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Autore: Ahiryn    02/03/2022    4 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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VII


Accademia




 

893 p.U.
 


Zario li aveva condotti in una caverna nascosta dallo scrosciare di una cascata. Aveva spiegato loro che i nemici non li avrebbero seguiti lì, a causa della presenza elevata di ferro e minerali.
Kieran non aveva mai visto un posto simile nella sua vita.
Era evidente che la magia della corte avesse penetrato quel luogo in profondità, perché non c’era niente di “normale” in quella caverna. Cristalli di ogni forma e colore sbucavano dal terreno e s’incrociavano fra loro come lame, formando un gioco di luci e specchi vivacissimo. Le pareti di roccia erano coperte da muschio, ma in alcuni punti alcuni rampicanti diventavano bioluminescenti. Grossi e storti funghi crescevano ovunque lungo la caverna, alcuni alti quanto un bambino.
L’acqua divideva in due la grotta e si andava a unire alla cascata che copriva l’entrata.
Malgrado quel luogo fosse stato permeato dalla magia della corte vicina, doveva avere un elevata quantità di ferro, perché lo stesso Zario sembrava intaccato da quel posto, ma manteneva un contegno dignitoso e stoico.
Kieran non poteva fare a meno di paragonarlo ai comandanti del Ferro e di cercare di imitarlo nell’atteggiamento. Gli dava un senso di sicurezza averlo vicino, il che gli provocava una sorta di senso di colpa. La fata si era accorta un paio di volte di essere osservata e aveva guardato Kieran di rimando, quasi divertita.
In quel tunnel umido e angusto si medicarono le ferite, si raccontarono gli ultimi avvenimenti e si salutarono calorosamente. Erano persone che conosceva a malapena, ma Kieran era così felice di vedere altri cadetti vivi. Non voleva pensare al fatto che del loro gruppo rimanessero soltanto loro cinque; non voleva fermare i suoi pensieri sugli altri ragazzi che fino a pochi giorni prima giocavano a dadi e ridevano sul treno, eccitati e intimoriti dall’Iniziazione.
Thomas lo abbracciò, come se fossero vecchi amici e lo ringraziò per avergli salvato la vita. Sembrava avere i nervi a pezzi, aveva gli occhi incavati e tremava. Kieran non avrebbe mai pensato che la stretta di quel ragazzo potesse farlo sentire confortato. Era come se fossero rinati quel giorno, e tutto ciò che era accaduto in Accademia appartenesse alla vita di qualcun altro.
Thomas andò anche da Silas, per dirgli grazie, ma il Discendente gli rispose in modo tiepido e distaccato.
‒ Avete visto Zack? ‒ domandò speranzosa la ragazza, mentre si legava i capelli aggrovigliati. ‒ Ci ha fatto scappare ed è rimasto indietro a combattere.
La sua voce era carica di angoscia. Vedendo le loro facce senza risposta, si rivolse direttamente a Silas.
‒ Silas, giusto? Chiedilo a questo qui, chiedigli se lo ha visto. Per favore.
La sua voce riecheggiava fra le pareti di roccia e cristalli, ma lo scrosciare rumoroso della cascata copriva i toni alti.
Silas non sembrava contento di come Jean gli aveva posto quella richiesta, ma ubbidì di malavoglia. Zario si guardava il foro nell’ala con fastidio, ma rispose senza degnarli di troppa attenzione.
‒ Dice che lo hanno preso e portato da Visnia insieme ad altri tre cadetti. I prigionieri sono una dozzina, credo che… questa parola non l’ho ben capita, oh ‒ impallidì appena, ‒ Visnia vuole sacrificarne alcuni per la sua incoronazione.
Jean si portò le mani alla bocca e Kieran la vide per la prima volta crollare. Gli occhi le si inumidirono e le sfuggì un singhiozzo.
Zack doveva essere piuttosto importante per quei cadetti, lo aveva visto sempre al centro del gruppo, sorridente e rumoroso.
‒ Dobbiamo fermarla ‒ balbettò Jean. ‒ Dobbiamo intervenire! Chiedigli quanti nemici rimangono.
Silas la guardò come se fosse uscita di senno, anche Kieran esitò. La cadetta però guardava tutti con insistenza.
‒ Ci sono un mucchio di persone, bambini forse e i nostri maledetti compagni. Non possiamo andarcene.
Li osservava uno per uno, ma tutti distoglievano lo sguardo. Kieran non ci riuscì stavolta, la guardò, rivedendo in lei un po’ di Halldora.
Ha ragione.
Prima gli era sembrato impossibile anche solo pensare di avvicinarsi ad altre fate, ora invece si sentiva più coraggioso. Forse era la mancanza di sonno, o il trovarsi di nuovo fra volti alleati.
Zario teneva gli occhi su di lei e iniziò a mormorare qualcosa. Silas ascoltò quello che diceva con crescente irritazione.
‒ Fantastico ‒ bofonchiò.
Jean lo scosse. ‒ Che ha detto? ‒ ringhiò, col forte accento delle sue zone.
‒ Che andrà ad affrontare Visnia. La sfiderà a una sorta di duello.
‒ Chiedigli quello che ti ho chiesto! ‒ vociò, imperativa.
Silas ubbidì un po’ risentito dai modi della ragazza. ‒ Dice che le fate in grado di combattere sono pressoché tutte morte. Potrebbero restarne un paio, ma ferite. Sembra che il nostro amico qui ne abbia uccisi parecchi prima di farsi catturare.
Kieran vide lo stesso pensiero serpeggiare fra ciascuno di loro. Un pensiero timido, spaventato, ma improvvisamente concreto.
Aveva paura anche solo a pronunciarlo nella sua mente.
Forse c’è una possibilità.
‒ Potremmo… farcela ‒ mormorò fra sé e sé.
Erano in cinque, se fossero riusciti a liberare i prigionieri sarebbero stati anche più numerosi. Magari alcune delle persone catturate erano altre fate come Zario, ostili alla nuova regina. Se la fata guardiana avesse tenuto a bada questa principessa sanguinaria forse… forse avrebbero avuto una speranza.
La stessa determinazione sembrò crescere negli sguardi degli altri. Non osavano dirlo ad alta voce, ma ognuno di loro aveva le proprie motivazioni per valutare quella folle possibilità. Persino Thomas sembrava galvanizzato dalla nuova atmosfera di rivalsa.
‒ Mio fratello maggiore è nei genieri ‒ esordì, calmo. ‒ Prima dell’Iniziazione mi ha dato questa, un po’ per goliardia, un po’ per precauzione.
Si piegò sulle ginocchia e prese dallo zaino un congegno di metallo con alcuni spunzoni in rilievo. Kieran impiegò qualche attimo per riconoscerla.
‒ Una granata di ferro runico ‒ commentò Silas fra i denti, come se vedesse un oggetto orrido.
Thomas annuì, cauto. ‒ Io volevo usarla prima, ma so di cadetti che hanno perso un braccio nel lanciarla male. Ho avuto paura, ma se fossimo nei guai uno di voi… io non so se potrei farlo.
‒ Lo farò io ‒ disse la ragazza e tirò su con il naso. ‒ La lancerò io. Non m’importa di perdere un braccio se posso portare quei mostri all’altro mondo con me.
Kieran arrossì appena a sentire tanto coraggio. Si sentiva improvvisamente speranzoso. Doveva essere determinato come loro, come Silas che non aveva mai esitato da quando erano arrivati, come quella Jean.
Era probabile che Visnia vedendo la granata puntasse alla persona che la teneva in mano.
Ricordò come il capitano l’avesse messo al comando del piccolo gruppo prima che tutto andasse alla malora. Doveva farsi valere anche lui, non doveva essere da meno.
‒ Tu sei ferita ‒ le fece notare e prese la granata con attenzione. ‒ Lascia che me ne occupi io.
La inserì piano nella sua borsa.
‒ Kieran ‒ lo interruppe Silas con una certa urgenza. ‒ Posso parlarti? Da soli?
Aggrottò la fronte e annuì, sorpreso da quella richiesta insolita. Andarono in disparte, lontano dagli altri, vicino allo scrosciare dell’acqua.
‒ Ti senti male?
Silas si passò il pollice sotto il naso e poggiò le mani sui fianchi. Non aveva un bell’aspetto, il suo colorito era ancora smorto e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie. Era sporco, come tutti loro e aveva i capelli unti di fronte al viso. ‒ No. Ma penso che tutto questo sia un errore. 
Kieran lesse della preoccupazione nel suo sguardo e s'imbarazzò appena all'idea che fosse preoccupato per lui. Era una sensazione così calda.
‒ Pensavi anche che sarebbero fuggiti invece di aiutarmi. E invece ti sbagliavi.
La sua risposta sorniona sembrò colpirlo più del previsto. Spostò gli occhi sui tre cadetti che discutevano di tattiche fra di loro e su Zario, che affilava la lama d’osso con una pietra.  
‒ Dai Vauk, pensiamo a un piano, quel tuo cervello paranoico ci servirà. Se ti senti troppo debole resterai dove rischi meno.
Fece per tornare dagli altri, ma le dita di Silas si serrarono sul suo polso.
Abbassò la voce. ‒ Morire qui sarebbe uno spreco.
Kieran ebbe una scossa a sentire quella stretta, ma rimase confuso dal discorso. ‒ Che intendi?
Divenne serio. ‒ A me dispiace per la bambina, per i villici e per Jack e gli altri cadetti.
‒ Si chiama Zack ‒ lo corresse Kieran e allontanò piano la mano, stranito.
Non si ricordava neanche i loro nomi? Ma se aveva giocato e parlato con loro più di lui sul treno.
Silas sembrava indifferente ai loro nomi all’improvviso. ‒ Sì, Zack, scusa. Voglio dire che a me dispiace per loro, vorrei aiutarli tutti, se ci fosse la possibilità. Ma non possiamo buttare le nostre vite così. Valgono di più di…
‒ Di cosa? ‒ domandò un po' brusco. ‒ Più delle loro?
Non lo guardava, evitava i suoi occhi. ‒ Kieran, non ne vale la pena.
Di sicuro stava fraintendendo le sue parole. Fino al giorno prima Silas aveva sbraitato contro il comandante, urlando che sarebbe rimasto al villaggio con loro, a lottare. Aveva insistito per salvare le persone scomparse, per aiutare il sindaco, con il rischio di essere congedato e punito. Era lecito avere paura, ma perché tirare fuori un discorso del genere? Che cos'era cambiato? Perché ora si tirava indietro?
‒ Silas, almeno pensiamo a un piano, se non te la senti, nessuno ti costringerà. Sei ancora debole e va bene così.
Le sue parole sembrarono una doccia gelida per Silas. ‒ Non essere stupido! Non c’è speranza. Visnia può rifiutare il duello e massacrarci tutti con una facilità disarmante.
La veemenza della sua risposta lo prese alla sprovvista. Aveva gli occhi sbarrati.
‒ Non puoi saperlo. Se ci tiriamo indietro li ucciderà.
‒ Non mi riguarda.
Stavolta a ricevere uno schiaffo in pieno viso fu Kieran.
Era certo di aver frainteso, certo di essersi immaginato quel tono ostile. Sentì Thomas richiamarli indietro, ma a malapena se ne accorse.
 Lo osservò per qualche secondo. ‒ Cosa?
 
