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Autore: Ghostro    27/02/2022    1 recensioni
Questa storia prende spunto dal contest Riddikulus di Fiore di Cenere
Le vicende si svolgono durante gli eventi del quinto libro della saga. Damien Kiran, giovane Tassorosso, durante una punizione notturna nella Foresta proibita fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita. Lui e i suoi amici si troveranno alle prese con il furto di un artefatto antichissimo e proibito capace di strappare alle persone la loro risorsa più preziosa: l'amore.
Genere: Azione, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Il DIAVOLO
 
 
Dolores sorseggiava lentamente dalla sua tazza di tè. Gli studenti Kiran, Gallagard, Rodriguez e Lovegood erano disposti in fila davanti a lei, con accanto Severus Piton.
«La Traccia ha avvertito che voi quattro avete adoperato la magia fuori dalle mura scolastiche. Posso sapere, cari fanciulli, in che modo siete giunti fino a Notturne Alley e perché avete creato dei disordini insieme a dei criminali?»
Odiava i mocciosi, in particolar modo quelli che si ostinavano a violare le sue regole e metterla in imbarazzo. Aveva accettato la cattedra di Difesa contro la arti oscure pur sapendo che l’equilibrio delle sue giornate sarebbe stato disturbato da marasmi e polemiche infantili, ma Potter era la chiave per incastrare Silente e non c’era nessuno, più di lei, che avesse a cuore la missione di aprire gli occhi a Caramel. Ora che ricopriva la carica d’Inquisitore supremo, il suo potere non poteva essere messo in discussione all’interno delle mura del castello, men che meno il preside. Al di fuori, tuttavia, scoprire che tre minorenni erano evasi sarebbe stata una cattiva pubblicità. Caramel le aveva dato carta bianca, ma l’opinione pubblica non poteva essere controllata con qualche decreto. Necessitava di una spinta, forte. Fare troppo rumore nel modo sbagliato avrebbe minato la sua credibilità e per estensione i metodi che stava disperatamente cercando d’inculcare in quelle teste vuote. Per di più, un professore era finito in infermeria a causa di circostanze non ancora chiarite. Ai confini della Foresta proibita.
«Temo sia colpa mia, professoressa.»
Dolores preferì nascondere la sua reazione furente dietro un altro sorso. Tre di questi li aveva già identificati come studenti problematici. Avrebbe fatto i conti con ciascuno di loro, ma in un altro momento. Kiran, d’altro canto… L’aveva studiato attentamente nelle settimane trascorse dal suo insediamento. Era un ragazzo debole e tristemente ingenuo. Molto vicino alla tragedia che si era consumata solo qualche mese prima.
L’omicidio di Cedric Diggory, l’ascesa di Lord Voldemort. Bugie e inganni.
Era il ragazzo perfetto per svelarli.
«Sì? E in che modo sarebbe stata colpa tua?»
Ciò che Damien Kiran le raccontò andava ben oltre ogni sua più torbida previsione. Pur di non incrociare gli occhi di Severus Piton, lasciò che la sua espressione diventasse dura come la pietra.
Dannato Mangiamorte! Era certa che dietro le azioni del suo cane ci fosse Silente, e si diede della stupida. Potter era solo una pedina, ce n’erano altre che si muovevano per conto del preside. Aveva già notato l’assenza di Rubeus Hagrid, e se c’era una cosa che lo accomunava al viscido verme che se ne stava lì impalato era che Silente li aveva salvati da una condanna ben peggiore della morte; era stato magnanimo con loro come con la figlia della Mangiamorte Ramona Rodriguez. C’erano troppi fedeli e potenziali criminali che si aggiravano indisturbati tra quelle mura.
Urgeva un’epurazione.
Posò la tazzina sulla scrivania. «Fatemi capire. Non molto tempo fa voi fanciulli sareste stati attaccati da una setta di maghi malintenzionati. Avete messo al corrente il qui presente professore dell’accaduto e, temendo per la sua incolumità, l’avreste seguito temendo che fosse in pericolo.» Dovette rivolgersi a lui. «Silente ne è al corrente?»
«Non ancora.»
Molto comodo che il galoppino del preside si assumesse ogni responsabilità. «Dunque hai deliberatamente omesso di metterci al corrente.»
Severus Piton non batté ciglio. «Mi risulta che gli studenti in questione fossero in castigo. E come Inquisitore, le rammento, è bene informata sulla portata delle difese che può vantare questa scuola. Era piuttosto interessata sull’argomento, perciò saprà bene quanto me che non c’è prova a sostegno del loro racconto. Per quanto mi era dato sapere, potevano mentire per rifuggire il castigo.»
«Ma non è così. Vero?» controbatté velenosa. «E devo dedurre che già avevi più di un sospetto, se hai convocato il giovane Kiran di primo mattino.»
«Ho interrogato Kiran perché i suoi voti stavano precipitando e perché l’ho sorpreso spesso aggirarsi insonne in giro per il castello, nelle ultime notti. Ciò mi ha portato a supporre che potesse essere l’autore delle visite illecite che di recente affliggono la sezione proibita.»
Dolores si accigliò. «Come hai detto?»
«Gazza non glielo ha riferito? Sono giorni che la sezione proibita viene violata, ogni notte.»
Dovette raccogliere di nuovo la tazza di tè e placare il tremore iroso delle sue mani. Lurido Magonò. Inaffidabili e sporchi come il loro sangue. Chiuse gli occhi e indugiò per il tempo di un sorso. Se non poteva fidarsi nemmeno dei pochi che si erano schierati apertamente dalla sua parte, mettere ordine sarebbe stato oltremodo problematico. «Immagino che la tua assenza sia dovuta a questo. Quanto a Notturne Alley?»
«Metropolvere. Inseguivo un sospetto. Immagino che uno di loro tre mi abbia scoperto e poi avvertito gli altri. E quando sono tornato indietro, smarriti, avranno visto nel pub della signorina Rodriguez un posto dove restare al sicuro.»
«E che mi dici di te?»
«Credo che il visitatore della sezione proibita si aggiri in questo castello. Come Inquisitore supremo, dovrebbe essere lei a prendere dei seri provvedimenti per la sicurezza dei nostri confini.»
Il veleno dentro di lei lo sentiva crescere e dimenarsi. Sapeva riconoscere una menzogna quando ne ascoltava una, ma fino a prova contraria aveva le mani legate. Quegli studenti non avevamo fiatato ed era certa che avrebbero negato fino alla morte, se interrogati attraverso metodi convenzionali. Ciò che poteva fare al momento era proseguire con i suoi intenti e potenziare la sicurezza. A partire dalla messa sotto discreta sorveglianza di tutti i punti d’accesso alla Metropolvere.
