Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
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Autore: Little Firestar84    24/02/2022    2 recensioni
Il mentalista Patrick Jane irrompe ancora una volta nella vita di City Hunter: quando le tracce dei gemelli Jonathan e Cameron Black lo portano ancora una volta a Tokyo, è a Ryo e Kaori, coppia nel lavoro e nella vita, che il consulente dell'FBI chiede aiuto.
Senza sapere che City Hunter- e tutto il loro sgangherato gruppo di alleati- sta già seguendo il caso... solo da un'altra angolazione!
Da New York a Tokyo, la caccia ai ladri ha inizio, ed il tutto per proteggiere il misterioso e prezioso gioiello noto solo come Serpenti!
Genere: Commedia, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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Kaori affondò il naso dentro alla sciarpa gialla, regalatale anni prima da Ryo per sostituire una che lui aveva inavvertitamente reso inutilizzabile, mentre, nel tardo pomeriggio, dopo essersi regalata una cioccolata calda con panna ed una chiacchierata con la sua migliore amica, usciva dal Cat’s Eye, le mani in tasca del cappotto rosso dall’aria festiva. 

Il Natale era ormai alle porte, e nonostante il piccolo numero di cristiani che il Giappone contava, la città di Tokyo era agghindata a festa come e più di certe capitali europee e americane. Privata del suo significato religioso, la celebrazione era vissuta in modo ambivalente: celebrazione consumistica sì, ma soprattutto momento da passare in famiglia, con i propri cari, con gli amici, da vivere con gioia e spensieratezza. 

Concentrandosi su cosa le stava accadendo intorno, senza tuttavia renderlo troppo palese, Kaori si permise di fantasticare un po’: come lo avrebbero celebrato quell’anno Natale, lei e Ryo? Lei aveva già in mente il regalo per lui, ma non poteva fare a meno di chiedersi cosa avrebbe pensato al riguardo, se gli sarebbe piaciuto… parte di lei pensava di sì, ma c’erano stati stralci di conversazioni, frasi buttate così che le lasciavano credere che invece lui avrebbe preferito ben altro…

Sospirò, dirigendosi verso il parco a passo piuttosto veloce, per riscaldarsi, dimentica delle coppiette che erano intente a fare acquisti per le loro rispettive dolci metà… chissà se Ryo le aveva preso qualcosa, dato che stavano lavorando non ad uno ma  a ben due casi contemporaneamente – che, però, paradossalmente, avevano finito per essere collegati l’uno all’altro.

Kaori si fermò quando, ad una lavagna, vide appeso il manifesto della mostra di Bulgari, e sorridendo scosse il capo, quando notò nel manifesto un bracciale molto simile al Serpenti in loro (momentaneo) possesso: era quasi incredibile quanto un gioiello potesse muovere i destini di così tanti esseri umani, come l’avidità ed il rancore potessero spingere le persone a compiere atti che anche lei, nella sua professione di sweeper, considerava solo come ultima risorsa estrema.
C:\Users\eli\Desktop\Downloads\bvlgari-serpentiform-tokyo-virtual-tour-800-400.jpgDalla tasca  della giacca la giovane donna estrasse il telefono e controllò l’app di messaggistica che avrebbe dovuto segnalarle la presenza di eventuali messaggi sulla lavagna elettronica della stazione; con il compenso di Bulgari avrebbero potuto stare tranquilli per un po’, ma chissà, magari avrebbero potuto passare qualcosa a Mick, o magari prendere il caso per lavorarci da Gennaio, se fosse stato qualcosa di poco importante: dopotutto, mancava poco, ormai, alla fine dell’anno.

Anno nuovo, vita nuova!

“Getta il telefono a terra, Kaori.” Kaori si morse la lingua quando sentì la voce di donna alle sue spalle; fece per fare un passo indietro a voltarsi, ma decise di non farlo, quando avvertì la canna di una pistola puntare direttamente contro il suo cranio, con forza, e ascoltò il rumore della sicura che veniva disinserita. 

Chiunque ella fosse, quella donna faceva sul serio.

“Sei tu, vero?”  Karoi le domandò, senza dare il minimo segno di cedimento o di paura. “Sei la donna del mistero di Cameron e Jonathan.”

“Più di Jonathan che di Cameron, in realtà…” La donna ridacchiò, avvicinandosi col viso così tanto a Kaori che prese a sussurrarle nell’orecchio, facendo rabbrividire la giovane donna – c’era qualcosa di pericoloso ed inquietante, in quell’essere. “Cameron preferisce i distintivi, nel caso non te ne fossi accorta. E adesso muoviti, senza dare nell’occhio.”

