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Autore: DarkWinter    03/03/2022    2 recensioni
Sul punto di diventare Tsuchikage, Kurotsuchi si ricongiunge con la sua figlia illegittima.
Con la necessità di provare la sua fedeltà all'inflessibile Iwa, ma anche di proteggere la bambina, come potrà Kurotsuchi tenere la sua nascita illegale completamente segreta?
~[DeiKuro] [AkaKuro]
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Altri personaggi non presenti nella lista disponibile su EFP:
-Akatsuchi
-Onoki
-Kitsuchi
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Deidara, Kurotsuchi, Nuovo Personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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IV. Una Notte dannatamente fredda


 


 



 

Dalia aveva ordinato a Kaori di fare un salto al suo dormitorio in Accademia, per recuperare qualche cambio di vestiti da prestare all'ospite della Tsuchikage.

Nel frattempo Kurotsuchi si era fatta aiutare a mettere insieme un futon sul pavimento del salone.

"Fai dormire qui la bambina o le dai il tuo letto?" 

Una volta che ebbe sprimacciato un cuscino Dalia si rimise in piedi, raddrizzando spalle e schiena.

"La parente di Akatsuchi farà ben quello che vuole. Io dormo nel mio letto."

Non era perché Raisa Akamori si era sognata di rintracciare la sua madre biologica che quest'ultima doveva persino lasciarle il suo letto. Sarebbe stato comodo se si fosse trasformata in un cane e avesse dormito fuori, ma Dalia aveva insistito per prepararle il letto per quello che Dalia ne sapeva, Raisa e Kurotsuchi non erano legate e Raisa era un'ospite normale, tutto era normale!

"Tipico…" Dalia si riposizionò il ciuffo sulla fronte e diede uno sguardo obliquo all'orologio da parete. "Andiamo, Kaori. Daimyo-sama ci starà cercando e ricordati che Maya vuole chiamarti. Per congratularsi con te." 

"Mia sorella. Ha diciott'anni, è un ninja medico e studia a Konoha sotto, tipo, la più forte kunoichi della sua generazione." sussurrò Kaori a Raisa, orgogliosa, toccandosi ancora il coprifronte.

"Più forte della-- Kurotsuchi?" 

Chiese in risposta la maga, allungando la mano verso la propria fronte nuda in segno di empatia.


 


 


Quando le nobildonne del daimyo si furono congedate con un piccolo inchino, Kurotsuchi tenne per le spalle una giacca di pigiama e la paragonò all'apertura della spalle di Raisa.

"Kaori è più alta di te, ma non dovrebbe essere un problema."

Raisa accettò il pigiama con un sorriso riconoscente e sparì in bagno, a lavarsi i denti.

Dietro la porta socchiusa Kurotsuchi rimase un momento a guardarla slacciarsi la spilla a fiore che chiudeva la sua blusa proprio sotto al colletto. Se la stramba poteva trasformare una spilla in uno spazzolino, a cosa le servivano dei soldi?

Poteva crearsi tutto dal niente. 

Una casa, cibo, vestiti, toelettatura.

O forse la sua custode era morta povera perché aveva contato solo su quello per tutta la vita, e poi non aveva più saputo farlo?

Quando udì che Raisa aveva aperto la manopola della doccia, Kurotsuchi andò a sedersi sulla panca di legno fuori dalla porta di casa, si imbamboló a guardare le spirali di fumo leggero che dalla tazza di matcha caldo fra le sue mani si perdevano nella notte fredda, limpida di scie stellari.

L'indomani avrebbe reimpostato il tunnel di pietra e la muraglia col suo chakra. E avrebbe scritto della sua salita al trono di Kage a quelli degli altri grandi cinque Villaggi Ninja.

Si portò le ginocchia al petto e strinse il suo vestito intorno alla parte alta delle cosce. 

Anche una notte di dodici anni prima aveva seduto su quella stessa panca, stretta in un indumento.

Quella volta era appena passato dicembre, com'era stata gelida, com'era stata luminosa quella notte!

E Kurotsuchi era stata rossa in viso. Rossa per il freddo e per le lacrime che continuava a lasciar scorrere.

Aveva pianto come una bambina ed era stata sola sola nella notte innevata.

Era passato un quarto d'ora e Kurotsuchi non aveva ancora udito Raisa camminare in salone ed infilarsi nel futon.

Diede un ultimo sguardo alla volta celeste e avanzò in casa.

"Impiastro? Dove sei finita?"

La cercò nel bagno; l’aveva lasciato asciutto e pulito, solo la doccia sgocciolava ancora.

"Raisa?! Ma che cavolo…"

Kurotsuchi aprì la porta della propria stanza e vide che le persiane erano state chiuse.

