Gregory
osservò attento la sua immagine riflessa allo
specchio. Era dimagrito in quegli ultimi due mesi e il volto segnato
dalla
lunga degenza, era pallido. Strinse le labbra e si abbottonò
il gilet azzurro.
Passò la mano, eccessivamente magra e segnata dai lividi, tra i capelli neri. Erano troppo corti per
come la vedeva lui,
ma in clinica le infermiere lo avevano quasi rasato a zero, per
prevenire le
infezioni. Si consolò osservando quanto fossero
già ricresciuti e si ritenne
soddisfatto.
Rabbrividì
al ricordo di quei primi, dolorosi giorni in
rianimazione. Ora era fuori e quella era una bella giornata di sole.
Il
colonnello Gregory Devon, di stanza nella base militare londinese High
Wycombe, si avviò camminando
lentamente.
Aveva
strappato al suo amico John Roberts, il medico del presidio militare,
il
permesso di fare una passeggiata e aveva tutta l’intenzione
di godersela. Si
era vestito con la solita cura, anche se non indossava né la
divisa né i gradi,
era ancora in riabilitazione, e dopo aver annodato la cravatta, prese
la giacca
ed uscì.
Non
doveva sforzarsi troppo, John era stato chiaro: “Il permesso
di muoverti un po'
non significa che devi correre.” Scosse la testa, mentre
scendeva le scale, il suo amico era
un medico scrupoloso, forse
anche troppo.
Però
su una cosa aveva proprio
ragione, doveva dosare le forze, da quando lo avevano dimesso, erano
diventati
tutti molto apprensivi.
Ma quel
pomeriggio si sentiva
bene, pieno di voglia di
vivere e di
recuperare il tempo perduto in quel letto d’ospedale
attaccato ai monitoraggi e
al respiratore, soprattutto a quello:
emetteva
quel rumore fastidioso, che gli ronzava ancora nelle orecchie.
Incrociò
alcuni ufficiali che lo
salutarono con cordialità, felici di vedere che il loro
comandante si stava
riprendendo. Arrivò ai campi di allenamento e vide suo
fratello.
Quel
pazzo di James correva, incitando le reclute, sudato e pieno di vita.
Ne aveva
del fiato, non come lui che già ansimava per pochi passi.
Appena lo scorse
si fermò di botto,
come se fosse stato artigliato per le caviglie. Gregory sorrise,
vedendo il
volto del fratello minore, sorpreso e allo stesso tempo preoccupato nel vederlo lì.
James
arrivò trafelato fino alla rete
metallica che delimitava il campo, ci si aggrappò con le
dita e cominciò subito
a urlagli contro.
“Che
ci fai qui? Lo sa John? Non ti stai
affaticando troppo?”
Il sudore
gli gocciolava sugli occhi. Si asciugò la fronte e
tossì fissandolo preoccupato
ma Gregory lo tranquillizzò subito.
“Ho il
permesso del medico! Posso fare
due passi.” James, sospettoso respirò
più volte, gli occhi chiari che
scrutavano il fratello maggiore, il corpo asciutto teso per
l’emozione di
trovarselo davanti.
Sospirò,
poi annuì. “Va bene, ma vai a
sederti, congedo
le
reclute e ti raggiungo.”
“Fa
con comodo, ho tutto il tempo.”
Gregory fece i pochi passi che lo separavano dalla panchina
e si lasciò andare, soddisfatto di essere riuscito ad
arrivare fin lì. Faceva
caldo, il tepore
primaverile lo pervase, sentì il sole scaldargli il volto e
il corpo fino al
centro del petto, dove aveva la cicatrice. Gli avevano fatto un bel
buco nel
polmone.
Si tolse la
giacca e rimase con la
camicia e il gilet. Chiuse gli occhi e si sentì in pace,
respirando adagio e con
parsimonia, senza
rendersi conto del tempo che passava.
“Greg
stai bene? Che hai?” La voce
ansiosa del fratello gli fece riaprire gli occhi riportandolo indietro,
a un
tempo indefinito, forse a quando erano bambini. Lo vide spaventato e
gli
dispiacque.
“Sto
bene, mi stavo godendo il
sole.”
