grisha intenti a far sgorgare acqua dalle loro mani di pietra. C’era persino un lago, grande abbastanza da contenere una piccola barca, che galleggiava placida. 
Non riuscivo a smettere di guardarmi attorno a bocca aperta. Sembrava di essere entrati in un libro di fiabe. La nebbia della sera non faceva che rendere l’atmosfera che aleggiava in quel luogo ancora più surreale. Il Piccolo Palazzo non era da meno, con le sue alte guglie arabeggianti e le sue ampie vetrate. 
Mentre ci avvicinavamo vidi che la facciata era interamente adornata da un intricato groviglio di mosaici, basso rilievi e fregi che gli conferivano un’aria ancora più maestosa. 
Ci fermammo nel piazzale e smontammo da cavallo. Con un cenno del capo il Generale mi intimò di precederlo. 
“Qui sarai al sicuro - mi disse mentre superavamo l’arcata dell’ingresso principale - Il Palazzo è l’edificio più protetto di tutto il paese, me ne sono assicurato”. Fu allora che notai la moltitudine di guardie che sostavano attente ai lati di ogni porta e nei pressi di ogni colonna. “Per di qua” e sempre senza guardarmi mi indicò una porta alla nostra sinistra, anch’essa sorvegliata da due guardie armate di tutto punto che nel vederci si misero subito sull’attenti. Feci ancora qualche passo prima di accorgermi che aveva smesso di seguirmi. Mi girai smarrita a guardarlo. “Dove vai?” non mi rispose né mi degnò di uno sguardo. 
“Conducetela alla suite Vezda” diede ordine alle guardie e fece per andarsene ma io fui più veloce e lo trattenni afferrandogli il braccio.
“Sono forse tua prigioniera?” chiesi con rabbia. Per un momento quel mio gesto sembrò scuoterlo dalla sua indifferenza e un lampo attraversò i suoi occhi ma riprese subito il suo contegno. Raddrizzò le spalle “Tutta Ravka lo è, finché tu ed io non avremmo distrutto la Faglia” nella sua voce vi era un tale distacco che subito ritrassi la mano, vergognandomi di quel gesto tanto affettato. 
“Nessuna pressione eh?” borbottai. 
Non rispose e fece per superarmi ma poi si fermò “Finché rimarrai qui mi aspetto che tu ti rivolga a me chiamandomi Generale o Signore, sono stato chiaro?” Mi sussurrò all’orecchio. Rimasi di stucco.
“…Sì Generale” risposi impregnando di odio e disprezzo ogni sillaba. Ignorando la mia sfida fece un cenno alle guardie che subito mi furono attorno, si voltò e se ne andò, lasciandomi lì. 
 
Rimasi per un momento a guardarlo mentre si allontava. Solo quando svoltò l’angolo scomparendo alla vista mi rassegnai a seguire le guardie. Mi scortarono attraverso un lungo labirinto di corridoi fino a quella che sarebbe divenuta la mia stanza. Una volta lì uno di loro ne aprì la porta per poi richiuderla con un tonfo sordo alle mie spalle. Sono sola. A quel pensiero i molti avvenimenti della giornata piombarono su di me con la loro gravità. Ero sola, rinchiusa tra le mura dell’edificio più sorvegliato di tutta Ravka, lontana da qualunque cosa potesse essermi familiare. Mi sentii perduta. 
Quando cresci in un orfanotrofio la prima regola è non lasciare mai che qualcuno ti veda fragile. Ma adesso non c’era nessuno che potesse approfittarsi delle mie debolezze. 
Caddi a terra e prendendomi il viso tra le mani mi abbandonai al pianto, riuscendo a stento a soffocare i singhiozzi.
Piangevo per i miei compagni, morti a causa mia, per la paura che avevo avuto io stessa di morire, prima nella Faglia e poi nella radura. Per l’orrore provato nel sentire il sapore del sangue di quel Druskeller quando il Generale lo aveva fatto a pezzi per difendermi. Per l’ingiustizia che mi vedeva catapultata in un mondo a me estraneo. Ma soprattutto piangevo per Mal. Non l’ho neanche salutato, non ho avuto il tempo di parlargli, di spiegargli… Spiegare cosa? Come spiegare qualcosa che per primi non si è in grado di comprendere? 
