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Autore: Ghostro    02/03/2022    1 recensioni
Questa storia prende spunto dal contest Riddikulus di Fiore di Cenere
Le vicende si svolgono durante gli eventi del quinto libro della saga. Damien Kiran, giovane Tassorosso, durante una punizione notturna nella Foresta proibita fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita. Lui e i suoi amici si troveranno alle prese con il furto di un artefatto antichissimo e proibito capace di strappare alle persone la loro risorsa più preziosa: l'amore.
Genere: Azione, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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THE SHOW MUST GO ON
 
 
Vitious continuava ad agitare la bacchetta, assecondando il vocalizzo del coro con la solita energia. Era un insegnante di statura minuta, dalla personalità talvolta sempliciotta, ma aveva una conoscenza degli incantesimi così profonda che pochi altri maghi al mondo potevano vantare. Non a caso era uno degli insegnanti più illustri che la scuola aveva da offrire, nonché il Capo della casata che faceva della conoscenza e l’ingegno il suo cavallo di battaglia: Corvonero. Di cui, in gioventù, era stato membro.
Era il primo professore che Alma aveva conosciuto al suo arrivo ad Hogwarts. Un autentico pozzo di conoscenza, anche se, come Vitious ripeteva spesso, si riteneva dotto solo la metà del professor Silente. Entrambi avevo un’indiscussa passione per la musica, nonostante la praticassero in modi totalmente differenti. Ma non aveva potuto di dirgli di no quando l’aveva implorata di partecipare al coro scolastico; se non come voce principale, almeno per accompagnarla.
Ancora una volta, la Umbridge passeggiava nei suoi pressi. A causa di “insistenti voci” sulla formazioni di gruppi studenteschi non regolari, aveva deciso di mettere al bando anche il coro della scuola. Pur permettendone l’immediata ricostituzione, ma alle sue regole. Il suo intento era chiaramente quello di trasformare una delle più recenti ma illustri istituzioni della scuola in una banda di studenti “rispettabili” che cantava su dei testi adattati per un pubblico da asilo nido.
Presenziava ad ogni dannatissima seduta.
 
«Muovete quelle bocche!»
Ricordava benissimo la prima volta che era intervenuta. Alma stava facendo di tutto per evitare di dare in escandescenza. Non aveva mai odiato a prima vista qualcuno come quella diabolica faccia da rospo, e non era il tipo che sbagliava spesso a giudicare le persone. Era cresciuta a Notturn Alley, figlia di madre galeotta e un padre babbano. Aveva imparato a farsi rispettare da criminali, contrabbandieri, ogni genere di malfattore e disperato potesse ospitare quel sobborgo infernale. La gente vestita bene non sapeva niente, non aveva mai dovuto arrivare a mordere la vita. Era abituata a guardare le persone dall’alto del loro sporco piedistallo. Inquisitore supremo per lei era solo un titolo pomposo come tanti altri, nient’altro.
Le sue emozioni erano un calderone traboccante di ostilità già prima che lei provocasse il suo autocontrollo. Aveva preso un metro, quella vigliacca, e l’aveva usato deliberatamente per misurare l’altezza del professore davanti a tutti. Inizialmente Vitious non aveva capito cosa stesse succedendo, ma non ci aveva messo molto a fare due più due.
«C-Cosa sta facendo?» aveva bofonchiato allibito.
Inspirando a pieni polmoni, Alma ci aveva rosso dalla rabbia. Aveva stretto le mani a pugno fino a conficcare le unghie nella carne; per un momento, le era anche parso che lo sguardo della Umbridge fosse rivolto verso lei. La tentazione di metterle le mani addosso si era fatta sentire. Il cuore pompava all’impazzata nel petto. Era un prurito fastidioso che reclamava a gran voce soddisfazione. Un bisogno fisico.
Una mano si era chiusa intorno alla sua, delicata e sottile. La timida Astoria Greegrass aveva scosso la testa impercettibilmente e quell’attimo rubato era riuscito in qualche modo a far evolvere la situazione senza il suo contributo.
«Nulla.» Aveva precisato la Umbridge con quell’odiosa vocina gentile.
«A me non sembra nulla.»
«Spetta a me decidere cosa possano sembrare o meno le mie indagini sul corpo insegnanti, professore. Le continui pure le sue attività e non faccia caso alla mia presenza.»
«Interroga tutti gli insegnanti» aveva sussurrato Astoria. «Daphne mi ha detto che ha fatto lo stesso con Piton e la professoressa Caporal. Vuole istigarli.»
«Allora dico di spezzarle le gambe e riportarla da Caramel bell’infiocchettata. E con un dito mozzato dentro un piccolo cofanetto» aveva replicato velenosa.
Astoria era rimasta orripilata. «Sei matta? Vuoi finire ad Azkaban?»
Alma si era limitata a fissare quella stronza con disprezzo.
Lei si era voltata un paio di volte, salvo poi decidersi a guardare davanti. «Senti, sappiamo entrambe che non posso fermarti. Ma qualunque cosa ti passa per la testa, non farlo qui. E magari ripensaci più di una volta, già che ci sei. Con la violenza non si risolve nulla.»
Tipico modo di pensare per chi non era cresciuto a Notturne Alley.
 
«Rodriguez, una parola» disse Vitious alla fine dell’esercitazione.
Mentre i suoi compagni uscivano dall’aula, Alma sbuffò. Si sistemò la borsa a tracolla sulla spalla e lo raggiunse. Era così piccolo che doveva sedersi sotto un’amplia pila di libri solo per arrivare alla sua altezza.
«Ti stai comportando in modo molto maturo. Forse dovrei prendere lezioni da te.»
«Di cosa sta parlando?»
«Di quell’insopportabile, scandalosa…» Cercava disperatamente una parola consona al suo vocabolario altolocato.
Fu così divertente vederlo diventare rosso in viso che sorrise e attese incrociando le braccia al petto.
«Una…»
«Vuole una parola?»
«No, ce la faccio! Una… Una…!» Stava diventando viola.
«S.T.R.O.N.Z.A» sottolineò Alma, mettendo enfasi su ogni lettera.
