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Autore: SenaGa    28/02/2022    0 recensioni
Il primo incontro tra Lui e Lei dopo tanti anni di separazione. Una passeggiata in un parco immaginario sarà l'occasione propizia per entrambi ad un'apertura reciproca.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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8. LA VITA VARIOPINTA
Si facevano strada nel lento fluire delle persone intorno a loro, evitando chi, in una direzione o nell’altra, intralciava il loro passaggio. Passavano mano nella mano sul lato destro del marciapiede, a una certa distanza dalle vetrine; non erano interessati tanto al viaggio e al panorama di negozi e scorci di vie secondarie che stavano incontrando nel loro cammino, quanto alla meta che di lì a pochi minuti avrebbero raggiunto, dove avrebbero potuto sostare per buona parte del pomeriggio.
C’era tanta gente come ogni sabato pomeriggio che si rispetti, e quel flusso imprevedibile di persone che rischiava di rompere la stretta delle loro mani in quel caos li metteva, seppure in modi e misure diverse, a disagio: per lei il calore della mano di lui, segnato da una nota di umidità, era un ancoraggio a una figura conosciuta che spiccava in quella confusione, per l’esattezza in un quartiere dove non era mai stata prima; per lui, il semplice permesso che lei gli dava di tenere la sua mano era (quasi) garanzia che allo stesso modo gli stesse dando il suo cuore, quello di cui bramava il possesso. Ma avendo avuto modo di saggiare in altri contesti il carattere sostanzialmente diffidente di lei, non si faceva troppe illusioni, sebbene quel contatto fisico sortisse effetti prodigiosi sul suo umore.
In quel momento nessuno dei due sarebbe stato capace di dire cosa significasse quella concessione all’altro; a dire il vero era lei, l’elemento più acuto e risoluto della coppia, meno incline a fantasticherie, a potersi permettere di stabilire una concessione, mentre lui, sempre in attesa di un’iniziativa altrui, si limitava a sperare che da lei arrivasse un segnale, seppure minimo, da decifrare con tutti gli strumenti di cui era in possesso: uno sguardo nella sua direzione, come anche una variazione nella pressione o nella posizione della mano, potevano significare che stava per dire qualcosa; bastava anche che lei voltasse la testa nella direzione opposta per fargli presumere che, seppure il suo sguardo fosse rivolto ad altro – per esempio a un certo vestito visto in vetrina, all’insegna di un negozio un po’ appariscente, a uno sconosciuto somigliante ad una persona di sua conoscenza – potesse essere sul punto di fargli notare, con qualche considerazione detta a bassa voce, su cosa avesse appuntato la sua attenzione. Questo lui sperava: che i loro dialoghi si basassero anche sui fatti e le cose più prosaici.
Proseguivano a velocità sostenuta con la consapevolezza che, pur avendo sprecato solo qualche parola di circostanza da quando si erano incontrati nella piazza principale del quartiere – dove lui era arrivato con la metropolitana, lei con la sua auto –, al loro arrivo al parco avrebbero iniziato a scoprirsi di più. Questa consapevolezza, forse più forte in lui, lo metteva in uno stato di crescente timore, perché sapeva di avere l’obbligo di dire molto sul proprio conto – da anni non si vedevano – ma quella massa di informazioni forse poco interessanti su di sé, che aveva accuratamente custodito in un angolo nascosto della propria memoria – e inaccessibile se non con un prolungato sforzo di volontà –, come sapeva già da lungo tempo, era troppo importante per essere taciuta. Proprio sull’importanza dei fatti che avevano caratterizzato la sua vita in quegli anni lui meditava, e su quanto fosse opportuno dirle tutto.
Intanto proseguivano, lui al corrente della vicinanza al parco, lei all’oscuro di dove si trovavano. Nonostante la scarsità di dati sulla meta che lui aveva proposto in chat appena due giorni prima, lei non aveva voluto sapere quanto questa distasse dal luogo dell’appuntamento. Da come quella chat si era svolta, era chiaro che entrambi avevano voglia di rivedersi, anche se lei aveva rimandato più volte la data dell’appuntamento da lui tanto richiesto, per motivi che gli erano ancora ignoti; sebbene avesse avuto la possibilità di sondare il terreno chiedendo informazioni sui motivi della sua reticenza, aveva ritenuto più opportuno tenersi sulle sue, preferendo non risultare troppo invadente. Perché da quando avevano rotto i contatti, anni prima, gli era parsa sempre più evidente questa verità: che era di peso alla maggior parte delle persone di sua conoscenza, e che lei era la prima di una possibile lista di quelle persone. E ora, a un tratto, si trovava come trasferito in una realtà parallela, o forse fiondato in un tempo futuro, come se quello sgradevole intermezzo di quattro – o cinque? – anni fosse stato cancellato dall’asse temporale, che per comodità o abitudine si figurava orizzontale.