Perché io?
 
Un rumore nel corridoio mi fece trasalire, ricacciai indietro le lacrime e trattenni il respiro. Silenzio. Maledissi i Santi a denti stretti e mi alzai asciugandomi il viso. Devo restare lucida.
Mi costrinsi ad esplorare l’ambiente circostante. Mi muovevo con circospezione, pronta a scattare al minimo rumore. 
La stanza in cui mi trovavo era ampia e sontuosa, illuminata da piccole lanterne bianche sparse lungo le pareti. Sulla sinistra, accanto all’ingresso, si trovava un’elegante scrittoio in legno chiaro la cui struttura saliva ad incorniciare uno specchio. Arricchito sui bordi da fitti intarsi sottili. 
La seconda regola è trovare un’arma e tenerla sempre a portata mi dissi ricordando le lezioni di Mal e cominciai a cercarne una. Frugando nei cassetti trovai tutto l’occorrente per scrivere lettere. Un sigillo, della ceralacca e… un tagliacarte. Questo può andare, mi affrettai a mettermelo in tasca. Gli altri cassetti contenevano invece articoli per la cura dei capelli e delle mani, vasetti con creme e boccette di profumo, niente di utile. 
Al centro della stanza troneggiava un enorme letto a baldacchino, circondato da morbidi tendaggi di stoffa leggera che cadevano con grazia fino a terra.  Sulla destra, invece, si apriva un’ampia finestra che dava sul cortile interno. Mi sporsi a guardare fuori ma il sole era ormai tramontato e del giardino s’intravedevano solo i contorni. È Troppo alto per saltare giù. Pensai, mentre cercavo di calcolare quanti metri mi separavano dal terreno …forse se facessi una corda con le tende del letto…
Una figura si mosse nel vialetto sottostante e mi ritrassi in fretta per paura d’esser vista. Qualcuno camminava da solo nell’ombra, ma era troppo buio per riuscire a decifrare se fosse una semplice guardia o un altro ospite del palazzo. Forse è il Generale. L’assurdità di quel pensiero quasi mi strappò un sorriso, si certo il potente e valoroso Generale Kirigan che si diverte a passeggiare da solo di notte sotto la tua finestra.
Tornai ad esplorare la stanza e scoprì di avere a disposizione anche un’immensa sala da bagno con una vasca in rame, un elaborato tinello e perfino un armadio pieno di asciugamani talmente candidi che non osai toccarli. 
Mi aggiravo in mezzo a tutto quel lusso come un animaletto selvatico, sentendo crescere in me un profondo disagio. Da piccola avevo dormito in un giaciglio per terra, nell’angolo di una stanza grande come quella, insieme ad altre trenta bambine. Il bagno era un lusso che arrivava solo una volta al mese: in una tinozza di legno a gruppi di cinque.  Più tardi, una volta cresciuta, ero stata reclutata come cartografa nelle file dell’esercito e per anni la mia casa era stata una semplicissima tenda logora che dovevo smontare e rimontare in fretta all’occorrenza. Insomma, niente a che vedere con lo sfarzo che adesso mi circondava. 
Mi abituerò mai a tutto questo? No, decisi alla prima occasione utile troverò il modo di scappare da qui. 
Non riuscendo a capire da dove arrivasse l’acqua rinunciai all’idea di lavarmi e caracollai verso il letto. Per stanotte la fuga è rimandata, sono troppo stanca pensai.
Nascosi con cura il tagliacarte sotto il cuscino, se ne avessi avuto bisogno sarebbe stato a portata di mano. Improvvisamente ero talmente esausta che riuscii a malapena a togliermi  di dosso la divisa logora. Mi arrampicai sul letto, era morbidissimo, sprofondando rannicchiata tra i cuscini come un animale nella tana. Le dita strette intorno al tagliacarte. 
Non avevo neanche più le forze per piangere. 
Chiusi gli occhi e il mio ultimo pensiero fu per Mal.  Chissà cosa direbbe di tutto questo, probabilmente mi prenderebbe in giro, mi chiamerebbe principessa e finiremmo per azzuffarci come sempre. Sorrisi e cullata dal ricordo delle nostre scorribande caddi in un sonno tormentato, in cui il viso di Mal che mi guardava spaventato sul ponte della nave si alternava a quello del Generale quando nella foresta mi aveva promesso che non sarei mai stata sola.
