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Autore: Ghostro    23/02/2022    1 recensioni
Questa storia prende spunto dal contest Riddikulus di Fiore di Cenere
Le vicende si svolgono durante gli eventi del quinto libro della saga. Damien Kiran, giovane Tassorosso, durante una punizione notturna nella Foresta proibita fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita. Lui e i suoi amici si troveranno alle prese con il furto di un artefatto antichissimo e proibito capace di strappare alle persone la loro risorsa più preziosa: l'amore.
Genere: Azione, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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NOTTE MOVIMENTATA A NOTTURNE ALLEY
 
 
Severus Piton lo condusse nell’aula di pozioni.
Aveva scansato per quanto gli era possibile gli sguardi dei curiosi, ma sapeva che presto o tardi Dolores Umbridge ne sarebbe venuta a conoscenza: era un fatto assai insolito che un professore conducesse uno studente, per altro non appartenente alla sua casa, nel suo studio a quell’ora del mattino.
Quando si chiuse le porte alle loro spalle, intimò al giovane Kiran di sedersi e sfoderando la bacchetta sbarrò tutte le inferiate con un certo nervosismo. Il ragazzo provò ad aprire bocca, gli ordinò di tacere alzando un dito. E nella semi-oscurità, raccolse il mantello nero dietro la schiena e si sedette dirimpetto al ragazzo, separati da una vecchia scrivania ricca di pergamene e libri consunti.
«Credevo fosse chiaro, signor Kiran, che è severamente proibito per uno studente avventurarsi nella Foresta proibita durante la notte, senza autorizzazione.»
Il ragazzo s’ingobbì. I suoi occhi scuri fissavano intensamente la scrivania, in particolare il diario. Un ragazzo magro, con i capelli castani tagliati corti e un viso facilmente preda del rossore. «Sì, signore.»
Piton lo esaminò con un’espressione contesa tra rabbia e freddezza. «E quale scusa vorresti produrre per giustificare, oltre a questo, le tue corse sfrenate per i corridoi e svariati tentativi di mettere a rischio la propria incolumità che oserei definire suicida?»
«Nessuna, signore.»
Batté le mani sul tavolo e si alzò, facendolo sussultare. «Un agire tanto sconsiderato me lo sarei aspettato da Potter e i suoi amici. Voi studenti state diventando una combriccola incontrollabile di scapestrati.» Kiran rimase in silenzio, aizzando la sua ira. «Spiegami cos’è questo diario.»
«È i-il mio diario, signore.»
«Davvero?» Sfogliò con energia le pagine. «Vogliamo scomodare il tuo insegnante di Rune antiche e tradurre cosa che c’è scritto?» La sua espressione confusa lo fece infuriare. «Tu e il tuo amico Gallagard avete fatto un salto nel reparto proibito, di recente? Rispondi!»
Kiran sgranò gli occhi. «R-Reparto proibito?»
Severus aggirò il tavolo e lo afferrò per il bavero della camicia. «Non mentire. La magia che hai trascritto con tanta premura è pura malvagità. Dovrei ritenere che sia finita per caso sul tuo diario personale?»
Eccoli di nuovo: quegli occhi. Anche guardandolo intensamente, con tutto il terrore che sapeva di poter infondere, Piton non rilevò alcuna traccia di menzogna in quelle iridi così simili alle proprie. Vi lesse paura, tristezza, ma anche innocenza.
«Io volevo solo… Non lo so. Da quando Tu-sai-chi è tornato, non so cosa fare. Mi sento impotente. Certi giorni ho paura ad alzarmi dal letto e non vorrei mai essere nato mago. Non so neanche cosa ci faccio qui.»
Severus allentò la presa. «Sei patetico» si affrettò a precisare, cercando di rimanere nel personaggio.
Udirono le porte dell’aula spalancarsi e i passetti di Dolores Umbridge annunciarla prima del suo gesto emblematico di schiarirsi la gola. Severus la osservò approcciarsi impettita, interamente rosa vestita, con un sorrisetto malcelato su un viso che recitava bonarietà. Ma i suoi occhi non mentivano, ed erano disumanamente diversi da quelli di Lily. «Posso sapere cosa succede, Severus?»
Piton lanciò al ragazzo un’occhiata di neutro distacco. «La media del signor Kiran è allarmante e inizio a temere di stare sprecando i miei preziosi ingredienti.»
«La scuola si occupa di ripristinare le tue scorte, Severus. Il tuo compito come insegnante è preparare gli studenti a saperle dosare, nulla più.» Emise una risata sobria e civettuola. «Mi pare, inoltre, sia compito di Pomona rimproverare i suoi studenti. Se ce n’è bisogno, s’intende. Il giovane Kiran mi sembra un ragazzo con la testa sulle spalle. Lei non crede?»
«Profondamente.»
Dolores s’illuminò. «Splendido! Andiamo, ragazzo. Gradisci una tazza di tè?»
Kiran fu trascinato via, preso a braccetto da quel diavolo in rosa.
 
Quando era entrato nell’ufficio di Silente, Severus era furioso.
«Ho trovato la grotta, nei suoi pressi non c’era nessuno. Ho notato tracce di quelli che sembrano pneumatici. Sappiamo entrambi che Potter e Weasley…»
Albus Silente continuava a fissare il Pensatoio con attenzione. «Non credo sia opera loro, Severus. Le azioni del giovane Harry sono attentamente sorvegliate dal Ministero in questo momento.»
Aleggiava una domanda in quel silenzio sospeso.
«Crede sia opera sua?»
«Tom sa bene che la paura di Cornelius è il suo più importante vantaggio. Non rischierà di rivelarsi prima che i tempi siano maturi. Ciò che è accaduto stanotte non lo riguarda.»
«Il Ministero, dunque.»
Silente si era voltato lentamente. «Sono tempi bui. Dobbiamo agire con molta cautela.»
Lo erano, sì. Mentre il ricordo di Silente cadeva su quello strumento prezioso, Piton si era perso nei propri pensieri. Ciò che si era consumato quella sera era un evento raro e allarmante. Black e Lupin potevano essere stati un’eccezione, ma un gruppo di maghi capaci di arrivare così vicino alle mura non poteva esserlo. Non quando le difese del castello erano state potenziate per impedire ai Mangiamorte di oltrepassarle. Senza che nessuno degli insegnanti si fosse accorto di nulla, per giunta. Anche se non c’erano prove a sostegno della presenza di maghi oscuri all’interno dei confini, inseguendo un presentimento aveva deciso di avvisare il preside e decidere insieme sul da farsi tenendo all’oscuro il resto del corpo insegnanti, soprattutto l’Inquisitore supremo.
 