Scapigliato
e sudato, aveva fatto in fretta per raggiungerlo, si sedette al suo
fianco e lo
studiò con apprensione. Gregory vide tutta la
sua
paura, tatuata in quel volto fraterno che tanto amava.
James era un
ottimo istruttore
militare. Un ufficiale rispettato dai suoi sottoposti ma spesso lo
aveva
osteggiato, criticando le sue decisioni nel gestire la base. Lui ne
aveva
sofferto, perché quelle beghe erano come un veleno che li
allontanava. Molte
volte aveva sopportato in silenzio, sperando che svanissero, e invece
c’era
voluta una revolverata in pieno petto.
Quel
giovedì, di due
mesi prima James
si era letteralmente imbrattato nel suo
sangue, non riusciva a fermarlo, tanto usciva copioso da quel buco in
pieno
petto. Gli avevano sparato in quel modo devastante e improvviso che
sembrava
non lasciargli tempo. Suo fratello minore lo teneva in braccio,
incapace di
fare qualsiasi cosa. Per fortuna John era lì con loro.
Gregory
avvertiva ancora il suo
dolore, lo percepiva, incastrato sotto pelle, sapeva che non gli
sarebbe mai
passato.
Le rughe che
solcavano la sua fronte
erano un marchio indelebile.
Si
tirò su e James, con gentilezza, lo prese per il
braccio e lo aiutò a sedersi meglio.
“Cosa
c’è?
Sono vivo. E sono qui.” Il fratello minore
tentennò, strinse le labbra e lo
fissò serio.
“Non
è niente, forse mi
preoccupo troppo. Lo vedo che stai bene.” Replicò abbassando lo
sguardo.
Gregory
cercò di cambiare argomento. “Quanti chilometri
hai fatto? Sei tutto sudato
e... puzzi.”
“Non
ho mai
trovato nessuno che fosse profumato dopo aver corso e dato anche
l’anima.”
James rise e lasciò che la mano calda di suo fratello gli
stringesse il polso.
Greg sapeva che aveva temuto di perderlo e averlo vicino lo
rasserenava.
“Se
faccio una doccia, di quelle
potenti, ceniamo insieme stasera” Gregory lo fissò
divertito, e scosse la testa.
“Certo
che sì, ma devo avere il
permesso di John.”
“E lo
avrai, usciamo fratello. Ho
voglia di hamburger e patatine, mentre tu mangi una triste
insalata.” Lo
canzonò, battendogli benevolmente sulla spalla.
“Potrei
fare un’eccezione? Chiedo a
John se posso straviziare anch’io.”
“Ci
sgriderà ma se prometto che ti
controllerò forse ti darà il permesso. Un po' di
carne non ti farebbe male, sei
ancora debole.”
Prese il
cellulare dalla tasca e si
allontanò. “Lo chiamo io, tu rimani a goderti il
tramonto.”
Gregory
annuì lasciando la sicurezza
della mano di James, si appoggiò allo schienale. Lo
sentì parlottare.
“È
fatta. Vado a farmi la doccia. Si
esce! Il nostro buon dottore ci ha dato il consenso.” Lo
travolse con la sua
allegria contagiosa. Era un piccolo passo in avanti nella via della
guarigione
e per ora andava bene.
Mentre usciva
dal campo e andava allo
spogliatoio, James gli gridò impaziente.
“Non
ci
metto molto, Greg, fa il bravo.” Gli rispose con un gesto di
assenso agitando la mano.
Lo
guardò allontanarsi commosso
e la
ferita gli
rimandò una fitta fastidiosa.
Un solo
maledetto colpo a distanza
ravvicinata, così inaspettato e improvviso che né
James né John, che erano
presenti, erano riusciti ad evitarlo.
Era nato tutto
da una stupida
vendetta. Un affare di corruzione di cui si era occupato in passato.
L’ufficiale che aveva degradato, aveva coltivato un odio
folle nei suoi
confronti, che era sfociato nell’attentato, che gli era quasi
costato la
vita.
James era
sconvolto, dopo l’impatto del proiettile lo aveva afferrato e
lo aveva tenuto
stretto, poi aveva dovuto adagiarlo sul terreno.
Gli gridava
nelle orecchie che non
doveva mollare e lo stringeva da fargli male ma Gregory non riusciva a
reagire.