 
Aleksander
 
Qui sarà al sicuro. Pensai, mentre passeggiavo distrattamente lungo i corridoi del Piccolo Palazzo. 
Era bello essere di nuovo lì. Il posto più simile a una casa che avessi mai conosciuto. 
C’erano tante cose a cui pensare. Avevo mandato Ivan ad avvertire Baghra. L’Evocaluce avrebbe iniziato il suo addestramento non appena il Re avesse dato la sua approvazione. 
Il Re… pensai con una smorfia. Già immaginavo i contorti giochi di potere che avrebbe messo in atto per controllare la signorina Starkov. Dovevo impedire che venisse tirata in mezzo a quel ridicolo teatrino politico fino a quando non sarebbe stata pronta. Premere affinché rimanesse nel Piccolo Palazzo ad addestrarsi, dove l’influenza del Re non l’avrebbe raggiunta. 
È così giovane mi dissi passandomi una mano tra i capelli. Ripensai al suo viso pallido nella radura. Al modo in cui i suoi occhi verdi mi avevano guardato, pieni di orrore e paura. 
Dovrei esserci abituato ormai. Eppure, qualcosa mi aveva turbato nel profondo. Non sapevo perché mi ero ritrovato a desiderare che mi guardasse in modo diverso. Avevo provato lo strano impulso di abbracciarla, di dirle che non avrebbe più dovuto avere paura di niente, che io l’avrei protetta. Che stupido scacciai quel pensiero. La fresca brezza della sera mi scompigliò i capelli. Respirai a fondo l’odore del giardino, il profumo dei suoi fiori. Senza rendermene conto ero finito a passeggiare nel cortile internoAlzai lo sguardo verso il Palazzo. Una luce era ancora accesa. Strano che ci fosse qualcuno ancora in piedi a quell’ora. La vita di un Grisha nel Piccolo Palazzo comincia all’alba. Quella è la sua camera. A quel pensiero un’onda di desiderio mi travolse. Sarebbe stato così semplice arrampicarmi fin lassù, entrare e stringerla a me. 
Che cosa diavolo ti salta in testa?! La stanchezza del viaggio mi giocava brutti scherzi. 
Affrettai il passo e tornai dentro. Continuai a vagare per i corridoi, obbligandomi ad evitare la sua stanza. Dovrei andare a dormire. Ma non avevo sonno, il fantasma di quel desiderio continuava a muoversi dentro di me. 
 
Bussai
“Avanti” disse una voce dall’interno.
“Ancora sveglia” dissi entrando.
“Ti aspettavo”
Zoya era seduta davanti allo specchio intenta a pettinarsi i lunghi capelli neri. Indossava una camicia da notte in seta che lasciava poco spazio all’immaginazione. 
Mi avvicinai e senza dire una parola le presi la spazzola dalle mani e la posai sullo scrittoio.
 “Vedo che non hai sonno” disse lanciandomi uno sguardo ammiccante dallo specchio. 
“No” sussurrai. Con una mano le scostai i capelli. Fu scossa da un brivido quando le mie labbra si posarono nell’incavo del suo collo. Il desiderio che provavo urlava per uscire.
L’afferrai per la vita, la girai attirandola a me e la baciai con foga. 
“Il viaggio ti ha messo appetito” mi sussurrò provocante all’orecchio mentre le mie mani cercavano fameliche il suo corpo.
“Zitta” ordinai baciandola con rabbia. Lei rispose al mio bacio con foga e si affrettò a slacciarmi i pantaloni. La sollevai appoggiandola al tavolino. Entrai dentro di lei, affogando nel suo corpo i miei pensieri. 