 

Silas socchiuse gli occhi quando la voce fastidiosa di Graham li raggiunse di nuovo e si sporse oltre Kieran.
‒ Dateci un minuto ‒ replicò seccato.
L’acqua della cascata rischiò di sovrastare le sue parole, ma gli altri cadetti sembrarono capire che non era il momento adatto e tornarono a parlottare fra loro. Zario appariva nervoso, ma si era seduto pazientemente su una roccia ad aspettare.
Silas preferiva guardare ogni dettaglio della caverna piuttosto che riportare gli occhi sulla persona che aveva davanti.
‒ Cosa vuol dire che non ti riguarda?
Aveva blaterato quella risposta di getto e voleva rimangiarsela, ma non sapeva come fare. Con Kieran tirava fuori troppo spesso la verità e i suoi reali pensieri, anche quando non avrebbe mai dovuto farlo.
Cercò di ammorbidire il concetto dietro parole più dolci. ‒ Kieran io… ho delle responsabilità. Sono l’erede dei Vaukhram, capisci? La mia famiglia ha investito molto su di me. Gli abitanti di questo villaggio sono dei poveretti incappati in una situazione atroce, e farei ogni cosa in mio potere per aiutarli, evacuarli e lottare perché vengano mandati rinforzi, ma morire in modo terribile e doloroso? Per loro?
Kieran si portò le dita alla bocca, come per sopprimere qualcosa di sgradevole che aveva sulla punta della lingua.
‒ Che cosa stai cercando di dire esattamente? Perché non credo che qui si tratti solo della tua paura di morire. Quella ce l’abbiamo tutti.
Reed d’altronde non era un idiota e certe volte ricordarselo era un tormento. Spostò gli occhi sui cadetti che parlavano con Thomas, sbraitando e agitando le braccia.
Quando li aveva conosciuti sul treno aveva pensato di potersi divertire con loro, la gente del loro ceto era molto meno ingessata degli aristocratici e anche meno problematica da molti punti di vista. Aveva scherzato con loro, aveva bevuto con loro, ma non aveva mai smesso di avvertire quel divario enorme che li separava.
Non era una questione di soldi, non era per le loro divise vecchie, per l'aspetto meno curato, per le sigarette e l'alcool scadenti, era molto più di quello; dai loro discorsi, agli improperi, alla sguaitezza fino alle volgarità, alle loro opinioni, al loro modo di esprimersi.
Distolse lo sguardo con urgenza.
Morire per uno di loro o per gli abitanti del villaggio era impensabile per uno come lui. Silas provava davvero pena per quelle persone, voleva davvero aiutarle, ma gettare la sua vita era un prezzo molto diverso.
‒ Tu pensi di valere di più di loro. Pensi che la tua vita valga più della loro perché sono… cosa, gente semplice, povera, contadini?
L’accusa di Kieran lo fece trasalire, ma anche indignare. Nessuno lì si era imposto per salvare il villaggio se non lui, era stato preso a pugni dal capitano per quel motivo.
 ‒ Che cosa c’entra che sono contadini? Non è importante. Io non sono come Siegan o come…
‒ Thomas? ‒ domandò Kieran con un sorriso amaro. ‒ Perché Thomas si sta mettendo in prima linea.
Il Discendente contrasse il viso. ‒ Dico quello che pensi anche tu, solo che non vuoi sentirlo o crederci.
‒ Devi essere più specifico.
Si passò una mano sul viso. ‒ Se ci fosse un modo sicuro…
‒ Lo sai che moriranno e di una morte terribile. Potevamo salvare la bambina, ma tu hai dato la priorità ad altro.
‒ Avevo paura di colpirla! È ridicolo, non siamo ancora all’altezza di tutto questo. Vogliamo marciare contro una fata così potente per gente qualsiasi?
Kieran sbatté le palpebre. ‒ Queste persone contano su di noi.
‒ Queste persone non contano nulla!
Lo aveva fatto di nuovo. Aveva alzato troppo la voce e Jean gli gettò uno sguardo. Si ricompose e abbassò il tono.
‒ Lo so che suona... meschino da parte mia, ma è la verità. Che siano vive o morte il mondo rimarrà lo stesso, non si sposterà di un millimetro. Per noi è diverso. Pensa quando torneremo da qui, pensa come ci accoglieranno. Siamo sopravvissuti a qualcosa di atroce, abbiamo combattuto contro fate purosangue e abbiamo vinto. Avremo il potere di impedire che eventi simili si ripetano in futuro. Quando saremo in alto, faremo in modo d'intervenire in tempo. Ma qui, oggi, non c'è più niente da fare. Queste persone non possono cambiare il loro destino, ma noi possiamo ancora decidere il nostro.
Kieran appariva talmente disgustato da quelle parole che faticò a mantenere la calma. ‒ Ho sentito questi discorsi decine di volte da un mucchio di persone diverse nella mia vita. Non avrei mai pensato di sentirli da te. Ti comporti sempre come il difensore degli ultimi, dei poveri, dei diversi, ma sei un bell’ipocrita del cazzo. Sotto sotto pensi comunque che la tua vita valga più della loro, che per diritto di nascita tu sia più importante. Esattamente come il capitano.
‒ Oh per piacere, mi attacchi così soltanto perché non voglio morire senza motivo?
‒ Lo sai che non è così. Sono proprio un idiota. Ti vedo ogni giorno sfidare l’autorità, rischiare di farti espellere, e io ti guardo sempre con ammirazione; ma in realtà è facile per te essere coraggioso in quei momenti, perché sono tutte cose di cui non t’importa. Non ti importa di essere cacciato dal Ferro, non ne hai paura, avrai sempre il culo coperto. È facile essere coraggiosi quando non rischiamo di perdere qualcosa che abbiamo a cuore. Ma ecco come tutto cambia quando c’è in ballo la tua pelle. Per questo ora ti comporti così!
Silas aveva gli occhi aperti come quelli di un animale spaventato. ‒ La mia pelle vale un mucchio di soldi, sai? Se ora delle persone esterne dovessero decidere chi salvare fra di noi, salverebbero me. Ne sei consapevole?
La risposta gli uscì come un’eco lontana. Sì, aveva già sentito quelle parole, era stata sua sorella a pronunciarle a uno dei loro fratelli, prima che venisse ucciso.
Perché alla fine tutti venivano uccisi, tranne chi contava veramente.
Ricordava ancora una giornata d’inverno nevosa e rigida in cui avevano passeggiato per le vie di Railia dopo essersi fermati a una sala da tè. Sua sorella lo teneva per mano mentre lui andava dai mendicanti a porgere dei soldi. Era quasi un gioco per lui, lo divertiva e lo faceva sentire bene, perché gli dicevano grazie e lo guardavano con riconoscenza. Era una bella sensazione.
Sua sorella gli dava gli spiccioli, ma non si avvicinava mai. Sembrava non vedere neanche gli indigenti.
