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Autore: Dorabella27    26/02/2022    16 recensioni
Come sa bene chi mi conosce, non ho mai digerito l'episodio 15 dell'anime: mi sembra insensato, soprattutto per quel che riguarda la storia della finta gravidanza di Maria Antonietta (a dir poco impossibile: i parti reali erano pubblici, proprio per evitare rischi di sostituzione del neonato o altri infingimenti); nel finale dell'episodio, poi, la colpa che viene fatta ricadere su Oscar è sommamente odiosa, e sarebbe talmente grave da rendere pressoché incredibile il fatto che nell'episodio successivo nessuno dia segno di ricordare alcunché. Ho immaginato allora uno switch - possibile? probabile? quanto meno, plausibile, si spera - a partire dal rientro di Oscar a Corte. Il racconto si trasformerà in corso d'opera, e da quasi - feuilleton prenderà le movenze di storia di taglio introspettivo e intimista. Questa volta procederò dando la parola, via via, ai singoli personaggi, che si alterneranno come voci narranti, con capitoli brevi e, spero, ravvicinati. Sperando che apprezzerete questo mio ennesimo esperimento .... buona lettura a tutti!
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Charlotte Di Polignac, Contessa di Polignac, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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VIII .....rien ne va plus
 
Dentro il Casinò
Oscar
In breve, riesco a perdere una fortuna.
Un po', mi lascio colpevolmente trascinare dall'atmosfera festosa e frivola, un po' devo rendere credibile il mio personaggio di giovane damigella sventata e ingenua; come che sia, mi rendo conto che in poco meno di un'ora e mezza ho perso qualcosa come diecimila livres. Un'enormità! Una cifra, fra l'altro, di cui non dispongo, ora, e per avere la quale dovrei chiedere al mio procuratore di accedere al mio deposito bancario. Ma, adesso, nel cuore della notte, come posso...? Dovrò firmare un impegno a pagare, e, allora, dovrò rivelare la mia identità?
Forse per la prima volta in vita mia, mi sento intrappolata, senza via d'uscita. Ma qualcuno deve avere colto la mia espressione smarrita e allarmata.
"Mademoiselle Cornaro, state bene? Vi vedo sconvolta". La contessa di Polignac mi si è avvicinata, leggera come una farfalla, e mi parla con una espressione attenta e partecipe.
"Siete molto turbata, vero? Venite a bere qualcosa di fresco". Per un momento, capisco anche io come persino la mia Regina abbia potuto soggiacere a quegli occhi così limpidi, a quella voce così melodiosa, a quei modi così dolci.
Mentre camminiamo per la sala, la contessa non smette di parlare. "Vedete, mademoiselle, io non conosco nel dettaglio la vostra condizione, ma so bene come per una donna possa essere molto imbarazzante giustificare di fronte a un padre" - e qui mi sentii farmi di fuoco sotto la pelle, e pregai il cielo di non rendere palesi le fiamme che sentivo salirmi alle guance -" o a un marito", continuò la contessa di Polignac, « una perdita così ingente . Si dà però il caso che  il duca de Guiche sia un mio buon amico, e, avendo degli interessi in comune, potrei chiedergli un favore amicale per risolvere la vostra incresciosa condizione ».
"Degli interessi in comune": queste parole mi rimbombano nelle orecchie, e fremo pensando alla figlia della contessa, la contessina Charlotte, che non ha ancora compiuto dieci anni, e che rischia di trovarsi a breve nel letto di quell'uomo. Vorrei reagire, ma non posso; persino lo stiletto che sta celato nella mia giarrettiera mi sembra lontano mille miglia, impossibile a raggiungersi. Mi sento paralizzata, debole e inerme: è così che si sentono, tutti i giorni, le donne, anche le aristocratiche, anche le marchese e le duchesse vestite di sete sfarzose e coperte di gioielli? Anche la mia Regina si sente spesso una povera pedina in balìa degli eventi?
