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Autore: giuliacaesar    24/02/2022    1 recensioni
⚠️POTREBBE CONTENERE SPOILER DEL MANGA DAL CAPITOLO 290 IN POI⚠️
La vita a volte ci pone davanti a delle scelte, facili o difficili che siano. Se ne scegliamo una non sapremo mai il finale dell'altra, il che ci porta a porci una serie infinita di domande che iniziano con un "e se...".
«Ha presente cosa sono gli otome game?» [...] «Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti.».
E se... Enji fosse andato alla collina Sekoto quella fredda serata d'inverno?
ATTENZIONE! Il rating potrebbe cambiare!
Pubblicata anche su wattpad su @/giulia_caesar
Ispirazione: @/keiidakamya su Twitter e @/juniperjadelove su Twitter e Instagram.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, League of Villains, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CAPITOLO 11 - PANCAKE E STRANI TATUAGGI
 

Il risveglio del giorno dopo fu di gran lunga migliore. Partì lento, con un pigro dormiveglia che lo rendeva conscio delle cose attorno a sé, ma senza andare al di là della sua camera. Sentiva il peso rassicurante di Heidi sulla schiena, insieme al suo respiro leggero, mentre dalla finestra iniziavano a comparire i primi raggi di sole, che gli riscaldavano piacevolmente le gambe. Aveva l’impressione di essere quasi liquido, immerso nelle leggere coperte del suo letto, ancora profumate di pulito, non voleva più andarsene. Emise uno sbuffo soddisfatto facendo sprofondare ancora di più la testa nel cuscino, per metà ancora addormentato. 

Per tutta la notte era stato inseguito da sogni a base di rum e musica anni ‘80. Aveva visto un paio di occhi scurissimi guardarlo come mai gli era capitato, scavandogli persino dentro l’anima. A causa di un nodo di dolorosa eccitazione formargli nello stomaco si era agitato nel sonno per sfogare quella sensazione fastidiosa facendo miagolare contrariata Heidi, per nulla contenta che il suo letto si stesse spostando troppo, ma mani fantasma e invisibili che gli accarezzavano il collo e l’addome con malizia non volevano lasciarlo in pace. La sua testa gli riempii le orecchie di sospiri leggeri e schiocchi di baci umidi, facendolo arrossire ancora di più. Affondò ancora la faccia nel cuscino stringendolo tra le braccia, per soffocare quella sensazione che man mano lo stava svegliando. 

Impertinenti sprazzi della serata precedente fecero capolino nella sua mente: la sensazione del sudore attaccato alla sua nuca fuori dal locale, il bicchiere di vetro ghiacciato con un sottile strato di condensa, il dolce suono di risate che si mescolano insieme alla musica tecno e poi soffici labbra al sapore di cocco e rum contro le sue, le sue mani che affondavano in un corpo morbido e tonico allo stesso tempo. Agitò le gambe, come un ragazzino alle prese con la sua prima cotta, ma un’improvvisa scossa di piacere quando strofinò con troppa enfasi il cavallo dei pantaloni contro il materasso lo fece svegliare del tutto. La sua testa si alzò di scatto e il movimento, decisamente troppo improvviso, gli fece attraversare la fronte da un fulmine di dolore, che gli fece rimpiombare la faccia nel cuscino morbido. Gli uscì dalle labbra un gemito roco, che sembrava più un piagnisteo, perché tra il dolore piacevole in mezzo alle gambe e quello martellante alla testa non sapeva cosa fosse peggio. 

Restò qualche minuto in quella posizione, sveglio e vigile, respirando a fondo per calmarsi. Il mal di testa non voleva saperne di andarsene, come se si fosse aggrappato al suo cervello, continuando a tormentarlo, mentre sentiva pian piano il sangue iniziare a circolare in giro per il corpo e non solo in mezzo alle sue mutande. Spostò di lato il viso, per metà sprofondato nel cuscino, per controllare l’orario sulla sua sveglia. 