Quel giorno avevano incontrato anche un bambino. Vendeva giocattoli di legno e passeggiava come un fantasma per le vie, malaticcio, magrolino e infreddolito. Silas si era sentito colpito come poche volte, perché era un bambino, come lui, come i suoi fratelli. Aveva provato a regalargli la sua spilla d’argento, ma sua sorella gliela aveva strappata dalle mani.
Non sentirti in colpa per loro, esistono davvero poche persone al mondo per cui valga la pena sentirsi in colpa. Di certo non per la plebe o qualche orfanello. La plebe conta meno della polvere in questo mondo, se tu non sei fra loro è perché sei un Mezzosangue. Varrai sempre più degli altri. Anche il nostro sangue è una merce preziosissima, ogni parte di noi è costosa. Credi che l’oro s’impietosisca per la polvere?
‒ Questo significa forse che tu meriti di vivere più degli altri?
La domanda di Kieran interruppe bruscamente il suo ricordo. Gli occhi grigi del cadetto che aveva di fronte erano implacabili e a volte lo facevano sentire miserabile come gli sguardi dei mendicanti. Immeritevole.
A sua sorella Kieran non sarebbe mai piaciuto, se fosse stata ancora in vita. Euphemia maltrattava i domestici e li percuoteva di continuo, guardava dall’alto in basso chiunque non avesse un titolo nobiliare, a meno che non si trattasse di mezzosangue come loro. In questo Drake era sempre stato diverso, lui vedeva il suo nemico nell’aristocrazia e aveva sempre cercato di insegnare altro a Silas.
A volte era stato crudele con la servitù come sua sorella, a volte benevolo come Drake. Ora come ora sapeva solo di essere in una posizione di potere rispetto a loro.
‒ Nessuno ha detto questo ‒ rispose, stanco. ‒ Ma la mia vita non è insignificante come la loro. Il mio futuro inciderà sulla vita di molti, è un dato di fatto. La loro? Non conterà mai davvero.
Mentre lo diceva sapeva di pronunciare una bestialità, ma era la cruda verità. Il loro mondo funzionava così, era ingiusto e orrendo, ma non era colpa sua se le cose stavano così.
Kieran lo guardava allibito, come se non credesse che quelle parole venissero da lui. 
‒ La tua presunzione è indescrivibile, come... come fai a essere così insensibile – pronunciò, più sorpreso che infuriato. 
La sua mente era un groviglio di mortificazione e rabbia. Giustificazioni di ogni tipo vorticavano nella sua testa ed era pronto a esporle, a sostenerle. Dentro di sé, in fondo, sapeva che fosse ingiusto, sapeva che sentirsi migliore o superiore agli altri era un sentimento rivoltante, la pura essenza di sua madre e della sua famiglia. Ma non riusciva a respingere quella sensazione: a conti fatti lui contava davvero più degli altri.
‒ Non posso morire qui.
Kieran si inumidì le labbra. ‒ Credo che è la prima volta che ti vedo così terrorizzato. Sei proprio con le spalle al muro. Da quando ti conosco non hai mai mostrato tanto di te come in questo momento. Immagino che sia vero che le persone tirino fuori il loro vero carattere nelle difficoltà. Da un lato ho sempre saputo che guardavi tutti dall’alto in basso, sia la gente del tuo stesso rango, sia chi è inferiore. Con quelli della mia risma hai una sorta di... di... simpatia spocchiosa! Ecco, sì, come se ci concedessi una grazia, forse perché vuoi provocare gli aristocratici, soltanto per poterti sentire migliore anche di loro. Ho pensato di essere un’eccezione magari, ma quelli come te non hanno eccezioni. Si sentono migliori di tutti e basta. Guardi una cadetta come Jean e pensi che sia una bifolca, una bifolca coraggiosa, sì, ma le sue origini sono una macchia di sporco per te. Lo vedo da come li guardi, da come ti comporti. Io però non credevo... 
‒ Sei ingiusto ‒ replicò Silas in un sussurro. ‒ Io ho il massimo rispetto per le persone come te o lei, so che avete dovuto faticare e…
‒ Quella si chiama “pena”, non rispetto. Il rispetto è un’altra cosa. Non riesci neanche a vederci come tuoi pari.
Silas non sapeva come ribattere. La prima volta che Kieran lo aveva sconfitto si era sentito mortificato in modo incredibile, perché a batterlo era stato una nullità, una persona insignificante, addirittura senza un titolo. Col tempo si era vergognato di quella reazione, perché Kieran era diverso da come pensava.
‒ Tu non sei come loro ‒ blaterò, sperando di migliorare le cose. ‒ Sei percettivo, consapevole, intelligente. Sei disposto a imparare, ad ascoltare, a cambiare idea.
Aveva detto qualcosa di sbagliato, perché Kieran si accese di rabbia all'improvviso.
‒ Io sono come loro invece, e non me ne vergogno. Che cazzo ne sai tu se loro sono intelligenti oppure no? Pensi che solo tu e quei viziati dell’Accademia siate svegli? Pensi di essere così intelligente perché hai letto qualche idiozia in più rispetto a loro? Hai avuto talmente tanto tempo da buttare nella tua vita da poter passare i pomeriggi a leggere! Credi che sia un merito? Che ti nobiliti rispetto a noi? E pensare che hai letto tanto e non hai imparato niente.
Non riusciva a parlare. Era avvilito, ma allo stesso tempo anche pieno di rabbia. Sentiva di non meritare quelle accuse, non si era mai comportato come gli altri nobili, era sempre stato dalla parte di Kieran, lo aveva aiutato e difeso cercando di mettere da parte ogni pregiudizio.
‒ Cercavo di farti un complimento.
‒ Proprio tu mi fai questo discorso? Se ti dicessi che sei diverso da quelli come te, ti sentiresti lusingato?
Scostò il viso. ‒ Non è la stessa cosa. E non c’entra nulla. Vuoi davvero odiarmi perché ritengo tutto questo una follia?
‒ Questo c’entra eccome. Non gettarla sulla razionalità quando te la stai solo facendo sotto.
‒ Certo! ‒ buttò fuori. ‒ I-io sono terrorizzato. Non posso morire qui, non posso, capisci? Sono destinato ad altro.
Sua sorella glielo aveva sempre ripetuto. I mezzosangue non erano solo speciali, erano superiori in tutto agli umani. Erano il passaggio evolutivo successivo a fate e umani, per questo li tenevano sotto controllo.
Silas ricordati di andare in letargo. Riposa, sta’ al sicuro, nascosto. Il sangue è debole in questa famiglia, ma il male è forte. Rigetta il sangue, fai tuo questo male.
Sua sorella gli aveva recitato quei versi prima di morire, ma lui aveva capito fin troppo bene.