«Lasciatemi parlare in privato con il giovane Kiran.» Ma si tolse un sassolino. «A proposito, signorina Rodriguez» esalò con tutto il rammarico che poté fingere. «Temo che non potrò permetterle uscire da questo istituto, nuovamente. A nome della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, i suoi permessi sono revocati.»
Adorava vedere il cuore di quegli immorali piccini infrangersi in mille pezzi. «Cosa?!»
«È naturale, cara. Alla luce di ciò mi è appena stato riferito e dei pericoli che avete dovuto affrontare, mi sembra una decisione inevitabile.»
«Inevitabile?» ringhiò lei. «Se posso permettermi di restare in questo istituto, è solo…»
«I suoi problemi non possono mettere a rischio l’incolumità degli studenti.» concluse lapidaria. Prima di aprirsi in un sorriso rassicurante. «Fino a prova contraria, lei è uno studente. Lo sto facendo per il suo bene.»
 
C’era voluto tutto l’impegno di Piton per evitare che quella selvaggia le saltasse addosso. Alma Rodriguez. Solo sentire quel nome le dava il voltastomaco. C’era quando il Wizengamot aveva condannato sua madre a scontare un ergastolo ad Azkaban. Dalla figlia di un mago oscuro non poteva che aspettarsi lo stesso temperamento criminale. Ma avrebbero fatto i conti, oh sì.
A cominciare da Damien Kiran.
«Io ti credo, caro ragazzo» soffiò, con tutto il tatto che poteva. «Ma devi capire che è compito degli insegnanti, quello di proteggervi. Se temevi che il professor Piton stesse agendo in modo poco raccomandabile, dovevi riferirmelo.»
«Professoressa, io non ho mai detto…»
Lo fece tacere con un gesto della mano. Dolores si alzò, per guardare fuori dalla finestra. «Sono costernata per ciò che è accaduto al giovane Diggory. Mi dicono che eravate in buoni rapporti.» Lo vide annuire attraverso lo specchio. «Ovviamente sappiamo entrambi che a ucciderlo non è stato un sedicente mago oscuro.»
«È stata la magia» rispose lui, cupamente.
Curvò le labbra in un sorriso astuto. «Esattamente.» Annuì e si voltò. «Esatto. Una magia, invocata da qualcuno. Ma chi?»
Damien Kiran drizzò la testa. Sembrava uno stupido scimpanzé. «Come?»
Dolores gli posò la mano sulla spalla. «Voglio svelarti un segreto. La mia presenza in questo castello si deve a un’importante indagine. Il Ministero vuole vederci chiaro sulla tragica scomparsa di Cedric Diggory. C’è chi mente tirando in ballo Tu-sai-chi, chi crede sia stata opera del Labirinto. Ma se ti dicessi che c’erano ben tre Mangiamorte quel giorno… e che uno di loro è appena uscito da questa stanza?»
Il ragazzo sgranò gli occhi. «Temo di n-non aver capito.»
«Sì, invece. Severus Piton era un Mangiamorte. Come Igor Karkaroff, fervente sostenitore del suo pupillo Viktor Krum. E il tuo vecchio insegnante di Difesa contro le arti oscure, Malocchio, si è scoperto essere un impostore. Non hai pensato che fosse piuttosto insolito per un professore insegnare le tre Maledizioni senza perdono a degli studenti così giovani? Riesci a concepire quale pericolo rappresenti tutt’oggi? E se un minorenne, incosciente della gravità delle sue azioni, usasse a sproposito uno solo di questi incantesimi?» Si avvicinò al suo orecchio. «E se fosse accaduto e qualcuno stesse cercando di nasconderlo?»
Mentre si allontanava per guardarlo in viso, capì di averlo portato dove voleva.
«Sì, giovane Kiran. Silente nasconde molti segreti ed Harry Potter potrebbe essere la chiave per svelarli. Ma ho bisogno di prove per poter agire come un ufficiale del Ministero, e non come Inquisitore. Portamele e dimenticherò ciò che è accaduto questa notte.» Per il momento la sua priorità era smascherare Silente e non cedere i suoi inganni.
 
*
 
Richie si sentiva ancora scombussolato dai recenti avvenimenti.
Prima la punizione nella Foresta proibita, poi l’inseguimento di Piton fino a Notturne Alley, la rissa da bar, il richiamo della Umbridge. Per non parlare dell’esperienza più terrificante di tutte: essere trascinati per la collottola da Piton in persona nel suo ufficio, subito dopo che Damien era uscito dalle stanze dell’Inquisitore. O peggio ancora: guardarlo negli occhi mentre gli restituiva i resti scomposti della sua vecchia scopa.
Avrebbe voluto morire in quell’istante.
Fece di tutto pur di non sostenere il suo sguardo da brividi. «Mi scusi…»
Quell’ufficio sapeva di caccole, di muschio e di fumo. Perlopiù provenienti dai resti della scopa che aveva trovato e sequestrato durante la fuga, come garanzia che non succedesse qualcosa alla macchina; con la sua signora era stato amore a prima vista, non avrebbe permesso a nessuno di separarli.
Piton non disse una parola. Forse come ringraziamento per avergli salvato le chiappe pallide, oppure perché l’aria che tirava lì dentro non era delle migliori. E non solo per merito dello sguardo raggelante del professore. Non sapeva cosa fosse preso a Damien: guardava Piton con un gelo davvero insolito per un tipo pacifico come lui.
«Spero che vi siate resi conto del pericolo corso questa sera.»
Nessuno aprì bocca, lasciando aleggiare nella stanza un silenzio imbarazzante. Richie avrebbe desiderato ardentemente allentare il colletto della camicia, ma aveva paura di muovere un solo muscolo che fosse uno; nella sua testa c’era la certezza che avrebbe preso fuoco all’istante nell’attimo in cui avesse, anche solo per sbaglio, distolto gli occhi dagli arredi dell’ufficio.
«Ve lo chiederò una volta soltanto: c’è qualcosa che avete omesso di rivelarmi?»
«No» rispose prontamente Damien.
In realtà ci sarebbe stata una certa bacchetta blu da menzionare.
Richie rabbrividì vedendo Piton muovere il braccio e aprire il cassetto della scrivania. Tirò fuori quello che gli sembrava un diario simile a quelli di Damien; per un momento la sua mente fu attraversata dallo sconfortante pensiero che entrambi si rifornissero dalla stessa edicola, e si appuntò mentalmente di non tornarci mai più.
