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Autore: Cassandra caligaria    22/02/2022    2 recensioni
Tutti umani, trentenni. Le vicende narrate saranno ambientate per la maggior parte nella Boston dei giorni nostri.
La narrazione sarà tutta dal punto di vista di Edward, con qualche extra dal punto di vista di Bella.
Dal primo capitolo:
Mi guardai intorno ammirando l’eleganza dell’ambiente quando ad un certo punto rividi la ragazza del parcheggio che parlava con Rosalie vicino all’ascensore.
«Lei lavora qui?» domandai a Jasper.
«Chi?»
La indicai con un dito e proprio in quell’istante i nostri sguardi si incrociarono.
«Oh, lei! È l’amministratrice dell’azienda» rispose Jasper divertito.
«Merda.»
«Non conosce altre parole?» mi domandò divertita lei. Ma quando si era avvicinata a noi?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan, Jasper Hale, Rosalie Hale | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie, Leah/Sam
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
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Questo extra racconta dal punto di vista di Bella il capitolo XII della storia. Come tutti i pov Bella è molto introspettivo e poco dialogico, in particolare in questo capitolo non sono presenti dialoghi, ad eccezione di un breve flashback.
Nei miei progetti iniziali avrebbe dovuto essere molto più lungo e dettagliato, ma non sono riuscita a fare di meglio. Forse più in là riuscirò ad arricchirlo, per il momento spero vi faccia comunque piacere leggerlo come a me ha fatto piacere scriverlo.
È trascorso un anno dall'ultima volta che mi sono dedicata a questa storia e non volevo aspettare ancora per pubblicarlo.

Buona lettura e a presto.





L’aria fredda del mattino mi colse di sorpresa, scompigliandomi leggermente i capelli. Di tanto in tanto, muovevo le dita delle mani, avvolte nei guanti, mentre camminavo verso Central Park. Avevo dormito malissimo durante la notte, mi bruciavano gli occhi e avevo mal di testa. Nonostante ciò, mi ero svegliata prestissimo, come al solito, e avevo deciso di uscire dall’hotel per cercare di schiarirmi la mente facendo due passi.
Avevo avuto una discussione con Edward la sera precedente e le sue parole mi risuonavano ancora in testa. Erano diversi giorni che discutevamo sempre per lo stesso motivo: lui non voleva che io trascorressi il giorno di Natale da sola a New York e io non volevo che lui dovesse scegliere tra me e la sua famiglia, per non parlare del fatto che io non amavo particolarmente i giorni di festa, non contavano nulla per me e glielo avevo anche spiegato, più di una volta.
Eppure, lui continuava ad insistere e io continuavo a resistere: eravamo davanti a un’impasse.
Non riuscivamo a trovare un punto di incontro, eravamo entrambi stanchi, esasperati dalla lontananza e quella sera avevo quasi rischiato di scoppiare a piangere davanti alla videocamera del pc. Per fortuna ero riuscita a controllarmi ed ero crollata dopo.
 
«Non voglio che tu stia da sola il giorno di Natale».
«Edward, lo sai che per me non è un giorno particolarmente importante».
«Sì, lo so, ma è comunque un giorno di festa… potrei anticipare la partenza di un giorno e stare con te».
«No, non esiste. Non voglio che tu trascorra il Natale lontano dalla tua famiglia, non sarebbe giusto».
«Anche tu sei la mia famiglia».
 
Io non ero la famiglia di nessuno da tanto tempo e non avevo da moltissimo tempo nessuno nella mia vita che potessi considerare “famiglia”. Le sue parole così semplici, così sincere, così affettuose mi colpirono come una sferzata di vento gelido e mi trovarono impreparata. Impreparata alle lacrime che seguirono, impreparata a riconoscerne la potente verità, impreparata ad accettarne le conseguenze.
Avevo chiuso la videochiamata, liquidandolo di fretta perché sentivo gli occhi bruciare. Probabilmente se n’era accorto, ma aveva gentilmente assecondato il mio bisogno di stare da sola in quel momento.
Io non piangevo mai, io ero forte. Solo lui, nel giro di pochissimo tempo, era riuscito a sconvolgere la mia vita e le mie certezze. Era riuscito a farmi dubitare perfino di chi fossi, scoprendo punti vulnerabili che credevo di aver guarito e superato e aveva risvegliato in me desideri che credevo sarebbero rimasti sopiti per sempre. Mi aveva fatto scoprire lati di me che non credevo esistessero e che stranamente sembrava stessi cercando da tutta la vita. Vedevo le cose in maniera diversa, percepivo me stessa in maniera diversa da quando lui era entrato nella mia vita e mi sembrava tutto così surreale, a volte, eppure era tutto così naturale.
Ero sempre stata una persona molto tranquilla e molto controllata, tutta quella confusione e quello sconvolgimento emotivo mi destabilizzavano; eppure, quando ero con lui, riuscivo a conviverci senza fatica.