Già una volta, tuttavia, si era affidato completamente a Silente.
Predicava attenzione, ma Severus temeva che dietro quel mistero ci fosse qualcosa che dovevano assolutamente scoprire. Prima che fosse troppo tardi. Il ritorno dell’Oscuro signore era di per sé un evento nefasto, senza che nuove minacce operassero nell’ombra indisturbate, pronte a impensierire i piani dell’Ordine.
Dopo aver affrontato il giovane Kiran, si era deciso ad assentarsi dalle lezioni per tutta la giornata e consultare la sezione proibita. Ricettacolo che classificava numerosi incantesimi ritenuti proibiti o troppo oscuri perché fosse raccomandabile, per chicchessia, prenderne visione. Ma la scuola, specialmente per chi si sarebbe impegnato nella professione di Auror, aveva il compito di raccogliere quanta più conoscenza possibile, per preparare i servitori del Ministero ad ogni genere di arte oscura mai concepita. Perlopiù si trattava di nozioni sommarie, mirate a contrastare gli effetti di un incantesimo ostile. Ma ricordava il ragazzo che un tempo era stato percorrere nella notte quegli scaffali e saziarsi del sapere proibito finanche a creare un incantesimo personale.
Il suo vecchio libro di pozioni traboccava dell’odio che aveva provato per James Potter e i suoi amici. Aveva creato il Sectumsempra mentre rivedeva giorno e notte l’espressione sorniona di quel lurido maiale arrogante. Un odio che non era mai svanito. Un odio che non era mai riuscito a farsi scivolare di dosso. Lo teneva sempre con sé, stipato in un angolo della sua anima, come quel vecchio libro corroso dal tempo.
Lasciando fluttuare qualche candela attorno alla sua persona, si era impegnato per ore leggendo molti volumi dalle rilegature ruvide, pieni di pagine ingiallite e fragili, sfogliando con il consueto tatto delle sue dita esili. Da quella notte aveva osservato attentamente le mosse del giovane Kiran, ma quando aveva preso in mano quel diario aveva sentito come un richiamo. Forse dal passato, forse era stata solo tentazione. Aveva riconosciuto subito qualcosa di oscuro nel mezzo di due pagine incollate dall’umidità. Non era una formula, ma l’estratto di un racconto che cercava di portare alla luce qualcosa.
Era scesa la notte quando finalmente trovò un riscontro, e un rumore improvviso gli fece sollevare la testa. Sfoderando in silenzio la bacchetta, iniziò a esplorare destreggiandosi tra gli scaffali con cautela. Percepiva qualcosa. C’era qualcosa, o meglio qualcuno.
Certo di aver udito un rumore, svoltò l’angolo in fretta e puntò la sua bacchetta dritta davanti a sé. Non c’era niente. Solo una finestra, lasciata aperta, che sbatteva di tanto in tanto a causa del vento.
Piton spense le candele e facendo sventolare il mantello alle sue spalle decise di mettersi all’opera. Di uscire dal castello in gran segreto usando la sua scopa personale.
 
Le strade di Notturn Alley pullulavano di malfattori e ladri: erano il posto perfetto dove nascondersi e ordire trame all’insaputa dei propri nemici.
Coperto da un cappuccio nero, aveva visitato quell’intricato sobborgo di viuzze grigie e strade invase dal sudiciume. I suoi ex compagni Mangiamorte potevano essere in agguanto nelle tenebre, nascosti in mezzo alla gente deperita che abitava quel posto squallido, conquistato dal lezzo. Non erano loro che stava cercando.
Si era trascinato per i vicoli. Per un uomo come lui, abituato a muoversi nell’ombra, era stato facile accorgersi di essere seguito. Aveva soltanto finto di non sapere. Si era convinto che quello che aveva letto sul diario del ragazzo fosse una provocazione ed aveva intenzione di raccoglierla.
Sarà stato per il richiamo che suscitavano ancora le arti oscure, seppur più debole rispetto al passato. O forse la fretta di chiudere quella faccenda prima che degenerasse. Gli anatemi contro i quali Harry Potter si stava confrontando ogni giorno erano già sufficienti a mettere la sua vita a rischio. Non aveva alcuna intenzione di lasciare che altri pericoli lo avvicinassero indisturbati.
Non sarebbe rimasto a guardare un’altra volta.
Decine di uomini e donne sbucarono da ogni direzione. Deperiti, giovani e vecchi, i visi e le braccia cosparsi di strani simboli e tatuaggi neri come la pece. Al loro cospetto Severus si tolse il cappuccio, ma non abbandonò la sua espressione di sufficienza.
 