“Difficile, con una pistola puntata alla testa….” Kaori osò scherzare, sollevando leggermente un sopracciglio.

“Per questo lascia fare a me.” La donna abbassò per un attimo la pistola, poi strattonò Kaori; fece finta di prenderla a braccetto, quasi fossero state due amiche complici che ridevano e scherzavano, rivendendosi dopo tanto, troppo tempo, e continuò a tenerla sotto tiro da quella posizione. “E adesso muoviamoci.”

Le due donne si incamminarono verso l’uscita del parco, verso una delle arterie principali di Shinjuku; parcheggiato lungo la strada, ad attenderla in macchina con la visiera di un cappellino da baseball verde abbassata sugli occhi, c’era un giovane che Kaori lì per lì scambio per Cameron.

Jonathan- Johnny. 

Quando salì sulla vettura, una piccola utilitaria gialla,  sedendosi nei sedili posteriori, con la donna che teneva in grembo la pistola pronta a spararle, Kaori quasi sussultò, quando lo vide per bene: ad un occhio meno attento, i gemelli sarebbero effettivamente passati per la stessa persona, non c’era da meravigliarsi se per anni il padre li aveva usati per mettere in scena numeri di sparizione e simili.

“Lei che ci fa qui?” Jonathan domandò alla donna misteriosa, piuttosto seccato. 

“Lei sa dov’è la collana- e ci serve come merce di scambio.” Lei rispose, sorridendo in modo malefico a Kaori, che studiò con occhio attento e clinico, il viso inclinato sulla spalla. Portò la mano libera al viso della sweeper, e lo sfiorò con le nocche. “Sei molto bella, Kaori, forse troppo. E poi, con questi capelli, non passi certo inosservata. Il tuo capo dovrebbe insegnartelo, ad essere un po’ più modesta…”

 “Non ho certo bisogno che quel maiale mi dica cosa devo o non devo fare!” Kaori, stizzita, volse il capo dall’altra parte, ed incrociò le braccia, rispondendo in modo quasi automatico all’insinuazione, per quanto corretta, che tra lei e Ryo ci fosse qualcosa. “E comunque, gradirei sapere almeno il nome di battesimo di chi mi tiene in ostaggio!”

“Non perdere tempo, non lo ha detto nemmeno a me…” Jonathan le interruppe, la sua voce poco più di un sussurro, quasi non stesse parlando con nessuna di loro ma il suo fosse poco più di un pensiero. Ingranò la marcia, e si innestò nel convulso traffico cittadino dell’ora di punta, guidando in modo fluido e controllato, quasi avesse vissuto lì da tempo immemore.

Il giovane illusionista si fermò ad un semaforo rosso, e alzò gli occhi, cercando quelli della donna del mistero nello specchietto retrovisore. “I patti erano di interrogarla al parco, non portarcela dietro.”

“Che c’è, prima pianti un coltello nella schiena di tuo fratello e adesso ti fai dei problemi morali?” La donna lo rimproverò, alzando gli occhi al cielo. 

“Potrebbe avere una trasmittente addosso.” Lui la avvertì, con tono da professore, cercando lo sguardo di Kaori nello specchietto, per saggiare le sue reazioni.

“Lei?” La donna del mistero sbuffò. “Per favore. È una segretaria.” Sibilò l’ultima parola con disgusto, facendo venire a Kaori una gran voglia di prenderla a calci negli stinchi per la stizza. “Al massimo il suo capo se la spupazza… una vergogna per il genere femminile.”

“Certo, molto meglio andare in giro a rubare ed ammazzare la gente, no?” Kaori rispose, stizzita, ma in realtà fremendo con ogni particella del suo essere per cosa quell’affermazione in realtà significasse: lei era debole ed indifesa, quindi il punto debole di Ryo- e costantemente in pericolo perché collegata a lui. 

“Se avessi una famiglia da accudire, non potrei difendere delle persone dai pericoli… e da quelli che mi odiano… non posso avere una famiglia come le persone normali…”

Gli occhi di Kaori si strinsero, umidi di lacrime mentre pensava. Sapeva che Ryo si fidava di lei, che era diventata, col tempo, una sweeper capace, ma a volte quella frase che lui le aveva detto quel giorno le tornava in mente.