7:58, 5 luglio 2030 

Rimase ancora qualche minuto a fissare il muro senza realmente vederlo, i suoi occhi non registravano nulla, mentre era assorto nei suoi pensieri vuoti e inconsistenti. Giocherellava distrattamente col piercing al labbro, mentre il dolore pulsante nella sua testa diventava un lento e sordo martellamento. Si sollevò piano per non fargli venire un’altra fitta di dolore alla testa, finché non si trovò seduto sul letto. Si strofinò gli occhi sbadigliando, poi si stiracchiò per bene le braccia verso l’alto, fino che non diventarono molli e inermi ai suoi fianchi. Heidi si accoccolò tra le sue gambe incrociate, demandando coccole con miagolii autoritari. Il suo cervello era fuori uso e ancora un po’ dolorante, quindi rimase ancora qualche minuto imbambolato in mezzo alle coperte sfatte, senza vedere nulla a un centimetro dal suo naso, mentre camera sua era una massa di colori indefiniti e mescolati tra loro. Sentiva il lato destro della testa pulsare, dandogli più che dolore un gran fastidio, quindi decise di alzarsi per prendere una pasticca. 

Prese Heidi in braccio, adagiandole la testolina grigia sulla sua spalla, mentre sorreggeva il resto del corpo con l’avanbraccio, e allungava la mano per tastare il comodino alla ricerca dei suoi occhiali, che inforcò quando li trovò stranamente ripiegati e chiusi nella loro scatola, cosa che lui non faceva mai. Sorpassò questo insolito dettaglio, tirandosi in piedi a fatica. Camera sua si capovolse poi si raddrizzò in un colpo solo rintronandolo e facendolo vacillare. Quando fu abbastanza certo che le sue gambe avrebbero retto almeno fino al tavolo della cucina, uscì da camera sua venendo investito in pieno dalla luce e da un odore zuccheroso. Rimase rintontito di fronte alla porta qualche secondo, il tempo di metabolizzare tutta quella violenza sensoriale mattutina, poi si girò a destra diretto verso la cucina. 

La cappa era accesa, diffondendo un fastidioso ronzio per la casa e luce sul ripiano della cucina macchiato di impasto dei pancake. Dalle casse nel salotto, diviso dalla cucina solo da un mobile alto in marmo che fungeva sia da tavolo alto sia da piano di lavoro, proveniva un chiacchiericcio di sottofondo di due conduttori radiofonici, che commentavano qualche partita di basket del giorno prima. Ai fornelli ci stava il suo migliore amico, impegnato a spadellare pancake e a sporcargli il ripiano della cucina ogni volta che faceva passare il mestolo carico di impasto dalla ciotola alla padellina. Si fermò al di là del mobile, rimanendo fuori dalllo spazio della cucina guardando Keigo piuttosto corrucciato, mentre spazzolava con la mano il pelo morbido di Heidi, ancora accoccolata tra le sue braccia. 

«Buongiorno, Kei, ma che ci fai qui?» disse infine confuso. 

L'altro si girò per nulla sorpreso della sua presenza, probabilmente lo aveva sentito addirittura alzarsi dal letto. Vide un paio di piume volare da una parte all’altra della cucina aprendo mobili e prendendo posate e piatti per apparecchiare la tavola, una gli passò velocissima sotto al naso diretta in bagno. Si sporse all’indietro per vederla aprire l’armadietto dei medicinali sopra il lavandino per afferrare un’aspirina e poi tornare alla stessa velocità al tavolo, posando il farmaco vicino a un bicchiere d’acqua. Heidi si agitò tra le sue braccia quando le sue ciotoline furono riempite da croccantini e acqua fresca, così si ritrovò da solo impalato in mezzo al suo salotto a guardare il suo migliore amico, perfettamente vestito, cucinargli la colazione. 

«Buongiorno, Tou-chan!» rispose evitando accuratamente la domanda dell’altro, che sembrò dimenticarsene subito appena si sedette al tavolo di legno al centro della cucina con di fronte la sua dose di pancake, seguita da frutti di bosco e sciroppo d’acero. Keigo tirò fuori l’ultimo pancake dalla padella e spedì una delle sue piume a portare il suo piatto a tavola, mentre afferrava le due tazze fumanti di caffè, uno nero e amaro per lui e un altro col latte e chili di zucchero per il suo migliore amico, poi si sedette a tavola affianco a Touya, che lo stava aspettando pazientemente e fissando con fame il proprio piatto di pancake.  