Adesso c’erano dozzine di maghi che giacevano svenuti intorno a lui. Alcuni erano adagiati contro i muri dove li aveva schiantati, altri a terra. Gli uni sopra gli altri, in un intreccio di corpi che gemevano doloranti o privi di coscienza.
Ne pescò uno dal mucchio e poggiò la punta della bacchetta a contatto con la sua guancia. «Dimmi dov’è il tuo signore.»
Aveva scelto di usare incantesimi e fatture non letali, ma ciò non aveva risparmiato ferite e contusioni su quel viso già malato. L’uomo rise, mostrando una bocca sporca di sangue. Un sibilo nell’aria, una sensazione di disagio che gli annodò lo stomaco. Furono tutto ciò che poté avvisarlo del pericolo imminente.
Solo un mago che conosceva la magia oscura avrebbe potuto accorgersene.
E replicare: «Expecto Patronum
Dalla sua bacchetta scaturì una cerva eterea che illuminò la notte di bianco e blu. E con orrore, la vide gettarsi contro qualcosa di ripugnante: sembrava un Patronus, ma nero. La cerva e quell’essere, simile a un Dissennatore, si diedero battaglia sotto forma di luce e ombra, equivalendosi fino a scomparire insieme.
Al loro posto comparve un figuro ammantato in abiti color quercia. Doveva essere il mago di cui gli aveva parlato Damien Kiran. «Conosci i miei poteri.» Aveva una voce camuffata.
Piton non disse una parola. Di qualunque magia si trattasse, era stato il racconto del giovane Kiran a fargli intuire che un Patronus potesse contrastarla. Sebbene non ci fossero ombre intorno a lui. Solo una: quella magia rivoltante.
«Dimmi: cosa sazia la tua felicità? L’amore? Ma certo che sì. Riconosco il sapore di un uomo innamorato appena lo avverto.» Il mago oscuro piegò leggermente la testa. «Quanto dev’essere trascinante, mi domando, se ora ti trovi al mio cospetto invece che gioire al fianco di chi desideri. Ti prego, fammelo assaporare.»
Fu rapidissimo. Il suo incantesimo non verbale scagliò di nuovo quell’essere oscuro e per Piton fu difficile intervenire. Riuscì a evocare la cerva, ma, questa volta, la creatura approfittò del vantaggio per avvolgerle intorno al collo le sue mani in una presa opprimente.
Gli occhi del mago si accesero di blu. «La vedo… Lily.» Quando pronunciò quel nome, Severus vacillò e si accasciò su un ginocchio. Gli mancava il fiato. Nella sua testa correvano i ricordi della sua infanzia, come se la sua mente fosse stata colpita da un potentissimo incantesimo di legilimanzia. «È molto bella. E dimmi, dov’è? Lasciami vedere.»
– No! – avrebbe voluto urlare, ma la sua voce si era spenta. – No. –
Più la cerva perdeva la propria luce, più il gelo iniziava a farsi strada attraverso la pelle, il cuore, l’anima. Severus provò a gracidare qualcosa, ma era impotente. E impreparato contro gli effetti disarmanti di quell’incantesimo.
«È morta.» Nell’istante in cui la cerva scomparve. «Hai il mio rispetto, amico mio. Il vero amore non appassisce mai, neanche dopo la morte. Sarà il pasto più succulento che abbia mai assaporato.»
Le forze lo stavano abbandonando, e così la vista. Per un attimo vide qualcosa lampeggiare, ma doveva essere la sua immaginazione. Tutto ciò che riuscì a concepire prima della fine fu Lily, il suo sorriso.
Poi, qualcosa gliela portò via. «Lily…»
 
*
 
«Vai, vai, vai, vai!» gridò Damien, intimando a Richie di spingere a tavoletta.
Il suo amico sterzò all’ultimo, facendo sì che la macchina colpisse il ladro con la fiancata. Il rumore di un corpo che ruzzolava sulla carrozzeria e poi dall’altro lato rimbombò in tutta l’abitacolo. La Ford si fermò a un dito dal professor Piton.
«Oddio! Speriamo non si sia rotto nulla» strillò Richie.
«Voleva uccidere Piton, dovevamo.»
«Che mi frega del ladro, io parlavo della macchina!»
Damien roteò gli occhi e aprì la portiera.
Si stava già rialzando. Essere investito sembrava non aver sortito alcun effetto su quell’uomo! Quando i loro occhi s’incrociarono, un scossa di pura elettricità attraversò Damien dalla testa ai piedi. La bacchetta blu a spirale emerse dalla manica e spinse la sua mano a puntare quella che, in tutto e per tutto, era la gemella di colore nero.
I due schiantesimi si scontrarono a metà strada, creando un urto che lo spinse duramente contro la fiancata della macchina. Quando riaprì gli occhi, del ladro non c’era traccia.
«Portiamolo via!»
«È pesante! Vieni a darmi una mano, Dam.» Caricarono Piton di peso, gettandolo alla rinfusa tra i sedili posteriori.
Richie diede gas mentre il fanale posteriore veniva disintegrato da una fattura e s’infilò nel primo vicolo a destra. «Dici che è morto?»
Damien si girò per accertarsene. Non aveva una bella cera, ma gli sembrava che respirasse ancora. «No. Anche se fa più impressione con gli occhi chiusi che da sveglio.»
«Forse dovremo dargli una pozione.»
«Richie, se scoprisse che uno di noi due ha anche solo pensato di somministrargli qualcosa, ci ucciderebbe con la maledizione Cruciatus.»
Lui sibilò tra i denti. «Mi sono bastate le lezioni di Malocchio, passo. Ma cosa facciamo? Se la Umbridge ci scoprisse di ritorno con un professore svenuto, ci farebbe internare ad Azkaban e lì i Dissennatori giocano a Quiddich con i galeotti. Solo che loro sono la Pluffa, i Bolidi, e se si rivelano particolarmente veloci a scappare i Boccini!»
«Richie, davvero devi smetterla di credere alle dicerie che senti quando mangiamo.»
«Dicerie, dici?» Ridacchiò come l’avventore di un bar che ne aveva viste di ogni. «Te lo ricordi, due anni fa, cosa diceva quel grifondoro di Sirius Black? A mani nude non lo afferri mica il fumo. E ci ha preso.»
Damien fu talmente esacerbato da dover socchiudere le palpebre e riavviare il cervello per qualche secondo, rimettendo in ordine gli eventi.
 
