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Autore: coopercroft    25/02/2022    0 recensioni
Lo scorrere della vita ha allontanato i fratelli Devon che hanno dimenticato l'affetto che li univa.
Lavorano insieme nella base militare londinese High Wycombe dove Gregory Devon è comandante. James Devon invece è un ottimo istruttore di reclute.
Un tranquillo giovedì, un colpo di pistola sta per mettere fine alla vita del fratello maggiore, Gregory.
James nel momento in cui realizza che sta per perderlo si accorge di quanto sia stato importante nella sua vita e di tutto il tempo sprecato a litigare inutilmente. Ma soprattutto di come non sia pronto a lasciarlo andare.
Dal prologo:
"Non mollare fratello. Non lasciarmi solo." Singhiozzò e le lacrime gli rotolarono copiose sul volto mentre gli occhi di Gregory lo abbandonavano. In quel momento si rese conto di quanto suo fratello contasse per lui ora che lo stava perdendo."
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Gregory osservò attento la sua immagine riflessa allo specchio. Era dimagrito in quegli ultimi due mesi e il volto segnato dalla lunga degenza, era pallido. Strinse le labbra e si abbottonò il gilet azzurro. Passò la mano, eccessivamente magra e segnata dai lividi, tra i capelli neri. Erano troppo corti per come la vedeva lui, ma in clinica le infermiere lo avevano quasi rasato a zero, per prevenire le infezioni. Si consolò osservando quanto fossero già ricresciuti e si ritenne soddisfatto.

Rabbrividì al ricordo di quei primi, dolorosi giorni in rianimazione. Ora era fuori e quella era una bella giornata di sole.

Il colonnello Gregory Devon, di stanza nella base militare londinese High Wycombe, si avviò camminando lentamente.

Aveva strappato al suo amico John Roberts, il medico del presidio militare, il permesso di fare una passeggiata e aveva tutta l’intenzione di godersela. Si era vestito con la solita cura, anche se non indossava né la divisa né i gradi, era ancora in riabilitazione, e dopo aver annodato la cravatta, prese la giacca ed uscì.

Non doveva sforzarsi troppo, John era stato chiaro: “Il permesso di muoverti un po' non significa che devi correre.” Scosse la testa, mentre scendeva le scale, il suo amico era un medico scrupoloso, forse anche troppo.

Però su una cosa aveva proprio ragione, doveva dosare le forze, da quando lo avevano dimesso, erano diventati tutti molto apprensivi.

Ma quel pomeriggio si sentiva bene, pieno di voglia di vivere e di recuperare il tempo perduto in quel letto d’ospedale attaccato ai monitoraggi e al respiratore, soprattutto a quello: emetteva quel rumore fastidioso, che gli ronzava ancora nelle orecchie. 

Incrociò alcuni ufficiali che lo salutarono con cordialità, felici di vedere che il loro comandante si stava riprendendo. Arrivò ai campi di allenamento e vide suo fratello.

Quel pazzo di James correva, incitando le reclute, sudato e pieno di vita. Ne aveva del fiato, non come lui che già ansimava per pochi passi.

Appena lo scorse si fermò di botto, come se fosse stato artigliato per le caviglie. Gregory sorrise, vedendo il volto del fratello minore, sorpreso e allo stesso tempo preoccupato nel vederlo lì. 

James arrivò trafelato fino alla rete metallica che delimitava il campo, ci si aggrappò con le dita e cominciò subito a urlagli contro.

 “Che ci fai qui? Lo sa John? Non ti stai affaticando troppo?” Il sudore gli gocciolava sugli occhi. Si asciugò la fronte e tossì fissandolo preoccupato ma Gregory lo tranquillizzò subito.

“Ho il permesso del medico! Posso fare due passi.” James, sospettoso respirò più volte, gli occhi chiari che scrutavano il fratello maggiore, il corpo asciutto teso per l’emozione di trovarselo davanti.

Sospirò, poi annuì. “Va bene, ma vai a sederti, congedo le reclute e ti raggiungo.”

“Fa con comodo, ho tutto il tempo.” Gregory fece i pochi passi che lo separavano dalla panchina e si lasciò andare, soddisfatto di essere riuscito ad arrivare fin lì. Faceva caldo, il tepore primaverile lo pervase, sentì il sole scaldargli il volto e il corpo fino al centro del petto, dove aveva la cicatrice. Gli avevano fatto un bel buco nel polmone. 