Ricevette un “buon appetito” detto in fretta e furia, poi Touya si avventò sui pancake affogandoli nello sciroppo d’acero e nel caffellatte con cui si ingozzava. Keigo rimase qualche secondo a guardarlo con la forchetta ancora per aria e uno sguardo divertito in volto, scosse la testa e fece anche lui colazione. Mangiarono in silenzio, con in sottofondo i commenti della radio, che a volte si intervallavano con le canzoni del momento, ma non c’era disagio, anche se nell’aria c’erano molte domande senza risposta. Keigo conosceva bene Touya, se non voleva parlare di qualcosa era inutile affrontarlo di petto, perché si sarebbe chiuso a riccio e non avrebbe spiccicato parola, quindi, una volta che finirono i pancake e si ritrovarono entrambi con solo il caffè in mano, decise di prendere in mano la situazione. 

«Come ti senti, Touya?». 

Il ragazzo posò sul tavolo la tazza degli Avengers da cui stava bevendo il caffellatte, deglutendo il sorso che aveva in bocca. Si leccò le labbra prima di parlare. 

«Ho mal di testa.». 

Keigo annuì riportandosi il caffè alla bocca. Lanciò uno sguardo all’orologio che aveva al polso, erano le 8:21, tra meno di un’ora doveva essere al lavoro. Rimuginò ancora qualche secondo, incerto sulle prossime parole da usare. 

«Cosa ricordi di ieri sera, Tou?». 

L'altro ragazzo si irrigidì, con la tazza a mezz’aria, poi arrossì di colpo. Cercò di darsi un contegno e di nascondersi il volto bevendo il caffellatte esageratamente a lungo. 

«Non molto.» rispose in fine. 

Keigo dovette reprimere un sospiro esasperato, perché già sapeva che avrebbe dovuto cavargli le parole dalla bocca con la pinzetta. Si caricò di tutta la pazienza di cui era capace e continuò a interrogare il suo amico. 

«Touya, lo sai che non aiuti così, vero?». 

Il ragazzo brontolò qualcosa nella tazza, forse un insulto sugli uccelli impiccioni. La posò e si dedicò all’aspirina, che aprì con stizza e tuffò nel bicchiere d’acqua con un gesto seccato della mano, poi aspettò che si sciogliesse per bere l’intruglio salato in un colpo solo. Si rigirò il bicchiere tra le dita, con lo sguardo basso, incerto se voler continuare quella conversazione o meno. Keigo era ancora a metà caffè aspettando pazientemente una risposta dal suo migliore amico, una qualsiasi, persino un gentile invito ad andare a farsi fottere. Sapeva che, se Touya glielo avesse chiesto, se ne sarebbe andato senza ricevere alcuna spiegazione, ma non gli sembrava corretto nei suoi confronti. Era il suo migliore amico, non una bambola di pezza, quindi decise di affrontare l’argomento. 

«Ieri mattina mi è arrivato un messaggio da Mitsuha, dove mi diceva di incontrarci da soli al Viper.». 

Keigo sbuffò spazientito, mentre lo rimproverava: «E tu ci sei andato senza avvertirmi? Ma sei scemo?». 

Touya si affrettò a ribattere arrabbiato. 

«Senti, ieri ho passato tutta la mattina a dormire fino a mezzogiorno perché erano quasi due settimane di fila che lavoravo come un pazzo, poi il pomeriggio ho fatto la ronda fino all'ora dell’incontro. Perdonami se non sei al centro dei miei pensieri! E poi alla fine non è successo nulla.». 

Keigo alzò un po’ la voce, imbestialito. 

«Non è successo nulla? Ti ho trovato in un vicolo buio circondato dal tuo stesso vomito! A me non sembra che “non sia successo nulla”! Touya, maledizione, ma vuoi dirmi che cazzo ti ha cantato ieri sera la testa? Hai passato tutta la notte a vomitare e manco ti ricordavi che fossi qui! Hai idea dello spavento che mi sono preso?». 