Aveva impiegato mezza giornata per liberare la vescica da tutto il tè che aveva bevuto. L’ufficio della professoressa Umbridge era una cornucopia di cose stranezze e di un ordine che rasentava la malattia, una mentale. Decine e decine di quadri di gatti che miagolavano ed entravano e uscivano dalle cucce, un rosa fastidioso e avvolgente. Sembrava la camera di una bambina di sei anni mancante di qualche barbie e del disordine cronico.
L’inquisitore era stato particolarmente gentile. Gli aveva offerto tè, biscotti, gli aveva chiesto come si stesse trovando nel castello cercando di conversare del più e del meno. Damien era talmente stremato che a malapena si reggeva in piedi. Difficile non dare a vedere il suo aspetto trasandato, ma la Umbridge non aveva battuto ciglio. Gli aveva accordato un permesso per assentarsi e sistemarsi. Poi l’aveva mandato a chiamare prima di pranzo. Poi il primo pomeriggio. La sera. Gli aveva spiegato che il professor Piton si era preso un giorno di permesso – fatto assai strano, vista l’energia con cui l’aveva interrogato giusto quel mattino – e con molta probabilità stava cercando di scoprirne il motivo. Ma a parte un diario sequestrato e un’accusa di operare magie proibite, di cui Glyn gli aveva “giovialmente” intimato di tacere, non ebbe altro da dire.
Glyn di contro gli era sembrato turbato. In qualche modo le parole di Piton avevano fatto breccia, lo percepiva. Non era mai stato così silenzioso.
Solo verso sera si era deciso a scucirsi. – Ti ho visto entrare e uscire per giorni dalla stanza segreta dove si è stabilito il tuo clan. Gli altri clan hanno accesso alla vostra dimora? –
– Intendi Grifondoro, Serpeverde e Corvonero? Direi di no. Se provassero a entrare nel nostro dormitorio verrebbero investiti da fiumi di aceto, e la botte segreta in ogni caso non si aprirebbe. Per di più, il quadro di Tosca Tassorosso vedrebbe l’intruso e lo comunicherebbe subito al capo della mia casata. –
– Allora ti consiglio di fare attenzione, Damien. –
– Attenzione? –
– Ragiona. Se esistono luoghi, come la tua casa, protetti dalla magia, e nessuno dei due ha scritto magie oscure su quel diario… –
Era sbiancato. Effettivamente ci sarebbe arrivato prima, se ogni parte del suo corpo non lamentasse dolori indicibili e la mancanza di sonno. Se c’era una magia oscura trascritta sul suo diario e non era stata opera di Glyn, qualcun altro l’aveva inserita. Qualcuno che fosse in grado di soffiargli il diario senza che se ne accorgesse nemmeno, o peggio: che avesse libero accesso al dormitorio e alla sua stanza mentre dormiva. Una prospettiva tutt’altro che rosea sulla quale avrebbe dovuto indagare al più presto.
Aveva chiesto come prima cosa a Madama Chips un rimedio contro il sonno arretrato e i dolori muscolari che lo assillavano. Quando poi, la sera, uscito dal bagno, aveva incrociato Richie per la prima volta da giorni, era andato a salutarlo. Intento a lavarsi le mani sporche di grasso e raccontargli i segreti che aveva scoperto a proposito della macchina volante, il suo amico aveva anche giurato di aver visto Piton sfrecciare nel cielo sopra una scopa. Su incito di Glyn, Damien aveva pregato Richie di aiutarlo a inseguirlo. Si sentiva ancora tremendamente in colpa.
 
La Ford sterzò ancora, portandoli sulla strada principale.
– Posso fare in modo che il Patronus conduca qualcuno da lui, ma noi non possiamo perdere questa opportunità – disse Glyn.
– Si può fare davvero? –
– Certo. –
«Richie, fermati. Io scendo qui.»
Lo fece accostare sul lato della strada. Il suo amico sembrava restio, ma considerato che stava per aprire la portiera in corsa non poté fare altrimenti.
«Porta Piton da una parte e nascondi la macchina. Qualcuno lo troverà. Meglio non farsi vedere con un professore svenuto in spalla, inoltre c’è bisogno di un professionista» gli disse, mentre la bacchetta blu usciva dalla manica. «Io troverò un modo per tornare.»
«Sei pazzo?!» sibilò lui. «Che accidenti vuoi fare, Dam?»
Dalla bacchetta fuoriuscì stavolta solo un globo di luce. Ancora non riusciva a capire perché effettuare il Patronus per lui fosse così difficile, ma per quella volta lasciò correre.
«Probabilmente metto a repentaglio la mia vita» gli rispose, tutt’altro che entusiasta.
Richie lo guardò stralunato. «Per fare cosa? Che sta succedendo?»
«Fidati: meno sai, meno…» Damien fu percorso da un brivido e guardò a sinistra. Il ladro camminava verso di loro e aveva già la bacchetta in pugno. Prese Richie per la maglia. «Vai!»
Richie imprecò più volte. «Vai bella! Vai!» Diede un paio di colpi al cofano della macchina e questa iniziò a muoversi autonomamente, trasportando con sé Piton e il Patronus.
«Che stai facendo?!»
«Potrei farti la stessa domanda, Dam! Accidenti a te.» Un incantesimo s’infranse contro lo spigolo del muro dietro il quale si erano spostati. «Spero solo che qualunque cosa stai facendo ne valga la pena!»
Nonostante le magie che continuavano a sbattere contro l’angolo, Damien non poté fare a meno di annuire e guardare il suo amico con gratitudine. «D’accordo. Per prima cosa direi che è meglio toglierci dalla strada. Una volta ho sentito dire che Notturn Alley è un postaccio. Sarà pieno di criminali.»
«Già… Come se non avessimo già un Terminator, lì, che mi pare bello incazzato. Dopo dovrai spiegarmi in che razza di guaio ci siamo cacciati. A proposito, cos’è quella bacchetta?»
Lo prese di nuovo per la spalla e iniziarono a fuggire per i vicoli. «Una cosa per volta!»
 