Vitious rimase allibito. «Modera il tuo linguaggio, ragazzina!» Alma roteò gli occhi. «Questo uso che fai delle parole non è appropriato per questa scuola prestigiosa. Non essere irrispettosa!» Poi si massaggiò il mento. «Però, effettivamente, questo termine grezzo potrebbe esprimere in modo», la sua espressione era ancora di rimprovero, «sciatto e sconsiderato il mio pensiero.»
Alma ondeggiò con la testa. «Dalle mie parti si dice: “Grazie”.»
Vitious sbuffò e grugnì più volte come un treno a vapore che iniziava a carburare. «Insolente. Sfrontata. Sfacciata.»
Il sorriso di Alma si allargò. «Sta parlando di me o della Umbridge?»
Dal modo con cui si passò una mano sul viso, forse non lo sapeva nemmeno lui. «Tu sarai la mia rovina, Rodriguez. Lo sai? La mia rovina.» Con la mano, fece cenno di lasciar perdere. «In queste settimane pensavo che avresti voluto parlarmi di quello che è successo a Notturne Alley, prima o poi.»
«Mi perdoni la franchezza, professore. Se intende parlare di aiuti economici o robe simili, la fermo subito. Sa già come la penso.» Lei non aveva bisogno di alcuna elemosina.
Era un argomento di cui avevano discusso spesso. Vitious era affascinato dalla sua voce. Le aveva offerto di pagare di tasca propria i più prestigiosi maestri della magia canora in circolazione, pur di valorizzare quello definiva un “diamante grezzo”. Alma le aveva sempre respinte in blocco. Non voleva una vita tra aristocratici che analizzavano la purezza del sangue come i somelieur una bottiglia di vino. Non avrebbe permesso che suo padre finisse per essere il bersaglio di qualche invidioso Purosangue. E altrettanto importante: la musica classica, i cori e tutto il resto, potevano anche fottersi per quel che la riguardava.
«Non è di questo che volevo parlarti. La Traccia ha identificato l’incantesimo che hai lanciato fuori dal castello.»
Arrossì. «Oh, quello! Ho dovuto usare l’Ostendo symphoniae per cacciare qualche malintenzionato dal locale.»
Adesso il professore d’incantesimi sbuffava come un treno che viaggiava ad alta velocità! «T-Tu hai usato un incantesimo di complessità inenarrabile, un incantesimo studiato e creato attraverso secoli di studio e perfezionamento dai geni della musica canora, la quintessenza della sinfonia magica, un incantesimo che Silente in persona non è mai, mai, riuscito a padroneggiare e che io con fatica sono stato in grado di replicare una sola volta nella mia vita, per combattere?»
«Sì.»
Il professore cadde a sedere sui libri. «Mi sento male. Mi sento male…!»
Corse a riempire un calice d’acqua e glielo consegnò bello pieno. Vitious lo bevve tutto d’un fiato. Era convinta che se avesse avuto la capacità di parlare, in quel momento la sua lingua si sarebbe prestata più che volentieri a un “uso dei vocaboli ‘sì grezzo e turpiloquio”. Alma fece del suo meglio per non mettersi a ridere.
Passarono minuti interi di affanno e leggere pacche sulla schiena perché, finalmente, lui riuscisse a sillabare di nuovo parole di senso compiuto: «Tu sarai la mia rovina, Rodriguez. La mia rovina, sappilo.»
«Prima o poi dovrà succedere. È un po’ avanti con l’età.» Gli fece la linguaccia.
Lui scosse la testa. «Insolente.» Accennando con la mano, le chiese sbrigativamente di andare al centro della stanza. «Fammi vedere i tuoi progressi.»
«Aspetti, intende adesso?»
Vitious con un cenno della sua bacchetta sgombrò la stanza in tempo di record, lasciando banchi e libri ammassati in modo ordinato agli angoli. Le disse di prendere in mano la bacchetta e con la propria sollevò una serie di lanterne, che aveva provveduto ad accendere. Il suo compito era semplice: usare l’Ostendo symphoniae per guidarlo. Un compito facile, ma la sua complessità diventava inimmaginabile se per fargliele appendere era costretta a improvvisare una melodia completa, spingendo Vitious a far volteggiare tutti i lumi a ritmo di musica.
«È un esercizio meccanico» le disse. «Devi abituare la tua mente a stimolare la creatività e produrre una melodia mentre il resto del tuo corpo, occhi e orecchie, dovranno essere attenti a calcolare come risolvere ogni ostacolo che metterò sulla tua strada.» Molti libri iniziarono a sollevarsi, galleggiando nell’etere come bolidi pronti a disturbare il moto delle lanterne. «L’Ostendo symphoniae è un incantesimo che richiede grande abilità solo per essere evocato. Controllo, postura, un uso pressoché massimo dei sensi e dei percorsi cognitivi. È come guardare a destra e sinistra nello stesso momento.»
Anche ripeterglielo in continuazione faceva parte dell’esercizio, diceva. Il corpo, come la mente, aveva una memoria, degli automatismi che ogni mago o strega per diventare competente doveva stamparsi a fuoco nel cervello e saper padroneggiare. Il discorso era molto simile agli incantesimi non verbali: enunciare la formula permetteva di evocare l’incantesimo con facilità, ma tra pensare, enunciare e agire, un mago più scaltro o veloce poteva facilmente prendere il sopravvento.
Prima che potessero cimentarsi con quell’esercitazione, la porta dell’aula fu spalancata. Albus Silente entrò in silenzio e se la chiuse alle spalle.
«P-Preside.» Vitious era intontito.
Silente le sorrise bonario e poi si rivolse a lui. «Oh, non badare a me, Filius. Ero solo di passaggio. Spero di non essere sfacciato chiedendovi se posso guardare. Prometto di non disturbarvi.»
Adesso gli sbuffi di Vitious erano come due treni in corsa che andavano a schiantarsi frontalmente. «M-Ma scherza?! È un onore. Le prendo subito…»
«Non occorre. Ma ti ringrazio per la premura.»
Per essere un uomo che doveva insegnare dei ragazzini come cantare, Vitious rimaneva spesso senza parole. Annuì e basta, e si schiarì la gola.