Touya si prese tra i denti il piercing al labbro, giocandoci per scaricare l’ansia che gli stava gettando addosso Keigo. Era sempre così con lui, bastava che gli capitasse qualcosa e lui andava fuori di testa. La prima volta che era finito in ospedale, era stata una tragedia per il suo migliore amico, anche se cercava di nasconderlo dietro a tante premure. Veniva a trovarlo a tutti i giorni, appena poteva, portandogli cibo, giochi, facendogli i compiti addirittura. Si preoccupava per qualsiasi piccolezza, esasperando tutto quanto, si era ritrovato sommerso dai cuscini quando si era lamentato del mal di schiena per essere restato bloccato a letto per giorni. Keigo era un amico fantastico, il migliore che potesse mai desiderare e che sapeva prendersi cura di lui anche nei momenti più difficili, ma era apprensivo e protettivo come una mamma aquila con i suoi piccoli. 

Si preoccupava molto per lui, anche troppo per i suoi gusti. Touya era introverso, aveva delle batterie sociali con una portata bassissima e ricevere sempre quelle attenzioni appena si procurava un taglietto non faceva altro che innervosirlo. 

«Kami, Keigo, era solo una sbronza! Mi è già capitato di vomitare l’anima se bevo e non sono mai morto. Esageri sempre.». 

Il suo migliore amico lo guardò esterrefatto e gettò le mani al cielo per poi portarsele al volto. 

«Non è quello il punto, Touya. Almeno, lo è, ma in minima parte. Il fatto che mi preoccupa è che tu sia andato DA SOLO in un locale in cui non siamo mai andati con quella pazza! Senza neanche dirmelo!». 

«Cazzo sei? Mia madre? Non ti devo sempre dire tutto.». 

«Sai com’è, è un lavoro che dovremmo fare INSIEME, Touya. I-N-S-I-E-M-E. Io e te, tu e io, hai capito? Quindi, magari potresti tenermi aggiornato.». 

Aveva ragione. Aveva maledettamente ragione e Touya, purtroppo, lo sapeva fin troppo bene, ma non voleva dargliela vinta. 

«Ti avrei comunque aggiornato stamattina.». 

Keigo chiuse gli occhi soffocando un’imprecazione. Era proprio ottuso a volte. 

«No, dovresti tenermi aggiornato in tempo reale.». 

«Come hai fatto tu quella volta a Osaka?» gli rinfacciò Touya incrociando le braccia al petto. 

«Ma cosa c’entra Osaka! Era un’emergenza, non arrampicarti sugli specchi, cretino! E non ritirare fuori quella missione, avevi promesso che non ne avremmo parlato mai più.» disse stizzito l’amico e arrossendo di botto. Persino le ali si gonfiarono in preda all’imbarazzo. Ciò che era successo a Osaka, rimaneva a Osaka. 

Keigo si accorse che era una battaglia persa: Touya era convinto di essere nel giusto e niente avrebbe potuto scollarlo da quella posizione, piuttosto sarebbe morto. Optò per tralasciare l’idiota arroganza del suo amico e passò oltre. 

«Almeno puoi spiegarmi cosa diamine avete fatto?». 

Fu il turno di Touya ad arrossire. Il ricordo della sera scorsa gli procurava ondate di caldo alla testa e gli faceva sentire odore di rum ovunque. Riprese la tazza in mano eludendo la domanda con un sorso di caffellatte ormai freddo, mentre Keigo lo guardava paziente in attesa di una risposta. Purtroppo il suo migliore amico aveva il brutto difetto di essere testardo e tenace almeno la metà di lui, cosa che apprezzava e odiava allo stesso tempo. E poi non riusciva ad avere segreti con Keigo, gli era fisiologicamente impossibile, quindi vuotò il sacco. 

Raccontò tutto: si lamentò del caldo asfissiante della sera prima e di quanto fosse fuori luogo quel locale per la via in cui si trovava, gli parlò di essere stato paragonato a un cane da Mitsuha e di come questa abbia fatto apprezzamenti sul suo sedere, poi passò a narrare dell’assurdo gioco alcolico in cui era stato coinvolto. Nonostante l’alcool che gli circolava in corpo la sera precedente, si ricordava quasi tutto, della risata di Mistuha, del modo in cui le splendevano gli occhi quando trovava qualcosa di interessante oppure di come si mordesse sensualmente il labbro. E poi raccontò anche del suo piccolo sgarro. 