Quando aveva capito di essere innamorata di Ryo, quelle parole  le erano servite da monito per non abbandonarsi ai sentimenti che nutriva per il suo socio, e trovare il coraggio di almeno provare ad immaginare un futuro a fianco di qualcun altro –  magari Uragami.

Quando avevano poi compiuto il grande passo, quelle stesse parole l’avevano perseguitata, facendola cadere vittima della paura che Ryo, con i suoi timori, la potesse abbandonare, credendo di fare il suo bene.

E adesso? Ryo non era stato troppo felice del piano che Jane e Cameron avevano sviluppato, ma si era trovato a dover dare loro ragione – ma rimaneva il fatto che non gli piacesse affatto metterla in pericolo. 

Ma sapeva che anche lei era City Hunter, e non era certo una ragazzina inesperta… quindi, alla fine si era convinto a lasciarla fare. 

Ma la cosa non mi piace per nulla. 

Jane però aveva visto lungo: la donna, proprio come lui aveva dedotto, l’aveva mal giudicata – e stava giudicando male anche Ryo. Lo credeva uno stupido maiale, un investigatore da quattro soldi, pensava che ciò che si diceva in giro fossero solo leggende, fandonie di cui i criminali si riempivano la bocca per giustificare la loro incapacità.

“Dove devo andare, comunque?” Jonathan sbottò. Dal tono di voce, Kaori poteva quasi vederlo, che digrignava i denti, seccato. La sweeper nascose il suo compiacimento. C’era aria di maretta tra il giovane Black e la donna del mistero, il che andava tutto al loro beneficio, perché se anche lei lo aveva percepito, sarebbe stata più incerta e vulnerabile. “Gradirei evitare di girare a vuoto per una città che conosco poco o nulla, grazie mille.”

“Iniziamo ad andarcene da qui,” La donna si voltò indietro, mantenendo però Kaori sotto tiro; controllava dal lunotto che nessuno li stesse osservando,  e che non ci fossero agenti in uniforme – o persone che fosse palese appartenessero alla polizia – intorno. “Prima ci muoviamo meglio è. Non voglio attirare troppo l’attenzione. Dopotutto, se ci fosse una sparatoria ed un colpo partisse per errore e facesse male alla nostra amica sarebbe davvero terribile, non lo credi anche tu, Kaori?”

Kaori non aprì bocca: ma il suo sguardo faticava a celare l’odio ed il rancore che nutriva per quella donna, e che col passare dei minuti non faceva altro che crescere: una volta aveva detto a Ryo che odio e vendetta rendevano la vita inutile ed indegna di essere vissuta, ma in momenti come quello faticava lei stessa a convincersi delle sue stesse parole.

“Non avevamo parlato di…” Jonathan fece per dire, obbiettare a quella violenza che riteneva assurda; non si era mai considerato perfetto, né tantomeno un uomo d’onore. Non credeva in nessun tipo di giustizia, divina o umana, ma era ricorso all’inganno, alla violenza, alla forza solo in casi eccezionali, quando la vita sua o di suo fratello si erano trovate in pericolo – ma non lei. Lei, cercava il sangue, la lotta, la guerra, ne era attratta come una regina guerriera di una favola antica, di cui si è ormai perso il nome. 

Continuando a puntare la pistola su Kaori, dallo stivale la donna del mistero produsse un coltello a serramanico, e con un movimento veloce ed armonioso, poggiò la lama sul collo del giovane illusionista. Tagliò la pelle, facendo uscire una sola goccia di sangue: Jonathan non provò alcun dolore, ma quel gesto semplice gli fece capire dove stava con quella donna, che lui era carne da macello, di cui lei, se voleva, poteva liberarsi in qualsiasi momento.

“Suvvia, Johnny, non farmi rimpiangere di aver scelto te invece di Cameron….” Sussurrò, maliziosa, mettendo il broncio, senza mai tuttavia smettere di assicurarsi che Kaori non tentasse mosse azzardate. 

“Lascialo stare,” Kaori si voltò a guardarla, determinata come poche altre volte, risoluta, la sua voce calma e pacata – quasi fosse in totale controllo del suo intero essere. “Vuoi la collana? Te la darò. Dopotutto, nessun gioiello vale una vita umana…”

“Che animo romantico…” La donna alzò gli occhi al cielo, schernendo la giovane giapponese. “Ma fidati, questo gioiello vale tutte le vite umane che potrei decidere di togliere…”

“La tua vita deve essere davvero vuota e triste se è questo ciò che pensi….” Kaori sentenziò, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino, verso il panorama ben conosciuto e familiare di Shinjuku. 