"Vi vedo interessata", dice sorridendo la contessa di Polignac, mentre copre il suo sorriso mellifluo con il dorso della mano. "Il duca de Guiche è stato molto colpito dalla vostra bellezza e dalla vostra passione nel gioco. Vi osservava interessato, e oserei dire, ammaliato. Non vi nascondo che a un certo punto mi ha anche detto: "Le guance di quella donna si imporporano dimostrando per la roulette lo stesso fervore di una bambina per un nuovo giocattolo. Non voglio che questo suo ingenuo entusiasmo sia guastato da vili preoccupazioni materiali e mi dichiaro disposto a prendere su di me le sue perdite, e a ripianarle". Una grande fortuna, ne convenite, vero, Mademoiselle Cornaro? Certo, voi saprete bene che vi faccio un grande favore, e vi inviterei ad avere con il duca, quando sarete a tu per tu, parole di grande riconoscenza nei miei confronti. Non è un privilegio che tocchi a tutti, questo". Stordita da quel turbine di parole avvolgenti e sinuose come fiocchi di neve, oltre che consapevole di non avere altra scelta, annuisco, senza capire bene per quale motivo il duca de Guiche abbia avanzato questa offerta tanto generosa. Mi guardo intorno, in cerca di Girodelle, ma non lo vedo, e questo aumenta il mio senso di smarrimento, e prima ancora mi indispettisce: dove potrà mai essere? Nel frattempo, la contessa di Polignac si allontana, ondeggiando lieve, con la sua andatura che evoca il volo leggero di una farfalla. Che cosa avrà in mente? Mi sento addosso gli occhi di tutti, e cerco di contenere la mia agitazione , o almeno di dissimularla bevendo una dopo l'altra due coppe di champagne.
Si avvicina un valletto, vestito di trine e raso azzurro, e profumato di essenza di rosa tanto densa da essere stomachevole.
"Madame, il duca de Guiche avrebbe il piacere di sorbire con voi una tazza di cioccolatte nel salottino privato". Faccio cenno di sì, meccanicamente, e seguo il valletto per un lungo corridoio decorato con statue di Diana cacciatrice, Atteone sbranato dai suoi cani, Giunone che si slaccia la cintura della seduzione, Venere al bagno, amorini dormienti, ermafroditi mollemente distesi. Nelle orecchie mi risuona l'ultima raccomandazione della Contessa di Polignac "Ricordate di non guastarmi con il Duca, Madame" Il cuore mi sobbalza nel petto: che cosa richiederà il Duca? E' un uomo molto influente, poco devoto alla Corona e notoriamente buon amico del Duca d'Orléans. Il valletto apre una porta, e mi fa entrare in un salotto dalla tappezzeria nei toni del porpora. Un canapé dalle bordure dorate troneggia in mezzo alla stanza, fra stipi decorati, una statua di Venere al bagno e, in fondo alla stanza, cosa strana per un salotto privato, un letto dai cortinaggi rossi tirati.
Sul canapé, il Duca tiene le mani aperte, le dita accostate. Nonostante i suoi modi affettati,è palesemente incapace di dissimulare soddisfazione e impazienza.
"Madame, quale onore! Avete accettato il mio invito!".
Il valletto, indietreggiando senza volgerci la schiena, chiude silenziosamente la porta alle mie spalle, e si allontana. Sul tavolino davanti al canapé troneggiano due tazze di madreperla dal bordo dorato, decorate con scene bucoliche, in cui fuma una cioccolata dal profumo sopraffino, ma che mi risulta improvvisamente stomachevole. Il duca mi fa cenno di sedere accanto a lui, picchiettandola leggermente sulla seduta del canapé. Un gesto odioso, che si potrebbe riservare a una bambina, forse.