«In tal caso, lasciate che vi renda partecipi di ciò che ho scoperto. Pare che i Fondatori di quest’antica scuola abbiano scelto questo luogo ignorando, o scegliendo di farlo, un’antica leggenda. Stiamo parlando di migliaia di anni fa. All’epoca, gli storici della magia sostengono che il confine tra maghi e babbani non fosse netto come lo è oggi. Le prime famiglie Purosangue si pensa non avessero ancora visto la luce e il concetto stesso di civiltà magica era assai labile.»
«In pratica parliamo dell’Età della pietra.» Piton lo trafisse con un’occhiata repellente. «Mi scusi…»
«I maghi in questo paese erano chiamati druidi. Erano rispettati e temuti. La magia che è stata trascritta in questo diario è priva di formula. In realtà, rappresenta l’estratto di un antico mito, copiato deliberatamente da un tomo della sezione proibita. Si narra di un druido oscuro. Nella lingua antica, il suo nome può essere interpretato come l’Amato.»
Richie e Damien si guardarono confusi.
«Saprete, mi auguro, che nel mondo magico esistono persone dotate di talenti fuori dall’ordinario. Capacità innate che nemmeno il più elaborato degli incantesimi può replicare. Salazar Serpeverde era in grado di parlare con i serpenti, così come l’Oscuro signore. La vostra compagna Rodriguez possiede un altro di questo talenti e così l’Amato. Un uomo che si narra sia stato cresciuto… dai Dissennatori.»
Rimasero ammutoliti.
«Crescendo tra loro, imparando a cacciare sotto la loro ala protettiva, egli riuscì a inventare un incantesimo oscuro capace di replicare il Bacio di un Dissennatore. Se questa magia esista o sia solo un mito, non è chiaro.»
«Aspetti. Cosa significa che può replicare il Bacio?»
Piton non ebbe alcuna esitazione. «Straziare la mente di una persona. Succhiarne via ogni linfa di emozione e vita. Infine, anche l’anima. Spesso l’Amato si serviva di questo presunto incantesimo per nutrirsi dei suoi fedeli. Ciò che restava erano esseri vuoti, del tutto privi di emozioni o arbitrio. Da questo, il nome Invasati.»
La storia faceva così spavento che Richie era certo che non ci avrebbe mai creduto. Ma mai nella vita. Nell’agitazione di trovarsi ad affrontare certi discorsi, si mosse a disagio sulla sedia e involontariamente il suo braccio toccò quello destro di Damien.
Successe una roba psichedelica. C’era qualcosa di rigido tra le pieghe dei suoi abiti. Toccandolo, era stato attraversato da un’immagine raccapricciante: un uomo, circondato dai Dissennatori. Le mani di centinaia di quegli esseri erano posate sulla sua figura slanciata, in un abbraccio fatto di dita scheletriche. Tra le mani aperte di quell’uomo c’erano due globi luminosi verso i quali quelle creature si protendevano come in una scena raffigurata in un quadro. Il sorriso di quel tipo gli rimase stampato in fronte, era triste e inquietante nello stesso momento.
Durò un battito di ciglia.
Ovviamente diede la colpa ai fumi allucinogeni che libravano indisturbati nella stanza.
Le labbra di Damien si piegarono in una smorfia dura. «Ci sono prove di quello che dice?»
«Temo di sì» rispose Piton, per nulla intimidito dall’indisposizione del ragazzo. «Professi la tua innocenza ed in questo momento non ho prove del contrario. Dobbiamo dunque considerare la possibilità di un ospite indesiderato che si stia aggirando nella scuola. Non visto.» Quando si alzò in piedi, Richie reagì d’istinto trascinandosi indietro di qualche metro con tanto di sedia, facendo un gran baccano. «Gli Invasati sono maghi. È probabile che le loro caratteristiche particolari siano la causa della falla nelle difese scolastiche. Il preside e chi l’ha preceduto non hanno mai dovuto proteggersi o respingere dei maghi privi di un’anima. Essi tuttavia non sono maghi e non sono babbani. La loro esistenza rifugge le consuete leggi naturali.»
«Se sono senz’anima, non dovrebbero essere… m-morti?» chiese, con un filo di voce.
«Come detto, non c’è alcuna certezza.» Piton si voltò verso Damien. «Quella sera hai chiamato Invasati i maghi che vi avevano attaccati. Un nome piuttosto singolare per definirli. Posso conoscerne il motivo, signor Kiran?»
«Anche Mangiamorte è un nome piuttosto caratteristico. Posso sapere come è venuto in mente a Tu-sai-chi, signore?» Damien ripagò il sarcasmo di Piton con la stessa moneta.
Rich si sentì tremendamente un incomodo mentre quei due si guardavano in cagnesco.
L’imbarazzo si stava protraendo un po’ troppo per i suoi gusti. Decise d’intervenire e tirare Damien per il colletto della divisa fino a farlo cadere goffamente, insieme a tutta la sedia. «Senta, professore. Abbiamo passato la notte a fuggire per i vicoli da criminali, o come si chiamano, e uno Schwarzenegger che ho dovuto evitare mi uccidesse giocando a Twister con delle note musicali che mi ballavano sotto i piedi. Lei sa che mi mette i brividi e io so che lei sa, e lo sa anche Damien. Ma siamo esausti e francamente dubito che potremo esserle d’aiuto in questo stato. Perciò ci mandi a dormire. O in castigo. Ci tolga punti. Insomma, faccia quello che vuole. Ma, per favore, la scongiuro, lo faccia prima che la Umbridge si accorga che siamo qui. Sappiamo entrambi che nessuno ha usato la Metropolvere.» Passarono altri secondi di assoluto silenzio. «Mi scusi…»
«Molto bene. Tornate al vostro dormitorio. Ma sappiate… che vi terrò d’occhio.»
 
~
 
«Dunque, vediamo se ho capito bene» disse, mentre procedevano infagottati nei loro cappotti, cappelli, guanti e ogni diavoleria potesse tenerli al caldo tra le strade ormai innevate di Hogsmeade. «In quella grotta c’erano una pozza di sangue e un bracciale vivente.»
«Sì.»
«E dentro questo coso c’è l’anima del vecchio più incartapecorito del mondo.»
«In teoria sì.»
«E si tratta di una magia oscura che ti può controllare il cervello.»
Damien annuì. «Ah-ha.»
«E Terminator, che a quanto pare ha le mamme Dissennatore, ha un bracciale gemello ed è a capo di questi Invasati.»
«A quanto pare.»