Si tolse la giacca e rimase con la camicia e il gilet. Chiuse gli occhi e si sentì in pace, respirando adagio e con parsimonia, senza rendersi conto del tempo che passava.

“Greg stai bene? Che hai?” La voce ansiosa del fratello gli fece riaprire gli occhi riportandolo indietro, a un tempo indefinito, forse a quando erano bambini. Lo vide spaventato e gli dispiacque.

“Sto bene, mi stavo godendo il sole.” 

Scapigliato e sudato, aveva fatto in fretta per raggiungerlo, si sedette al suo fianco e lo studiò con apprensione. Gregory vide tutta la sua paura, tatuata in quel volto fraterno che tanto amava.

James era un ottimo istruttore militare. Un ufficiale rispettato dai suoi sottoposti ma spesso lo aveva osteggiato, criticando le sue decisioni nel gestire la base. Lui ne aveva sofferto, perché quelle beghe erano come un veleno che li allontanava. Molte volte aveva sopportato in silenzio, sperando che svanissero, e invece c’era voluta una revolverata in pieno petto.

Quel giovedì, di due mesi prima James si era letteralmente imbrattato nel suo sangue, non riusciva a fermarlo, tanto usciva copioso da quel buco in pieno petto. Gli avevano sparato in quel modo devastante e improvviso che sembrava non lasciargli tempo. Suo fratello minore lo teneva in braccio, incapace di fare qualsiasi cosa. Per fortuna John era lì con loro.

Gregory avvertiva ancora il suo dolore, lo percepiva, incastrato sotto pelle, sapeva che non gli sarebbe mai passato.

Le rughe che solcavano la sua fronte erano un marchio indelebile.

Si tirò su e James, con gentilezza, lo prese per il braccio e lo aiutò a sedersi meglio.

“Cosa c’è? Sono vivo. E sono qui.” Il fratello minore tentennò, strinse le labbra e lo fissò serio.

“Non è niente, forse mi preoccupo troppo. Lo vedo che stai bene.” Replicò abbassando lo sguardo.

Gregory cercò di cambiare argomento. “Quanti chilometri hai fatto? Sei tutto sudato e... puzzi.”

“Non ho mai trovato nessuno che fosse profumato dopo aver corso e dato anche l’anima.” James rise e lasciò che la mano calda di suo fratello gli stringesse il polso. Greg sapeva che aveva temuto di perderlo e averlo vicino lo rasserenava.

“Se faccio una doccia, di quelle potenti, ceniamo insieme stasera” Gregory lo fissò divertito, e scosse la testa.

“Certo che sì, ma devo avere il permesso di John.”

“E lo avrai, usciamo fratello. Ho voglia di hamburger e patatine, mentre tu mangi una triste insalata.” Lo canzonò, battendogli benevolmente sulla spalla.

“Potrei fare un’eccezione? Chiedo a John se posso straviziare anch’io.”

“Ci sgriderà ma se prometto che ti controllerò forse ti darà il permesso. Un po' di carne non ti farebbe male, sei ancora debole.”

Prese il cellulare dalla tasca e si allontanò. “Lo chiamo io, tu rimani a goderti il tramonto.”

Gregory annuì lasciando la sicurezza della mano di James, si appoggiò allo schienale. Lo sentì parlottare.

“È fatta. Vado a farmi la doccia. Si esce! Il nostro buon dottore ci ha dato il consenso.” Lo travolse con la sua allegria contagiosa. Era un piccolo passo in avanti nella via della guarigione e per ora andava bene. 

Mentre usciva dal campo e andava allo spogliatoio, James gli gridò impaziente.

“Non ci metto molto, Greg, fa il bravo.” Gli rispose con un gesto di assenso agitando la mano.

Lo guardò allontanarsi commosso e la ferita gli rimandò una fitta fastidiosa.

Un solo maledetto colpo a distanza ravvicinata, così inaspettato e improvviso che né James né John, che erano presenti, erano riusciti ad evitarlo.

Era nato tutto da una stupida vendetta. Un affare di corruzione di cui si era occupato in passato. L’ufficiale che aveva degradato, aveva coltivato un odio folle nei suoi confronti, che era sfociato nell’attentato, che gli era quasi costato la vita. 