*
 
Luna osservava con placido divertimento il chiasso e i rituali sociali che si susseguivano in quel pub di Notturn Alley. Non era la prima volta che lei e Ginny sgattaiolavano fuori dal castello all’insaputa della Umbridge. Alma era nata in quel sobborgo e dal primo anno chiedeva permessi per uscire la notte ed esibirsi come cantante nel locale del padre.
«Allora, Rum di ribes rosso per Angelina, una Burrobirra per Dean e me» urlò George Waesley, cercando di sovrastare confusione.
«E succo di zucca per la nostra adorabile sorellina» intonarono insieme i due gemelli, guadagnandosi un’occhiataccia dalla sorella.
«Insomma, ho quattordici anni! Posso permettermi almeno una Burrobirra» protestò lei.
«Sicuro. Come uscire da scuola di nascosto» disse uno.
«Ma non penso che nostra madre approverebbe.»
«O nostro padre, o il preside.»
«Per non parlare di Ron.»
«Già, lui non ti avrebbe mai accompagnata attraverso i passaggi segreti della scuola.»
Ginny si arrese con un lungo sospiro. «Per carità. Già mi sta dando il tormento per…»
«Cosa?» S’interessò Dean.
«Niente.»
Vedendola in difficoltà, Luna distolse l’attenzione dalla folla. «Credo sia per Hogsmeade.»
Come proprietario del Cavillo, suo padre era costretto ad affrontare spesso le critiche e il dissenso dei suoi rivali in affari. Non era estranea alle occhiate di dubbio, sconcerto, o di graffiante ironia, ma si era abituata a non dare peso all’opinione di chi negava a priori un’argomentazione bollandola come favola. Il suo amico di penna, Rolf Scamander, le ripeteva spesso che molte creature erano ritenute maligne o spaventose solo perché nessuno voleva comprenderle. L’unico modo per farlo era tenere la mente aperta.
Sapeva che effetto faceva alle persone e aveva imparato a lasciar correre. Se al mondo esistesse una risposta a tutto, si ripeteva, non avrebbe visto sua madre schiacciata dalle macerie del soffitto; e se il suo modo di esistere poteva togliere la sua amica dall’imbarazzo, tanto meglio.
Finse di non vedere l’occhiata di gratitudine di Ginny e passò in rassegna i presenti con fare spensierato. Angelina si bagnò le labbra con il rum per nascondere l’imbarazzo, mentre George prendeva posto accanto a lei. Dean deglutì sonoramente e Michael Corner si appiccicò a Ginny per fare spazio agli altri.
Fred si sedette vicino a lei e Neville. «A proposito, Rodriguez sarà dei nostri?»
«A causa dei permessi che chiede non può rischiare un castigo, ma farà in modo di depistare i ficcanaso mentre andiamo alla Testa di porco» gli rispose.
Luna e Ginny gliel’avevano proposto insieme in biblioteca, mentre studiavano allo stesso tavolo di Hermione Granger. Era stata quest’ultima ad avviare la conversazione, dopo aver sbirciato le ricerche di Luna in merito al Patronus. Le aveva anche rivelato che Harry Potter sapeva evocarne uno e che la formula dell’incantesimo era Expecto Patronum. Era stato il professor Lupin a insegnarglielo, poiché si trattava di una magia di livello avanzato e ben al di là del programma del terzo anno.
Era giorni che si domandava come Damien fosse riuscito a padroneggiarla pur non conoscendola. Forse stava solo mentendo perché si sentiva in difetto, ed era indecisa se chiedergli o meno spiegazioni. Ad ogni modo, in quei giorni trovarlo era diventato praticamente impossibile. Dopo ogni lezione spariva improvvisamente ed era già tanto se riusciva a intravederlo nella tavolata dei tassorosso durante il pranzo o la cena.
All’improvviso, le luci si spensero.
La folla iniziò a esultare e su incito dei gemelli Weasley tutti loro accesero una luce flebile sulla punta delle bacchette, iniziando a far ondeggiare il braccio. Ginny sembrava più vivace del solito, tanto che persino Luna si concesse un sorriso.
Fari multicolore illuminarono il palco e la ragazza che lo occupava. Alma Rodriguez stava picchettando la ribalta con la punta del tacco. Gli strumenti magici che la circondavano presero man mano vita. Batteria, dischi, e le altre bizzarrie babbane che producevano dei suoni scoppiettanti e frenetici. All’improvviso alzò i suoi occhi nocciola sulla folla e usando la bacchetta per amplificare la voce iniziò a cantare.
Dapprima lentamente.
 
Luci e ombre da lassù attraversan il cielo e tu
Lampo azzurro, libertà, vita ed eternità
Ho scoperto il tuo segreto, la tua illusione troppo a lungo mi ha stregata
Non è azzurro o luccicore questo splendente blu, ma d'avorio si mischia e tu
 
In un crescendo di reazioni e motivi acustici che trasformò le parole nel canto di una sirena, in una sinfonia frenetica capace di trascinare tutti fino a farli cantare insieme a lei, saltare, esultare.
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento il bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
Voglio vincer le menzogne e le mie paure, voglio vivere sfondando porte imperiture
Voglio te. La passione mi travolge fino alle lacrime e il mio cuore batte forte
Forte per te. Trascinante. Inconsapevolmente tuo.
 
Sento un sussurro nella testa che non è pensiero mio,
Sento un grido di dolore che diventa blu, ed io
Il cuore pulsa e la ragione mi guida,
ma le strade tortuose delle mie emozioni portano sempre a te
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento un bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
Voglio vincer le menzogne e le mie paure, voglio vivere sfondando porte imperiture
Voglio te. La passione mi travolge fino alle lacrime e il mio cuore batte forte
Forte per te. Trascinante. Inconsapevolmente tuo.
 
Una cacofonia caotica e trascinante, sincera, a volte dura, a volte così melodiosa da sembrare che un Gorgosprizzo fatto di miele stesse entrando nelle sue orecchie.
 
Il rosso mi circonda, la tua voce mi spaventa
Mi riporta indietro e tu
Lampo azzurro, mia dolce prigione, culla del mio amore perduto
Ho scoperto il tuo segreto, la tua illusione troppo a lungo mi ha stregata
Non è azzurro o luccicore questo splendente blu, ma d'avorio si mischia e tu
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento un bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
 
Verde segreto che ti nascondi a me, voglio scoprir perché
Sento un bisogno di sapere che, sol per me, per me, per me
Voglio vincer le menzogne e le mie paure, voglio vivere sfondando porte imperiture
Voglio te. La passione mi travolge fino alle lacrime e il mio cuore batte forte
 
Forte per te. Trascinante. Inconsapevolmente tuo.
 