«E se non lo rimetti al più presto in quella grotta potrebbe diventare il Don Vito Corleone della terza età. Cosa che non è molto rassicurante, dal momento che c’è gente che giura sia tornato anche Tu-sai-chi.»
«È possibile.»
Sorrise malizioso. «Quindi dentro quel bracciale c’è l’idiota di questa storia.»
«Forse.» Damien non fece in tempo ad accorgersi del tranello e mordersi la lingua. Emise un lamento e si tastò il braccio come se qualcuno gli avesse dato un pugno. «Ouch! E piantala, almeno tu, Rich! Non hai un briciolo di pietà? Guarda in che situazione del cavolo mi trovo!»
No: quello era un gran bel casino, uno coi fiocchi.
«Beh, guarda il lato positivo» cominciò, dopo aver smesso di ridere.
Damien lo trafisse con un’occhiataccia. «Illuminami.»
«Puoi combattere come un Auror. Puoi farti insegnare tutti i trucchetti che quei libri per bambini del Ministero non spiegano, e invece di farti mettere la testa nel gabinetto potresti far germogliare dei gabinetti intorno alle teste di Tiger e Goyle. Mandare Piton vestito come la nonna di Paciock in giro per la scuola...»
«Finiscila» gli rispose, divertito.
«Creare», saltò su un muretto e fece ondeggiare le dita come se fossero bacchette di un direttore d’orchestra, «un leggiadro campo fiorito nel bel mezzo della torre d’Astronomia, dove la tua biondina preferita possa spiegarti perché Gorgorgilli bevono lo Spritz.»
«Credo che li abbia chiamata Gorgosprizzi.»
«Chissene come li ha chiamati, Dam!» Scese di nuovo per affiancarlo. «Il punto è che, se riporti a nanna il tizio della bacchetta nera e ti tieni quella blu, potresti fare una vita da figo assoluto e lui… Beh, una vita. T’immagini cosa possono essere migliaia di anni chiusi in una tomba? Tipo che si è perso le cose migliori della nostra epoca.»
«Tipo? E bada che non te lo sto chiedendo io.»
Poggiò l’indice sull’altra mano aperta. «Le macchine.» Il medio. «I motori.» L’anulare. «Rambo.» Il mignolo. «Praticamente tutte le cibarie e i condimenti che rendono il cibo… Beh, cibo commestibile.» Infine, il pollice. «E ovviamente D&D. Siamo fermi da un po’ su di D&D, vero?»
Damien sbatté le palpebre. «Sai, mi ha sempre conturbato l’idea che ci raduniamo ogni fine settimana per giocare in mondo fantasy immaginario quando…», mosse le dita da una parte all’altra come per ribadire il concetto, «la nostra realtà di tutti i giorni è effettivamente un mondo fantasy.»
«Già. Così è la vita, che ci vuoi fare.» Camminarono in silenzio per qualche secondo. «Vuoi giocare stasera?»
«Ho promesso a Glyn che l’avrei aiutato a rimettere in cantina questo Amato. Sai: i criminali, l’inseguimento dell’altra sera, il rischio mortale che abbiamo corso già due volte, Terminator…»
«Capisco. Già che ci sei, sgraffigna tu qualcosa dalla cucina stavolta.»
«Guarda che ti sto dicendo che non vengo.»
«E va bene, va bene. Quante storie che fai! Stavolta non inviteremo Lucilla e Zabini. Ma devi davvero fartela passare. Sono serpeverde. È normale che vogliano ruolare personaggi astuti e dalla lealtà ambigua. Non è colpa loro se sei finito sotto un vulcano, nelle fauci di un drago o che so io. Tu sei un credulone.»
Damien sospirò. «Puoi tornare serio per un momento?»
Si fermarono.
Letteralmente c’erano delle persone che stavano andando verso la Testa di porco invece che ai Tre Manici di Scopa: Luna, Ginny Weasley e Neville Paciock. Insomma, non dei novellini del terzo anno. Perché solo gli sprovveduti del terzo anno potevano andare a curiosare in quella bettola, senza arrivare all’epifanica soluzione che, se il locale sembrava dismesso e deserto, c’era un motivo.
C’era la seppur labile possibilità che Luna Lovegood avesse convinto gli altri due a giocare ai magizoologi, anche se non capiva perché una ragazza carina come la Weasley dovesse sprecare il suo tempo con l’amica corvonero invece che spupazzarsi il suo ragazzo corvonero; il suo cervello, per natura tarato in modalità consuocera, lavorò alacremente per trovare una soluzione all’enigma.
Luna si accorse di loro. Fece verso di loro un lievissimo cenno di saluto, e un sorriso, mentre proseguivano in quella direzione.
«Non trovi che la neve all’improvviso sia molto più bella?»
«Assolutamente» rispose Richie, anche lui perso nel suo mondo. «Non c’è niente di meglio che spifferare del bianco in cui un certo Michael Corner sta per essere mandato.»
«Rich, sei un Tassorosso. Che diamine!»
«Oh, andiamo! Come se fosse chissà quale sorpresa. Una ragazza che ha sei fratelli maggiori iperprotettivi? Se non lo molla lei, sarebbe scappato lui. E poi… c’è Harry Potter.»
«Cosa c’entra Harry Potter?»
Richie ruotò il viso di Damien. Poco dopo che Luna e la sua compagnia erano spariti dietro le abitazioni del paesello, ecco passare Harry Potter, Hermione Granger e Ronald Weasley, impegnati a percorrere la stessa strada.
Era stato un po’ lontano dal concistoro del gossip ultimamente, per cui le notizie non erano più fresche come una volta. L’anno scorso il pentagono amoroso tra Potter, Granger e Chang, Cedric e Krum, aveva tenuto banco per mesi, ma quest’anno, complice l’ascesa di quella puritana della Umbridge, non c’erano più le notizie succulente di una volta. Harry Potter, la star della scuola, era in rotta di collisione contro un asteroide chiamato Ministero neo-fascista della magia e dicevano che ultimamente era un po’ schizzato. La Granger l’anno scorso era diventata per qualche mese una donna vera, e non quella specie di calcolatore umano mandato da Skynet nel passato per uccidere Sarah Connor.
Weasley era simpatico, però. Eccetto quando qualcuno cominciava a fare troppi complimenti alla sorellina in sua presenza. Ah, quanti ragazzini pieni di sogni e occhi a cuoricino erano stati spaventati a morte dal più giovane del casato Weasley. Un po’ si sentiva in colpa nei loro confronti, ma era troppo divertente spifferare a Ron chi avesse detto cosa riguardo Ginny e vedere cosa succedeva.
Sì, Richie si riteneva un piccolo, innocente diavolo.