A un tratto, allora, riportandosi al presente, ignorando quel salto temporale, avvertì la presenza di lei grazie a quel contatto insperato con la sua mano; insperato perché era sempre stato certo, fin dai primi incontri, che lei fosse così diffidente per motivi che mai aveva capito, nemmeno ai tempi a cui risalivano le frequentazioni caratterizzate dalle chiacchierate più fitte e quindi interessanti, come se la barriera che lei, seduta sul divano, produceva espirando fumo, nonostante volgesse la testa dove non era lui, rappresentasse simbolicamente la stessa ineluttabile separazione di cui allora nessuno dei due era al corrente.
Solo ora, ripensando a quante sigarette era solita fumare in sua presenza, lui si accorgeva che in effetti una barriera era sempre esistita e che non aveva mai avuto il coraggio e l’accortezza di oltrepassarla; coraggio e accortezza che gli mancavano anche nel rapporto con gli altri, e la cui assenza lei gli palesava soprattutto in quei momenti di silenzio, e ancor di più ora che stavano finalmente arrivando al parco.
Erano ad un incrocio e aspettavano il semaforo. Una camminata di circa cinquecento metri li separava dalla destinazione. Lui disse che erano quasi arrivati; lei rispose con un cenno. Attraversarono la strada e si ritrovarono all’imbocco di un grande viale, ai cui lati sorgevano palazzine dalle facciate grigie alte sei o sette piani, che in cima parevano un tutt’uno col cielo che da un paio d’ore andava riempiendosi di nuvole; da dove si trovavano potevano vedere uno squarcio di cielo tra una fila di palazzi e l’altra, quasi fosse un’alta via speculare alla strada su cui, un po’ stancamente, lui trascinava i piedi, e lei avanzava silenziosa.
Erano quasi arrivati e ancora non si erano detti niente di importante. Quanto potevano sopportare ancora quel silenzio? Da quando era stata pronunciata l’ultima parola, ormai dieci minuti prima, lui aveva avuto tutto il tempo per preparare una scaletta del discorso che aveva in mente, ma la sua attenzione era stata concentrata solo sulla stretta di quella mano e sulla visione del profilo che si stagliava al suo fianco. Provava, senza concedersi una tregua, a figurarsi i pensieri di lei, ma era chiaro che non faceva parte della sua natura immedesimarsi nel prossimo; forse anche di  questo avrebbe dovuto parlarle, e di come questa carenza, vissuta nella vergogna più abissale, gli aveva dato non pochi problemi in quegli anni di separazione. Lei, intanto, iniziava a nutrire un timore che, per lo spazio che occupava nella sua mente, somigliava nelle dimensioni a quello del compagno, ma che affondava le sue radici in altre questioni in sospeso: se fosse stata davvero una buona idea rivederlo; se in quel momento era opportuno riprenderlo per mano, senza avere nel frattempo nulla da dire, come a compensare quel silenzio (nemmeno troppo imbarazzante) con una parvenza di contatto fisico. Ecco, nel loro silenzio non entrava in gioco l’imbarazzo: era sentita da entrambi una corrente che li spingeva a incontrarsi nonostante le incomprensioni passate, e soprattutto le paure di lei di fronte a certi comportamenti pericolosi messi in atto da lui.
Ormai si trovavano davanti al cancello del parco.
- Siamo arrivati, - disse lui. - È un posto abbastanza frequentato, soprattutto il fine settimana, ma troveremo di certo un angolo tranquillo dove poter chiacchierare. - Parlava rivolto a lei, che camminava con la testa abbassata, quasi fosse intenta a osservare il suolo di un pianeta nuovo su cui era appena sbarcata. - Hai capito?
- Sì, scusa. Stavo pensando. A nulla in particolare. Sono curiosa di vedere questo parco.