«E alla fine mi ha baciato.». 

Keigo lo guardò come se gli avessero trafitto il cuore. 

«In che senso ti ha baciato?». 

«Nel senso che mi ha dato un bacino sulla guancia! - alzò gli occhi al cielo, era tordo il ragazzo! - Scemo, come vuoi che mi abbia baciato? Ti sembro un bambino di 5 anni?». 

Keigo si lasciò sfuggire un commento: «Be’, a volte sì.». 

Touya gli scoccò un’occhiataccia gelida, poi sparecchiò e si diresse al lavandino per caricare la lavastoviglie. 

«Senti, lo so che sembra strano. Anzi no, è decisamente strano, ma...». 

Rimase qualche secondo impalato di fronte al lavabo con ancora i piatti in mano, mangiucchiandosi il piercing alla ricerca delle parole adatte. Come poteva descrivere quella sensazione totalmente irrazionale e illogica che lo attraeva a Mitsuha? Disse le prime parole che gli vennero in mente. 

«È tipo un elastico.». 

Alle sue spalle arrivò la voce incerta di Keigo: «Un elastico?». 

Touya annuì mettendosi finalmente a riempire la lavastoviglie con le tazze e i piatti. 

«Sì, un elastico, che lo tiri, fai opposizione all’altra parte, finché non scatta e non si ricongiungono le due estremità che cercavano di stare lontane. Mi sono sentito così ieri: lei tirava da una parte e io dall’altra, fino a quando la situazione ci è sfuggita di mano e lei mi ha baciato. Ovviamente, si era sgolata quattro drink, quindi era ubriaca anche lei, ma non so, anche da quando abbiamo iniziato a parlare... adesso mi prendi per pazzo.». 

«Io non ti prendo per pazzo, tu sei pazzo.». 

Touya sorvolò il commento. 

«Mi sono sentito... normale?». 

«Che vuoi dire?». 

Touya sbuffò frustato per non riuscire a trovare le parole adatte. Si girò verso il suo migliore amico agitando la forchetta. 

«Da quanto tempo non usciamo io e te a bere? Oppure da quanto non vediamo gli altri del programma? Ti ricordi l’ultima volta che abbiamo fatto una festa o che abbiamo fatto uno stupido gioco alcolico? Da quanto tempo non siamo semplicemente Touya e Keigo e non anche Dabi e Hawks?». 

Keigo lo guardò sorpreso, poi scosse la testa. 

«Visto? Con Mitsuha è stato come se non vedesse un pro hero, non vedeva Dabi, il figlio maggiore di Endeavor, uscito da un programma di eccellenza della Commissione e cazzate varie. Lei non voleva saperne nulla del mio lavoro, non voleva gossip, voleva solo... me.». 

Keigo sembrava scettico. 

«Secondo me ti stai facendo un po’ di pare mentali. Ti ha trovato carino e ti voleva scopare oppure sperava di estorcerti qualche informazione in più stordendoti con l’alcool, fine della storia.». 

Touya sospirò afflitto. Forse aveva ragione Keigo, si stava costruendo un castello di carte in testa basandosi sul nulla. Lo aveva visto, ogni azione di Mitsuha era calcolata al millimetro affinché portasse vantaggio solo a lei e, se ci finiva di mezzo qualcuno, era solo un effetto collaterale. La cosa certa era una, lo aveva usato mascherando le sue vere intenzioni dietro a un sorriso finto e bicchieri di rum. Sentì un brivido di vergogna scuoterlo, era stato così idiota. Insieme al disgusto per il modo in cui si era fatto intortare, arrivò anche un’ondata di fredda rabbia, verso di lei, che si era azzardata a trattarlo come un giocattolino, e soprattutto verso sé stesso, perché bastava che qualcuno gli prestasse un minimo di attenzioni per cadere succube ai suoi piedi. 