Tornando a rivolgere le sue attenzioni verso Damien, non lo trovò più al suo fianco. Si era avvicinato all’angolo di una casa e sbirciava la comitiva che era appena passata.
«Ehm, posso sapere cosa stai facendo?» chiese, dopo averlo raggiunto.
Damien gli fece segno di tacere. Sembrava interessato al trio più esclusivo della scuola e fece addirittura per muoversi verso un altro vicolo per pedinarli.
«Ehi!» Una voce arrabbiata li fece scattare come gatti davanti a un cetriolo.
Alma Rodriguez li stava raggiungendo a grandi falcate e non sembrava affatto per scambiare quattro chiacchiere. Prese Damien per il bavero della giacca con entrambe le mani e lo sbatté contro il muro con una tale forza da staccarlo per un attimo da terra.
«Proprio te cercavo, razza di stupido imbecille che non sei altro!»
«A-Alma! E-Ehi! Ascolta, io…!» Un pugno in pieno stomaco lo piegò in due. Successe tutto così in fretta che Richie non riuscì nemmeno a reagire. Alma gettò Damien nella neve facendolo ruzzolare e sporcarsi tutto. «Razza di bastardo, è tutta colpa tua!»
Il resto non seppe davvero descriverlo. Vedere il suo amico a terra, ridotto a boccheggiare e tenersi lo stomaco, gli mandò il sangue al cervello. «Ehi!» Spinse malamente quella scema di una corvonero con entrambe le braccia. «Che razza di problemi hai, stronza?!»
«Tu non credere di passarla liscia, Gallagard. Ce n’è anche per te!»
«Davvero?» Arrivarono presto ad affrontarsi viso a viso, fino a far cozzare le loro teste. «Allora scopriamo quanto è duro il tuo testone da secchiona.»
«Finitela» biascicò Damien, mentre tossiva.
Avevano entrambi occhi spiritati e la voglia di menar le mani.
«Per colpa vostra non potrò più lavorare. E se non posso lavorare, chi me le paga le esercitazioni e la retta di questa scuola?»
«Secondo te mi frega qualcosa? Forse non l’hai notato, cervellona, ma ci volevano accoppare. E poi che razza di cantante è uno che s’imbosca in mezzo ai criminali? Fatti il favore e trovati un lavoro onesto la prossima volta.»
Alma lo spinse con una forza considerevole. «Prova a ripeterlo. Tu prova solo a ripeterlo!»
Richie allargò le braccia. «Se hai una penna te lo sottoscrivo!»
Fu così che le ostilità si trasformarono in una vera e propria rissa. Rodriguez gli saltò addosso e finirono insieme a rotolarsi nella neve, combattendo con le unghie, pugni, prese al collo. S’insultarono a vicenda, strinsero i denti e non si diedero tregua.
«Immobilus!»
Una forza superiore li bloccò all’istante. Alma era sopra di lui, ma nessuno dei due poté fare altro se non guardare l’altro in cagnesco. Damien la prese delicatamente e la spostò fuori dal suo campo visivo. Quando permise a entrambi di tornare a muoversi, Richie lo trovò in mezzo a loro, a guardare prima l’uno e poi l’altra.
«Mi dispiace, Alm» iniziò. «Davvero, mi dispiace. So che diventare una Cantante magica è il tuo sogno e sono pronto a giurartelo: non lo sapevo. Non lo sapevo» continuò, mentre questa si alzava in piedi.
Rodriguez si spazzò via la neve dagli abiti. Cercava di nascondere il luccicore dei suoi occhi, ma tirare su con il naso smascherava i suoi veri sentimenti.
Non durò che un attimo, quel momento di fragilità. Quando tornò a guardarli, lo fece con una rabbia che rasentava l’odio. «Nessuno di voi due può capire quello che mi è successo. Per colpa vostra, adesso mio padre dovrà rimettere a posto tutto il locale e io non so nemmeno se… Sei morto per me, Damien. Hai capito? Morto!» La sua voce si stava incrinando, le labbra tremavano.
Richie la vide andarsene mentre si rimetteva in piedi. «Le ragazzine sono tutte delle sclerate.» Fu il suo commento, mentre si liberava della neve. «Tu almeno stai bene, Dam? Dam?»
Era silenzioso. Imbambolato sulla orme della strega che s’era appena andata.
«Dobbiamo scusarci con lei, Rich.»
«Sei impazzito?» Gli corse davanti, tagliandogli la strada. «Ha cominciato lei, non mi scuserò con un pazza che colpisce la gente a caso.»
«Dobbiamo farlo» predicò lui, con pazienza.
Richie si accigliò. «Hai presente che ho appena lottato nella neve per te? Non farmi arrabbiare, amico. Non è proprio aria.»
Certe volte, gli occhi di Damien sembravano ingrandirsi come quelli di un cucciolo di cane. Quelle pupille nere sembravano luccicare, fastidiosamente penetranti. Richie distolse lo sguardo, ma le sentì pungere addosso comunque. Era snervante.
«E va bene. Va bene! Guarda tu che razza di amico mi sono dovuto trovare.»
 
«Sei ancora arrabbiato con me?» gli chiese, mentre nel bagno dei Tre Manici di Scopa succedeva il finimondo.
Richie guardò dall’altra parte, le braccia conserte mentre si appoggiava al muro del corridoio. Lucilla Ollivander gli aveva detto che Alma era entrata in fretta e furia nella locanda e si era chiusa nel bagno. A giudicare dal fracasso che proveniva da lì dentro, presto sarebbe stato dichiarato inagibile.
Tu guarda che scocciatura! Andare a Hogsmeade solo per trovarsi davanti alla porta di un bagno e fare il palo per una con un complesso di rabbia repressa grande quanto un campo da calcio.
«Io non ci parlo con te, Giuda.»
Damien sospirò. Bussò cautamente alla porta. «Alm, possiamo parlare?»
«Vattene via!» Un grido disumano spaccatimpani.
Richie sbatté la mano sulla coscia e indicò platealmente la porta. «Visto? Sarà anche una pazza isterica, ma almeno è coerente con sé stessa, lei. Andiamocene e godiamoci il resto della gita.» Si mise le mani nei capelli e imprecando se ne andò via, quando Damien bussò di nuovo. Salvo poi ritornare sui suoi passi.
Rodriguez intanto continuava a distruggere cose.
«Mi spieghi perché sei amico di quella lì? Insomma, cos’è andato in blackout nel tuo cervello un giorno per dire: “Sai che c’è, mi piace farmele suonare da una cantante. Almeno le mie ossa rompendosi a suon di botte faranno un bel rumore.”»