Alina

La neve cadeva soffice e vellutata, coprendo il bosco con il suo manto candido. Ero in una strana foresta. Nonostante fosse pieno inverno la vegetazione era a tratti ancora rigogliosa, come fosse piena estate. I raggi del sole sembravano provenire da ogni dove. Filtravano tra i rami degli alberi creando strani giochi di luce. Un grosso cervo bianco pascolava indisturbato. Sul suo capo troneggiava un enorme paio di corna. Era un animale splendido. Si muoveva lento e maestoso a pochi passi da me. Quando si voltò a guardarmi vidi il simbolo tra le sue corna, una sorta di sole con mille raggi. Di nuovo sentii quella strana vibrazione risvegliarsi in me. Un canto, antico come il mondo. Ci fu un lampo di luce e…. Mi svegliai guardandomi intorno ansante. 
All’inizio faticai a ricordare dov’ero. La stanza del Piccolo Palazzo era dolcemente illuminata dalle prime luci dell’alba e fuori dalla finestra gli uccelli cinguettavano allegri. Respirai a fondo. È stato un sogno, solo un sogno.
Mi sfregai gli occhi per scacciare la stanchezza e provai ad evocare la luce schioccando maldestramente le dita. Stupidapensai  se fosse stato così facile… ma i miei pensieri vennero interrotti dall’ingresso di una donna elegante. Aveva aperto le porte della mia stanza e camminava austera verso di me. D’istinto le mie mani corsero al tagliacarte.
“Per tutti i Santi!” Esclamò scostando le tende del letto “ Hai mai fatto il bagno?” Chiese guardandomi inorridita. Rimasi di stucco. In effetti ero decisamente lurida. Sentivo le croste di sangue rappreso miste a terra sulla pelle e probabilmente i miei lunghi capelli ramati dovevano somigliare più a un nido di rondini. “E che ti è successo al viso?” continuò sempre più inorridita. Mi portai una mano al volto, avevo un labbro spaccato e una grossa tumefazione dolente sulla fronte, là dove il Fierdiano mi aveva colpita.
“Ci vorrà più lavoro di quanto avessi previsto- decretò studiandomi con aria critica e schioccando le dita ordinò - Portatemi l’occorrente”. Una decina di cameriere fecero il loro ingresso nella mia stanza trasportando una serie di strani oggetti. 
In tutto quel frangente io ero rimasta ferma, seduta nel letto guardandomi intorno smarrita. 
Una cameriera mi fece alzare e mi condusse nella sala da bagno dove azionò uno strano meccanismo che fece sgorgare acqua calda da degli strambi tubi ricurvi, mentre un’altra prese a sciogliermi i nodi che avevo tra i capelli “Ahi!” Incuranti delle mie deboli proteste mi spogliarono e mi aiutarono ad entrare nella vasca di rame ormai colma di acqua calda e profumata. Era una sensazione stupenda, non avevo mai provato la dolcezza di un bagno caldo e quasi mi venne da piangere, era così rilassante… ma ecco che quelle cominciarono a strofinarmi e insaponarmi, lavandomi da capo a piedi come se fossi una bambola, ero scioccata.
“Minch spraa stis” fece una all’altra “Stis ska vulsro ah?” rispose quella con un sorriso maligno. “Ferme!” intimai loro “Sono perfettamente in grado di lavarmi da sola e sì, puzzo come un cavallo, ho cavalcato per duecento miglia dopo che mi hanno quasi uccisa, due volte, e capisco il Rafkiano antico. Siete state molto scortesi”. Strappai la spugna dalle mani di quella che mi stava più vicina e cominciai a lavarmi da sola. 
“Quanto meno hai spirito!” rise la donna elegante che poco fa aveva fatto irruzione così bruscamente in camera mia. Si era accomodata su una poltrona e osservava la scena chiaramente divertita. “Sbrigati – continuò - tra un’ ora sarai presentata a Re Pyotr, e il Generale Kirigan mi ha chiesto di renderti…presentabile” . La spugna mi scivolò dalle mani cadendo nell’acqua con un sonoro pluf .
“Devo incontrare il Re?” balbettai Assurdo! “Fra un’ora” rispose tranquilla lei mettendosi a frugare in uno dei bauli che erano magicamente comparsi nella stanza. Ne tirò fuori un paio di vesti eleganti che soppesò con aria critica. “Mmm..forse questo” decretò scegliendone infine un terzo. Era una semplice veste chiara, lunga fino ai piedi. “Cos’ hanno che non va i miei vestiti?” Chiesi offesa, sarei stata più a mio agio con un paio di pantaloni “Intendi forse quegli stracci che ho trovato ai piedi del letto?” L’enfasi della frase era esplicita. Arrossi e presi a strofinarmi con più forza. 