"Oi! Va' nel tuo letto."

Un dolce aroma di shampoo e di sonno aleggiava nella stanza, Raisa respirava in pace sotto le coperte.

"Ma guarda te!" 

Kurotsuchi sghignazzò, commentò l'insolenza di sua figlia ad alta voce, ma la bambina doveva essere stremata: la presenza di Kurotsuchi non la fece muovere, né fece cambiare il ritmo del suo respiro.

In piedi contro le luci del corridoio, Kurotsuchi rimase appoggiata allo stipite a guardare la piccola sagoma della stramba sotto le coperte, infuse di rassicurante calore materno.

Lo sguardo di Kurotsuchi cadde sui capelli sciolti, al buio, forse spogli di incantesimi nel sonno profondo.

Il senso di rimpianto le salì di nuovo dalle viscere, come la sera prima in ufficio. 

Una sensazione così prepotente.

Kurotsuchi chiuse la porta e spense tutte le luci. 

Si distese sul futon ancora vestita e non tirò le tende. 

Non era passata mezz'ora che un bussare insistente la rimosse dal dormiveglia, la tirò per inerzia fino alla porta.

"Scusa se arrivo qui solo ora. Non stavi mica dormendo?" Akatsuchi canzonò, notando lo sguardo appannato della sua Kage.

"È mezzanotte, giovanotto. Se non io, la stramba sta dormendo." Kurotsuchi si appoggiò stancamente allo stipite. "Potevi portare Raisa a casa tua, oggi."

"C'è Tanako da me!"

"...Una sua parente. Akatsuchi, complimenti, bella mossa. Considerando come sto simpatica a Tanako, questo è assolutamente quello che lei avrebbe detto se fosse stata lì."

Ridacchiò la Tsuchikage.

"Non stai antipatica a Tanako..."

"Sono abbastanza sicura di sì."

Akatsuchi alzò un sorriso sornione. "Non è stato solo un bacio?"

Kurotsuchi espresse gutturalmente la propria frustrazione a sentirsi ripetere le stesse parole con cui l'aveva zittito prima.

Dovette svegliarsi ancora un po' per accorgersi che di solito Akatsuchi non andava a trovarla così tardi. Il codino di capelli neri in cima alla sua testa era perfettamente a posto, di certo la bodyguard non si era buttata giù dal letto.

“Hai piantato in asso Tanako ancora una volta? Ti stai scavando la fossa.”

"Tanako ce l'ha su con me oggi-"

"Ancora per i mochi?" Interruppe Kurotsuchi. "Come volevasi dimostrare…"

"Dovevo uscire per una passeggiata. Già che ci sono." 

Akatsuchi le consegnò un grande portavivande avvolto in un asciugamano. "Immagino che in questi giorni tu sia troppo occupata, per cui ecco la colazione per Raisa. Ce n'è anche per te."

Kurotsuchi gli fece segno di togliersi le scarpe e aprì il portavivande.

Ci trovò onigiri, pesce grigliato, uova sode e altre delizie.

"Grazie…" Sospirò la Tsuchikage. "Quanto ti devo?"

"Nulla."

“Me la farai diventare obesa.” 

Kurotsuchi mugugnò, col broncio.
Perché tutti la sommergevano con del cibo? Lei e Raisa non erano un caso di beneficenza.

“Non credo sia geneticamente predisposta. Il fisico l’ha preso da te, non da me.”

“Akatsuchi, siamo ninja. Tu non sei obeso, sei solo grosso.”

“Non è il punto…”

Akatsuchi restò a guardarla con le braccia incrociate e un'espressione vispa e pronta.

Kurotsuchi era mezza addormentata e si sentiva ancora piena dopo la cena, ma era doveroso interrompere l’imbarazzo e l’ansia.

“Vado a preparare del tè. E stappare del sake.”

“Già, sake. Attenta, così è iniziato tutto.”

“Akatsuchi...non ora."

Quando, allora?

Akatsuchi non si fece arrestare dal tono da comandina di lei, battè la mano sul divano su cui si era accomodato. 

“Dimmi, Kurotsuchi. Siediti qui."

“No, lascia perdere-"

Akatsuchi non la lasciò finire, "Non posso lasciar perdere mia figlia!"


 


 


Zittire lo Tsuchikage era una grande, no, enorme mancanza di rispetto.

Forse non era mai successo, ma in quel momento, nella testa di Akatsuchi era sorto un istinto ch'egli non aveva nemmeno mai creduto di possedere.

In una presa di coscienza che gli parve improvvisa, Akatsuchi non potè tollerare che Kurotsuchi gli dicesse cosa fare. 

Si trattava di Raisa. Era troppo importante!

“Come puoi dire che è tua?” 