“Non prendo lezioni da una ragazzina viziata…” la donna le sibilò, premendo con maggiore forza la canna contro il costato di Kaori, fino quasi a farle male. I muscoli le tremavano, tanto erano tesi. Stava perdendo il controllo.

Jane aveva ragione, Kaori si disse, mascherando il sorriso soddisfatto. 

“Se ti fossi informata su di me, sapresti che sono tutto tranne che una ragazza viziata, o una figlia di papà,” Kaori le rispose, con risolutezza, fiera e determinata, voltandosi per guardare negli occhi la sua assalitrice. “Non so cosa sia successo a te nella vita, ma credimi, so esattamente cosa siano le difficoltà e le sofferenze.” Nessuno lo sa meglio di me e Ryo, e Miki…

La donna sbuffò. Scuotendo il capo, seccata, la pistola perennemente puntata al ventre di Kaori. “Allora, la collana?”

Kaori strinse i pugni, ed abbassò gli occhi sulle proprie ginocchia. Chiuse gli occhi e serrò la mascella, quasi dire quelle parole le costasse fatica o, peggio, le avvertisse alla stregua di un tradimento del proprio compagno, e dei loro amici. 

“A casa mia.” Kaori le rispose. “L’abbiamo nascosta nella cassaforte di casa.”

“Sarà meglio per te che sia così,” La donna sogghignò, e prese a giocherellare con la sicura della pistola, quasi volesse incutere maggiore timore a Kaori, che tremava, e certamente non solo per il pungente freddo invernale.  “Perché se così non fosse, troverò modi molto interessanti per me, e poco piacevoli per te, di farti ammettere dove avete nascosto la mia collana.”

Senza mai distogliere gli occhi dallo specchietto retrovisore, Jonathan si incamminò verso la casa di Ryo e Kaori, serrando la mascella, le nocche che stringevano il volante con tale forza da essere diventate bianche. 

Tutto quello che stava accadendo, lui non lo aveva mai voluto.

 

    La notte era ormai scesa sul quartiere quando Kaori fece scattare la serratura della porta d’ingresso dell’appartamento che occupava da ormai un buon decennio. Perennemente sotto la minaccia della pistola della Donna del Mistero, che ostinata si rifiutava di dare loro anche un solo nome, allungò la mano alla sua sinistra, facendo scattare gli interruttori della luce, che una ad una, illuminarono i due piani su cui si sviluppava la casa che divideva con Ryo. 

“Come mai non c’è nessuno?” La donna domandò, guardandosi intorno circospetta. “Prega per te che non sia una trappola!”

“Ryo a quest’ora è sempre in giro per locali.” Kaori sentenziò freddamente. Si tolse giacca e sciarpa e le gettò su una poltrona di velluto rosso, comportandosi quasi non fosse stata minacciata da quella pazza. “Raccoglie informazioni, si fa vedere, coltiva le sue amicizie.”

“Scommetto che le sue migliori amiche sono tutte molto poco vestite…” La donna sospirò. Si avvicinò a Kaori, soffiandole sul collo, e prese a giocare con una ciocca di capelli della sweeper. “Non sei gelosa? Tutte quelle donne, intorno a lui… e lui magari nemmeno si rende conto di quanto tu sia bella. Di quanto vali.”

Con ferrea ostinazione, Kaori voltò il capo altrove repentinamente, mentre sentiva la bocca dello stomaco bruciarle, ed il sapore amaro della bile salirle in gola. Per il presente, quelle cose erano false, erronee: ma nessuno sapeva meglio di Kaori stessa quanto in passato fossero state vere – e quanto entrambi, sia lei che Ryo, rimpiangessero il tempo sprecato.

“Dì un po’, vuoi la collana o farmi psicoterapia?” Kaori rispose sprezzante, mettendo quanta più distanza possibile tra lei e l’altra, mentre Jonathan le seguiva a breve distanza, studiando cosa gli stava intorno con circospezione ed un vago presentimento che lo metteva a disagio e lo preoccupava.

Kaori raggiunse l’enorme stanzone che, riempito fino al soffitto, fungeva da biblioteca e libreria, contenente di tutto un po’, dai romanzi ai saggi ai manuali di balistica fino ad una discreta raccolta di quotidiani. Kaori tolse una decina di volumi da uno scaffale, posandoli per terra, rivelando dietro di essi la presenza, abbastanza ben celata, di una cassaforte a muro. 