        Mi blocco; allora De Guiche si alza, viene verso di me, mi prende la mano, e io, a piccoli passi, lo seguo e mi siedo dove mi indica, la schiena rigida come una tavola di legno. Il duca De Guiche mi tiene la mano sinistra e non smette di parlare: "Mia dolce, mia diletta, mia colomba. Vi vedo così tesa, così tremante. State tranquilla, madamigella" (al "madamigella", un brivido mi percorre la schiena, perché temo, per un attimo, che all’epiteto faccia seguire il mio nome. Ma no :  nemmeno lui mi ha riconosciuta) Siamo soli qui, completamente soli. Potete rilassarvi, che dico ... dovete rilassarvi, e distendere i vostri fragili, delicati nervi, così scossi dalle emozioni del patetico gioco ». Accosta la mia mano alla sua bocca e la bacia sul dorso, un po’ più in basso, millimetricamente ma distintamente più in basso rispetto al punto in cui il galateo raccomanda di fare il baciamano, dove ho sempre avuto cura di posare le mie labbra quando ho sfiorato, negli anni, la mano della mia Regina, e di tutte le dame della Corte. Poi, il Duca gira la mia mano fra le sue e inizia a percorrermi il palmo con baci leggeri, su e giù, dalle dita sino al polso, e poi risalendo ancora. Il contatto di quelle labbra calde e viscide mi fa montare il disgusto, ma cerco di trattenermi. "Non restate così impalata, Mademoiselle. Venite da Venezia, vero? Ah, Venezia! La città della galanteria e dell'amore. Potrei raccontarvi molti aneddoti dei miei molti viaggi a Venezia, aneddoti piccanti, s’intende», e qui mi lancia un sorriso obliquo, «ma non vorrei farvi arrossire in modo disdicevole ; e poi, se devo dire la verità,  in tutta la città mai ho avuto la fortuna di incontrare una bellezza delicate e perfetta come la vostra».
        Adesso il duca mi prende le dita e le bacia, una per una, con esasperante lentezza, con labbra umide e sempre mormorando quelle che ritiene galanterie. Il mio disgusto per quel vecchio satiro raggiunge l'apice, ma cerco di dissimulare, pensando a cose familiari e piacevoli: l'alba ad Arras, le cavalcate su César, i duelli con André nella brezza del tramonto, io e André bambini intenti a sotterrare i nostri piccoli tesori nel parco di casa ... le braccia di André che mi stringevano per buttarmi in acqua mentre giocavamo in riva al lago, gli occhi di André... . Proprio in quel momento mi viene, ancora, quella idea folle: chi sa come ci si sentirebbe a osservare quegli occhi da sotto in su, magari tenendo la testa appooggiata a quel petto così ampio...così...basta. Che pensieri sono questi? Ricacciarli indietro, subito (Chi sa quante cuoche e cameriere hanno appoggiato la testa su quel petto, Oscar: e tu? Dove eri?). Basta! Inutile pensarci. Non voglio, non devo, non posso pensarci. Non adesso, almeno !
Mi riscuoto dopo quel mio breve estraniarmi, perché il duca mi sta parlando. Sento il suo alito caldo addosso, sul viso e sul collo, e ancora una volta devo controllare il senso di nausea, fortissimo.
        "Quanti anni avete, mademoiselle? Ventuno, ventidue? Oppure, non mi dite, già ventitré? Sarò franco con voi, mademoiselle: normalmente una donna della vostra età sarebbe trop vieille per i miei gusti", - gli rivolgo uno sguardo allarmato, mentre il duca fa seguire a quella dichiarazione d’intenti una risatina- "ma la cara contessa di Polignac, raccomandandovi alle mie cure, mi ha fatto notare la vostra pelle di pesca, come di bambina!". Avvampo, e, mentre pronuncia queste parole, il duca mi sfiora la guancia con l'indice, e mi sento fremere per lo schifo. Ma il duca non ne se avvede, e continua:"E poi, Madamoiselle, i vostri occhi di zaffiro, le vostre labbra fresche e rosee, il vostro collo virginale".., le sue mani mi percorrono il collo e il volto, scendendo sulle spalle, mentre mi sento combattuta: certo, mi sento rabbrividire di disgusto, e vorrei alzarmi, percuotere il duca, anche trafiggerlo con la spada, dato che non ho la spada, con lo stiletto infilato nelle giarrettiera; ma d'altro canto mi sento paralizzata dalla paura. Questo era dunque quello che proponeva la contessa di Polignac? Pagare così il mio debito di gioco? Impossibile! La contessa non può essersi ridotta al rango di prosseneta...di volgare mezzana. Mi sento tremare come una foglia: non posso reagire, scoprendo il mio bluff, ma non posso nemmeno restare così, inerte, incapace di reagire.