 
Quando fui pulita, probabilmente più pulita di quanto non fossi mai stata in tutta la mia vita, venni avvolta in uno di quei candidi asciugamani che avevo visto nell’armadio la sera prima. Era così soffice e profumato.
Le cameriere tornarono all’attacco e presero a strofinarmi i capelli e il corpo, mentre un’altra mi cospargeva di creme “è tutto un po’ troppo sai? Non ho bisogno di tutto questo” dissi ma a nessuno parve importare. Quando fui completamente asciutta, pettinata e vestita mi riportarono nella stanza da letto.
“Inizierei con il renderle gli occhi meno Shu, signorina Safin” disse una di quelle vipere alla donna elegante che per tutta risposta alzo gli occhi al cielo. Io abbassai lo sguardo mortificata e stringendo i pugni la maledissi mentalmente.
“Ora uscite avanti” sbuffò la signorina Safin battendo le mani e quelle obbedirono uscendo tutte in fila. Le sentii ridacchiare lungo il corridoio e strinsi i pugni con più forza. 
“ Grazie, signorina Safin” mormorai  quando fummo rimaste sole. “Felice di liberarmi di misere megere- rispose lei aprendo un cofano pieno di strane ampolle- non scelgo il mio personale, è la Regina ad assegnarlo. Soprattutto per spiarmi. E chiamami Genya, a proposito, pretendo certe formalità solo da quelle vipere”.
“Non cambiarmi gli occhi” chiesi in un sussurro. A quelle parole si voltò a guardarmi con tenerezza posando gli oggetti che aveva preso sullo scrittoio per avvicinarsi “Non m’interessa che tu sia in parte Shu - disse con voce dolce – mi interessa che tu non sia orribile” concluse la frase con un sorriso incoraggiante. Feci una smorfia “Beh allora credo proprio che dovrai rassegnarti” mi schernii io. “E io credo che tu non sappia ancora quanto sei bella” concluse lei con una strizzata d’occhi. Mi prese il viso tra le mani e iniziò ad osservarmi con attenzione. “Una parte è in superficie - disse assorta - un’altra è in profondità” e con un gesto del pollice mi sfiorò il labbro ferito, al suo tocco sentii la pelle rimarginarsi. “Sei una Guaritrice!” mormorai esterrefatta toccandomi la pelle e scoprendola nuovamente intatta. Lei sorrise “Una Plasmaforme, posso riparare, ma posso anche modificare” e con un altro gesto cancellò la ferita alla fronte 
“Non avevo mai incontrato una Plasmaforme” le sorrisi di rimando.
“Sono rara quasi quanto te- disse girandomi intorno in cerca di altre ferite – anche se non direi che ritoccare le tette della Regina mi renda altrettanto importante- sorrisi incerta -Importante per la regina, ovvio – continuò con una smorfia di disappunto- e a lei non piace vedere crepe nelle sue porcellane”. Mi sollevò la manica e con un altro gesto cancellò il taglio che il Generale mi aveva fatto nella tenda. Mi guardai il braccio, aspettandomi di vedere un altro lampo di luce, ma niente. La mia pelle intatta era semplicemente resa più lucida dalle creme da bagno. Pazzesco.
La guardai ammirata mentre continuava a riparare i vari tagli, graffi e lividi che mi ero fatta la sera prima e nel corso della mia vita sul campo di battaglia. Ma quando mi prese la mano per guarirmi la cicatrice a mezzaluna che avevo sul palmo mi ritrassi. 
“No…ehm, questo è un ricordo…di casa” le lanciai uno sguardo imbarazzato ma lei mi sorrise gentile. 
“Sentimentale…lavorerò anche su questo- disse facendomi l’occhiolino - Ma per adesso: siedi” continuò indicandomi lo scrittoio. Obbedii titubante, evitando accuratamente di guardare allo specchio. Non mi era mai piaciuta l’immagine che mi rimandava. “Questo ti donerà” sentenziò passandomi una sorta di collana sui capelli, li senti vibrare per un momento “Fa il solletico” protestai “Ferma” fu la risposta e prese ad acconciarmeli. Quando fu soddisfatta mi disse: “Che ne pensi? Coraggio Guardati!”.