“Sai di non dovermi fare scherzi, vero dolcezza?” La donna le intimò, mentre con dita veloci Kaori  muoveva il primo dei tre combinatori a disco presenti su quel modello.

Il primo meccanismo era appena scattato, quando sentirono un rumore, come di porte sbattute, che cigolavano, mobili che venivano spostati. 

“Cosa è stato?” La donna ringhiò, afferrando Kaori per il colletto del vestito e puntandole la canna dell’arma contro la tempia destra. “Credevo non ci fosse nessuno!”

“Viene dal piano di sopra…” Jonathan si staccò dal gruppo, e si incamminò verso il piano superiore, seguito da Kaori e dalla donna, che teneva la giovane sweeper sotto tiro. Sotto ai loro piedi, sinistramente, gli scalini cigolavano, quasi fossero stati decrepiti, e le luci si accesero e spensero, da sole, ancora e ancora e ancora.  “Ma che diavolo…”

“Ti avevo detto di stare lontano dai miei ragazzi…”  Una corrente d’aria fredda li colpì, mentre una voce, quasi un'eco proveniente da lontano, rimbombava, ovattata, tra i muri dei corridoi dell’abitazione, e sia Jonathan che la donna presero a rabbrividire. Lei ingoiò a vuoto, e fece un passo indietro, mentre prese a tremare: quella voce, lei e Jonathan la conoscevano bene.

“Ti avevo avvertita…”  I mobili presero a muoversi, le porte a sbattere da sole, mentre la luce si spense e un gelido vento ululò tra le mura chiuse, ed intanto la voce sembrava sempre più vicina, sempre più minacciosa.  

La donna sobbalzò, quando avvertì qualcosa sfiorarle il collo, ma quando si voltò nella penombra, non vide nessuno, nulla. Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro. Doveva controllarsi, rammentandosi gli insegnamenti del padre di Cameron e Jonathan – la magia non esisteva, era tutta un’illusione a cui la gente voleva credere… e lei, a quelle cose, non voleva crederci, assolutamente. 

“Perché sei così ostinata? Non capisci che non puoi battermi? Non puoi battere loro- i miei figli? Loro sono meglio di te!” La voce la schernì. La donna del mistero si voltò, e fu allora che lo vide, e si lasciò quasi cadere a terra. 

Stava camminando verso di lei, alto, imponente, bello e affascinante proprio come lo ricordava, impeccabile nel suo costume di scena, con un sorriso furbo stampato sul viso, a prendere in giro chi gli stava intorno, la figura non definita, vaga, quasi fosse avvolto dalla nebbia. 

Sebastian Black: il padre dei gemelli. L’uomo che l’aveva rifiutata, che l’aveva scacciata. Che l’aveva fatta sentire piccola, inutile. Indegna. 

L’uomo che ormai da molti anni era passato a miglior vita, stroncato da un infarto sul palco, nel bel mezzo di un numero.

“Ma cosa diavolo…” Lei lo minacciò, denti stretti mentre faceva un passo verso di lui, che camminava nella direzione della giovane donna a braccia spalancate, con quel maledetto sorriso sul volto – un sorriso falso come una banconota da quaranta Yen, un sorriso che l’aveva illusa.

Lo sappiamo tutti, no? Lo spettacolo, dopotutto, deve continuare…” Lui ridacchiò, incombendo su di lei come un feroce predatore assetato di sangue. “E chi meglio di me per farlo? L’erede di Alistair Black, membro di Corpus Vale(1) per diritto di nascita… “ 

Mentre Jonathan si irrigidiva, la donna prese a guardarsi intorno, in preda al panico e alla rabbia. Era impossibile, però… quello che lui stava dicendo, la portava indietro nel tempo, a quando era stata solo una ragazzina, e le riaprì ferite mai del tutto rimarginate nel cuore, che ripreso a sanguinare copiose.

“Sei solo una ladra, figlia di ladri, ed il tuo posto è in galera, non in Corpus Vale con i miei figli!” 

Ormai, lo spettro era lì, davanti a lei, etereo nella sua macabra apparizione, crudele con le sue parole, pugnali che la ferivano con ogni singola sillaba.  La donna strinse i denti, ed alzò la pistola, il braccio che tremava, quasi fosse stato scosso da convulsioni, quando capì cosa lei volesse fare, Jonathan si staccò dal muro, e fece un balzo nella direzione di lei, afferrandole l'avambraccio. 