 
Quello fu il pomeriggio più strano che Alma avesse mai vissuto: allenarsi con un Vitious più impettito del solito, con un petto tronfio d’orgoglio, e probabilmente il mago più potente degli ultimi secoli che li osservava in perenne silenzio, poggiato sul bordo di un banco con le mani conserte in grembo. Per fortuna la presenza di Silente esercitava un’innata spinta verso l’armonia. Non parlò mai, come aveva promesso. Rimase per ore a osservarla prendersi i rimproveri e gli sproni di Vitious, sordo ad ogni imprecazione che Alma fece uscire dalla sua “bocca irrispettosa”.
«Bene. Direi che per oggi è abbastanza» disse Vitious al calar della sera.
Alma annuì, china a riprendere fiato. Il preside era stato raggiunto dalla sua fenice attraverso un finestra lasciata aperta. Accucciata al suo fianco, Fanny si lasciava accarezzare il muso con dolcezza. Era una creatura incredibile, dai colori sgargianti e il rosso fuoco dominava il piumaggio in modo assurdo. Una delle cose più belle che avesse mai visto, sebbene non apprezzasse particolarmente quel colore. In lei, tuttavia, s’intonava così bene che non era possibile provare ribrezzo.
«Come vede, signor preside, Alma deve ancora migliorarsi. Tuttavia non ho alcun dubbio che sentiremo presto parlare di lei, una volta ottenuto il M.A.G.O.» L’orgoglio nella voce del professore la mise in leggero imbarazzo.
Silente annuì. «Non ne dubito, vecchio amico. Alma, sono sicuro che qualunque futuro sceglierai d’intraprendere sarà luminoso.»
Divenne rossa. «G-Grazie, preside.»
«Questa, da che rammento, è la prima volta che Hogwarts accoglie un Omnilofono. Non abbiamo avuto modo di conoscerci in questi anni, ma sappi che ti ho tenuta d’occhio. Ho incontrato maghi dal talento straordinario, altri dalle capacità incredibili e rare. Persino io devo ammettere di aver letto della tua solo nei libri. Potrei disturbarti per una testimonianza? Incontri come questo non capitano tutti i giorni.»
Alma scosse la testa e distese le labbra in un sorriso. Silente non era la prima persona curiosa dei suoi poteri e non si era mai data pena per spiegarli. «Posso dirle quello che ripeto a tutti: è come se tutto ciò che mi circonda produca un rumore che non è un rumore. Più mi sforzo, più a fondo e concentrata diventa la mia percezione di ciò che mi circonda. Se volessi, potrei ascoltare la voce del battito dei vostri cuori. Il mio udito non è più sviluppato di altri. Mi basta parlare, o semplicemente respirare, e ciò che torna a me io riesco a concepirlo soprattutto attraverso l’udito. Ma anche la mia pelle vibra, e i miei occhi sanno dove guardare. Certe volte mi pare di sentire il sapore delle note nella mia bocca, di respirarlo. È… tutto intorno e dentro di me. Non so come spiegarmi meglio.»
«Cara ragazza, non occorre. Sei stata esaustiva, e di questo ti ringrazio.» Alma rispose al suo sorriso curvando le labbra. «Vorrei avanzare solo un’ultima richiesta, se mi è lecito. Gradiresti mettere alla prova ciò che hai imparato oggi con me?»
Temeva di non aver capito.
Guardò prima Vitious, anche lui confuso, poi accettò l’invito del preside a duellare. Si disposero l’uno contro l’altro a una certa distanza e, seguendo il suo esempio, si profuse in un profondo inchino. Aveva già la bacchetta stretta tra le mani, perciò attese che Silente tirasse fuori dalla manica la propria.
Per poi mettersela dietro la schiena, custodita tra le mani e le braccia conserte.
Alma rimase confusa. «Professore?»
«Comincia quando ti senti pronta, signorina Rodriguez.»
Davvero non riusciva a capire. Ma, ehi, quando avrebbe avuto un’altra occasione per affrontare il mago più potente in circolazione? Alma si concentrò sul cuore, iniziava sempre da lì. Chiunque avesse intenzioni ostili verso di lei, accelerava sempre il battito prima di attaccare. Quello di Silente era calmo, armonioso. Stava aspettando.
L’aveva chiesto lui. «Acqua Eruptio. Bullae volanti.»
Dalla sua bacchetta sprizzò una raffica di bolle d’acqua. Alma prese un respiro profondo… e fu questo a salvarla. Non solo nessuna nelle bolle travolse il preside, quando lui mosse la bacchetta con un fluido movimento ad arco, ma ascoltando Alma comprese che qualcosa sopra la sua testa stava precipitando! Dovette scartare a lato, evitando una bolla d’aria tiepida.
Ne schivò a fatica un’altra, e un’altra. Provenivano da tutte le direzioni!
Allora sollevò la bacchetta in aria. «Tranquillitates!» Attorno a lei si creò la bonaccia e le onde d’aria scomparvero. «Ostendo symphoniae.»
Un rivolo di sudore le corse lungo la tempia quando i suoi sensi e l’incantesimo divennero un tutt’uno: le note rosse apparvero all’istante e a centinaia, la circondavano da tutti i lati! Non c’era scampo: dozzine, se non centinaia di bolle d’aria tiepida si scagliarono contro di lei da tutte le direzioni.
Facendola, gentilmente, barcollare all’indietro.
Alma aveva chiuso gli occhi prima del colpo finale. Quando li riaprì, non avrebbe mai immaginato di essere ancora viva e vegeta; se il preside avesse avuto cattive intenzioni, per lei sarebbe stata la fine. Lo sforzo appena compiuto e quella consapevolezza le misero il fiatone.
Guardò il preside, ancora fermo con le mani conserte dietro la schiena. «Ancora» disse determinata, dopo essersi pulita il muso con la manica della divisa.
Silente non disse una parola. Ad ogni azione rispondeva e lo faceva con una maestria incomparabile. Tra loro c’era una differenza abissale, come un bambino che si confrontava con un uomo adulto forgiato dall’esperienza. Non riusciva a creare delle sinfonie che potessero aiutarla a sfuggirgli. Ogni tentativo di superare la sua abilità finiva con un nulla di fatto.
Si tolse il mantello, si annodò i capelli che andavano sciogliendosi e si concentrò maggiormente. Le note ai suoi piedi divennero delle versioni colorate e perfettamente in scala di sé stessa. Ogni Alma si spostava in una direzione diversa e quelle che si coloravano di rosso cercava di evitarle. Seguiva solo le movenze di quelle verdi, creava percorsi alternativi improvvisando, eliminando dalle sue percezioni tutto ciò che non le serviva. Tutto divenne estraneo, eccetto loro.