Non era il sangue a essere rilevante, ma il potere, i titoli. Per arrivare dove voleva doveva diventare come la sua famiglia, pensare come loro, essere come loro. C’era un motivo se quelle persone dominavano sugli altri e decidevano della vita degli altri a piacimento.
Se qualcuno avesse analizzato un’aristocratica come sua madre e una donna come Jean, non avrebbe avuto dubbi su chi fosse superiore dei due. L’istruzione, la conoscenza, il denaro, i mezzi, i sottoposti, le infinite possibilità, tutto questo la rendeva superiore, come se fosse di un’altra razza.
Per Silas era lo stesso. Poteva guardare quei cadetti e pensare che le loro vite valessero quanto la sua, provare a convincersene con tutto sé stesso, ma nel profondo sapeva che non era così.
Non avrebbero mai potuto cambiare il mondo, o lasciare un segno, la loro vita sarebbe stata sempre limitata dalle loro origini.
Provava così tanto disgusto per sé stesso, quei pensieri lo facevano sentire sporco, ma non riusciva ad abbatterli. La sua famiglia aveva avvelenato il suo giudizio, la sua percezione di sé, ma era forse colpa sua quella disparità? Lui aveva già i suoi problemi, aveva già le sue battaglie.
‒ Sei destinato ad altro ‒ ripeté Kieran con amarezza. ‒ Pensi di essere una sorta di prescelto? Che gli altri siano comparse nel tuo spettacolo?
‒ Mi fai la morale, ma non l’hai mai fatta alla tua amichetta Dalia o a Thomas lì. Credi che per loro sia diverso? Sono ricchi e potenti, chiedi a Thomas se sposerebbe mai una donna come Jean. Chiediglielo. Chiedi a Dalia se morirebbe per un contadino qualunque. Se sposerebbe mai uno come te.
Non voleva ferirlo, ma vide di esserci riuscito.
Kieran scosse la testa, le labbra strette. ‒ Non me ne frega niente di loro al momento. Sì, forse tutti voi vi sentite più colti, ricchi e importanti degli altri. Ma da te mi aspettavo di meglio. Da te io… non credevo che mi guardassi come gli altri. Di continuo mi sono chiesto perché uno come te perdesse il suo tempo con me, se tu mi vedessi come tuo pari. E la risposta ora la so.
Le ultime parole gli uscirono dolorosamente e a fatica.
‒ Io ti vedo come mio pari. Te l’ho detto, tu sei diverso dagli altri, come me.
‒ Quindi mi hai scelto come amico perché sono quasi al tuo livello?
‒ Continui a rigirare le mie parole. Quello che io vorrei…
Lo interruppe. ‒ Scusa, Silas, ma non me ne importa nulla di quello che vorresti tu al momento. Forse sei diventato mio amico per indispettire tutti, non lo so.  Mi hai salvato la vita, ti ho detto che non me lo scordo, te ne sarò sempre grato. Però, per favore, dimmi: moriresti per me?
Aveva le guance rosse per lo sforzo e la vergogna di porre quella domanda, Silas si sentì intimorito dal tono.
– È-è una domanda semplice. Quando ho visto quella fata che stava per raggiungerti ho perso la testa. Sapevo che mi avrebbe ucciso, ma l’ho aggredita comunque. Ho dato per scontato che tu avresti fatto lo stesso per me. Perché sono un idiota e non imparo mai.
Silas fu preso alla sprovvista. ‒ Ma certo che è così.
Nel momento in cui lo disse seppe che era una bugia. Qualcosa di viscido e meschino gli strisciò nel petto; si era sentito tante volte impotente e debole, ma mai come in quel momento si sentì un uomo infimo.
Osservò il terreno roccioso sotto i suoi piedi, spaventato.
Kieran gli piaceva. Gli piaceva tanto e non solo come amico. Era in gamba, divertente, coraggioso, interessante. Era genuino in un modo che lui non sembrava comprendere. Era diverso da tutti ai suoi occhi.
Ma era una persona qualsiasi. Un cadetto qualsiasi senza alcuna utilità per il suo obbiettivo. Aveva chiesto all’inizio di essere messo in stanza con una persona ininfluente e così era stato. Kieran doveva servirgli solo come copertura, perché un poveretto dei bassifondi non comportava una minaccia per lui.
Ma non era più così. Kieran era una vera e propria minaccia al piano di Cavana. Era acuto e percettivo, e soprattutto era leale e fedele al rettore. Già salvargli la vita era un rischio, ma morire per lui?
No.
Mai.
Aveva dedicato tutta la sua vita alla Legione. Aveva soltanto undici anni quando sua sorella lo aveva portato di fronte a Cavana.
Lui aveva una causa per cui vivere, ed era più di quanto avesse la maggior parte di persone nella propria vita. Aveva un dovere e un debito, verso i fratelli che erano morti al suo posto.
Devi compatire i tuoi fratelli, ma mai pensare che avresti dovuto meritarlo tu. Loro non erano al tuo livello.
‒ Lo so che stai mentendo ‒ mormorò Kieran.
Alzò di scatto la testa. Voleva negare, ma sentiva che farlo lo avrebbe reso ancora più nauseante. ‒ Ti conosco da qualche mese, Kieran ‒ rispose in un sussurro. ‒ Ma ho conosciuto me stesso per tutta la mia vita.
‒ C’è qualcuno per cui moriresti al momento?
Per la missione. Solo per quella.
‒ No, nessuno.
Morire per le persone era sciocco e inutile, morire per una causa invece aveva molto più senso. Come avrebbe potuto aiutare Marian altrimenti?
Gli occhi di Kieran lo compativano all’improvviso. ‒ Perché?
Le parole gli uscirono a forza, come se venissero strappate via. ‒ Perché nessuno lo merita. Io mi sono guadagnato il mio posto, mi sono guadagnato la mia vita. Non voglio buttarla via per qualcuno di irrilevante.
Volle rimangiarsi quello che aveva appena detto nell’istante in cui lo pronunciò. Vide il dolore che aveva appena inflitto negli occhi di Kieran e cercò di rimediare.
‒ Per questo voglio che rinunci. Torniamo al villaggio, lascia perdere tutto questo. Sai anche tu che è una follia. Non devi morire per loro, tu vali più di queste persone.
Kieran sospirò nel tentativo goffo di scacciare un rischio di pianto. ‒ Non ti avrei mai costretto a venire e a rischiare la tua vita se non te la sentivi. Non ti avrei mai neanche giudicato per aver avuto paura. Ma non è per la semplice paura che vuoi andartene. E io non ho nient’altro da dirti.
‒ Aspetta. Io non ti ho giudicato per la faccenda delle bugie, non ti ho giudicato perché sei un bugiardo…
Gli rivolse uno sguardo spento. ‒ Silas l’unico che giudica tutto e tutti sei sempre tu. Io mi limito ad accettare quello che già so: che nessuno all’Accademia della Spada mi vedrà mai per quello che sono. Nessuno dimenticherà mai da dove vengo.
 