È un marchio sulla pelle che diventa nero. È vitreo sguardo ma sincero
Io lo so... È tutto vero
 
Alma era fatta così: un gioco di opposti.
Il carnato della sua pelle rosea che sfumava nel bronzo, gli occhi sinceri ma perennemente imbronciati, l’immancabile e alta, foltissima, coda di cavallo che tirava indietro i suoi capelli bruni e li lasciava aprirsi in un cespuglio ordinato e liscio. La lunga gonna nera che fasciava il suo corpo e frusciava ad ogni movimento culminava con dei tacchi altissimi e tempestati di glitter. Una giacchetta di pelle bianca sormontava un top azzurrino che lasciava scoperta parte della pancia. Anche così, e con quelle povere tracce di trucco, riusciva a esprimere femminilità e il suo essere un maschiaccio con ogni gesto, in ogni movenza. Il modo in cui sorrideva e poi chiudendo gli occhi tornava seria rendendo la sua voce pura potenza. Lo schioccare le dita, le elaborate coreografie che illuminavano la sala da ballo di colori e scaturivano da un semplice gesto della sua bacchetta.
Quella fu la prima di tante canzoni. Tutte diverse e incantevoli, ognuna coronata da un ritmo così trascinante che persino Luna sentì il bisogno di battere i piedi seguendolo. Chiunque fosse così fortunato da essere raggiunto da lei, mentre si aggirava per la sala, non esitava a raccogliere il suo invito a danzare ed essere allontanato in modo teatrale, come se conoscesse a menadito cosa fare per mandare avanti lo spettacolo.
Persino Fred fu raggiunto e spronato dal vociare dei suoi amici a prenderle la mano e raggiungerla sul palco. Vederlo cercare di destreggiarsi senza sembrare un manico di scopa fu esilarante. Alma fece di tutto per metterlo a suo agio, e ci riuscì in un batter d’occhio, lasciandosi seguire nella danza. Girando intorno a lui mentre i loro sguardi divertiti s’incrociavano senza mai staccarsi.
Tutto ciò le ricordò tantissimo il suo primo viaggio in treno verso Hogwarts, quando lei, Damien e Ginny, si erano intrufolati nella sua carrozza vuota e avevano cominciato a conoscersi. Era stata Alma a rompere il ghiaccio; e sempre lei il naso del ragazzo che aveva riso del farfallino ocra che Luna aveva scelto d’indossare quel giorno.
 