«Ehi, Tou, non pensarci, ok? Può capitare di sbagliare, l’importante è aver imparato la lezione.». 

Keigo lo aveva raggiunto al lavandino, capendo perfettamente il dilemma interiore che lo stava mangiando vivo. Strinse tra le mani la tazza di Monsters&Co che aveva usato l’altro, prendendo tra i denti il piercing alla lingua. 

«È che è frustante, va bene? Ho davvero passato una bella serata, mi sono sinceramente divertito, mentre lei probabilmente stava solo pensando a tutt’altro! La cosa che mi fa salire il sangue al cervello è che ci sono caduto in pieno nella sua trappola, mi ci sono proprio tuffato di testa.» piagnucolò. 

Keigo emise un respiro rumoroso, pensando a cosa dire per confortare il suo amico. 

«Senti, anche io ci sarei cascato con tutte le piume! Se non fosse Mitsuha davvero mi sarebbe sembrato che fossi uscito con una ragazza normalissima, magari un po’ stronza, ma i segnali che fosse interessata a te c’erano tutti. Solo che, appunto, stiamo parlando di una mercenaria, che lavora per la League of Villains e che agisce sempre e soltanto per suo tornaconto, quindi perdonami se ti dico che non mi sorprendo che ti abbia mollato in un vicolo a vomitare l’anima. Qui la colpa non è tua, o almeno non tutta, ma di quella pazza.». 

Touya posò la tazza nella lavastoviglie, poi si girò poggiandosi al lavandino. Chiuse gli occhi per pochi secondi, mentre man mano il mal di testa scemava finalmente. Si girò verso Keigo, ricordandosi all’improvviso di una cosa. 

«Lei però non mi ha invitato al Viper a caso.». 

Keigo alzò un sopracciglio come ad invitarlo a continuare. Touya corrugò le sopracciglia cercando di ricordarsi la conversazione con Mitsuha. 

«A un certo punto ha insistito perché finissimo il prima possibile il gioco. Ha detto che era sulle tracce di un bersaglio, era un uomo.». 

«Te lo ha fatto vedere?». 

Touya annuì immerso nei ricordi, cercando di ricordare più particolari possibili. Sebbene le luci stroboscopiche e l’alto tasso di alcool che aveva avuto in corpo, alcuni dettagli si risaltavano alla mente. 

«Kei, prendi il mio computer, per favore? Se riusciamo a scoprire chi è quell’uomo, possiamo capire cosa ci faceva Mitsuha lì e cosa voleva da lui. Non credo fosse lì per conto suo, deve per forza c’entrare la League.». 

Una piuma rossa scattò verso la sua camera da letto portando il computer sul tavolo di legno in mezzo alla cucina. Si sedettero e Touya lo accese accedendo al database dove la polizia teneva registrati tutti i criminali noti a loro. Strinse gli occhi prendendosi il volto tra le mani. Aveva visto il tipo, cosa aveva di particolare? Poggiò le mani sulla tastiera iniziando a digitare ciò che ricordava. 

«Tatuaggio... testa.» e schiacciò invio. Intrecciò le dita delle mani attendendo i risultati. 

Risultato 1 di 2040, pagina 1 di 102. 

Keigo lo guardò ridendo. 

«Un po’ vago, non credi? Prova a mettere il nome del locale.». 

Touya fece quanto detto, borbottando che era già un miracolo se si ricordava di quel tipo. I risultati scesero a 500, ma erano ancora troppi, quindi strinse le mani a pugno per ricordarsi ancora di più. Bastava un solo dettaglio, uno solo. 

«Viper… tatuaggio... testa... serpente?» e tentò la sorte pigiando ancora il tasto invia. I risultati scalarono a una ventina, tutti raggruppati nella stessa pagina. Touya fece cenno a Keigo di sporgersi a vedere anche lui cosa aveva trovato. Erano per lo più piccole denunce per spaccio e vandalismo con un paio di mandati di arresto e perquisizione, tutti concentrati nella zona del Viper. Tutti i risultati riportavano uomini o donne con un serpente tatuato in testa, come una specie di inquietante marchio. 

«Credi che faccia parte di una specie di gang?» chiese dubbioso Keigo. 