 
 
 
Kieran tornò dagli altri con un’espressione molto più cupa. Il suo umore era nuovamente precipitato, ma in qualche modo la discussione con Silas aveva attutito la paura.
‒ Pensiamo a un modo per liberare tutti ‒ esordì con distacco.
Trovò espressioni curiose e perplesse, ma nessuno chiese alcunché. Silas tornò fra loro in silenzio ed evitò accuratamente i suoi occhi.
‒ Silas andrà al villaggio a evacuare gli abitanti rimasti. Ha usato troppa magia e a malapena si regge in piedi ‒ inventò.
Non sapeva neanche perché stesse mentendo per coprirlo, ma era meglio che non perdessero la grinta di poco prima.
Forse non voleva che gli altri lo vedessero codardo e spocchioso come lo aveva appena visto lui.
Spostarono gli sguardi su Silas, che osservava Kieran a labbra strette. ‒ Vi sarei solo d’intralcio ‒ mormorò.
Jean gli lanciò un’occhiataccia, ma evitò di manifestare i propri pensieri.
Discussero per una mezz’ora su come procedere, usando Silas come tramite fra loro e Zario. Le difficoltà comunicative si sarebbero potute rivelare molto problematiche, ma riuscirono col suo aiuto a farsi un’idea della posizione dei prigionieri.
Stabilirono un abbozzo di piano e decisero come dividersi. Quando non ebbero più bisogno dell’aiuto di Silas come intermediario, Kieran lo salutò freddamente.
‒ Ti conviene incamminarti, ci vorrà un po’ per evacuare il villaggio.
Riuscì a parlare senza emozioni e si sentì fiero di sé per il proprio autocontrollo.
‒ Cerca di restare in vita, Reed.
La voce gli arrivò ovattata, vicino la cascata. Non gli rispose né si voltò a guardarlo, ma bastarono quelle parole perché il cuore gli sprofondasse nel petto.
Idiota, stupido.
Sperava di udirlo tornare indietro, affiancarlo, dirgli che non lo avrebbe lasciato morire.
Voleva che si sentisse terribilmente in colpa, che venisse tormentato da quell’ultimo saluto.
Non resistette alla fine e si voltò a guardare. Di Silas però, non c’era più alcuna traccia.
 