Lui si aprì in un mezzo sorriso. «Adesso può non sembrare, ma Alma è davvero una persona piacevole.» Scivolò lungo la porta, fino ad accucciarsi sui talloni. «È un po’ sopra le righe quando si arrabbia, ma non ti metterà mai la testa nel gabinetto.»
«Certo che non lo fa, se prima ha la sanissima abitudine di sfondarli!» ribatté acido.
Damien intrecciò le sue mani. «Ti ricordi la famosa settimana infernale di Pozioni, due anni fa?» Richie annuì. «È stata Alma a passarmi il formulario con le spiegazioni che ci hanno permesso di sopravvivere.»
«Questo spiega perché all’improvviso riuscivi a creare pozioni quasi decenti.»
«E quando l’anno scorso hai perso la bacchetta e volevi dare la colpa al gatto della Granger? È stata Alma a consegnarmela.»
Richie si accigliò. «Scusa, perché l’ha data a te se neanche mi conosceva?»
«Perché te l’avevo nascosta io. Mi disse di farla finita.»
«Ma che… viscido infame.» Gli tirò il berretto con tutta la forza. «Stavo per scuoiarlo, quel gattaccio porcino.»
Damien lo prese al volo ridacchiando. «Dovevo. Stavi andando in paranoia con la storia del Ballo del ceppo. Se non ti avessi distratto, avresti invitato ogni ragazza che ti passasse davanti.»
«Prima o poi qualcuna doveva accettare.»
«Lo ammetto: con un paio c’eri andato davvero vicino. Ma non penso che la legge dei grandi numeri ti avrebbe aiutato, in questo caso. I-Insomma, si dice che c’è una serratura per ogni chiave, non un passpartout.»
«Temo che Sean Connery abbia molto da ridire in merito. Le donne gli sbavano dietro ovunque vada: è chiaramente un passpartout umano. E poi quello che dici non ha senso. Ci sono i grimaldelli per un motivo, e se non basta puoi sempre sfondare la porta a calci.»
«Appunto. Non penso che a una ragazza faccia piacere essere “grimardellata”.»
Richie sospirò. «Ora capisco perché quel bracciale ha scelto te: siete due vecchi.» Iniziò a gesticolare per chiarire il concetto. «Se non saggi le serrature, come puoi sapere qual è quella giusta? Non abbiamo un sesto senso per queste cose, dobbiamo andare a tentativi.»
Un pugno devastante fece scricchiolare la porta. «Volete andare a parlare da un’altra parte, razza di deficenti!» ruggì Alma, dall’altro lato.
Damien si rivolse a lui sillabando: “Tè con scaglie di cioccolato e menta.”
Richie sgranò gli occhi. Gli fece capire a gesti piuttosto eloquenti e frenetici che non voleva andare a prenderle una bevanda.
Il suo amico lo scongiurò indicando la porta.
Richie protestò di nuovo.
Passarono diversi minuti di tira e molla. Poi, dopo averlo mandato platealmente a quel paese, si arrese e scese al piano di sotto per andare a prenderglielo.
 
«Sbrigati. Passami un braccio intorno alle spalle e girati» bisbigliò Lucilla Ollivander.
Richie reagì prontamente, dando le spalle appena in tempo a Malfoy e la sua combriccola di gorilla che stavano entrando. La serpeverde si appiccicò a lui e gli mise in testa un berretto rosso per nascondere i suoi capelli. Accadde tutto così velocemente da passare inosservato al resto dei presenti che chiacchieravano ignari.
Si lasciò trascinare in un angolo lontano da quegli scassa-cerchioni. Presero posto a un tavolo per due. Lo schiocco di dita della strega attirò l’attenzione del locandiere, che li raggiunse nel momento perfetto; Tiger si era voltato nella loro direzione, ma vide soltanto la schiena dell’uomo accorso a prendere le ordinazioni.
«Succo di mandorla e olive. Mescolato» disse Lucilla.
«Tè… con scaglie di cioccolato e menta» sussurrò esasperato.
Lei sfoderò un’espressione maliziosa e confusa. «E da quando?»
«Non seccarmi.»
Lei ridacchiò, celando la boccuccia tra le dita. «Si direbbe una giornataccia. Prima la rissa a Notturne Alley, poi nella neve a “girarsi e rigirarsi” con Alma Rodriguez. Sei stato piuttosto arzillo ultimamente. E i piani alti l’hanno notato: sai che Piton ci ha chiesto di spiarti?»
Richie scosse la testa. «Giuro, prima o poi capirò da dove ottieni tutte queste informazioni. Sei più inquietante del tuo prozio, certe volte.» E aveva una risatina sgradevole, come un goblin in preda a qualche isterismo allucinogeno potente.
«Questo è un segreto, Gallagard.» Gli strizzò l’occhio.
«Beh, devo cominciare a disintossicarmi dai tuoi segreti. Quando mi hai spifferato che Piton stava lasciando la scuola con una scopa, non pensavo che l’avrei inseguito.»
«Che colpa ne ho io? Era insolito. Avrebbe potuto smaterializzarsi, oppure usare la Metropolvere. L’istinto mi dice che volesse attirare l’attenzione. Ma di chi?» Si passò un dito sulle labbra, pensierosa.
«Lascia stare Piton. Dov’è la mia signora? E non fare battute.»
Lei ridacchiò di nuovo. «Stai tranquillo, dicono che sia scappata non appena Madama Chips ha preso Piton insieme a Vitous. È un mezzo di trasporto molto fedele.»
«È un gioiello» rispose immediatamente. «Almeno non sono stato espulso. E ho avuto modo di testare le gomme nuove che il tuo misterioso contatto mi hai procurato. Sa anche volare, sai? Anche se c’è qualche problema da risolvere.» Richie dovette arrendersi al suo maledetto senso dell’onore. «Grazie. Cosa posso fare per sdebitarmi?»
Il locandiere le portò immediatamente ciò che aveva ordinato.
Lucilla lo fissò intensamente con i suoi occhi smeraldini da dietro un sorso che poteva sembrare piuttosto lungo; invece, si era solo bagnata le labbra. «Sai cosa voglio in cambio dei miei favori, caro Richie: informazioni» sussurrò con voce suadente. «La moneta che muove il mondo.»
Decise di stare al gioco. «Beh, recentemente la tua risata perfida è diventata più insopportabile del solito. Ti eserciti, per caso?» Lei tirò indietro la testa e rise di gusto. «Senti questa: Ginny Weasley e Michael Corner potrebbero lasciarsi.»