"Madamoiselle", si riscuote il duca, "preferite restare dunque su questo alquanto martirizzante sofà o non vorreste piuttosto concludere la nostra conversazione amicale in un luogo più acconcio?". Adesso il Duca è stato quanto mai esplicito. Non ha ancora finito di parlare che già mi ha afferrata per la vita e mi è rovinato addosso; è un uomo corpulento, e io sono impietrita. Se indossassi la mia divisa, non avrei problemi a reagire, e non ho dubbi che, nonostante la sua mole imponente, avrei facilmente ragione di lui. Non riesco a capire come, così vestita, io non riesca a trovare le forze e il coraggio per reagire. Intuisco che non è solo una questione relativa all'ingombro della crinolina o alla limitazione dei movimenti che mi causa il busto. Ma non ho tempo per meditare questi pensieri che mi attraversano velocissimi la testa. "Aiuto! Lasciatemi o chiamo aiuto!", sono le sole parole che mi escono di bocca. Come una donna. Come una donnicciola...
In quel momento la porta si spalanca. De Guiche si blocca, alzando la testa, e anche io, puntellandomi alla spalliera del canapé, alzo gli occhi: e sulla soglia vedo, trafelato, Girodelle.
"Visconte de Girodelle", dico in un soffio.
"Madamigella Cornaro!". Lo sguardo del mio sottoposto è più eloquente di mille parole, e ammiro la padronanza di sé con cui non si è lasciato sfuggire il mio vero nome.
"Ecco a voi le diecimila livres per saldare il vostro debito di gioco", afferma. E lancia il sacchetto con le monete ai piedi del duca.
"Screanzato, villano rifatto!      Come osate, voi, un insignificante visconte, interrompere i piaceri di un duca? Uscite immediatamente da questa stanza!". Il duca è furioso, ma riesco a trovare la prontezza per rialzarmi.
« Dove credete di andare, mademoiselle Cornaro ? »
« Dato che il Visconte Girodelle è stato così generoso da fornire le diecimila livres per ripianare il mio debito, credo che non abbiamo più nulla da dirci. Vi porgo i miei omaggi, duca. Salutatemi la contessa di Polignac»
Dopo un inchino frettoloso, mi allontano seguita da Girodelle. Con la coda dell’occhio seguo oltre la porta rimasta aperta i movimenti del duca, che calpesta in preda all’ira le monete d’oro sparse sul tappeto.
Mentre Girodelle mi conduce verso l'uscita, tenendomi per il polso, per asseverare la finzione della giovane fanciulla salvata dalle grinfie di un nobile vizioso (e non è forse vero?, mi sussurra la vocina in fondo alla mia coscienza), vediamo uno spettacolo interessante: in un angolo del corridoio, in una nicchia, la contessa di Polignac sta parlando con Alfonso, il croupier. Ci fermiamo, acquattandoci dietro una statua.
"Bravissimo, Alfonso! Mi avevano magnificato la tua abilità, ma sono sempre più soddisfatta. Tieni, questi sono per te", e un sacchetto con un suono di monete che cozzano fra loro passa dalle mani di lei a q uelle del croupier"
"Dovere, contessa. Voi siete sempre stata molto generosa con me".
 Venerdì prossimo a Versailles dovrai dare il meglio di te. Il biglietto con i nomi di chi dovrà vincere quando la Regina giocherà come sempre domani sera a mezzanotte nella faretra della Diana in fondo al corridoio".
"Di chi, contessa?Non ho capito bene".

"Ricorda, Alfonso: Diana è la statua con il cervo, i cani e l'arco. Tu cerca nel contenitore delle frecce".
"Certo, contessa"
"Mi raccomando: a mezzanotte, non un minuto prima, non un minuto dopo".
"Certo, contessa: vedrò di allontanarmi al momento giusto dalla roulette con un pretesto".
"Bravissimo Alfonso".