 
 
La corte era ormai a un passo da loro.
Il piano era semplice e a detta di Kieran bambinesco; avrebbero accompagnato Zario nel cuore della corte, a quel punto lui avrebbe sfidato la nuova regina a duello. Zario era stato molto chiaro, almeno uno di loro avrebbe dovuto accompagnarlo fin dalla regina. Visnia di fronte a un pubblico forestiero sarebbe stata meno incline a rifiutare il duello, le fate tenevano molto alla propria immagine e alla propria gloria, non avrebbe accettato di apparire vigliacca di fronte a un guerriero del Ferro.
Il ruolo dell’accompagnatore però creava molti problemi. Zario era ferito, stanco e non sembrava in grado di vincere quel duello, dunque c’erano alte possibilità che la persona al suo fianco facesse una brutta fine.
Nessuno di loro quattro aveva parlato. Kieran alla fine si era offerto. Lui teneva fra le mani la granata e in caso la situazione precipitasse sarebbe stato il più vicino per usarla.
Non sapeva neanche perché si fosse offerto, ma era certo che avesse a che fare con le parole di Silas. Voleva prendere le distanze dalla sua vigliaccheria, se doveva morire, avrebbe voluto farlo in modo coraggioso. Chissà, magari Silas avrebbe rimpianto per sempre di non essere stato al suo fianco. Oppure lo avrebbe dimenticato e Kieran sarebbe diventato soltanto il ragazzo sfortunato con cui aveva passato qualche mese piacevole il primo anno di Accademia.
Perché si sentiva così ferito?
Questo gli faceva ritornare in mente quando dopo un torto di suo padre, sua madre smetteva di mangiare. Lui si arrabbiava e le chiedeva perché.
Voglio che si senta in colpa. Voglio che ci tenga.
Gli sembrava di capire in quel momento, ma era un sentimento così doloroso e acuto che voleva scacciarlo al più presto e concentrarsi solo sullo scontro imminente.
Kieran avrebbe accompagnato Zario, così avevano infine deciso.
Gli altri tre cadetti si sarebbero avvicinati in modo cauto dai limiti della corte e avrebbero raggiunto i prigionieri. Avevano con sé un binocolo per tenere d’occhio la situazione.
Ognuno di loro era armato, ognuno di loro era terrorizzato ma anche pieno di adrenalina.
Kieran non aveva idea di che cosa aspettarsi dalla corte di questa Visnia. Non aveva mai visto una corte fatata se non per alcuni disegni e foto di esploratori e ambasciatori che vi erano stati.
Per questo quando ci mise piede, gli sembrò di aver lasciato il mondo conosciuto alle sue spalle, e aver varcato la soglia di un altro pianeta.
Le tinte del bosco cambiarono bruscamente, il verde cupo lasciò il posto a sfumature vivaci di rosa, lavanda e celeste, che riempirono i suoi occhi spalancati. Gli alberi giganteschi avevano chiome lillà e le foglie cadute ricoprivano il fiume violetto che serpeggiava tiepido fra le sponde.
Cercò di abbracciare tutto con lo sguardo, ma non vi riusciva, ogni angolo era una nuova scoperta. Il terreno era invaso da sentieri che portavano alle abitazioni, veri e propri palazzi scavati nel legno degli alberi, con scalinate e ponti intorno ai tronchi e fra i rami altissimi delle chiome.
Non erano le case rudimentali che Kieran si era aspettato, riusciva a vedere uno stile architettonico complesso ed elaborato, porticati colonnati sospesi fra gli alberi, corrimani decorati, ampie balconate dalle balaustre in pietra. Una città sospesa fra i tronchi mastodontici.
 Ovunque danzavano grosse e calde lucciole che scendevano fin dentro il fiume con un tintinnio. Grossi e spropositati funghi attorniavano le acque rosate insieme a specie di piante che Kieran non aveva mai visto. I rampicanti erano violacei e gonfi, come vene esposte e si abbarbicavano lungo gli alberi. Fra i rami apparivano baccelli grandi quanto la testa di un uomo, alcuni squarciati che avevano riversato un succo denso e rosato.
Anche gli animali lo lasciarono a bocca aperta. Ce n’erano migliaia, tutti gli animali del bosco riuniti lì. Non erano concentrati su di loro, brucavano, dormivano, ma erano talmente tanti che si faticava a camminare sui sentieri.
L’intera corte annegava nel profumo inebriante di splendidi fiori azzurri. Tappezzavano i tronchi, le strutture, le radici e i sentieri, somigliavano a campanule, ma non aveva mai visto quei boccioli.
‒ Fiori Piangente ‒ mormorò Zario, vedendo il suo sguardo ammirato.
Kieran sussultò appena quando lo sentì articolare quelle due parole. I fiori della Piangente. Forse erano il suo simbolo, i suoi prediletti.
Dopo l’iniziale sbalordimento, iniziò a vedere i segni del conflitto. Alcuni alberi avevano grossi squarci lungo la corteccia, uno era crollato e con esso tutta l’abitazione costruita intorno e all’interno. Le porte apparivano sbarrate e non si levava un suono dalle case.
A poco a poco però vide degli individui affacciati alle balconate. D’istinto portò le dita alla spada, ma si rilassò quando incontrò gli occhi vispi e giovani di bambini fatati. Pochi e silenziosi, li guardavano con curiosità e interesse. Uno di loro gli sorrise mostrando i dentini aguzzini, lo salutò con un gesto timido della mano.
Kieran non riuscì a ricambiare il saluto, troppo sbigottito da quella vista.
Erano dei semplici bimbi, avevano ali e corpi diversi dal suo, ma sembravano spaventati e malinconici.
Zario li osservò uno per uno con occhi preoccupati. Uno dei bambini spiccò il volo dal balcone e con movimenti inesperti e goffi si precipitò fra le braccia di Zario. Si avvinghiò a lui e iniziò a parlare a raffica. Grosse lacrime gli scendevano dagli occhi a mandorla, ma prima di toccare terra si trasformavano in petali. La pelle stessa, ricoperta da una sorta di sudore nervoso, produceva dei piccoli petali che uscivano dai pori impiastricciati di sangue.
Zario gli carezzò le ali e la testa, poi gli disse qualcosa con una voce così dolce e calda, che Kieran si sentì un po’ rinfrancato pur senza aver capito.
Il bambino annuì, poi osservò Kieran. Gli consegnò quella che sembrava una ghianda e volò di nuovo verso l’alto.
Kieran osservò la ghianda, perplesso e quando alzò il viso vide che Zario gli sorrideva. Indicò la ghianda e disse qualcosa, poi rise appena.
La infilò in tasca e cercò di spezzare la tensione sorridendo a sua volta.
Quello non era lo spettacolo che si immaginava. Non sembrava esserci più nessuno se non fate molto giovani e spaventate. Man mano che si avvicinavano al cuore della corte, la distruzione intorno a loro aumentava. Apparirono i primi corpi, avvolti dalle radici o dai rampicanti. Su alcuni erano stati poggiati i fiori azzurri della Piangente mentre la terra li riassorbiva.
Il senso di oppressione che aveva nel petto ormai dilagava incontrollato.
‒ Reed!
Si voltò e vide grosse gabbie di legno e pietra in fondo a uno dei sentieri. Erano situate fra due enormi alberi, circondate da rami di spine.
Prima di vedere loro però, Kieran guardò annichilito i cadaveri, stretti nell’abbraccio dei rampicanti. Le mosche gli ronzavano intorno e alcuni animali azzannavano parti del corpo esposte, trascinandosi via i pezzi.
Molti di loro erano nudi e avevano un buco nel petto, lì dove un tempo c’era stato il cuore. Ora erano avviluppati dai rampicanti come sculture macabre e alcuni rami riempivano la voragine nel torace.
‒ Reed! ‒ lo chiamarono nuovamente.
Si riscosse e ignorò il ronzio delle mosche, avvicinandosi piano alle gabbie fino a trovarsi a pochi centimetri. C’erano alcune fate prigioniere, abitanti del villaggio e tre cadetti sopravvissuti, fra cui Zack, che ferito e ansante era riuscito a ricordarsi il suo nome.
In una gabbia a parte erano trattenuti i bambini. Ce n’erano tre umani e due fatati. La ragazzina era fra loro.
Zario si avvicinò alla gabbia e quella piagnucolò a vederlo, sollevata.
Kieran si avvicinò a Zack. ‒ State bene?
Il cadetto aveva il naso spaccato, gonfio e violaceo, ma tirò fuori un ghigno nervoso. ‒ Sì, per ora. Anche se non mi dispiacerebbe fumare un’ultima sigaretta. Quella puttana folle si diverte a denudarci, stuprarci se le va e poi a strapparci il cuore. Sei stato catturato?
‒ No. Sono qui per aiutarvi.
Zack lo guardò scettico. ‒ Come?
Prima che potesse spiegargli il piano, due fate armate piombarono su di loro con le lance protese.
Kieran tentò di allungare il coltello a Zack, ma il legno della gabbia si animò e tentò di impedirglielo in una stretta aggressiva.
Il cadetto però riuscì a sfilargli il coltello e con un movimento fluido a riporselo nei pantaloni, senza cambiare espressione.
Zario stava parlando con le due fate carceriere. Indicò anche Kieran, che era più teso che mai.
‒ Cacciafalene, ora verrete entrambi dalla regina.
La sua lingua suonò quanto mai atroce in bocca a quella fata ostile, ma ubbidì senza opporre resistenza.
 