«Mhm, intendi dire che gli sguardi penetranti di Ronald Weasley alla fine l’hanno fatto scappare a gambe levate? Chi l’avrebbe mai detto?»
Richie assottigliò le palpebre. Lei già sapeva. «Come?»
«Forse perché so di un certo raduno, in un certo locale che non nominerò, ma che possiede un chiaro riferimento alla sua sozzeria nel nome, e che lei non c’è affatto andata con il suo boyfriend.»
«Perché dovrebbero andare alla Testa di Porco?»
Le sbatté le ciglia con fare da cerbiatta.
«No, lascia perdere. Ho già chiesto un favore al Diavolo, non voglio sporcare la mia anima ulteriormente.» Per un attimo si perse nel modo provocatorio in cui la sua lingua ripulì le labbra dalle tracce di succo. Dovette scuotere la testa per tornare in sé. «E se ti dicessi che Ginny ha una cotta per Dean Thomas?»
Lucilla s’illuminò. Prese da una parte i suoi lunghi capelli corvini e iniziò a carezzarseli come se fossero un peluche. «Intrigante. E da cosa l’hai dedotto?»
Gli bastò ricordare le occhiate che si erano lanciati quella sera a Notturne Alley. Adesso che aveva trovato uno spunto su cui ragionare, nuovi indizi venivano a galla da soli e lo schema iniziava a delinearsi; il fatto che Lucilla lo ascoltasse con attenzione, non faceva che altro che confermare quei sospetti.
«Beh, non è succoso come la lovestory dell’anno scorso, ma non possiamo ancorarci al passato. Inoltre ho scoperto che Chang parteciperà a questo incontro. Sono proprio curiosa di scoprire se quello con Potter è stato solo un fuoco di paglia» risolse lei, mentre il locandiere gli consegnava la tazza di tè.
«Umbridge del cavolo» si lamentarono all’unisono.
«Mhm! Giusto, volevo chiedertelo da un po’: Damien ha fatto progressi con la biondina?»
Un brivido corse lungo la schiena al solo pensiero. «Prego di no. T’immagini dovermi trascinare per i corridoio in compagnia di Luna Lovegood, e solo perché esce con il mio migliore amico? Potrei seriamente pensare di lasciarlo.»
«Oh, che tenero! Sei geloso del tuo fidanzatino.»
«Divertente, detto da un demone che è attratto più dai pettegolezzi che dai ragazzi.»
Lucilla si sporse verso di lui e sussurrò provocante. «Io non ho bisogno di sentirmi amata da un oggetto per aumentare la mia autostima, Gallagard.»
«Che ne vuoi saperne tu di quello che c’è nella testa di un ragazzo. Le auto d’epoca sono delle signore. Devono essere trattate come Dee e corteggiate appassionatamente. Quando sarai avanti con l’età, forse ti mostrerò la differenza tra come si trattano una signora e una signorina.»
«Uh! Dovrò aspettarmi una serenata davanti al balcone della mia stanza da letto o davanti alla porta di casa?»
Richie assunse l’espressione più ammiccante del suo repertorio. «Non insultarmi. Ti porterei a cena con un mazzo di rose, sarei elegante e raffinato, affascinante.»
Lei si avvicinò di più. «Spiritoso, socievole, sicuro di sé.»
«Sarebbe la serata migliore della tua vita» concluse, con voce calda.
«Affascinante. E poi?»
«Se avrò fatto bene i calcoli, dovrei riuscire a scaricarti a casa in tempo per tornare nella mia e guadare la Formula Uno.» Di nuovo, Lucilla rise a lungo e senza vergogna, strappandogli un sorriso.
Aveva le lacrime agli occhi. «Tu sì che sai come conquistare una signora! Dovresti insegnare qualche mossa al tuo amico. O forse è il caso che lo faccia lui con te. Aver paragonato Malfoy a un escremento per difendere Luna è stato molto carino.»
«Che ha fatto?!»
Certo che se n’era perse di cose, mentre era impegnato a effettuare i primi interventi di riparazione alla macchina. Sapeva che Damien era agile come gatto, ma usare queste doti per insultare prima e scappare poi da una banda di bulli erano azioni decisamente lontane dal suo classico repertorio.
Avrebbe voluto davvero restare un altro po’, ma il tè si stava freddando. Lo prese tra le mani e si alzò dopo essersi accertato di essere fuori dai radar di Malfoy. «Ollivander, come al solito è stato sgradevole e vomitevole parlare con te. Ovviamente ognuno paga la sua parte.»
Lucilla gli indicò la strada con un cenno della testa. «Vedi di sparire, tassorosso, mi rovini la reputazione.»
 
«Grazie infinite.» Damien stava già allungando le mani sulla tazzina.
«Avrei fatto prima, ma ero troppo impegnato a scoprire che hai dato a Malfoy dello sterco di animale. Certo che sei proprio cotto di Luna, tu.»
Damien s’irrigidì e gli fece ad ampi cenni di tacere. “Dormono nella stessa stanza” sillabò, riferito ad Alma. Era divertente vederlo agitarsi.
«Mi spieghi cosa ci dovresti fare con questa roba?»
«Sta’ a vedere» bisbigliò, prima di rivolgersi alla porta. «Ehi, Alma. Ti ho portato del tè.»
Attesero semplicemente che il silenzio dietro la porta si protraesse per mesi.
«Scaglie di cioccolato e menta?»
«Come piace a te.»
Alma aprì la porta dopo qualche altro secondo. Il casino di lavandini rotti e legno in frantumi quasi nascondeva le rare tracce di lacrime nei suoi occhi arrossati. Prese la tazza dalle mani di Damien e la osservò attentamente.
Poi sbatté loro la porta in faccia.
 
Alma aveva ancora una faccia funerea, ma sembrava più calma. Tenere le mani sul tavolo, invece che sulle loro facce, doveva per forza di cose estrinsecazione di miglioramento. Richie non sapeva che conoscesse l’incantesimo Reparo, ma questo spiegava perché i proprietari non erano saliti e avevano lasciato che Damien si occupasse di tutta la faccenda.
Carezzava con i pollici la tazzina ormai vuota. Guardava altrove.
Anche Richie lo stava facendo. In mezzo alla folla, vide per un istante Lucilla alzare impercettibilmente un bicchiere di succo nella sua direzione, prima di dedicarsi ad Astoria Greengrass e i suoi compagni serpeverde.
«Perché Luna non mi ha detto niente di questa storia?» Lei mosse la mano come a voler lasciar perdere. «Ultimamente mi sono concentrata troppo sul lavoro. Non ho nemmeno cominciato a indagare su chi le sta rubando le cose.»