“Ma sei impazzita?!” La redarguì, ringhiando come un cane inferocito, strappandole la pistola di mano. “Vuoi ammazzarci con un colpo di rimbalzo?”

“Ridammela, ragazzino!” Lo rimproverò, nonostante Jonathan avesse pressappoco la sua stessa età, riprendendosi con un gesto stizzito la pistola, che prese a muovere nell’aria, verso Jonathan e la sorridente figura spettrale del di lui padre. “Voi Black siete tutti uguali, col cuore tenero. E vostro padre diceva a me che ero indegna! Io! Voi non valete un decimo di lui, come illusionista e come ladro!”

“Hai ragione, noi non siamo come nostro padre, anche se ho seguito troppo a lungo il suo esempio.” Sentì una voce dire dietro di lei, e quando si voltò, trovò Cameron, in piedi, nel bel mezzo del corridoio, apparso dal nulla, con la collana che gli ciondolava dalla mano destra, la sinistra che stringeva quella di Kay, che guardava Jonathan quasi lo volesse sfidare; Cameron evitava gli occhi della donna che lo aveva messo contro il suo gemello, specchiandosi nello sguardo di Jonathan, perdendosi in esso, quasi loro due fossero gli unici due esseri presenti lì, in quel momento. “Ho sbagliato Johnny, in tante cose. Ma di una cosa non mi pento: di essermi fidato di Kay, della squadra. Dei nostri amici.”

Lasciò andare la mano della donna amata, e percorse i pochi passi che lo dividevano dal fratello. I due Black si fissavano, andandosi incontro, camminando in modo quasi speculare, i due lati opposti della stessa medaglia, fino a che non si trovarono l’uno davanti all’altro, così vicini da essere indistinguibili, così vicini da poter avvertire l’uno il respiro dell’altro, vedere le pagliuzze dorate dei loro occhi azzurro-verdi.

“Non mi pentirò mai di essermi sempre fidato di te, fratellone. Di averti creduto. Sempre.”  Sorridendo, Cameron alzò la collana, la mano sollevata davanti agli occhi. “Anche adesso.”

Jonathan aprì il palmo, posizionandolo davanti a Cameron, attendendo che il gemello vi lasciasse scivolare sopra il cimelio, continuando a fissarsi negli occhi, senza battere un solo ciglio. La donna misteriosa sorrise compiaciuta, un sorriso tirato e folle, enorme, isterico e innaturale, e si mise tra i due, la pistola puntata contro la tempia di Cameron.

“Finalmente,” rise, mentre gli strappava il gioiello di mano, senza mai abbassare l’arma- facendo, anzi, scattare la sicura, il tamburo del revolver che girava, facendo entrare il colpo in canna, pronto per essere sparato. “La chiave per decifrare la mappa di Alistair… nelle nostre mani!” 

“Abbassa la pistola,” Jonathan soffiò, ringhiando a denti stretti mentre, lentamente alzava il braccio per strapparle nuovamente l’arma di mano, e stavolta una volta per tutte. “Non erano questi i patti,  dovevi lasciare in pace Cam!”

“Tuo fratello si è messo in mezzo, io non sono certo andata a puntargli una pistola alla testa di mia iniziativa.” Lei sbuffò, senza dare ascolto al partner, avvicinando il dito al grilletto. “Se l’è cercata. E se non vuoi fare la stessa fine…”

“Fossi in te, non lo farei…”  Sebastian la avvertì, ma lei rise. Non era sciocca, aveva capito che quello era solo un trucco, che avevano cercato di destabilizzarla, o anche solo guadagnare tempo. E aveva funzionato, almeno per un po’, ma adesso non avrebbe permesso che le facessero perdere tempo: a mente lucida, aveva capito quale fosse il trucco - era un’illusionista anche lei, dopotutto.

“Giochi di specchi e luci, registrazioni di vecchi spettacoli del paparino per l’immagine, magari un computer per la voce… come se non avessi fatto lo stesso numero decine di volte…” Lei alzò gli occhi al cielo, il dito che lento avanzava, inesorabile, verso il suo obbiettivo. “Ti direi che è stato un piacere, Cameron, ma avere a che fare con te e la tua amichetta è stata solo una noiosa perdita di tempo.” 

Cameron chiuse gli occhi, preparandosi per l’inevitabile, mentre Kay, terrorizzata, si sentiva bloccata, incapace di muovere un solo muscolo per andare in soccorso dell’uomo che amava, conscia che quello stesso destino avrebbe atteso anche lei, una volta partito quel primo colpo – e forse, anche Jonathan stesso. 