Ma quando lo feci stentai a riconoscermi. La donna che ricambiò il mio sguardo non potevo essere io. I verdi occhi a mandorla erano i miei ma lei era bella, indubbiamente più bella di me. La pelle chiara era la mia ma più brillante. Mi sporsi a guardare meglio: le ciglia erano più lunghe di come le ricordavo e le labbra erano in qualche modo più rosee. Mi aveva raccolto i capelli ramati sollevandoli in una morbida crocchia, lasciando fuori qualche ciocca che scendeva ad incorniciarmi il volto. Li toccai stupita, erano lucidi e morbidi. “C..cosa hai fatto al mio viso?” balbettai inorridita. “Non ti piace?” chiese preoccupata “Mi hai cambiato la faccia, ti avevo detto di non farlo!” sbottai e per tutta risposta lei proruppe in una risata “Ti ho solo acconciato i capelli, la faccia è la tua solo che adesso è finalmente pulita!” e continuò a ridere di gusto mentre sistemava le forcine avanzate in uno dei cassetti. La sua allegria mi contagiò sono…bella pensai e risi imbarazzata dai miei stessi pensieri.
“A che età l’hai saputo?” chiesi incuriosita.
“Lavoro su me stessa da quando avevo tre anni, mi divertivo a cambiarmi il colore dei capelli, da piccola avevo una sfrenata passione per il fucsia” aggiunse con un sorriso complice. 
“E da allora hai sempre vissuto qui?” chiesi esterrefatta 
“Certo che no! Mi esaminarono quando ne avevo undici. Fu allora che il Generale Kirigan mi prese sotto la sua protezione affidandomi alla Regina”. 
“Ma tu odi la Regina” la interruppi ripensando ai toni che aveva usato per descriverla. Fece una smorfia “Diciamo che non la venero come vorrebbe credere. Ma sono viva e al sicuro e direi che questo è più importante. Non credi?” Ma non sei libera. Lo pensai ma non lo dissi. In fondo il Generale aveva ragione, nessuno di noi sarebbe stato libero fintanto che la Faglia esisteva. 
“Hai detto che ti eserciti da quando avevi tre anni” dissi, più che altro per cambiare argomento.
“Esatto - rispose lei accostandomi al volto un paio di orecchini - Mmm no, decisamente meglio senza- decretò - Alzati” obbedii docile lasciando che mi guidasse davanti a uno specchio più grande. Questa sicuramente non sono io. Non mi ero mai messa un vestito in vita mia, già da piccola mi ero sempre ribellata all’idea. Non ci si può arrampicare ne correre con un vestito addosso.  Rimasi a guardarmi con aria critica. Per quanto semplice era un bel vestito. Il corpetto che mi avvolgeva il petto esaltava quelle forme che la divisa militare al contrario nascondeva così bene. La gonna era ampia ma non troppo e mi arrivava fino ai piedi. 
“Cade bene non trovi?” Chiese
 “Sinceramente preferirei un paio di pantaloni” Lei rise credendo scherzassi ma quando vide la mia faccia seria replicò “Non puoi presentarti davanti al Re vestita come un maschiaccio. Sua Maestà si aspetta di vedere un’umile fanciulla di Keramzin strappata dai ranghi del suo esercito e sicuramente vorrà prendersi il merito di aver salvato l’Evocaluce. Una volta che avrà visto il tuo potere sarai libera di indossare ciò che vuoi” 
Cosa?! Vedere il mio Potere?
 “Ma…ma… io non…non posso presentarmi davanti al Re - replicai con angoscia - Non so come devo comportarmi né cosa ci si aspetta da me, ho bisogno di tempo. Potere? Quale potere? Insomma io sono una Grisha da appena un giorno! Non so evocare proprio un bel niente!” Genya mi prese le mani tra le sue e sistemò con dolcezza una ciocca dietro l’orecchio.
 “Forse è solo da un giorno che lo sai, ma tu sei una Grisha da tutta la vita e adesso sei qui per distruggere la Faglia - Aprì la bocca per protestare - Dobbiamo muoverci, non si può far aspettare il Re” mi interruppe avviandosi verso la porta ma poi si fermò.