Dopo un paio d’ore, Alma riuscì finalmente a ritagliarsi un momento per raggiungerli.
«Ehi, Rodriguez! Pezzo nuovo?» chiese Fred. «Era davvero pessimo.»
Lei sfoderò un sorriso furbo e gli diede un leggero pugno sulla spalla. «Meglio delle tue pasticche vomitose di sicuro, Weasley.» Salutò George scambiando il pugno e sorrise raggiante a tutti mentre riprendeva fiato, le mani posate sullo schienale della sua sedia e quella di Fred. «Voi siete dei pazzi, lo sapete? E se la Umbridge vi scoprisse?»
I gemelli Waesley la presero sul personale. «Hai sentito Fred? La signorina si permette d’insultarci.»
«Beh, George, che ci vuoi fare? I principianti ci sottovalutano sempre.»
Ginny finse di tossire. «Detto da quelli che hanno perso la macchina di papà.»
«Ehi! Noi non c’entriamo, è stato Ron!»
Angelina rise, chiedendo spiegazioni. Mentre George si affrettava a raccontare la storia a lei, Dean e Neville, Alma si rivolse al gemello e Ginny. «E vostro fratello Bill? Stamattina Luna mi ha accennato di una lettera dall’Egitto.»
Entrambi si misero una mano sulla faccia.
Luna rispose per loro: «Pare sia ancora invaghito di quella Fleur. Dice di averla intravista alla Gringott, ma nella confusione l’ha persa subito di vista.»
«Quella Fleur?» Alma sghignazzò. «Quindi abbiamo un Weasley appassionato dai draghi e un altro dalle mezze-veela. Tu desideri confessarci qualcosa, Fred?» Quella domanda fece ridere Ginny a crepapelle e risputare nella tazza il succo che stava bevendo.
«Si dice che il Verme dei sogni infranti nidifichi nelle persone che trattengono a lungo i propri segreti. Dovresti davvero liberarti» rincarò Luna, preoccupata; Ginny rise persino con più trasporto, tanto che dovette appoggiarsi a lei.
«Molto divertente. Chissà, magari un giorno anch’io sposerò i miei spartiti, Rodriguez.»
«Oppure un bolide» suggerì Ginny.
«Te lo ripeto, sorellina: hai colpito George, ai provini di Quiddich, non me.»
Alma passò una mano sulla fronte di Fred tirandogli indietro i capelli rossicci. «E allora questo bernoccolo come te lo sei procurato?»
«Giù le mani.» Fred tuttavia non sembrava infastidito, quando l’allontanò.
Neville attese che tutti smettessero di ridere. «Alma, vuoi che ti prendiamo qualcosa?»
«Mi piacerebbe, ma…» Si girò verso il bancone, dove un uomo muscoloso, pieno di tatuaggi sulle braccia, stava pulendo i bicchieri con un panno e li salutava con le dita. «Non penso che mio padre si farebbe fregare così facilmente.»
A differenza di Xenophilius Lovegood, il padre di Alma era un babbano ma sapeva compensare la mancanza di magia con un aspetto piuttosto imponente e caratteristico. Sembrava un orso gigante, con tanto di barba foltissima e capelli simili a una criniera leonina. Neville deglutì sonoramente prima di rispondere al saluto con cautela.
La porta del pub si spalancò all’improvviso, producendo un frastuono infernale.
Luna rimase confusa e stupefatta. Damien e il suo amico Richie cercavano di rimettersi in piedi mentre un gruppo di maghi vestiti di nero invadeva l’ingresso e iniziava a circondarli con intenti tutt’altro che amichevoli.
Gli stessi uomini che li avevano inseguiti quella sera nella foresta.
«Ehi!» vociò Alma, che si diresse verso di loro. «Cosa problemi avete, deficienti? Se avete dei problemi, andate a risolverli fuori. C’è gente che sta lavorando, qui.»
L’uomo al centro la spinse, facendola inciampare e barcollare indietro.
«Oh-oh.» Il sussulto dei gemelli fu il preludio di un immediato silenzio.
Essere amici di Alma li metteva al sicuro, ma molte delle streghe e dei maghi presenti non erano affatto delle persone raccomandabili. Quando videro i nuovi arrivati spintonarla, si alzarono in piedi con una lentezza minacciosa. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Alcuni avventori avevano degli sguardi davvero cattivi e dentro le tasche dei loro abiti logori stavano trafficando con qualcosa.
Alma non disse una parola. C’era almeno una ventina di maghi in nero davanti a lei, ma ciò non le impedì di distendere le labbra in un sorriso tagliente. O tirare un pugno così forte da rompere il naso a chi l’aveva appena spinta. Si scatenò il caos: gli avventori sfoderarono bacchette e spranghe di ferro, e si lanciarono contro i nuovi arrivati dando vita a una vera e propria rissa da bar.
Tra fatture volanti, detriti e schegge di legno, e denti che iniziarono a saltare, Fred e George ebbero la prontezza di rovesciare il tavolo calciandolo e aiutarli a ripararsi. Luna colse di sfuggita Damien mentre aiutava Richie a rialzarsi e a scansare i vari combattimenti.
«Dobbiamo andare» disse Fred, mentre osservavano un tizio placcare uno degli Invasati, andando a finire oltre il bancone e a picchiare contro le bottiglie in vetrina.
George stava accompagnando Angelina e Ginny in un angolo più riparato. «A quanti nasi siamo arrivati, Fred?»
«Saranno una ventina.»
Risero, intanto che George invitava anche lei e Neville a raggiungerlo.
Luna dovette scansare un uomo volante. L’invasato che l’aveva steso si stava già dirigendo verso di lei e a nulla valse l’aiuto di Neville; spintonato via. Luna indietreggiò fino a toccare il bordi di un tavolo, indecisa se sfoderare la bacchetta o mettersi a correre. Ma un’ombra la salvò dall’incombenza: qualcosa che fece leva sul tavolo e con un’acrobazia librò sopra la sua testa. Vide il piede di Damien centrare in pieno la faccia del mago mentre lui si contorceva a mezz’aria.
Atterrò davanti a lei con una naturalezza incredibile. Tra tutte le emozioni che stava provando, Luna fu travolta dalla curiosità. «Che magia hai usato?»
«N-No, n-non… era magia. Mi arrampico sugli alberi da quando sono piccolo» balbettò lui. «Luna, che ci fai qui?»
«Potrei farti la stessa domanda» rispose pacata.
«Sì, sì. È molto bello, siamo tutti sani e salvi. Ora ce ne possiamo andare?» Richie Gallagard teneva una vecchia scopa assicurata sulla spalla ed era visibilmente sudato e sporco.
Damien alzò una bacchetta a spirale e li protesse da un paio di incantesimi vaganti. «Richi porta Luna e…»
«Neville.»
«E Neville. Al sicuro. Adesso!»
Luna si vide afferrare per il polso e trascinare via. Neville era già dietro di loro.
«Tu guarda che serataccia doveva venire fuori!» ruggì Richie, mentre apriva la porta delle cucine con un calcio. C’erano numerosi cuochi impauriti e confusi in cerca di spiegazioni. Il tassorosso li ignorò e li fece tirare dritto fino alla porta di servizio.
Sprangata. Richie imprecò in un modo che Luna preferì ignorare.
Neanche il tempo di girarsi e gli inseguitori erano già arrivati. Disarmarono Richie facendo schizzare la sua bacchetta chissà dove. Uno di loro li separò con un incantesimo e diede inizio a una breve colluttazione.
La scopa cadde ai loro piedi.
Richie stese la mano. «Su!» E mentre questa s’innalzava, Luna lo vide chiaramente sferrare un calcetto per spingerla a ribaltarsi. Afferrandola per il manico, l’amico di Damien sfruttò l’accelerazione con cui la scopa era salita a mezz’aria per colpire l’avversario in pieno viso con la parte inferiore e farlo capitombolare dall’altra parte di un bancone pieno di piatti e pentole.
Richie la lanciò a Neville e scappò a raccogliere la bacchetta.