Damien si accigliò. «Qualcuno le sta rubando le cose?»
Alma sgranò gli occhi esterrefatta. «È questo che ti preoccupa? Non il fatto che c’è un altro mago oscuro in giro là fuori? Uno che, tra parentesi, mi ha distrutto casa.»
«Hai ragione, scusa.»
Richie preferì non rispondere.
«Beh, come lo troviamo?» Osservava entrambi come se volesse sfidarli a contraddirla. «Quel bastardo la deve pagare. Tenetemi fuori da questa storia e noi tre avremo di nuovo dei problemi, sappiatelo.»
«Alma, è un mago oscuro.»
«No, è un uomo morto. Non mi lascio intimorire da un reperto storico.»
Sospirando, Damien si voltò verso di lui. «Non sei costretto ad aiutarci, se non vuoi.»
Infatti non avrebbe voluto. Era già stata dura accettare che Cedric era morto, figurarsi se voleva infilarsi in quella situazione senza via d’uscita. Quella non era una cosa da niente: Damien e Alma dovevano essere dei pazzi, se non avevano considerato che c’era il rischio di morire. Game Over. Fine. Tanto valeva rassegnarsi all’idea che Lord Voldemort fosse risorto. Ma non poteva lasciare Damien da solo.
Lui non l’aveva fatto.
 
Erano giorni che gli studenti più grandi continuavano a punzecchiarlo. Solo per aver detto quello che pensava: il Quiddich cos’aveva, in fondo, più degli sport babbani? E celebrità come Gilderoy Allock cos’avevano più di un Silvester Stallone? Sapeva della magia da quando aveva memoria, ma non aveva mai amato quel mondo così esclusivo più dell’altro. Nascondersi alla vista dei babbani, vestire in modo ridicolo. Se sua madre non gli avesse fatto così tante storie, non gli sarebbe dispiaciuto fare il meccanico come papà. Alla fine, vivere nel mondo magico non era più esaltante o esotico di riparare un’auto, o più comodo di lasciare che fosse un frigo a conservare il tuo cibo invece che farlo fare alla magia. Lui non ci trovava nulla di sbagliato.
Era figlio di una strega e un babbano. Perché doveva avere delle preferenze?
Solo perché qualche pugno di idioti potesse volare in giro e spaccarsi i denti per colpa di qualche bolide. Tanto valeva affittare un kart e provare il brivido della velocità sulla propria pelle, e ascoltare il rombo dei motori.
In quel posto erano tutti degli esaltati. Persino i coloro che avevano almeno un genitore babbano, o entrambi. Si erano abituati in fretta alle abitudini da maghi, dimenticandosi che lo erano solo per metà. Avevano capito in fretta che gli altri non avevano interesse per le “faccende babbane”, e si erano lasciati contagiare. Beh, lui non ci stava.
Anche se questo significasse restare senza amici.
Mentre se ne stava accucciato in un angolo, immusonito, aveva sentito dei passi fermarsi davanti a lui. «Richie?» Damien lo fissava dall’alto. «Perché stai qui? Non vedi la partita?»
Era il ragazzo che aveva investito nella fretta di attraversare il binario nove e tre quarti.
«Non mi piace il Quiddich.»
«Non è così male, dai. Certo, non è il mio sport preferito, ma nemmeno il peggiore.»
Richie aveva sentito qualcosa nel suo petto farsi più leggero immediatamente. «Tipo?»
«C’è il calcio. Sono un tifoso dell’Arsenal, a proposito.»
«Ti piacciono anche gli sport con le auto da corsa?»
Lui aveva ondeggiato con la testa. «Mi piacciono i Rally e la Formula Uno, le altre corse mi sembravano un po’ troppo strane.»
Quel giorno, Richie aveva iniziato ad acculturarlo come si deve. Ma Damien gli aveva dato qualcosa di molto più importante: un amico con cui parlare davvero di argomenti magici e babbani, e che condividesse i suoi stessi interessi.
 
Se le cose erano migliorate rispetto al passato, lo doveva anche a lui. Avrebbe potuto fregarsene del suo essere babbano, invece non l’aveva fatto. Aveva accettato di diventare suo amico nonostante ciò che si diceva in giro dello “strano” Richie Gallagard, il mangiacaccole. Ed era qualcosa che Richie non avrebbe mai dimenticato.
«No, ci sono anch’io. Ma vi avviso: fosse dipeso da me, mi sarei fatto i fatti miei. Il fatto che mi aggreghi non vuol dire che accetterò di rischiare la vita, se potrò evitarlo.» E indicò tutti e due.
«Cavolo. Tu sì che se un cuor di leone, ragazzo» sputò Alma.
«Vedi di non tirartela troppo, cervellona. Se vuoi morire, accomodati pure. E la prossima volta che provi a picchiare Damien in mia presenza, quella tazza lì te la spacco in testa.»
«Rich!»
«No, ha ragione.» Rodriguez si massaggiò la fronte. «Ho esagerato. È che… Il pub, il lavoro. Non voglio andarmene da questa scuola, ma non voglio nemmeno essere un peso economico per papà. Dovrà ricostruire in fretta tutto il locale.»
«Scuse accettate» disse Dam, immediatamente.
Richie si accigliò. «Davvero? Ti propina una storiella strappalacrime e siamo apposto?»
Damien roteò gli occhi. «Se la prossima volta colpirà te, potrai farle fare tutti i salti mortali che ti pare.»
«Oh, non ci sarà una prossima volta, se ci prova» gli rispose, incrociando le braccia al petto. «Io non sono un sacco da boxe. E non lo sei neanche tu.»
Alma annuì. «Siamo d’accordo.»
Perlomeno doveva riconoscerle che non era il tipo di ragazza che piangeva a comando. Ne aveva incontrate molte, soprattutto a lavoro da papà, e conosceva i loro stratagemmi. Rodriguez si era scusata davvero, e ad ogni modo era impostata per picchiare la gente invece che frignare. Per il momento decise che andava bene così.
«Allora, come troviamo questo…»
«Amato» specificò Damien.
«Piton l’ha chiamato così.»
Il suo amico annuì, rimanendo concentrato su Alma. «Credo che per prima cosa dovremo tenere d’occhio la sezione proibita. Avete sentito cos’hanno detto, no? Chiunque si aggira in questo castello, sta cercando qualcosa e la sta cercando tra quei libri.»
Richie sospirò. Si alzò battendo le mani sul tavolo. «Ho capito.»
«Dove vai?»
«A vendere l’anima al Diavolo. Di nuovo…»
 
   
 
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