Il grilletto scattò, e nel corridoio il rumore dello sparo echeggiò sinistro, forte, quasi fosse stato un tuono in una tempesta tropicale; Kay si lasciò cadere a terra, piangendo, urlando il suo dolore, nello stesso istante in cui, a pochi secondi dal primo colpo- o forse solo una frazione di secondo dopo che era partito – un secondo proiettile veniva sparato, e poi un altro ed un altro ancora.

Kay si aspettò il freddo abbraccio della morte. 

Credette che la calda presenza della sorella l’avrebbe accolta nell’aldilà.

Quello che però accadde fu un altro urlo di dolore- quello della donna del mistero, che, accasciata a terra, si stringeva al petto la mano destra, sanguinante, il liquido rosso che gocciolava a terra ritmico, goccia a goccia a goccia.

Si guardò intorno: a pochi centimetri dal capo di Cameron, due fori di proiettile, ed un altro era nel pavimento; alzò gli occhi, e vide, accanto alla figura di Sebastian, vicino a Kaori, Ryo, che puntava all’indirizzo della ladra e assassina una colt Python fumante.

Kay sgranò gli occhi, ancora inginocchiata, la bocca aperta: Ryo aveva deviato il proiettile che quella donna aveva sparato a Cameron col primo colpo, col secondo colpo l’aveva disarmata, e col terzo aveva allontanato la pistola - era davvero degno della sua fama, della leggenda di City Hunter.

“Ti avevo avvertita…” Lo sweeper sussurrò, con voce determinata, la voce che pareva venire da lontano, identica a quella di Sebastian, mentre Kay con uno scatto si gettava sull’arma a terra e la afferrava, puntandola verso la ladra che li guardava sprezzante, gli occhi carichi di odio.

“Non male, eh?” Ryo ridacchiò, con la sua voce, schiarendosi la gola e facendo l’occhiolino alla sua compagna, senza mai smettere di tenere sotto tiro anche lui la criminale. “Me la sono sempre cavata con le imitazioni!”

“Ebbene sì, maledetto City Hunter(2), hai vinto la battaglia” La donna rivolse lo sguardo a Jonathan, che stava in piedi a fissarla, la mascella rigida, quasi da sembrare una linea retta.  “Ma noi abbiamo la collana, e la mappa… la guerra sarà nostra.”

“Io non ci conterei troppo, dolcezza…” Jonathan sospirò, scuotendo il capo, mentre prendeva dalla tasca un foglio ingiallito, ripiegato, e lo apriva davanti a lei, tenendolo sollevato. Da bravo giocoliere, da ottimo illusionista, Jonathan fece un movimento con le mani, chiuse il palmo e quando lo aprì, vi aveva dentro un accendino.

“Ti avevo detto o no che sono molto bravo con le mani o no, dolcezza?” Fece schioccare la lingua, facendo l’occhiolino.

“Non oseresti…” Lei sibilò, furibonda, gli occhi rossi di rabbia. “Quella mappa è la strada per qualcosa che è tuo di diritto!”

 “Guarda ed impara…” Senza distogliere gli occhi da lei, vedendo il terrore crescere negli occhi di quella donna, la rabbia, diede fuoco ad un angolo del foglio di carta che in un attimo fu solo fumo, nemmeno più la cenere sembrava rimanere.

La mappa del tesoro, delle ricchezza nascoste di quei magnati senza scrupoli, non esisteva più, era sparita, e con lei ogni speranza di mettere le mani su quel tesoro.

“No!” Lei gridò, mentre Kaori correva verso di lei, e afferrava la collana, nascondendola nella tasca della gonna. “No!”

“Oh, sì, invece…” Jonathan le sorrise, estremamente compiaciuto con sé stesso. “Ti avevo detto che Cam doveva rimanerne fuori, e che non dovevi nemmeno pensare di torcergli un capello. Non mi hai ascoltato… e io ti ho portato via quello che volevi di più. L’unica cosa che tu avessi mai davvero desiderato.”

“Lo sapevo, Johnny.” Cameron scosse il capo, sorridendo complice al gemello, e lo raggiunse; gli mise una mano sulla spalla, la strinse, poi i due si abbracciarono, quasi avessero passato un’intera vita separati. “Sapevo che mi avevi lasciato indietro per difendermi, come sempre. Scommetto che sei stato tu a farmi portare dal vecchio!”