Oltrepassarono il cancello e si ritrovarono a camminare per un sentiero sterrato, dritto nel mezzo di un prato mal tenuto da cui si innalzavano dei pini dai tronchi contorti e dalle cortecce sbiadite, come se gli agenti atmosferici le avessero private dei pigmenti necessari a conferire a tutti gli alberi quella parvenza di vitalità insita in ogni oggetto dai colori sgargianti. Percorsero un tratto in lieve discesa costeggiato a destra da un muro che separava il parco dal cortile di una scuola. Evitando delle buche prodotte dallo scorrere dell’acqua piovana, o meglio quelle che parevano delle fenditure nella tenera terra che potevano essere fatali per i runner di passaggio, svoltarono a destra all’incrocio di due sentieri e dopo circa cinquanta metri salirono su un basso crinale da cui era possibile vedere un panorama più arioso di quello visibile entro il parco, dove le fronde degli alberi impedivano di distinguere nettamente i confini delle nuvole che si stagliavano in cielo: da lassù era visibile la ferrovia che, partendo dal centro, collegava la città al nord; subito al di sotto scorreva un ruscello abitato da poche rane che in quel momento della giornata tacevano; l’acqua era così bassa che qualche cane, anche di piccola taglia, vi si avventurava per un rapido bagno.
Proseguendo il cammino sulla sponda del ruscello videro dei ponticelli di legno molto caratteristici, che non c’erano, da che ricordava lui, in altri parchi della città. Lei si liberò dalla stretta e tirò fuori dalla piccola borsa di cuoio un pacchetto di sigarette; ne prese una e ne offrì a lui, che accettò ringraziandola. Aveva con sé il suo accendino, oltre a un pacchetto di sigarette vuoto dove raccoglieva, da bravo ambientalista, le cicche spente che da tempo, ormai, non aveva il coraggio di buttare a terra; sapeva inoltre che in quel parco non c’era nemmeno un cassonetto con posacenere incorporato, così si era premunito portando quel pacchetto vuoto.
- Quando hai finito di fumare, butta la cicca qui dentro, per favore, - e le mise sotto gli occhi il pacchetto. - Non voglio intaccare la purezza di questo posto. Ci sono molto affezionato.
- Posso sapere perché? - Glielo chiese a dimostrazione che forse qualcosa su di lui voleva ancora sapere, o almeno questo lui si figurò. Era un possibile invito alla conversazione, che poteva prendere avvio da un argomento leggero, o almeno così lui sperava; doveva solo stare attento alla piega che il discorso poteva assumere, e per questo aveva bisogno che quanto avevano da dirsi fosse intavolato con tutta la delicatezza di cui erano capaci.
- È un luogo dove ho vissuto dei momenti quasi idilliaci. Fino a quattro anni fa approfittavo di quasi ogni fine settimana per recarmi qui: ci portavo la mia ragazza, a volte mia madre, a volte entrambe. Qualche volta con mia madre andavo anche al cinema dall’altra parte della strada… forse non lo conosci. - Disse tutto questo con aria meditabonda, consapevole che lei, come suo solito, avrebbe risposto con un semplice cenno.
Invece una risposta arrivò: - Mi dai l’impressione di essere ancora molto legato al tuo passato, e questo mi fa piacere, perché sentendo le tue parole risulta evidente la tua sensibilità, di qualunque cosa tu scelga di parlare. - Gli rivolse a quel punto uno sguardo quasi tenero, e lui lo accolse con stupore. - Però permettimi un consiglio: guarda anche al futuro, con più tranquillità, e al contempo con più risolutezza, se così posso dire. Non so esattamente come questi due atteggiamenti possano conciliarsi nella stessa persona, ma ho il presentimento che nulla ti impedisca di risollevarti dall’abisso dove sei caduto. - A quel punto lui fu convinto che non avesse più nulla da dire, che avesse giocato tutte le sue carte, così si sentì in dovere di parlare.
- Hai usato un bell’abbinamento, tranquillità e risolutezza. In altre parole mi stai invitando sulla strada dello stoicismo, per quanto mi risulti incomprensibile, o meglio… difficile da mettere in atto. Però l’angoscia è un peso di cui è difficile liberare il cuore, o la mente, o entrambi. Il cuore... parlo di lui perché è nel petto che accumulo la mia tensione, mentre la testa non dà sintomi evidenti come quelli che avverto qui, - e si indicò il torace. - Ecco, è soprattutto la disperazione a colpire la mente: con quella non puoi fare i conti. Pochi privilegiati riescono a tramutarla in qualcosa che li renda produttivi, che nello stesso momento, per magia – scusa la parola desueta – li distragga e li immerga nelle loro problematiche esistenziali. Ecco, questa è una parola altisonante… scusami se dico sciocchezze.