Si difese Kurotsuchi. 

Sapeva bene, però, che c’era stata solo una volta in vita sua in cui aveva condiviso il suo letto con un ragazzo, senza barriere, senza pensare al domani. 

E quella volta era stata durante quell’inverno dannatamente gelato. 

In quella notte dannatamente fredda in cui Kurotsuchi era restata sulla panca fuori da casa, Akatsuchi era sbucato dal nulla e nel guardarla si era come congelato.

“Kurotsuchi. Stai piangendo?”

L’aveva sentita singhiozzare sottovoce fin da prima di arrivare davanti a casa sua, era un suono a cui non era abituato e che l'aveva quasi fatto scappare.

Il giovane shinobi non aveva mai sentito Kurotsuchi piagnucolare, nemmeno da ragazzina quando in missione le condizioni erano ardue. 

Kurotsuchi non aveva avuto il tempo di piangere sua madre perché era stata troppo piccola, e quando era cresciuta il dolore per una persona mai conosciuta aveva perso il suo potere. 

Ma non aveva pianto persino quando Deidara se n’era andato; o quando l’anno seguente era riapparso nel cielo di Iwa, capelli d'oro e nuvole rosse, rivendicando per sé una forma di stupore atavico che gli abitanti dell'intera Roccia non avrebbero mai dovuto provare, pronto a far cadere un inferno su tutti loro. 

Kurotsuchi non lasciava mai che si sapesse che i suoi occhi potessero produrre lacrime. 

Era una kunoichi della Roccia, e di roccia doveva essere. Lasciarsi scivolare tutto addosso, anche le cose che devastano. 

Ma quella sera, erano stati proprio singhiozzi.

“Kurotsuchi...stai piangendo.” 

Akatsuchi le si era seduto accanto, strofinandole la schiena senza staccarle dalle membra il cardigan e la coperta.

“No, stupido.” Si era in fretta e furia asciugata le guance rese pallide da neve e luna, aveva tirato su col naso, guardato le tasche piene dell’amico di fianco a lei. “Cos’hai lì?”

“Ti ricordi che non abbiamo ancora festeggiato la nostra promozione a jonin?”

“La tua. Io lo sono già.”

"Ero venuto a festeggiare con te. Una cosuccia quieta, sembri stanca tu."

Akatsuchi si era prelevato dalle tasche due bottiglie del migliore sake su cui si potesse mettere le grinfie a Iwa.

Poteva essere qualsiasi cosa, bastava che facesse sballare. Kurotsuchi aveva preso una bottiglia dalle mani di Akatsuchi, aveva rimosso il tappo e aveva iniziato a bersela.

"Vai piano. Piano!" Akatsuchi aveva appena bagnato le labbra nel sake, ma  aveva riso a vedere Kurotsuchi e anche udirla tracannarsi sorso dopo sorso come un vecchio marinaio beone, quasi senza respirare. 

"16% di volume alcolico. Una della tua misera stazza può schiattare."

La bottiglia vuota era rotolata sotto la panchina. Kurotsuchi aveva infine respirato, si era strofinata il cardigan su bocca e mento. "Crepare? Te lo do io."

Non avrebbe presto dimenticato il giramento assassino, un’onda che era passata attraverso tutto il suo corpo, che la bottiglia di sake le aveva dato.

"Cosa ti turba così tanto?"

Le aveva chiesto Akatsuchi, con l'atteggiamento di uno disposto ad ascoltarla per tutta la notte se fosse servito.  

Kurotsuchi si era alzata con l'intenzione di andare a dormire e mandare a quel Paese Akatsuchi, ma aveva barcollato e sarebbe caduta all’indietro se Akatsuchi non l’avesse presa. Delicatamente, senza volerla toccare troppo, quasi desideroso che lei si spostasse. 

O sospettoso che potesse vomitare tutto il sake da un momento all'altro.

Ma Kurotsuchi gli era rimasta appoggiata al petto, sembrava che lo stesse prendendo per un materasso.

"Sei stata tu a darmi il primo bacio," disse Akatsuchi, guardando ora il divano sotto di sé, ora le tende aperte di fianco alla finestra del salone. Il ricordo rendeva le sue guance abbondanti ancora più turgide.

"Pensa se lo dicessi a Tanako-chan," sbeffeggiò Kurotsuchi, con il naso così arricciato che si era ridotto a una puntina.

"Perché tu non hai rifiutato. Mi hai ribaciata, parecchie volte."

"Avevo una cotta pazzesca per te."

"Avevi?"

Akatsuchi non avrebbe mai rimpianto il mattino d'inverno in cui si era svegliato sul tatami di Kurotsuchi, coperto alla rinfusa dai suoi stessi sciarpa e giaccone.