Fallì, riprovò ancora.
Fallì, s’impegnò per fare meglio.
Fallì, ma si ostinò a continuare.
Cominciava a vederlo: uno schema. Silente non le dava alcun riferimento, ma piano piano si stava abituando al suo ritmo. Lo ascoltava. La sua danza e la musica che riusciva a scatenare diventavano sempre più accordate e melodiose. Nonostante il suo corpo reclamasse riposo a gran voce, Alma non era intenzionata a cedere alla stanchezza. Voleva arrivare a lui. Era un bisogno viscerale, e sbaglio dopo sbaglio ci stava riuscendo.
– Di più, Alma. Ancora più veloce – si ripeté.
Ce la fece! Trovò nel marasma rosso che la circondava una scia verde, un percorso che riprodusse fedelmente, evitando con agilità tutte le bolle d’aria sulla sua strada. Era quasi fatta! C’era vicinissima ad afferrarlo per la veste!
Un rumore improvviso spezzò il suo ritmo e con esso la sua concentrazione. Fu come essere colpita al centro della testa. Franò sulle ginocchia, tenendosi le meningi con forza. Man mano che perdeva la concentrazione, quel suono estraneo trovava forma e dimensione: era il canto della Fenice, ora appollaiata sulla spalla di Silente.
«Eccellente. Eccellente» disse il preside, mentre le offriva la mano.
Alma strinse i denti. Si sentiva giocata. «Ha imbrogliato.»
Vitious si agitò sul posto. «Rodriguez!»
Silente ridacchiò dolcemente e l’aiutò a rialzarsi. «I miei complimenti, signorina Rodriguez. Riuscire a padroneggiare un incantesimo tanto complesso alla tua età è un risultato encomiabile. Non mi sorprende che tutti loro si siano affidati a te, quella sera.»
Ci mise un po’ per registrare cos’avesse appena detto. Il contatto con la sua mano suscitò in lei per un attimo una sensazione di familiarità, come un richiamo dal passato.
Possibile che lui sapesse che Luna, Damien e il suo amico Richie non fossero gli unici presenti nel pub? Era solo un presentimento, ma, dal modo in cui aveva parlato, Alma l’aveva sentito emergere dentro di lei con prepotenza.
Smarrita nei suoi pensieri, si lasciò dare qualche leggera pacca sulla mano che Silente ancora teneva tra le proprie. «Le amicizie che stringiamo sono un legame prezioso. Ci infondono allegria, e coraggio nei momenti difficili. Ci aiutano a superarli. Per proteggerle occorre ardimento, coltivarle è una nostra scelta. Guidarle, una responsabilità.»
Silente le sorrise un’ultima volta. Poi la lasciò andare.
Salutò entrambi prima di materializzarsi altrove, lasciandola più confusa che mai.
«Che significa, professore?»
Vitious si accarezzava il mento, cercando di nascondere un lieve sorriso. «Penso che il significato più vicino alle sue parole possa tradursi in questo: “Qualunque cosa succeda, lo spettacolo deve andare avanti.”»
«Qualcosa più terra terra?»
«Sei un Corvonero, Alma Rodriguez. Sei più che qualificata per risolvere l’enigma.»
 
*
 
Piton continuava a sfogliare il diario di Damien Kiran, quasi che in quelle pagine potesse trovare una risposta alle domande che affollavano la sua mente da giorni. Lo scontro di quella sera l’aveva scosso. C’era qualcosa che non riusciva a comprendere. Era lì, vicina, poteva quasi sfiorarla con le dita, ma mancando di comprenderne la natura questa gli sfuggiva. Si sentiva frustrato.
Era stato avventato. Aveva creduto di poter risolvere la faccenda da solo e si era sbagliato. Se quei due ragazzini non l’avessero salvato, quel mago oscuro l’avrebbe ucciso. No: si sarebbe nutrito di lui. Come se i suoi sentimenti fossero un pezzo di carne succulenta dove affondare i denti. E le aveva sentite, le zanne: quando aveva pronunciato il nome di Lily, qualcosa dentro di lui si era incrinato. Aveva ceduto. E tutto il suo dolore si era manifestato in una forza gelida capace di renderlo impotente, fino a sfinirlo.
Lily Evans.
Aveva commesso un errore. Di nuovo. Aveva messo a repentaglio la sua vita, e tutto ciò che essa rappresentava. E la parte peggiore era che, per un momento, si era sentito un estraneo nel suo stesso corpo. Come quel bambino senza Lily, pallido ed emaciato mentre si trascinava nella solitudine. Aveva commesso un errore. Come quella volta, al cospetto del Signore oscuro.
Visitando l’armadio consunto dell’aula di pozioni, trovò il suo antico libro di testo. Di proprietà del Principe mezzosangue c’era scritto. Ciò che lui era un tempo. Un tempo prima di Lily. Un tempo dove l’odio aveva prevalso, prima che abbandonasse per sempre quella parte di sé seppellendola nel dolore e le lacrime per la morte della sua amata.
Perché lo stava stringendo tra le dita con tanta forza?
Severus lo gettò tra il resto dei libri come se scottasse e chiuse le mandate dell’armadio percorso da un brivido. Era stato tentato. Come non succedeva da tanto tempo. Respirava velocemente, la terra gli mancava da sotto i piedi e dovette sedersi.
«Sempre» ripeté al vento, ma soprattutto a sé stesso.
Perché sentiva così freddo?
 
La sua ronda per i corridoi della scuola proseguiva nel silenzio assoluto. Gli studenti erano andati a dormire, come i quadri animati che riempivano le mura dei molti corridoi che impegnava senza neanche guardare. Conosceva a menadito le strade più battute di Hogwarts. Come Damien Kiran, era stato un ragazzino distante, preda dei bulli. Il cui unico compagno, quando mancava la presenza di Lily, erano diari e soprattutto quel consunto libro di pozioni avanzate. Forse era per questo che sentiva un’affinità con il ragazzo. Erano molto simili, eccezion fatta per il talento. Eppure diversi.