“Quasi dimenticavo!” e tornò indietro a prendere un velo che mi sistemò sul capo a coprirmi il volto.
“È proprio necessario?” Protestai io mentre mi trascinava lungo il corridoio 
“Nessuno può vederti prima del Re Pyotr” 
“Ma sono io che non ci vedo!” 
“La cosa è irrilevante”.
“E se dovessi uscire dal Piccolo Palazzo?” le chiesi mentre ripercorrevamo a ritroso il percorso che avevo fatto la sera prima, cercando di mandarlo a mente. Poteva tornare utile per fuggire da lì.
“ E perché mai? Tutto quello che ti serve è qui”
 “Senti…ho…ho dimenticato delle cose al campo, potrei tornare a prenderle” Azzardai 
“Non essere ridicola - mi avvertì lei - Di qua” aggiunse girando bruscamente in un corridoio laterale. Affrettai il passo per seguirla. Era difficile persino camminare con quella maledetta gonna che mi si impigliava sotto i piedi. 
“Smettila di tormentarti il vestito, stai benissimo!” Mi redarguì mentre scendevamo una lunga scala in legno massiccio. “Allora – continuò - a quanto pare ci saranno il Re Pyotr, la Regina, il principe ereditario Vasily  e il consigliere spirituale del re: l’Apparat. È un viscido figuro…” “Quella è una biblioteca? È accessibile a tutti noi?” la interruppi, eravamo a metà della scalinata e alla nostra sinistra si apriva un corridoio che portava ad un enorme sala piena di libri “Non mi stai ascoltando vero? - sbuffò seccata - Comunque sì e sì, qui tutto è accessibile a tutti noi. Il Generale ha voluto questo palazzo per arricchirci” 
“Un Grisha è mai fuggito da qui?” domandai mentre uscivamo nel cortile, sforzandomi di mantenere tono vago.
“Stai pensando di fuggire?” chiese una voce profonda alla mia destra, la sua voce. Mi girai di scatto. Da dove è spuntato? 
“Io non…non intendevo…” balbettai arrossendo dietro il velo. Cercai Genya con lo sguardo ma era sparita. 
“Da questa parte” disse il Generale indicando il sentiero che costeggiava il lago. Lo seguii a testa bassa, stando ben attenta a non inciampare.
 
Per un po’ camminammo in silenzio. Il gracidio delle rane riempiva quello che, a tutti gli effetti, era un silenzio imbarazzato. 
Ci eravamo ormai lasciati il Piccolo Palazzo alle spalle quando decisi che ne avevo abbastanza di quel velo. Lo vidi sorridere con la coda dell’occhio quando con un sospiro di sollievo me ne liberai ma appena mi girai a guardarlo era tornato serio.  
“Hai fatto un buon sonno?” chiese ostentando un cortese distacco. Mi camminava affianco, guardando il paesaggio. Ripensai alla notte trascorsa e ai sogni che mi avevano tormentata. “Agitato - glissai, cercando di adattarmi al suo tono sostenuto- nonostante la magia di Genya abbia…” 
“ Non è magia, è scienza- mi interruppe con voce piatta, incrociando le braccia dietro la schiena-  o meglio piccola scienza. Noi non evochiamo dal niente, manipoliamo ciò che già esiste intorno a noi”. 
“Lo fai sembrare facile” sbuffai 
“L’uccello fa sembrare facile volare, ma è nato per farlo” rispose lui calmo. 
Camminava a qualche passo da me, osservando il lago. Sembrava determinato a non incrociare il mio sguardo. 
“ Quando è pronto” borbottai di rimando. 
“Allora vedi di esserlo” Concluse lui brusco. 