James era sconvolto, dopo l’impatto del proiettile lo aveva afferrato e lo aveva tenuto stretto, poi aveva dovuto adagiarlo sul terreno.

Gli gridava nelle orecchie che non doveva mollare e lo stringeva da fargli male ma Gregory non riusciva a reagire. Il dolore devastante gli toglieva il fiato poi la bocca gli si era riempita di sangue facendolo tossire: stava soffocando.

Voleva urlare il dolore sordo che gli disintegrava il petto, e non gli usciva nulla se non dei rantoli.

James aveva smesso di piangere, seguiva gli ordini di John, lui era il più lucido dei tre. Suo fratello gli aveva premuto le mani sul petto dolorosamente, cercando di fermare l’emorragia del polmone perforato.

Se non fosse stato per John, che era fortunatamente insieme a loro, ora non sarebbe stato lì. Era intervenuto subito, il buon dottore, l’ufficiale medico della base, l’amico che gli aveva salvato la vita.

Non si ricordava molto di quello che era successo, ma il volto di suo fratello, quello sì, le lacrime che gli cadevano addosso, mentre lo abbracciava, lo cullava. Soprattutto la forza di John, che non smetteva di adoperarsi. Non aveva mai perso la speranza, cercando di espandergli il polmone e farlo respirare.

Perché era l’aria quella che gli mancava.

Il resto era adesso, era vivo, acciaccato, con un buco che si stava rimarginando nel polmone, dopo più di due mesi di ospedale, di sofferenza e di dolore.

Ora poteva camminare anche se il fiato era ancora corto, John gli aveva garantito che sarebbe guarito perfettamente, ma doveva avere pazienza. Molta.

Ma c’era qualcosa che non si rimarginava, il ricordo del volto devastato di James che non si rassegnava a perderlo. No, quella era un’immagine che non avrebbe dimenticato mai. 

Lui, il comandante affidabile e sicuro di sé, quel giovedì, aveva ceduto, aveva chiuso gli occhi stremato, al limite, rassegnato ad andarsene in quel modo assurdo, con il rimpianto di non riuscire a consolare suo fratello e dirgli che andava bene anche così.

James singhiozzava e ripeteva il suo nome come una litania. 

Gregory si era rassegnato al fatto che fosse finita, che non lo avrebbe più rivisto, non avrebbe più litigato con lui, più scherzato, più condiviso la sua vita. Lo dava per scontato di avere tempo e invece il tempo aveva chiuso la borsa.

Rabbrividì stringendosi nelle braccia ma, avvertì una presenza rassicurante alle sue spalle, non era difficile capire che James era lì. Si sollevò e si ritrovò il suo volto davanti.

“Niente pensieri cattivi Gregory, lo avevi promesso. Ora andiamo, sono pulito, profumato e affamato… anche per te.” 

Lo guardava come fosse un miracolo, come se lui fosse un dono, una seconda possibilità. Aveva un sorriso schietto che gli riempiva il cuore.

Si sollevò adagio, senza sforzarsi, si lasciò aiutare dalle mani forti di James. Si appoggiò a lui. Sapeva che ora ci sarebbe stato sempre e comunque.

Suo fratello scherzò sorridendo, lo aiutò a infilarsi la giacca e accarezzò con noncuranza la sua mano ancora segnata dagli ematomi degli aghi.

“Ho fame, James spero che potrò mangiare qualcosa. Non voglio guardare te rimpinzarti.” Risero complici, come non facevano da tempo, persi nella fretta della vita che richiedeva i suoi ritmi.

Si lasciò condurre a braccetto, solo per pochi metri, poi proseguì da solo. Gregory si voltò a guardare il volto serio del fratello minore, si fece intimo.

“Smetterai mai di preoccuparti per me?”

“Mai. Non dopo lo scherzo che ci hanno fatto.” James inspirò forte infilando le mani nelle tasche, gli occhi accesi dai raggi del sole che tramontava. Gregory si rese conto di quanto la sua vicinanza fosse importante, non era scontata e ora ne aveva un assoluto bisogno.

Lo affiancò, camminavano vicini, James adeguava il passo al suo, non lo urtava con inutili raccomandazioni. Si sentì protetto, non disse nulla, prese un lungo respiro, quello che il suo polmone malandato gli consentiva e pregustò la serata in compagnia di suo fratello.

 

   
 
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