 
Era rimasto stupito che le guardie non li avessero fermati prima, ma si rese ben presto conto che non c’era più nessuno ormai della milizia fatata. Forse qualche fata era dispersa nel bosco o pattugliava il confine, ma lì nella corte non sembravano più esserci fate combattenti. Alcune che intrecciavano ghirlande sui cadaveri o si occupavano degli animali e dei feriti, ma non sembravano in grado di brandire un’arma, avevano occhi scavati e spaventati. Qualcuna era anche ferita, come una giovane fata dalla pelle azzurrina che aveva le ali strappate.
Il trono di Visnia era in cima a una scalinata di pietra, di fronte a un gigantesco albero che appariva molto antico. Ghirlande rosse scendevano dai rami, insieme a ossa e corna di animale. I fiori azzurri erano spariti, sostituiti da petali vermigli. Un tappeto di fiori rossi attorniava il trono, Kieran ripensò alle immagini medievali dei grandi re del passato che percorrevano lunghi tappeti scarlatti per raggiungere il seggio reale. Ma quella distesa di fiori ricordava tutt’altro, somigliava più a una lunga scia di sangue.
Il trono sembrava una mano scheletrica aperta, fatto di rami contorti che s’innalzavano in alto come aculei. Accanto, in ginocchio sui fiori, stavano due umani. Un uomo e una donna, nudi e feriti. La loro pelle era piena di abrasioni, i capelli erano stati decorati da fiori e avevano una collana di ossa stretta intorno al collo; erano prostrati accanto alla regina come due animali. Visnia accarezzò i capelli di lui e poi le ferite, divertita dalla smorfia di dolore che attraversò il viso dell’uomo.
Kieran cessò di avanzare. Il respiro gli andò di traverso e fu certo di essere sull’orlo di un attacco di panico.
La creatura di fronte a lui era l’essere più inumano che avesse mai visto. Alta il doppio di lui con arti sproporzionati e dalla forma contorta; le ossa degli avambracci si aprivano a formare due cavità nel centro, per poi ricongiungersi vicino ai gomiti ossuti e appuntiti. Le gambe erano nascoste da un abito sontuoso, rosso come il sangue e magico. Sul tessuto erano cucite decine di occhi, che sbattevano le palpebre e osservano, febbricitanti.
Kieran si sentì male di fronte a quegli occhi di colori e forme differenti, alcuni umani, alcuni fatati.
Due in particolare di un azzurro vivo come lapislazzuli erano appuntati sul petto, fieri, enormi e liquidi; sembravano due spille preziose, ma le iridi si posarono su Zario con un velo di malinconia.
Kieran in qualche modo seppe che quegli occhi erano appartenuti alla Piangente, perché avevano gli stessi colori dei fiori che decoravano la corte.
Visnia li indossava fiera, come se fossero uno splendido accessorio.
Gli occhi di sua madre.
Si costrinse ad alzare ancora lo sguardo e a osservare il volto di una creatura tanto immonda e spietata. Avrebbe voluto che quella crudeltà fosse riflessa da un aspetto disgustoso, ma non trovò niente del genere.
Il viso di Visnia era un idillio, un insieme di linee affilate e delicate al contempo; la pelle bianca come la neve era increspata da squame fungine, come la corteccia di un albero coperta da funghi lignicoli. Sulla testa le squame si allargavano e si arricciavano, formando onde legnose rossastre.
Aveva labbra scarlatte, piene, un piccolo naso perlato e occhi neri come gocce d’inchiostro. Uno dei due occhi però era occupato da un fiore azzurro che stonava su di lei, sembrava crescere nell’orbita e scavare una ferita.
Sarà stato l’ultimo regalo di sua madre.
Gli occhi neri lo osservarono e lui si sentì inghiottito da un senso di orrore e piacere che non poteva spiegare in nessuna lingua conosciuta agli uomini.
Zario iniziò a parlare e gli sembrò che la sua voce arrivasse da lontano. Aveva un tono deciso e roboante, ma gli giunse distante all’inizio.
Visnia rispose con note deliziose, un suono che Kieran non aveva mai sentito. Le parole sembravano sussurrate con malizia e calore, ogni lettera gli creava un brivido.
‒ Un umano dai colori dell’autunno! ‒ mormorò poi, rivolgendosi a lui con un gridolino eccitato.
Sorrise e mostrò una fila di denti poco rassicurante.
Kieran resistette alla tentazione di gettarsi in ginocchio e chiedere pietà. Chinò il capo e si accorse di tremare.
‒ Ti sorprende che parlo la tua sgradevole lingua, umano?
‒ N-no…
‒ Mia madre volle insegnarmela. Ogni suono ricorda quello di un animale morente, ma neanche il cinghiale emette rumori tanto sgraziati prima di spirare. Una razza ripudiata dalla natura stessa, senza una goccia di bellezza e grazia.
Kieran a malapena l’ascoltava, sentiva soltanto il proprio cuore esplodergli nel petto.
Visnia sfiorò con le dita ossute e lunghe gli occhi di sua madre. ‒ Eppure lei trovava della bellezza in voi, nelle vostre emozioni effimere, fugaci. Ammetto che ho iniziato ad apprezzare alcuni vostri vezzi.
Prese la donna per il collo e la trascinò su di sé come se fosse un giocattolo. La adagiò sulle proprie gambe con fare amorevole. La donna non emetteva un suono, aveva il volto incrostato di lacrime e gli occhi pieni di orrore.
‒ Sapete essere molto malleabili e ubbidienti, più degli stessi animali a volte.
Passò le dita fra i seni della donna, sulla pancia segnata da smagliature. ‒ Ero affascinata dal vostro corpo e ho esaminato diversi interni. Ho trovato più bellezza nascosta dentro di voi, che al di fuori. Come il vostro cuore, ancora palpitante pure se strappato. Rosso e vivido come una rosa.
Fermò le dita sul petto della ragazza e aprì un taglietto con l’unghia. Fece una pressione e Kieran iniziò a temere che la avrebbe uccisa lì e adesso.
La prigioniera sembrò pensare lo stesso, perché perse i sensi dal terrore.
Visnia sospirò, infastidita. Baciò l’umana sulle labbra come se fosse la sua piccola e le accarezzò i capelli.
‒ Anche se il vostro cuore è fisicamente grande, è più flebile di quello di un piccolo coniglio.
Lanciò a terra la ragazza con svogliatezza. ‒ Per fortuna ora di schiavi ne ho tanti. Nessuno però con i colori dell’autunno come te, umano.
Kieran decise in quel momento che piuttosto che finire a quel modo si sarebbe ucciso, non sarebbe mai diventato uno schiavo di quella creatura.
Zario sollevò la lancia contro di lei e ripeté la proposta.
Visnia sembrava seccata. Kieran notò in quel momento che si toccava il fianco, lì, dove una macchia di sangue aveva intaccato il tessuto del vestito.
Non riuscì a seguire lo scambio di battute, al che Zario gli passò un petalo raccolto da terra e gli fece cenno di mangiarlo. Ubbidì.
‒ Così potrai capirmi, ragazzo.
Sussultò a sentire la voce di Zario parlare la propria lingua. Gli ricordò quella del maestro Fergus, forse perché sembrava saggia e stanca.
‒ La magia della corte può concedere questa grazia, Visnia ha accordato che tu potessi seguire la nostra disputa.
La regina fece un cenno col capo. ‒ Tutti devono sentire Zario il traditore della sua razza ‒ e nel sorridere gli angoli della bocca raggiunsero quasi gli angoli degli occhi.
‒ L’unica traditrice qui sei tu, Visnia. Disonorevole e codarda. Se conservi anche solo una goccia dell’icore di tua madre, mi affronterai e combatterai con me come vogliono le antiche leggi.
La risata della regina ricordava i cinguettii di mille rondini. ‒ Le antiche leggi? Le uniche leggi che contano sono quelle dei re d’Oltremare! Conquisterò questo continente e glielo offrirò in dono.
Kieran impiegò qualche secondo a capire che stesse parlando dei Valksha. Perse colore a quella minaccia. Non aveva mai pensato che le fate indigene volessero unirsi alle fila dei Valksha, era un pensiero spaventoso.
‒ Rifiuti, dunque?
‒ Perché un duello, quando posso uccidervi entrambi?
Zario osservò per un attimo Kieran, che era ormai verdognolo. Aprì la bocca e provò a parlare, ma non gli usciva la voce. S’inumidì le labbra.
‒ Non conosciamo la vostra forza ‒ sussurrò.
Visnia voltò la testa verso di lui come quella di un gufo. ‒ Cosa bofonchi, umano? Parla più forte o non parlare.
Si schiarì la gola. ‒ Dovreste dare prova della vostra potenza. Le parole… le parole si possono dimenticare. I fatti no. Dite che non c’è bellezza in noi, allora mostrateci, prima di ucciderci, la bellezza della vostra potenza in duello.
Aveva concordato quella frase con Zario, su suggerimento di Silas. Le fate erano facili da provocare, ma andavano sempre lusingate.
Visnia di fatto sembrò gradire le sue parole. ‒ Voglio che tu veda la potenza della tua nuova padrona. Così quando ti farò mio schiavo, mi adorerai con la giusta devozione. Il potere è importante, ma saperlo esercitare con grazia è una qualità di cui molti sono sprovvisti ‒ e nel dirlo osservò Zario con un’espressione sfrontata. ‒ E sia, combatterò contro di te, Zario. Così le tue ossa e il tuo sangue si mescoleranno a quelle di tua figlia e della tua amata regina. Pensare che eri il suo amante prediletto, ma mia madre non ha mai davvero visto la vera bellezza.
Accarezzò gli occhi azzurri sul petto con dolcezza nel dirlo, ma la sua voce trasudava crudeltà e ironia.
Kieran vide Zario per un attimo perdere lucidità, il volto si contrasse e si spaccò in venature scure. Si ricompose però e annuì con fermezza.
‒ Un duello fra le statue degli antichi fey, soltanto noi due.
‒ Oh no, mio dolce Zario ‒ lo interruppe con tenerezza.
Si alzò e la sua statura impressionò Kieran. Si sgrullò la schiena e spalancò le ali, adombrandoli. Due enormi ali rosse li sovrastavano, ali piene di licheni e funghi sporgenti che sembravano averle ricoperte; un grosso squarcio lacerava l’ala sinistra, sanguinante e stropicciata.
‒ Tutti dovranno assistere. Abitanti e prigionieri, tutti dovranno guardarti cadere.
Kieran seppe in quel momento che sarebbe finita nel sangue.