Il dolore devastante gli toglieva il fiato poi la bocca gli si era
riempita di
sangue facendolo tossire: stava soffocando.
Voleva urlare il
dolore sordo che gli
disintegrava il petto, e non gli usciva nulla se non dei rantoli.
James aveva smesso di piangere, seguiva gli
ordini di John, lui era il
più lucido dei tre. Suo fratello gli aveva premuto le mani
sul petto dolorosamente, cercando di
fermare l’emorragia del polmone perforato.
Se non fosse
stato per John, che era fortunatamente insieme a loro, ora non sarebbe
stato
lì. Era intervenuto subito, il buon dottore,
l’ufficiale medico della base,
l’amico che gli aveva salvato la vita.
Non si ricordava
molto di quello che
era successo, ma il volto di suo fratello, quello sì, le
lacrime che gli
cadevano addosso, mentre lo abbracciava, lo cullava. Soprattutto la
forza di
John, che non smetteva di adoperarsi. Non aveva mai perso la speranza,
cercando
di espandergli il polmone e farlo respirare.
Perché
era l’aria quella che gli
mancava.
Il resto era
adesso, era vivo,
acciaccato, con un buco che si stava rimarginando nel polmone, dopo
più di due
mesi di ospedale, di sofferenza e di dolore.
Ora poteva
camminare anche se il fiato
era ancora corto, John gli aveva garantito che sarebbe guarito
perfettamente,
ma doveva avere pazienza. Molta.
Ma
c’era qualcosa che non si
rimarginava, il ricordo del volto devastato di James che non si
rassegnava a
perderlo. No, quella era un’immagine che non avrebbe
dimenticato mai.
Lui, il
comandante affidabile e sicuro
di sé, quel
giovedì, aveva ceduto, aveva chiuso gli occhi stremato, al
limite, rassegnato
ad andarsene in quel modo assurdo, con il rimpianto di non riuscire a
consolare
suo fratello e dirgli che andava bene anche così.
James
singhiozzava
e ripeteva il suo nome come una
litania.
Gregory si era
rassegnato al fatto che
fosse finita, che non lo avrebbe più rivisto, non avrebbe
più litigato con lui,
più scherzato, più condiviso la sua vita. Lo dava
per scontato di avere tempo e
invece il tempo aveva chiuso la borsa.
Rabbrividì
stringendosi nelle braccia ma,
avvertì
una presenza rassicurante alle sue spalle, non era difficile capire che
James
era lì. Si sollevò e si ritrovò il suo
volto davanti.
“Niente
pensieri cattivi Gregory, lo
avevi promesso. Ora andiamo, sono pulito, profumato e
affamato… anche per
te.”
Lo guardava come
fosse un miracolo,
come se lui fosse un dono, una seconda possibilità. Aveva un
sorriso schietto
che gli riempiva il cuore.
Si
sollevò
adagio, senza sforzarsi, si lasciò aiutare dalle mani forti
di James. Si
appoggiò a lui. Sapeva che ora ci sarebbe stato sempre e
comunque.
Suo fratello
scherzò sorridendo, lo
aiutò a infilarsi la giacca e accarezzò con
noncuranza la sua mano ancora
segnata dagli ematomi degli aghi.
“Ho
fame, James spero che potrò
mangiare qualcosa. Non voglio guardare te rimpinzarti.”
Risero complici, come
non facevano da tempo, persi nella fretta della vita che richiedeva i
suoi
ritmi.
Si
lasciò condurre a braccetto, solo
per pochi metri, poi proseguì da solo. Gregory si
voltò a guardare il volto
serio del fratello minore, si fece intimo.
“Smetterai
mai di preoccuparti per
me?”
“Mai.
Non dopo lo scherzo che ci hanno
fatto.” James inspirò forte infilando le mani
nelle tasche, gli
occhi accesi dai raggi del sole che tramontava.
Gregory si rese conto di quanto la sua vicinanza fosse importante, non
era
scontata e ora ne aveva un assoluto bisogno.
Lo
affiancò,
camminavano vicini, James adeguava il passo al suo, non lo urtava con
inutili
raccomandazioni. Si sentì protetto, non disse nulla, prese
un lungo respiro,
quello che il suo polmone malandato gli consentiva e
pregustò la serata in
compagnia di suo fratello.