Li osserviamo allontanarsi, e prendere strade diverse, per rientrare nella sala della roulette senza dare adito a chiacchiere. Girodelle e io ci guardiamo con un cenno di intesa: dunque è vero che la contessa di Polignac sta truffando sistematicamente la Regina al tavolo da gioco. E magari, in quelle serate in cui la depreda di migliaia di livres, ne approfitta per indirizzare le vincite nelle tasche di questa o quella dama di corte, per beneficiare le sue amiche e crearsi una solida rete di conoscenze. Mi sento fremere di sdegno: se solo avessi potuto, avrei preso a colpi di spada, o di stiletto, sia quell'Alfonso che quella miserabile della contessa di Polignac.
Una volta saliti in carrozza, sono talmente adirata che non riesco a dire nulla a Girodelle se non: "Dobbiamo prendere quel biglietto, Girodelle".
"Non prendetevi pensiero per questo, Madamigella. Potrò senza difficoltà impadronirmene una volta tornato al Casinò".
"E voi vorreste entrare dalla porta principale, Girodelle? Dopo quello che è accaduto? Non so quanto sia saggio!".
"Madamigella Oscar, vi devo rivelare che sono un frequentatore piuttosto assiduo del Casinò; credo dunque che, data questa mia consuetudine con il gioco d'azzardo, sarebbe molto più sospetta la mia assenza che non la mia presenza"
"Anche dopo una simile piazzata?", chiedo dubbiosa.
"Soprattutto dopo una simile piazzata!", esclama Girodelle. "E così, domani, poco prima di mezzanotte, mi approprierò del biglietto con le indicazioni della contessa per il croupier".
Annuisco, gravemente.
"Va bene, Girodelle. In questa questione vi lascio piena autonomia d'azione".
Non vorrei mai ammettere, infatti, che anche solo l'idea di tornare al Casinò, in quelle sale e quei corridoi che mi hanno vista così debole e umiliata, come un oggetto di cui si può fare compravendita, mi è odiosa.
 E men che meno potrei pensare di tornarci con André.
No. Non potrei nemmeno immaginarlo.
Girodelle mi sta ancora fissando. Non mi sono mai sentita così a disagio nel viaggiare in carrozza con qualcuno.
"Madamigella Oscar, io vi devo delle scuse", inizia.
"Scuse? E perché mai? Siete anzi stato risolutivo", rispondo.
« No, Madamigella Oscar, voi dovete perdonare il mio ritardo» ; sussurra Girodelle « ma avendo capito a che cosa mirassero la contessa e il duca, mi sono precipitato dal mio amministratore per farmi consegnare tutta la cifra in contanti » 
Annuisco  ancora unan volta, cerco di assumere un contegno tranquillo; ma, insieme, noto che ha ripreso a rivolgersi a me con l'appellativo di "Madamigella".
« Avete fatto bene, Girodelle. Non credo che il duca si sarebbe contentato di una cambiale o di una promessa di pagamento ».
« Per me è stato un stato un piacere, Madamigella, e un onore. Non avrei mai permesso che vi venisse torto anche soltanto un capello ». Mi prende la mano e la bacia, con trasporto, con devozione e delicatezza, sfiorandola appena con le labbra.
Provo un invincibile imbarazzo e ritraggo la mano, cercando però di dimostrarmi asciutta e padrona della situazione.
« Girodelle », gli dico, « nessuno può sentirci, qui : potete far cessare la vostra nobile finzione ».
Girodelle sembra mortificato. Mi lascia la mano e, per tutto il tragitto, restiamo in silenzio, guardando fuori dal finestrino della carrozza lo sfavillio delle ultime stelle, che si spengono una a una cedendo il posto al giorno.
 
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Avevamo lasciato Oscar dentro il Casinò, oggetto di sgradite attenzioni da parte del Visconte di Valmont e combattuta fra il desiderio di reagire, come sempre ha fatto nella sua vita, e la necessità di mantenere la sua copertura, tesa fra la prudenza e la necessità, per il bene della sua missione, di sembrare una dama inesperta del mondo, che gioca e perde con troppa leggerezza. Ebbene, direi che il piano non era senza falle..... per cui ho riesumato l’odiosissimo Duca de Guiche. E. per una volta, ringraziamo Girodelle per il suo pronto intervento.
Ve l’avevo detto che si trattava di un feuilleton, vero ? Ma attenzione : sterzata in vista !  Brusca sterzata, direi. A presto !!
   
 
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