Il giovane Potter aveva preso molto del carattere paterno, ma gli occhi erano quelli di lei. Bellissimi e pieni di vita. Quelli del ragazzo tassorosso esprimevano invece lo stesso dolore, la stessa sensazione di disarmo che per anni aveva visto riflessa ogni volta che si guardava allo specchio. La morte di Cedric Diggory aveva sconvolto la casata Tassorosso, ma per alcuni, più di altri, quel dolore era ancora vivo. Pulsava, e non se ne sarebbe andato facilmente.
Forse Silente aveva sempre avuto ragione nell’ordinargli di tenersi lontano, ad essersi allontanato lui stesso dal giovane Potter. Stringere legami con un persona era alimento, e un tormento. Quel legame che vincolava Harry al Signore oscuro era un varco aperto nel suo cuore. E più amore l’avesse riempito, più dolorosamente il sangue sarebbe sgorgato dalla ferita che Voldermort gli avrebbe inferto, prima o poi. L’amore era l’arma più potente che esistesse, diceva Silente. Ma dov’era quanto lui ed Harry avevano pianto insieme, mentre Lily diventava fredda tra le sue braccia?
Lui non c’era. Lei non c’era più. Tutto ciò che era rimasto si trattava di rimembranze che andavano sbiadendosi e Severus non voleva che accadesse: le lacrime era tutto ciò aveva. Se le avesse esaurite, Lily Evans avrebbe cessato per sempre di esistere.
Sentiva sempre più freddo.
Una porta si aprì all’improvviso. Gazza, il custode del castello, si affacciò dall’uscio. Era un uomo nato senza poteri magici, in una famiglia di maghi. Magonò li definivano. I suoi abiti erano logori, consunti come quei filamenti di capelli che cadevano dalla una testa che accennava calvizie. Il suo viso lungo, arcigno, si aprì in un sorriso dai denti ingialliti.
«Professore. Entra, siedi con me.»
Una richiesta insolita. Piton avrebbe volentieri tirato avanti per la sua strada. Fu la curiosità a frenarlo e spingerlo ad accettare il suo invito. Arcus Gazza aveva già predisposto un tavolo di legno davanti al camino acceso. Si era tolto il soprabito. Sedeva su uno sgabello con nient’altro che i pantaloni e una camicia bianca sfilacciata. C’erano due bicchieri di vetro. Li stava riempiendo versando un liquido dal colore simile a rum.
Severus sedette mentre questi terminava il suo compito.
Gazza non attese che si servisse prima ingollare un sorso. Accarezzato dalla luce delle fiamme, il suo viso perse parte della solita ruvidezza. Annusò il contenuto, Piton, prima di prendere un sorso. Il liquore era incendiario e forte, gli bruciò la gola.
«Perché non hai avvertito l’Inquisitore supremo?»
«Dovrebbe saperlo, professore. Il mio lavoro è sorprendere quei diavoli e farli piagnucolare mentre li porto dai loro insegnanti.» Il suo sorriso fu disgustoso. «Questo impertinente in particolare vuole giocare a nascondersi nella sezione proibita, ma lo troverò.»
Severus attese che sorseggiasse di nuovo, prima di indulgere lui stesso del liquore.
«Sembri spento, ultimamente. Il professore di pozioni che sviene ai confini della scuola. Non è qualcosa che si vede tutti i giorni» disse lui, dopo aver vuotato gran parte del bicchiere. Sogghignò, notando suo silenzio. «Eh, inizia sempre così. Prima è un richiamo, poi un dubbio che ti assale. Prima che te ne accorgi, i volti delle persone che conosci iniziano a sembrarti estranei. E in un attimo… sei vuoto.» Gazza sogghignò di nuovo.
«Di cosa stai parlando?»
L’alcol stava iniziando a fare effetto. La sua risata sgradevole divenne grassa e raschiante. «Dimmi, professore. Tu avverti il calore del fuoco?»
Lo studiò attentamente, mentre gli occhi di Gazza si perdevano nelle lingue di fiamma che danzavano nel camino acceso. Adesso che glielo faceva notare, Piton realizzò avvertiva a stento l’abbraccio della temperatura.
«Io non lo sento. Da molto tempo. Eppure c’è stato un momento in cui lo sentivo anche io, il calore.» Gazza vuotò tutto il bicchiere in una volta. «Alle famiglie di maghi non piace che la loro stirpe sia macchiata da chi nasce senza poteri. Non li ritengono meritevoli di essere considerati. Per loro sei peggio di un babbano.»
Si alzò e fischiettando richiamò la sua gatta. «Andiamo Msr Purr. Stanotte si va a caccia di ombre. Faresti bene a non perdere quelle ultime braci del tuo calore, professore. Senza di esso, è come essere già morti.»
Piton lo osservò uscire. A contatto con il fuoco, sentiva meno freddo. Prese un altro sorso, ascoltando nel silenzio il crepitare delle fiamme.
 
*
 
Iniziava sempre così: una notte di tempesta, una figura che avanzava correndo nella pioggia incessante e nel fango. Urla, il rumore di scontri. Poi, tutto ciò che vedeva finiva sottosopra, distorto, sfasato, oscurato. La pioggia era come un velo d’acqua impenetrabile, il rosso, scuro come l’inchiostro con cui intingeva la penna d’oca, sgorgava come la corrente di un fiume. Fulmini verdi squarciavano la roccia e il suono che producevano cantava di morte. E a quel punto, Alma sapeva che stava per arrivare: un gigante, dai lineamenti celati dall’oscurità. Imponente aleggiava su di lei, fendendo il velo d’acqua con la sua mole. Il suo occhio blu incontrò i propri e il mondo intorno a lei inizio a gridare stridendo.
Alma si mise a sedere di scatto.
Ansimava, il cuore le martellava nel petto e nella gola con una forza micidiale. Era solo un sogno, ma, come ogni volta che ci posava la mano, scoprì che la sua fronte era imperlata di sudore. La sua camicia da notte era fastidiosamente umida e le coperte dove si era raccolta gettavano fuoco dentro di lei. Le calciò via e venne tramortita da coltelli affilati: lance di freddo che punsero la sua pelle dandole la pelle d’oca.
Solo l’acqua corrente della doccia riuscì a riscaldarla. Alcuni rubinetti gettavano sulla sua testa dei flussi bollenti, capaci di sciogliere i suoi muscoli rigidi mentre il vapore la circondava. Sarebbe potuta rimanere così, per ore, a sostenere il muro piastrellato con le mani mentre osservava l’acqua defluire ai suoi piedi e poi nello scarico. Rimuginando su quel sogno che la tormentava da che aveva memoria.