Mi fermai a guardarlo sentendo crescere la rabbia
“Mi chiedi di fare una cosa che nemmeno sapevo di poter fare fino a qualche giorno fa!” sbottai esasperata incapace di mantere quella farsa.  Per tutta risposta mi si parò dinnanzi e per la prima volta dal bosco mi guardò dritta negli occhi
“Credi che ti abbia portata qui per metterti in ridicolo? – chiese- Per mettere in ridicolo tutt’e due?” alzai gli occhi al cielo, frustrata “Penso che non so perché tu ti sia dato così tanto disturbo visto che chiaramente non ti importa un acc…” 
“ Tu concentrati su di me e andrà tutto bene- m’interruppe lui, trapassandomi con i suoi occhi neri- Quando il Re vedrà cosa sai fare e darà il suo benestare resterai qui ad addestrarti”
“ Il suo benestare?- stavolta fui io ad interromperlo- Tz…Ti credevo a capo dei Grisha” lo schernì, la voce mi tremava dalla rabbia. 
“Comanderò anche il secondo esercito, ma il Re è sempre il Re” rispose secco. Fece per voltarsi ma d’impulso allungai una mano a trattenerlo “Aspetta!- dissi, affrettandomi a ritirare la mano tra le pieghe del vestito prima che potesse notare il gesto – Cosa ti ho fatto?” 
Il suo volto si fece di pietra “Non capisco di cosa stai parlando”. 
“Parlo del fatto che da quando siamo arrivati qui mi hai a malapena degnata di uno sguardo, mi chiedi di fidarmi di te ma non me ne dai adito! Parlo del fatto che mi tratti come se…” mi interruppi imbarazzata abbassando lo sguardo a terra in cerca delle parole giuste. Come se ci conoscessimo appena e in effetti è così ma mi hai salvato la vita e nella foresta ho avuto come la sensazione di conoscerti da sempre e sono sicura che l’hai provata anche tu e…maledizione. Lo pensai ma non lo dissi. Mi sentivo così stupida.
“Perdonami se ti ho offesa- la sua voce era gentile ma distaccata interruppe i miei pensieri. Lo guardai fissava il lago in tralice– I miei molti doveri mi tengono impegnato e di questo non credo io debba rendere conto a voi, signorina Starkov. Tuttavia mi scuso se i miei modi vi hanno turbata.”
“Turbata?! Beh si diciamo che sono alquanto turbata, non so cosa diavolo ci faccio qui e…”
“Ti fidi di me?”
“Fidarmi di te? Perché dovrei? Io non ti conosco!”
“Ti ho salvato la vita” rispose lui calmo.
“Non prima di averla messa in pericolo! Se mi avessi lasciata in pace a quest’ora sarei ancora all’accampamento con il mio Maestro a piangere la scomparsa dei miei amici, a vivere la mia vita!”
“Se tu fossi rimasta all’accampamento saresti morta, dove credi fossero diretti i Druskeller che ci hanno assalito nel bosco?”
“Questo non puoi saperlo, sono stata perfettamente in grado di difendermi da sola fino ad ora”
“Non eri una Grisha fino ad ora”
“Allora non voglio essere una Grisha! Non voglio avere niente a che fare con questo, con te o con i tuoi grandi progetti!”
“Una Grisha è quello che sei, mettiti l’anima in pace ragazzina, non è qualcosa che si sceglie. Credi che io, o chiunque altro al Piccolo Palazzo, abbia scelto di essere ciò che è? Credi che abbiamo scelto di essere quelli braccati, temuti e odiati? Nessuno di noi ha scelto, siamo nati così, questo è ciò che siamo!” La sua calma distaccata andò in frantumi e la sua voce s’infiammò di rabbia.
“Io non sono come te! Io non sono un mostro!” Le parole mi uscirono di getto e subito me ne pentii.
Ci fu una breve pausa, lui si ritrasse guardandomi con disprezzo.
“Hai ragione, tu non sei come me, e a conti fatti signorina Starkov, non sei l’unica a non fidarsi.” 
E senza aggiungere altro mi superò, diretto al Palazzo Reale.
Per un attimo pensai di fuggire.
Ma rimasi ferma dov’ero, tremante di rabbia. 
 
“Puoi anche non fidarti” aggiunse dandomi le spalle “odiami pure se vuoi, resta il fatto che non sei al sicuro là fuori. Ti sto offrendo la possibilità di vivere un altro giorno e magari di scoprire chi sei veramente. Cosa vuoi fare Signorina Starkov? La scelta è tua.”
“No, non lo è” Sospirai prima di decidermi a seguirlo. 

 
   
 
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