Stavo camminando senza una meta precisa in mente, quando raggiunsi lo Strawberry Fields Memorial. Non ci ero ancora mai stata, sapevo che era in genere molto affollato, ma quella mattina era ancora molto presto ed ero sola. Mi sedetti su una panchina, lasciando lo sguardo vagare libero di perdersi tra le tessere bianche e nere del mosaico di fronte a me, quando all’improvviso sentii il suono leggero di una chitarra e le parole di una canzone che non conoscevo catturarono la mia attenzione.
La verità di quelle parole mi scaldò il cuore e sentii di nuovo i miei occhi bruciare e calde lacrime scivolare sulle mie guance gelate. Restai su quella panchina ancora per un po’, lasciando che quella sensazione che mi era esplosa nel cuore raggiungesse ogni parte del mio corpo e della mia mente.

Ero innamorata.
Follemente innamorata.

Avevo cercato di razionalizzare, come ero abituata a fare da sempre, avevo cercato la logica in meccanismi che di certo non sono logici, avevo cercato di resistere a qualcosa a cui è impossibile resistere.
Non amavo le feste perché mi riportavano in una fase della mia vita poco felice, mi ricordavano quello che mi era sempre mancato, mi intristivano. Mi ricordavano lo sguardo triste di una madre costretta a mascherare la sua tristezza di fronte a sua nipote, ma con il cuore infranto per il posto vuoto a tavola che avrebbe dovuto occupare suo figlio. Mi ricordavano la madre che non avevo mai avuto e che avevo sempre cercato. Mi ricordavano i desideri che esprimevo ogni anno e che puntualmente non si avveravano.
Avevo accettato tutto quello che era stato, ero cresciuta, avevo superato certe ferite, avevo smesso di desiderare certe cose. Lo credevo almeno.
La verità era che avevo paura di lasciarmi andare troppo, avevo paura di trascorrere il Natale con lui perché sapevo che a Chicago avrei trovato tutto quel calore familiare che a me era sempre mancato e che pensavo di non meritare. Avevo paura di deludere Edward, di non essere all’altezza di trascorrere un giorno di festa normale con la sua famiglia, di non essere capace di amarlo come meritava.
Avevo paura perché inconsciamente pensavo di non essere degna di essere così importante per qualcuno come lo ero per lui.
Avevo paura che le mie insicurezze lo avrebbero spaventato e mi avrebbe abbandonata.
Scossi la testa, dandomi mentalmente una strigliata.
Ero anche consapevole del fatto – anche se non avevamo ancora dato voce ai nostri sentimenti – che non avrei mai potuto deluderlo, perché quando mi guardava vedevo nei suoi occhi la stessa adorazione e lo stesso amore che c’era nei miei quando guardavo lui.
Tirai fuori le mani dalle tasche per cercare lo smartphone nella borsa, quando dal polsino del guanto sbucò fuori il cinturino giallo del suo orologio e mi ritrovai a sorridere di gioia.
Chiamai Rosalie e concordai con lei ed Emmett i dettagli per fare a Edward una sorpresa per il giorno di Natale.
 

Il viaggio in macchina fu sereno e gioviale, Emmett ci deliziò cantando a squarciagola le canzoni di Natale che avevano ascoltato la sera precedente durante il concerto. Lo benedissi mentalmente, perché sentivo agitarsi dentro di me un turbine di emozioni e non credevo sarei stata in grado di conversare come al mio solito.
Quando poi lo vidi nel parcheggio, sentii la sua voce assonnata al telefono e finalmente mi ritrovai tra le sue braccia tutto andò al suo posto. Quelle due paroline sussurrate, quasi sospirate nel mio orecchio, per poco non mi fecero mettere a piangere.
 
 
Casa Cullen era esattamente come l’avevo immaginata: una bella villetta a schiera dai colori caldi e accoglienti, esattamente come i suoi proprietari. I genitori di Edward mi accolsero con un affetto che quasi mi commosse, tutta la tensione che aveva preceduto i giorni della partenza, tutte le paure, tutta l’ansia, svanirono nel momento in cui Esme Cullen, una bella signora sulla sessantina, mi guardò con quegli occhi verdi che tanto amavo e mi strinse in un abbraccio che mi fece sentire davvero a casa.
Compresi immediatamente che era lei il pilastro di quella famiglia così bella e unita: era una madre amorevole e una moglie devota, una donna straordinaria. Temetti, per un momento, qualche scomoda domanda sulla mia inesistente famiglia, ma fortunatamente nessuno chiese niente.
Mi sentii perfettamente a mio agio in ogni istante, tranne un po’ di imbarazzo di tanto in tanto quando Edward si lasciava andare a qualche coccola. Mi era mancato terribilmente e per quanto fossi felice e mi stessi divertendo con tutti i suoi familiari, fui grata del fatto che a un certo punto del pomeriggio ci lasciarono da soli per andare al concerto di Natale.
 
 
Mi persi nella contemplazione delle foto che lo ritraevano durante la sua crescita. Accarezzai la guancia al bambino sorridente dai capelli rossi che mi guardava nella foto con quegli occhi vispi e quando mi voltai e ritrovai lo stesso sorriso sul volto dell’uomo che mi guardava con la stessa innocenza di quando era bambino negli occhi, non potei fare a meno di pensare che probabilmente mi sarei innamorata di lui in qualsiasi momento della mia vita lo avessi incontrato.
 
 
Le risate, le battute e il calore che caratterizzarono l’atmosfera di quella normale giornata di festa cancellarono definitivamente ogni paura e ogni incertezza.
Edward aveva ragione: anche io ero la sua famiglia e finalmente ero in grado di ammettere a me stessa che desideravo esserlo.

  
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