Chiudendo gli occhi, il ticchettare delle gocce d’acqua riuscì a creare uno spazio rasserenante ed Alma lo visse per interi minuti, allontanando il gigante che la inseguiva fino agli angoli più remoti del suo io. Si abbandonò al calore gratificante dell’acqua e liberò la mente.
 
Uscì dal divisorio con indosso il suo asciugamano.
Trovò Luna ad attenderla. «Ancora quell’incubo?»
A malincuore, dovette annuire. «Ti ho svegliata? Mi dispiace.»
Luna scosse la testa dopo qualche momento. «Se vuoi, posso crearti una collana che scacci le maledizioni. Sai, prima che gli Svitigni decidano di creare un nido nei tuoi incubi.»
Alma distese le labbra in un leggero sorriso. «Beh, che ho da perdere?»
«Moltissimo. Il sonno, la vista. Dicono che nei casi più gravi gli occhi diventino…»
«Luna, va bene. Metterò questa collana» le disse, prima che iniziasse un soliloquio.
Lei si aprì in un sorriso sincero. «Domani te la metto sulla scrivania.» Al che, sfoderò la bacchetta. «Excoquatur
I capelli umidi, che fino a un momento prima le si erano appiccicati al collo e al viso, divennero improvvisamente asciutti e indomabili. Le caddero fino alle spalle. Chiese il permesso e Alma non ebbe nulla in contrario. Si sedettero a un muretto che dava sulla finestra e raccogliendole i capelli nel pugno Luna iniziò a pettinarla con delicatezza. Nonostante la sua apparenza portasse le persone a definirla sciatta, Lovegood ci sapeva fare. I denti del pettine affondavano senza strapparle alcun ciuffo. Era una coccola che si protraeva passaggio dopo passaggio, mentre domava l’irrequietezza della sua chioma.
«Perché non mi hai mai parlato degli Invasati?» le chiese di getto.
La risposta arrivò dopo molti colpi di pettine. «Non saprei. Forse avevo paura che saresti andata a cercarli.»
«Ok, ma perché non l’hai fatto almeno la notte del pub?»
Il pettine si fermò. Luna aveva le labbra assottigliate. «Lo sai mantenere un segreto?» Alma annuì. «Spero sia solo per colpa di un Gorgosprizzo che vive nella mia testa. Per un momento quel Terminator aveva assunto il viso di mia madre.»
«Cioè, Piton ha detto che questo Amato può entrarti nella testa e danzare il Valzer con la tua immaginazione.» Ultimamente aveva pensato molto su ciò che le avevano raccontato Richie e Damien.
Abbracciò Luna. Le carezzò la schiena e parlò solo quando sentì il suo mento premerle contro l’incavo del collo. «Non era lei. Non era tua madre.»
«Come puoi dirlo?»
«Se quella notte gli ho permesso di fuggire è perché… sul suo viso, per un momento, è apparsa la mia. Tua madre non c’entra nulla, e neanche lei. È tutta colpa di quel mago.»
Rimasero strette in un abbraccio, legate da qualcosa che pochi potevano comprendere.
Era più piccola di Luna quando aveva appreso che sua madre era morta durante la prigionia ad Azkaban. Non l’aveva mai vista, perlomeno non ricordava che viso avesse. Sapeva solo che si chiamava Ramona, che era un’eversiva, una Mangiamorte al servizio di Tu-sai-chi. Anche Luna aveva perso la madre da piccola. Alma l’aveva scoperto il primo giorno a Hogwarts. Lei era rimasta affascinata da qualcosa che gli altri studenti non riuscivano a vedere. Nemmeno Alma le vedeva nitidamente, per lei erano solo macchie sfocate che tiravano le carrozze. Ma le percepiva, questo sì.
Erano le sole ad avere una cognizione piena di quelle creature. Quando l’amica le aveva spiegato cosa fossero, Alma aveva capito che avevano più cose in comune di quanto credesse: erano entrambe orfane di madre. Luna Lovegood poteva essere una ragazza molto strana, ma aveva il pregio di essere trasparente. E in un mondo viscido com’era quello dov’era sempre vissuta, fatto di bugie e intimidazioni, una persona del genere era merce rara.
Da quel giorno, Alma si era assunta l’impegno di tenerla lontano dai guai.
«Andiamo a dormire» propose in un bisbiglio.
Luna annuì lentamente.
 
«Harry, Fred e George sono ancora banditi dal Quiddich?»
Ginny era visibilmente di pessimo umore. «Comincio a credere che quell’arpia li terrà in punizione per tutto l’anno.»
Non era sorpresa. «Già. So cosa stanno passando. Senza offesa, da una parte mi rincuora sapere che loro saranno fuori dai giochi. Forse Corvonero avrà una possibilità, quest’anno. Dall’altra, comprendo la frustrazione di voi grifondoro. La Umbridge sta diventando sempre più isterica» replicò Alma.
Luna continuava a seguirle mentre leggeva il Cavillo, al contrario. «Davvero non possiamo fare niente per loro? È così ingiusto.»
«Dal momento che il compito della Umbridge è fare di tutto pur di annodarge la bacchetta di Harry, non vedo una via d’uscita. Angelina mi ha chiesto di fare il Cercatore e non ho potuto dirle di no.»
«Sono sicura che te la caverai.»
«Già. Prima di giocare, però, spalma un po’ di crema all’essenza di rospo sulla coda della scopa. Scaccia i malocchi. Dovrei averne un po’ nella borsa.»
Mentre Luna setacciava nella sua tracolla, Alma e Ginny videro Richie e Damien procedere di soppiatto con fare sospetto. Le azioni di quei due per lei continuavano ad essere un mistero impossibile da svelare.
«A proposito. Come è andata a finire con loro due?» le domandò Ginny.
«Sono talmente fuori dal mondo che possono essere solo innocenti, credimi. Erano nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, in compagnia dei malintenzionati sbagliati. Già che ci siamo, scusate se non ho fatto il palo come avevo promesso, a Hogsmeade. Quando li ho visti, mi sono saliti i cinque minuti.»
«Che intendi per “malintenzionati sbagliati”?»