Jonathan alzò gli occhi al cielo, sbuffando: che Cameron non avesse capito che la sua era stata tutta una finta lo feriva, ma solo un po’ - voleva dire che era degno figlio di suo padre, un grande attore ed illusionista, capace di ingannare chiunque, anche il sangue del suo stesso sangue, il suo stesso gemello.

Nella stanza di Ryo, Jane spegneva il riflettore, facendo sparire l’immagine del padre dei ragazzi, l’uomo che la donna del mistero tanto odiava, e tenendosi a braccetto, Ryo e Kaori si allontanavano, lasciando i fratelli da soli, donando loro quell’attimo di pace, mentre, lungo le scale, si sentiva lieve un ticchettio di tacchi, ed il profumo fiorito, deciso, di Saeko, giunta ad arrestare i colpevoli, si faceva già notare.

“E voi tre, dove credete di andare?” Saeko domandò loro quando li trovò davanti alla porta d’ingresso, apparendo nel medesimo istante in cui Ryo la stava aprendo, occhi sgranati; mani sui fianchi, sembrava parecchio seccata.

“Ispettrice Nogami, che piacere rivederla!” Jane la avvicinò, stringendole la mano destra con entrambe le sue, sorridendole con quella faccia furba e malandrina che sapeva di manipolazione lontano dieci chilometri. “Nessun problema, il caso è chiuso. Se vuole resto, però, sa…”

“Tu non sei qui ufficialmente, lo immaginavo…” Saeko sospirò, riprendendosi con forza la mano e massaggiandosela leggermente – Jane, a dispetto dell’abbigliamento e delle maniere, quando voleva era davvero abbastanza forte. “E voi due, invece? Tagliate la corda così?”

“Non prendertela Saeko, è solo che, sai…” Kaori le fece la linguaccia, sorridendo e scrollando le spalle. “Se dovessero arrivare dei tuoi colleghi, preferiremmo non essere qui…”

“E poi, c’è l’agente Daniels con la tua ladruncola assassina!” Ryo scrollò le spalle con nonchalance, sorridendo con quel suo sorriso grande, disarmante, che a tante donne aveva fatto battere il cuore. “Ti aspettano al piano di sopra!”

Saeko sospirò, ed alzò gli occhi al cielo mentre saliva la scala interna, e percorreva quei corridoi in cui era passata negli anni decine, forse centinaia di volte, cercando l’aiuto ed il supporto di Ryo a volte per un caso a volte per il suo cuore che non sapeva mai bene dove andare.

Arrivata davanti alla donna del mistero, si sistemò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio, soddisfatta, battendo il tacco sul pavimento, risoluta; incontrò lo sguardo di Daniels, e le fece un cenno di saluto, che l’americana ricambiò, mentre faceva dondolare le manette davanti al viso della sospettata, ancora a terra. 

“Niente nome, quindi, eh? Pazienza, ne faremo a meno…” Saeko sospirò, in modo volutamente esagerato. “Jane Doe(3), in base ad un mandato di cattura internazionale, la dichiaro in arresto con l’accusa di furto con scasso, violazioni multiple della proprietà privata, omicidio, ed immigrazione clandestina. E per quanto riguarda lei, signor Black…” Confusa, prese a guardare tra i due gemelli, incerta su chi fosse quale. “Per quanto riguarda lei, invece, Signor Jonathan, la sua posizione è attualmente al vaglio delle forze dell’ordine, quindi per favore eviti di scappare di nuovo…”

Jonathan e Cameron si scambiarono uno sguardo complice, un sorriso. “Non ci penso nemmeno, agente…. Rimango qui, col mio fratellino.”

(1)Il gruppo di ricchi industriali che, nella storia (e nella serie Deception) assume Alistair Black per nascondere i loro “panni sporchi”.

(2)Citazione (più o meno) di Stanislao Moulinsky, abile trasformista  che nella serie Nick Carter di Bonvi veniva regolarmente smascherato dal protagonista, chiudendo ogni volta l’episodio con la frase Ebbene sì, maledetto Nick Carter!

(3) Jane e John Doe sono i nomi con cui vengono normalmente chiamati nella legislazione statunitense i soggetti senza nome ed identità, siano questi corpi privi di documenti, soggetti che rifiutano di fornire le proprie generalità oppure soggetti colpiti da amnesia. Essendo nella storia il mandato rilasciato dagli Stati Uniti, per la ladra senza nome ho scelto di lasciarle questa identità.

   
 
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