 
 
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Ciao a tutti!
Avevo promesso che sarebbero stati 4 capitoli ma ho dovuto dividere questo in due ç__ç, sono desolata, ma altrimenti veniva un pastrocchio.
Scusate la piccola pausa, ma ho un po’ di pensieri per il lavoro, vi ringrazio davvero per la pazienza.
Questo è un capitolo di passaggio, ma piuttosto pesante a mio avviso, quindi intanto vi ringrazio di aver letto fin qui xD.
Silas qui ha svelato un lato molto infimo. Diciamo che non ha mai nascosto di sentirsi “migliore” degli altri, è sempre stato un pochino presuntuoso, però ha sempre bilanciato con una certa umiltà quando serviva. Qui però, di fronte alla possibilità di morire, non ha sentito né visto più nulla.
Silas qui è un adolescente ancora, un adolescente ricchissimo e appartenente a una famiglia molto potente. Schiocca le dita e le persone fanno di tutto per compiacerlo. Era impossibile che non sviluppasse un ego un po’ spropositato ^^’’, acuito dal fatto che è aristocratico e anche se non vorrebbe averlo, ha un certo pregiudizio introiettato verso chi sta più in basso di lui.
Ancora grazie per aver letto i miei sproloqui e a presto!
Art by: 
https://www.artstation.com/gjosic, Goran Josic.
 
   
 
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