Soppesò attentamente cosa dire. «Un nuovo gruppo di sbandati è arrivato in città. Vogliono fare la voce grossa, ma sono talmente disperati da attaccare briga con due studenti.»
«Non mi sembravano tanto disperati» obiettò Ginny. «Quei tipi sembravano sapere esattamente cosa stavano facendo. E anche Damien. Per non parlare dei Dissennatori.»
«Di Damien non saprei cosa dire, ma non è la prima volta che un Dissennatore sfugge al Ministero. Forse questi tipi sono i responsabili dell’agguato a Harry e suo cugino. La Umbridge mi è sembrata piuttosto furiosa, quella sera. Avrà già comunicato la notizia a Caramel.»
«Per fortuna non ha saputo di voi altri. Quando ci ha convocati, ho pensato che ci avrebbe espulsi all’istante» rincarò Luna.
La grifondoro a quel punto si convinse. «Sì, abbiamo rischiato molto. Mi dispiace per il tuo lavoro, Alm. Se non fosse stato per te, avremmo dovuto sicuramente usare la magia.»
«Sarei stata peggio se qualcuno di voi si fosse fatto male.»
Finse di non vedere l’occhiata che Ginny e Luna si lanciarono.
Fu la seconda a parlare. «Alma, se vuoi possiamo spiegarti cosa stavamo facendo, a Hogsmeade.»
«Vi ringrazio, tutte e due, ma al momento non credo di essere la persona giusta per… qualunque cosa stiate facendo. Sono finita sotto la lente di quell’abominio di donna. Meno cose so, meglio è per tutti.»
«Come vuoi» risolse Ginny. «Se cambi idea, basta che ce lo fai sapere.»
Continuarono a passeggiare chiacchierando del più e del meno. Ormai loro tre erano diventate una compagine consolidata. La Weasley era simpatica e inoltre era una delle poche persone che riuscissero a considerare Luna oltre l’apparenza. Era un Grifondoro nel vero senso della parola e al pari di lei possedeva un carattere schietto. Il secondo anno c’era mancato poco che si scannassero. Non ricordava nemmeno per quale motivo. Alma sapeva solo che non si era sorpresa di vedere la loro amicizia scoppiare come una pozione di Seamus Finnegan. Nessuna delle due era abituata a fare un passo indietro. Poi quella guerra fredda si era risolta con Ginny che l’aveva invitata a passare le vacanze di Natale alla Tana; uno di quelli che ricordava con più piacere. Era stato in quei mesi che aveva approfondito la conoscenza di Fred e George e della famiglia Weasley in generale. Il modo in cui l’avevano fatta sentire a casa le faceva provare sempre un pizzico d’invidia, questo non poteva negarlo. Come non poteva negare che quelle due fossero le migliori amiche che una strega potesse avere.
Sebbene ci fossero dei lati del suo carattere che potevano solo aver fiutato. Erano consapevoli che vivere a Notturne Alley non era facile, e non l’avevano mai giudicata per i suoi contatti con la malavita locale. Sapevano con certezza era che nessun criminale le avrebbe toccate, finché entrambe godevano della sua amicizia. Non c’era bisogno che sapessero perché.
Anche se potevano immaginarlo.
 
Giunte a un passo dalla biblioteca, Alma avvertì un rumore.
Si fermò. Ricordava perfettamente cosa Damien e Richie avevano detto a proposito dell’Amato. Cercava qualcosa nella sezione proibita e sembrava piuttosto motivato a trovarla. Pose un dito sulle labbra prima che una delle sue amiche potesse parlare e tirò fuori la bacchetta; entrambe la imitarono all’istante. Aprendo le mandate, filtrarono all’interno a passo felpato.
I rumori diventavano più netti. Uno sfogliare di pagine, il tonfo di un libro che veniva poggiato sulla scrivania. A quell’ora, la biblioteca era deserta. Era il momento perfetto.
Alma si guardò indietro.
Luna si era già fatta un’idea della situazione, le fece un cenno di complicità con la testa. Ginny tra loro doveva essere la più ignara, eppure il suo viso era diventato granitico nella concentrazione. Fece a entrambe segno di procedere ai lati, adagio fra gli scaffali. Quanto a lei, proseguì per la sua strada.
Procedette china sulle ginocchia fino all’angolo di una libreria. Quando si sporse, lo vide chiaramente: un Invasato. Uno di quelli vestiti di nero. Reggeva una strana bacchetta a spirale, nera come una notte senza stelle. L’aveva già vista quella notte: l’artefatto di cui Damien le aveva parlato settimane fa. Quel figlio di madre ignota se ne stava lì, seduto come se nulla fosse, a leggere pagine su pagine con una frenesia animalesca.
Prese un respiro profondo e tutto ciò che percepì fu una sensazione di freddo glaciale. Era un essere disgustoso, ogni percezione che Alma ebbe di lui era estranea, innaturale. Sembrava quasi non essere umano.
Decise di uscire allo scoperto e affrontarlo.
Lui si accorse immediatamente di lei. Proprio come voleva.
«Stupeficium!» Ginny e Luna emersero dal riparo all’unisono e scagliarono i loro incantesimi da due direzioni diverse, con una coordinazione pazzesca!
L’Invasato si protesse da entrambi.
Ma non poté farlo da lei. «Acqua Eruptio!» Un geyser d’acqua costante lo travolse colpendolo al centro del petto. La pressione lo fece vorticare a mezz’aria, oltre il tavolo.
«Expelliarmus!» L’incantesimo di Ginny colpì la bacchetta nera, ma in qualche modo rimbalzò su di essa e andò a colpire un libro in cima agli scaffali.
L’Invasato fece roteare intorno a sé un vortice nero. Libri e fogli di carta iniziarono turbinare in quel ciclone di oscurità e il vento si propagò fortissimo, facendo finire i capelli di Ginny sul viso.
Una mano scheletrica e nera emerse da quell’affare, dritta verso di lei.
«Attenta!»
«Stupeficium!» Lo schiantesimo di Luna colpì la loro amica e la face fluttuare lontano dagli artigli che avevano cercato di ghermirla.
Stavolta un’ombra emerse dal vortice e scattò verso di lei. Alma dovette iniziare a correre, tallonata da quell’essenza immateriale e putrida. Era velocissima! Le finì davanti in un batter d’occhio. «Stupeficium!» Non aveva la stessa dimestichezza delle sue amiche, da quella distanza pregava che non le servisse.