Touya strinse le labbra guardando l’anteprima di un fascicolo che riportava l'arresto di una donna. I capelli ossigenati di biondo platino erano rasati a un lato della testa, su cui era tatuato un serpente bicefalo con le zanne esposte, lo sguardo feroce era tremendamente familiare, ma non ci pensò più di tanto, quando al risultato dopo spuntò l’uomo che stava cercando. O meglio, quello che pensava fosse l’uomo che aveva visto la sera prima: capelli rasati, tatuaggio e occhiali da sole, con un piccolo pizzetto sul mento. Pigiò sul fascicolo composto da una sola pagina, una denuncia per spaccio di droga e prostituzione, che stampò. Poi mise affianco il foglio con l’immagine dell’uomo con il tatuaggio della donna bionda e notò che era troppo simili per essere una coincidenza. Lanciò uno sguardo a Keigo che nel frattempo si era alzato e si stava preparando ad uscire. Al vedere l’immagine il suo amico fu come colpito da un fulmine di consapevolezza. 

«Ecco, perché il nome mi è familiare! Quando ero piccolo avevano fatto un servizio su una retata al Viper, che era gestito da una specie di criminalità organizzata. Come si chiamava? Uro- qualcosa. Avevano catturato il capo e da allora non si sa più nulla di loro, credo che la Commissione pensi i membri si siano dispersi.». 

«E invece si sono solo nascosti?». 

Keigo si sistemò la giacca rimuginando su quanto avevano appena scoperto. 

«Può essere. Se erano ben organizzati, anche senza il capo possono aver portato avanti i loro interessi, ma cambiando modo di agire. È plausibile, ma non vedo cosa c’entri né con Mitsuha né con la League.». 

Touya poggiò il foglio sulla tastiera e chiuse il portatile sbuffando. 

«Non lo so, ma vediamo di scoprirlo in fretta.». 

*** 

Quei fiori puzzavano in una maniera insopportabile, Touya non riusciva a capire come sua madre riuscisse a sopportare quell’odore di morte in decomposizione. Le genziane tutto sommato non erano brutte, i petali erano colorati di un blu intenso, ma perdevano tutto il loro fascino con la puzza tremenda che emettevano. Per fortuna lui se n’era andato di casa da un pezzo e non doveva più sorbirsi quell’odore penetrante per tutta casa, visto che anche suo padre era solito regalarle quei fiori maledetti a ogni ricorrenza. 

Il gelato che aveva nell’altra mano era decisamente più invitante, anche solo per la piacevole sensazione di fresco che raffreddava la mano bollente per gli scontri di quell’afoso sabato pomeriggio. Dopo la scoperta di venerdì mattina Keigo lo aveva lasciato da solo a casa, dove per una volta si impose di non attaccarsi al computer a cercare altre informazioni, anche perché aveva bisogno di accedere a un database ancora più aggiornato di quello da cui accedeva dal computer, su cui comparivano solo le denunce fatte alla polizia e i loro fascicoli. Il database a cui si poteva accedere solo presso uno dei computer della Commissione teneva conto anche di notizie non note al pubblico e neanche alla polizia stessa. 

Quindi si era semplicemente goduto quella piccola feria forzata pulendo casa. Ovviamente era da quasi due settimane che lavorava come un matto, sul serio sperava di poter passare una mattinata a guardare serie tv? Che illuso! In quelle settimane dove entrava a casa solo per dormire e mangiare, il suo piccolo appartamento era diventato un porcile. Come al solito, Keigo doveva sempre impicciarsi nella sua vita, quindi si era premurato di buttargli almeno la spazzatura che stava creando un suo regno di batteri nei loro cestini. Lui poi aveva passato il resto della mattinata tra sgrassatori, aspirapolvere e bucato da lavare, il tutto accompagnato dall’intera discografia dei Queen. 

Al momento di andare a lavoro tutti gli stendini che possedeva, e uno che aveva chiesto in prestito alla vicina, invadevano il suo salotto come un esercito pronto ad attaccare. Giustamente poco prima di chiudere la porta aveva scorto Heidi appollaiata sui suoi vestiti appena lavati. Che bello avere un gatto, eh? 