- Quali sciocchezze? - e gli diede un colpetto sulla mano. - Con me sei libero di dire quello che vuoi.
- Sicura?
- Certo. - Ora sembrava più sciolta, anche se non erano ancora arrivati al nodo della conversazione che sapevano di dover affrontare. Malgrado avessero iniziato in tutta tranquillità – lui trattando del suo passato, lei dandogli qualche consiglio su come affrontare il futuro –, e malgrado lei lo avesse assicurato che era libero di esporsi in tutta tranquillità, in lui permaneva una punta di ansia inevitabile, secondo un’abitudine quasi irrinunciabile per una personalità come la sua.
Continuavano a passeggiare fumando in silenzio, tirando boccate distratte. Entrambi sembravano sempre sul punto di dire qualcosa, ma avevano paura di prendere l’iniziativa. Invece di parlare, preferivano rimandare il momento: osservavano, all’apparenza quieti, la vita multicolore che si andava prospettando al loro passaggio sull’argine del ruscello. Le madri spingevano le carrozzine parlando a coppie di problemi che loro due non avrebbero sollevato ancora per molto tempo; i ciclisti più impazienti scampanellavano per far sentire la loro presenza alle spalle degli appiedati più distratti; sul prato cani di ogni taglia si rincorrevano volteggiando come non gli era concesso fare nei giorni feriali, quando erano rinchiusi in casa o nei loro giardini; e in cielo chiassosi pappagalli di un verde sgargiante disegnavano rapide traiettorie quasi fluorescenti, il cui colore permaneva nella retina dell’osservatore ozioso anche dopo il loro passaggio. L’erba era secca in più punti, ma un’aggiunta di chiazze giallastre qua e là non faceva che rendere più appetibile alla vista quel panorama protetto in alto dalle fronde dei pini. Già a quell’ora, come ebbero modo di accorgersi, il sole stava cedendo il posto alle nuvole, sicché un’atmosfera notturna parve farsi strada intorno a loro, fino a sconfinare nei loro cuori gravati dal silenzio. E sempre nel silenzio ognuno aveva modo di trovare le parole che prima o poi avrebbe proferito.
- Sai, - riprese lui, - questo parco mi fa tornare alla mente un dipinto di Kandinskij, La vita variopinta. Lo conosci?
- Non credo.
- L’associazione che ho fatto è uno dei motivi per cui sono affezionato a entrambi. La tela rappresenta un vecchio con un bastone che si fa strada in mezzo a una folla raccolta su un prato. Ci sono mercanti, un suonatore di flauto, un monaco ortodosso, gente che si rincorre. E poco oltre, dietro queste figure, è messa in scena una battaglia tra cavalieri. Alle spalle c’è un bosco, e in fondo al quadro vediamo una montagna su cui si erge un castello. È ovvio, la vita che incontriamo qui non è così varia… voglio dire, se uno decidesse di rappresentare su una tela il paesaggio che vede qui, cosa vedrebbe? Gli aerei? I cani? L’erba secca? No… non sarebbe la stessa cosa.
- E chi te lo dice? - intervenne lei; dal tono sembrava sinceramente preoccupata dalla questione. - Guardati intorno con più attenzione. Che ne dici di quel ragazzo che suona la chitarra con i suoi amici? - e indicò un gruppetto di ventenni assiepati intorno a un coetaneo senza maglietta. - Secondo me è l’equivalente perfetto del suonatore di flauto del tuo quadro. E gli aerei? Che male ci sarebbe a ritrarre degli aerei? Vuoi la tua battaglia? Benissimo: ritrai una enorme zuffa tra mastini, vedrai che l’effetto è assicurato. - Per la prima volta quel pomeriggio gli rivolse un sorriso; sembrava molto incuriosita dalla faccenda del quadro. Stavano passando davanti ad una panchina. All’improvviso lui si accorse di avere il suo sguardo puntato addosso; non sapeva come interpretarlo.
- Forse hai ragione. Sono stato sbrigativo. Ma come la metti con il castello e la montagna? Dovranno pur avere un significato particolare nell’intento di Kandinskij. - Rivolse uno sguardo alla panchina. - Vogliamo sederci? - La ragazza rispose ancora con un cenno, senza staccare gli occhi da lui, che a quel punto si chiese il motivo di tanta attenzione.