L’incantesimo attraversò semplicemente l’ombra, che si lanciò su di lei.
Fece per afferrarla, ma lei scartò di lato. Evitò ogni presa mentre la creatura fluttuava e ondeggiava a mezz’aria in modo imprevedibile. Sembrava potesse ingrandirsi e allungarsi in qualsiasi momento, aumentando il raggio e la portata delle sue braccia.
Messa con le spalle al muro, Alma le diede la schiena. Puntò in alto la bacchetta. «Ascendo!» Una forza magica la spinse in alto. In cima a una libreria.
A quel punto le fatture del mago oscuro iniziarono a inseguirla e dovette iniziare a correre. A lanciarsi da una libreria all’altra mentre procedeva china per non battere la testa sul soffitto. Sapeva di non poter continuare all’infinito: presto o tardi una fattura o una delle nuove ombre che iniziavano a formarsi l’avrebbe raggiunta.
«Nebula Maxima!»
Dalla sua bacchetta iniziò ad emergere una cortina di nebbia. Presto avvolse tutto quanto.
Alma scese subito a terra. Aiutandosi con le dita, emise un fischio vigoroso. La voce della biblioteca intera le ritornò indietro, permettendole di captare ogni cosa. Dall’Invasato che cominciava a muoversi a Ginny, ancora stordita dall’incantesimo, e Luna che cercavano in qualche modo di cercare dei riferimenti.
«Dove sei, piccolo usignolo?» sibilò la voce camuffata dell’Invasato.
«Ostendo symphoniae!» Immediatamente, centinaia di note musicali brillarono nella nebbia. «Sono proprio qui, brutto scemo! Vieni, che ti picchio per bene questa volta.»
Lui non poteva vederla bene quanto lei. Iniziò a tempestarlo di insulti, mentre l’eco delle note che calpestava si confondeva con quelle di Luna e Ginny.
«Mi dicono che sei un vecchietto in pensione. Che c’è, l’ospizio dove ti avevano schiaffato non accettava più la carta di credito?»
«C’è molto che devo ancora imparare di quest’epoca. Poco tuttavia ha destato la mia curiosità come hai fatto tu. Non avrei mai immaginato che una ragazzina potesse sconfiggermi.»
«Forse da dove provieni erano ancora impegnate a stendere i panni per voi maschietti. A proposito: benvenuto nel ventesimo secolo, bello.»
Il mago oscuro ridacchiò. «Mi piace il tuo spirito. Nella mia epoca, gli sfidanti di valore avevano un nome. Ci terrei a conoscerlo.»
«Il mio nome è Dolores Jane Umbridge» gli disse.
«Molto piacere, Dolores Jane. Il mio nome potrebbe essere difficoltoso da enunciare. Puoi chiamarmi semplicemente Ombra. No, anzi. Leggo che quest’epoca è molto attenta sulla purezza del sangue. Un concetto barbaro e ahimè privo di significato. Il sangue che scorre in ognuno di noi è sporco, siamo noi i parassiti che abusano della magia in un modo che non rispecchia il volere degli dei. Chiamami l’Ombra Mezzosangue. Sì, mi piace.»
Megalomane. «Terminator mi sembra più appropriato.»
«E cosa dovrebbe significare?»
Un calpestio sulla nota gialla da parte di Luna fu il segnale.
Alma diradò la nebbia. «Significa: “Hasta la vista, baby!”»
Davanti a lui apparve una Ginny agguerrita in modalità “ti spacco la faccia”. Un riflesso violaceo scaturì dalla punta della sue bacchetta mentre la Weasley la sollevava oltre la testa rossiccia; Luna lanciò qualcosa a mezz’aria, vicinissimo all’Ombra.
«Reducto!» L’incantesimo partì dalla bacchetta come un colpo di cannone fatto di pura energia. Quando colpì l’ampolla, avvenne una deflagrazione assurda. Un boato che sbalzò via tutte e tre, centrando in pieno quell’idiota senza cervello.
«Porca miseria!» esordì, dopo essersi rimessa in piedi, tra l’ammirazione e lo spavento. «Ragazza, “fare colpo” d’ora in avanti avrà tutto un nuovo significato.»
Quando Ginny fu aiutata da Luna a rialzarsi, tuttavia, era più sorpresa di lei. «Per tutte le Pluffe, cosa c’era in quell’ampolla?»
Luna rimase per un momento incerta ma assolutamente serena. Frugò un attimo nella borsa. «Oh, che sbadata! Ho lanciato l’unguento sbagliato.»
«E che unguento era?» fece Ginny, un po’ spaventata e un po’ scioccata.
«Grasso di Salamandra» rispose la corvonero, assolutamente in pace con sé stessa. «Che avete da guardarmi così? È un ottimo deterrente contro gli Yllen.»
Deterrente, diceva. Alma non aveva mai visto le fiamme divampare nella biblioteca. Anche se erano piccole, sparse e morenti. Quello era il genere di cose per cui non odiava completamente la gente che sparlava di Luna. Quando si trattava di lei, c’era da aspettarsi che se ne andasse in giro con un materiale altamente esplosivo: i pericoli dell’esserle amica. L’incantesimo di Ginny inoltre ci aveva messo il suo.
Le aveva più o meno accennato che avesse imparato il Reducto e che fosse diventata anche bravina. Va’ a pensare, però, che fosse così devastante.
Alma percorse in fretta il resto della stanza, scampando al fumo e i pezzi di legno bruciacchiati che la riempivano. Arrivò a lui. Giaceva svenuto in mezzo ai detriti, ma della sua bacchetta nera non c’era traccia, e nemmeno l’Accio riuscì ad attirarla.
«Wingardium Leviosa.» Usando la bacchetta, li spostò tutti e iniziò a trascinarlo per la gamba.
Luna e Ginny stavano finendo di spegnere il fuoco quando, dalla porta d’ingresso, la McGranitt cacciò un singulto e si appoggiò all’uscito. «Oh, santo cielo! E-Esigo una spiegazione immediatamente. Da tutte voi.»
Alma indicò l’Ombra Mezzosangue. «Lo chieda a questo svitato quando si sveglia. Ha fatto un casino.»
 
   
 
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