Aveva lavorato sia venerdì pomeriggio sia tutta sabato per recuperare quelle due mattinate di ozio forzato a cui lo aveva sottoposto suo padre. Endeavor aveva tentato in tutti i modi di dirgli che non ce n’era bisogno, ma suo figlio sembrava avere le orecchie foderate di cera, perché non gli dava retta, quindi lo lasciava fare. Doveva però ammettere che suo figlio era impeccabile nel suo lavoro, nessuno all’interno della sua agenzia sapeva svolgerlo meglio di lui. Quindi una fiammella di orgoglio gli si accendeva nel cuore quando lo vedeva così preso dai suoi incarichi, anche se vorrebbe vederlo più sereno e rilassato alle volte. 

Touya era molto incline alla rabbia e, a differenza di Enji, aveva ereditato da sua madre una calma glaciale con cui nascondeva ogni emozione. Se a suo figlio dava fastidio qualcosa non urlava, stringeva le labbra in una linea sottile, ti perforava con i suoi occhi azzurri e scattava con una frase velenosa e sottile che pungeva proprio dove faceva più male. Non sbraitava, non gridava, ma anzi più era fermo e calmo il suo tono di voce, più voleva dire che era incazzato. A volte persino a lui faceva un po’ paura. 

Ritornando al presente, Touya una volta essersi di nuovo ucciso di lavoro, facendo anche più di quanto gli richiedesse lo stipendio, era tornato a casa ancora invasa dagli stendini, si era fatto una doccia e poi si era diretto alla gelateria più vicina per comprare un chilo di gelato. Erano solo in cinque, ma tre di loro soffrivano il caldo come San Bernardi alle Bahamas, quindi tre quarti del suo bottino era solo per lui, suo padre e Shoto. Infine, prima di andare dai suoi, si era fermato dal fioraio a comprare le genziane per sua madre, anche se le odiava e gli avrebbero diffuso per la macchina quell’odore insopportabile. 

Ed eccolo lì, ancora dolorante dopo una giornata di lavoro sfiancante e con piccole bruciature in giro per il corpo, che più che procuragli dolore gli pizzicavano in maniera fastidiosa quando sfregavano contro i vestiti. Era così stanco che stava iniziando a pensare di bussare prendendo a testate la porta, invece di tenere con una sola mano gelato e fiori, ma per fortuna sua sorella fu per l’ennesima volta la sua fonte di salvezza. Gli aprì la porta salutandolo calorosamente. 

«Touya-nii! Sei arrivato alla fine! Forza, muoviti ad entrare che sei l’ultimo.». 

Entrò in casa e si fermò nel genkan il tempo necessario per togliersi le scarpe e per infilarsi le ridicole ciabattine bianche che sua madre gli aveva comprato, sentendosi un equilibrista nel cercare di non far cadere nulla. Fu raggiunto da Rei che si stava asciugando le mani sul grembiulino che portava. Il viso della donna si illuminò di gioia alla vista del figlio e corse ad abbracciarlo. 

«Ciao, Touya! Come stai, tesoro?». 

Sua madre era una donna minuta, non molto alta, guardandola sembrava una bambolina di porcellana, ma in quel momento lo stava stritolando tra le braccia come se fosse appena tornato dal fronte. Era felice anche lui di rivedere sua madre, ma gli sembrava un tantino esagerata tutta quella accoglienza, non si vedevano da solo una settimana! Asfissiando disse: «Ciao, mamma, sto bene.». 

«Ma mi hai preso le genziane! Grazie mille!» e gli rifilò un altro bacio sulla guancia, staccandosi definitivamente da lui e prendendogli i fiori per riporli in un vaso. Appena sua madre si girò il suo cellulare iniziò a vibragli nella tasca, quindi le diede anche il gelato intimandola di riporlo nel frattempo nel freezer. Aveva lasciato il cellulare del lavoro a casa, quindi rispose senza guardare chi chiamava. 

«Ehi, pollo, sono a cena dai miei. Ci sentiamo domani, va bene?». 

«Oh, che peccato, Zuccherino. E io che ci tenevo così tanto a rivederti sta sera!».

  
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