- Perché non camminiamo un altro po’? Ho visto poco di questo parco.
- D’accordo. - In verità aveva voglia di fermarsi e, perché no, guardarla negli occhi: sapeva che, così facendo, l’avrebbe stimolata a dire qualcosa, e che non sarebbe stato necessariamente suo il dovere di prendere l’iniziativa. Camminando l’avrebbe vista solo di profilo, e non avrebbe trovato, nei suoi occhi, l’appiglio per iniziare un discorso.
Continuarono per il sentiero emettendo nuvole di fumo; a lui non restavano che un paio di boccate, lei aveva finito di fumare e, con la cicca incastrata tra pollice ed indice, era sul punto di scagliarla via. Lui la vide in tempo. - Tesoro, hai dimenticato quello che ti ho detto prima? - e le mise di nuovo il pacchetto vuoto davanti.
- Scusami, ero sovrappensiero.
- Si può sapere a cosa stai pensando?
Lei infilò la sigaretta spenta nel pacchetto, in attesa di trovare una risposta che non la scoprisse troppo.
- Come posso spiegarti? Posso risponderti che non penso a nulla di preciso, eppure sento la testa piena di pensieri inesprimibili.
- Addirittura inesprimibili? Così mi fai preoccupare.
- E tu non pensi a nulla?
- Certo che penso, e forse mi trovo nella tua stessa situazione. Allora a questo punto mi chiedo: chi inizia?
- Ti ricordo che sei stato tu a chiedermi questo appuntamento, quindi a voler essere precisi dovresti iniziare tu a dire qualcosa. Sbaglio?
- No, ma…
- …
- Ho perso la memoria.
- Che significa?
- Non ricordo più quello che volevo dirti, ecco.
- Oh, perfetto. Perché non me l’hai detto prima? Così ci risparmiavamo una bella perdita di tempo.
- E la chiami perdita di tempo? Pensi che il tempo passato con me sia stato una perdita di tempo?
- Non intendevo questo. È solo che mi aspettavo che dicessi qualcosa di importante.
- Troverò un modo per risarcirti. Va bene?
- …
- A questo punto perché non parli tu? Forse ascoltandoti mi verrà qualche idea e potrò ricordare.
- Hmm… tanto per cominciare…
- Aspetta, ho una domanda.
- Prego.
- Perché non hai voluto vedermi subito? Intendo… perché hai aspettato così tanto prima di vedermi?
- Perché ero impegnata. E poi i miei pensieri non ruotano tutto il giorno intorno a te. Ho delle amicizie da coltivare. E una famiglia che mi dà delle regole.
- A me non hanno mai dato regole, da che io ricordi. Solo in questi ultimi anni sono stato costretto a seguirne. Ma è una lunga storia. Sappi solo che adesso è tutto cambiato. Mi sento una persona diversa, da com’ero prima e dagli altri. Tutto sta nel dimostrarlo. Capisci?
- Penso di sì. Anche io desidero dimostrare di essere diversa dagli altri, ma allo stesso tempo sento che da tutti coloro che mi circondano posso sempre imparare qualcosa.
- Io sono un autodidatta. Non mi interesso del parere altrui.
- Non ne parlerei come fosse un vanto.
- Non era mia intenzione. - Intanto, oltrepassato l’ultimo ponte, arrivarono all’estremità di una piccola radura; oltre questa c’era uno stagno dove affluiva il ruscello.
- Se non era tua intenzione, allora cos’era?
- Nulla. Una constatazione. Sono vissuto sempre come un cane randagio, senza educazione, né addestramento. Mi sono sempre avvicinato a quello che ha attirato il mio interesse come fiutando una scia odorosa, senza chiedere il parere degli altri. E a posteriori, mi sono accorto che quei miei interessi erano solo passeggeri, e che avrei fatto meglio a seguire delle maledette regole. Chi posso incolpare per non averne mai avute? Non ho intenzione di mettere in mezzo i miei genitori… sono così poco interessato a loro che non mi passa per la testa di incolparli. Che mi importa?
Iniziarono il giro intorno allo stagno, e nel frattempo lui pensò che nel quadro non era rappresentato nessun corso d’acqua; in qualche modo voleva rimediare: da ex pittore, avrebbe ricreato una Vita variopinta del terzo millennio, con tanto di aerei e mastini, come lei gli aveva suggerito. Gliene avrebbe fatto dono.
   
 
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