Dietro di lui, Luna vide il grifondoro agitarla contro un altro Invasato a mo’ di spada. Questi sorrise dei suoi tentativi goffi di colpirlo, ma, appena gliela strappò di mano, Luna estrasse la bacchetta e s’inserì tra loro. «Ascendo.» La scopa iniziò a schizzare da una parte all’altra della stanza, facendo scontrare il mago contro il soffitto, il muro, le postazioni in disordine.
«Feraverto
Girandosi di nuovo verso Richie, lo scoprì a gettare un calice d’acqua sull’uomo che l’aveva costretto con la faccia contro un tavolo. Il tassorosso enunciò velocemente, e in una posa scomodissima, un contro-incantesimo e l’oggetto tornò ad essere un topolino veramente arrabbiato, in volo verso la faccia del mago.
Luna scavalcò l’Invasato che cadeva a terra e cercava di togliersi il topo di dosso, aiutò Richie a correre di nuovo verso la sala. Sembrava che non avessero di che nascondersi quando un nuovo Invasato tagliò loro la strada, ma Neville riuscì ad afferrare la bacchetta prima che potesse lanciare l’incantesimo e deviarlo verso l’altro nero vestito alle loro spalle.
«Accio… scopa di Piton!» Richie lo colpì in faccia dopo che afferrò al volo la scopa, un momento prima che potesse liberarsi di Neville, facendo esplodere il manico in tre pezzi e polvere farinosa. «Oh, cavolo…»
«Cavolo davvero!» esultò Neville. «Quella scopa era di sensazionale!»
«La scopa di Piton, la scopa di Piton, la scopa di Piton» continuava a ripetere il tassorosso, sempre più cereo; afferrando il significato di quelle parole, Neville abbassò il pugno e cominciò a prendere le distanze con evidente imbarazzo.
Luna gli posò una mano sulla schiena. «Perché avevi la scopa di Piton?»
«Era… una garanzia per la macchina.»
Dalla sala provenne all’improvviso un gran fragore.
«Oh, no. No, no, no, no, no, no, no. E che cavolo!» Fece il tassorrosso, sconfortato alla vista del mago di quella notte. «Ma non ci eravamo liberati almeno di Terminator?»
Eccezion fatta per lui e i suoi compagni, ogni altra persona nella sala era riversa a terra, svenuta. I loro amici si stavano nascondendo tutti dietro ripari di fortuna, eccetto Damien: brandendo una strana bacchetta blu, stava tenendo testa al mago sfoggiando un’abilità e destrezza incredibili. Si proteggeva e contrattaccava con incantesimi e fatture volanti. Sembrava che riuscisse a combattere come un adulto, o meglio ancora come un Auror.
In quel caos di fatture volanti e boati, tutti e tre scivolarono accanto ad Alma.
Richie fece per intervenire, ma Luna lo fermò e la sua compagna corvonero lo zittì premendogli l’indice sulle labbra. China su un ginocchio al fianco di George, Alma si custodiva l’orecchio destro tra le dita. Il suo viso era una maschera di pura concentrazione, mentre osservava i due combattenti affrontarsi a colpi di magia; tutti erano rivolti verso di lei, in attesa d’istruzioni.
Quando Alma si rabbuiò, Luna capì che era pronta. «Neville, ce l’hai la Ricordella?»
Lui la estrasse goffamente dalla tasca lacera dei pantaloni. Il fumo all’interno era di un rosso intenso. La lanciò ad Alma, la quale passò immediatamente a Ginny. Poi, con due calci ben assestati, Alma spaccò due gambe del tavolo e le consegnò ai due gemelli.
Facendosi capire a gesti, ordinò loro di spingersi ai lati della sala aggirando i due sfidanti. Neville le passò anche una mela; stavolta, Alma la diede ad Angelina… prima di estrarre dalla tasca del giacchetto un tirapugni d’acciaio e infilarselo nella mano destra.
Poi uscì dal riparo.
Iniziò a incamminarsi incurante degli incantesimi che esplodevano intorno a lei, Alma non li considerò nemmeno. Richie provò a dire qualcosa e Luna gli coprì la bocca.
«Ostendo symphoniae!»
Non appena Alma enunciò l’incantesimo, la punta della sua bacchetta brillò e la sala si tinse pressoché all’istante di uno sfondo astratto blu e violaceo. Simboli bianco splendente apparvero ai loro piedi, in tutto e rispecchianti le note di uno spartito musicale. Note che cambiavano fisionomia davanti ai loro occhi, assumendo complessità, forme e colori differenti.
Luna non riuscì a trattenere un sorriso. Adorava quella magia!
Guardò Richie. Investiti dal blu che ondeggiava intorno a loro, i suoi capelli adesso sembravano più biondi che castano paglierino. «Segui i colori delle note ed evita il rosso: significa pericolo.» Tutti, nessuno escluso, aveva già iniziato a farlo.
Ginny, Angelina e i gemelli avevano seguito calpestandola una scia di note blu fino a cambiare postazione. Gli altri iniziarono letteralmente a danzare cercando di non calpestare quelle rosse. Per ogni simbolo che il loro piedi toccavano, si diffondeva una nota melodiosa e candida come la neve, calmante.
Alma era al centro di tutto: danzava tra una nota e l’altra, schivando quelle rosse e con esse le fatture vaganti con la grazia di un felino e la rapidità del vento, sembrava quasi che prevedesse il futuro e riuscì man mano ad avvicinarsi ai due combattenti.  
Non appena si creò davanti a lei una nota gialla e la calpestò, Ginny lanciò la Ricordella di Neville. Sia Damien che il mago la schivarono, ma Fred uscì dal tavolo dove si nascondeva e la colpì con la gamba del tavolo, facendola esplodere in tante schegge di vetro e una nube rossa.
Le note e la musica che produssero divennero più frenetiche.
Angelina lanciò la mela verso George, e dal lamento che sfuggì a Damien seppero che era stato colpito. Mentre il mago diradava la nebbia rossa con un incantesimo, Luna trovò Alma esattamente alla fine di una scia di note verde brillante: sopra Damien, usando la sua schiena come sponda per spiccare un salto e chiudere la sinfonia con un pugno violento e ben assestato.
“Terminator”, come l’aveva chiamato Richie, cadde a terra e Alma fu rapida a calciare via la bacchetta nera dalla sua mano. Poi iniziò a insultarlo e pestarlo.
Fred, George e Angelina le furono subito accanto con le loro bacchette.
«Damien! Io non so cosa ti sia venuto in mente, ma stavolta l’hai fatta grossa. Ti avviso: noi due faremo un bel discorsetto» sibilò Alma. «Ma prima voglio proprio vedere chi è lo sclerato dietro questa maschera.»
Quando strappò via il tessuto che copriva la bocca, il cuore di Luna ebbe un sussulto. Divenne pallida e indietreggiò. Se non fosse stato per Ginny, sarebbe caduta per terra. «M-Mamma…» mormorò, sentendo la sua voce incrinarsi.
In qualche modo quel viso lasciò in molti completamente di sasso. Sua madre si trasformò in un pipistrello senza che nessuno provasse a fermarla.
China sulla finestra rotta del locale, riprese forma umana. Fece scivolare la mano lungo la guancia e il mento, e il suo viso s’illuminò d’azzurro iniziando a mutare. Divenne nient’altro che una lucina che danzava tra le dita di un uomo. Di mezz’età, denutrito, con vistosi tatuaggi neri su tutto il viso.
Le sue labbra si stirarono in un mezzo sorriso. Prima che potessero fermarlo, l’aria intorno a loro divenne così fredda che ogni nuovo respiro fu doloroso come una lama rovente. Due ombre si fermarono ai fianchi dell’uomo: due Dissennatori. Le due creature posarono una mano ciascuna sulla sua spalla e in un vortice d’ombra si materializzarono via.

 
 
   
 
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