E con Kurotsuchi addormentata di fianco a lui con le braccia piegate sotto il cuscino, i capelli sul viso, vestita.

Se Akatsuchi non avesse scorto le sue mutandine appallottolate in un angolo, non ci avrebbe mai creduto.

Era incredibile. Il sake aveva aiutato, ma era stata lei a portarselo in camera.

Kurotsuchi aveva voluto lui nel suo letto. Ed Akatsuchi aveva creduto di svenire fra alcol ed emozione.

La Kage sentiva le parole del suo amico echeggiarle in testa fino a stordirla.

"Io e te abbiamo passato insieme solo una notte."

"Ma l’abbiamo fatto, Kurotsuchi. L’abbiamo fatto. È tutto quello che serve."

Akatsuchi voleva prendere le mani della Tsuchikage nelle proprie, invece le strinse ancora intorno al cuscino del divano.

“Sono sicuro che Raisa è mia. Ha esattamente dodici anni e sono pronto a scommettere che è nata fra settembre ed ottobre! Non è vero, Kurotsuchi?”

Akatsuchi si ricordava di come le aveva accarezzato i fianchi e il sedere sopra la gonna, a terra, sul tatami. Non aveva osato rimuoverle niente, persino nel torpore dei sensi la rispettava così tanto che voleva fosse lei a farlo.

Akatsuchi non rimpiangeva un momento d’amore con la madre della sua bambina. La ragazza che avrebbe potuto fargli ancora battere il cuore, se l’avesse voluto. Ma ora pensava alla piccola Raisa che dormiva nel letto a cui, dodici anni prima, lui e Kurotsuchi non si erano dati nemmeno la pena di arrivare.

Una creatura che adesso gli pareva ancora più straordinaria, piombata a Iwa e pronta a distruggere tutto quello per cui Kurotsuchi aveva lavorato.

Senza nemmeno farlo apposta, poverina…

Tutto perché Akatsuchi non aveva saputo controllarsi. Era colpa sua.

Gli sembrò di aver tratto vantaggio da Kurotsuchi e la sua giovinezza, dal suo fisico allora dritto dritto.

La Tsuchikage aveva portato e partorito sua figlia; ed Akatsuchi non l'aveva mai saputo. 

Da un lato voleva adirarsi, dall'altro non poteva biasimarla.

Lei era la nipote di Onoki-sama, lei doveva essere perfetta, nessuno poteva questionare il suo diventare Tsuchikage. Ma lui, Akatsuchi, aveva ceduto alla sua voglia. Alla voglia di averla per sé.

"Ti volevo così tanto. Perché mi hai baciato?"

"Perchè sei il mio vero amico. L'unica persona al mondo che volevo accanto a me, in quel momento.”

“Mi vorresti anche ora?”

Il passato era passato, Kurotsuchi aveva in mente solo la sua carriera e Akatsuchi stava per sposarsi. 

"Che domanda ridicola."

Come poteva, Akatsuchi, anche solo pensare di lasciare Tanako dopo tutti gli anni che erano stati assieme, solo per lei? Rischiare il tutto e per tutto per una tipa non interessata come lei.

"Nessuno vale la pena per me, alla fine. Voglio solo il mio titolo.” Scattò Kurotsuchi, stringendo una piega del suo vestito. “E poi sai cosa significherebbe dichiarare di aver avuto rapporti mentre eravamo ancora membri della stessa squadra? Se sanno di Raisa, se tutto questo salta fuori, mi destituiranno. E con una macchia del genere sul mio conto non verrei mai più presa sul serio. Né dal nostro villaggio, né da tutti gli altri.”

“Non possono farlo. Se parli del Consiglio.” Akatsuchi riuscì a riesumare un sorriso, in ricordo della passeggiata mattutina. “Ricordati che tuo nonno può ancora bastonarli a suon di veto.”

“Appunto!” Soffiò Kurotsuchi, mettendosi in punta di piedi affinché quel colosso della sua bodyguard la guardasse bene in faccia. “E poi declasserebbero anche te. Farsela con un compagno di squadra è proibito, specie se ci sono prove che respirano a complicare il tutto."

“Lo dico a te e basta che Raisa è mia. L’abbiamo vista solo noi e tuo nonno.” 

“Dalia l’ha vista. Ma le ho detto una balla.”

Già troppa gente, per i gusti di Akatsuchi. Pioveva sul bagnato. 

“E tu ti aspetti sul serio che Dalia se la sia bevuta.”

Kurotsuchi lasciò cadere le spalle. “No, diamine. Né lei né il vecchio.”

“Cosa facciamo ora?”

Era passata la mezzanotte, Akatsuchi era ancora lì dopo aver portato un cesto pieno di delizie alla sua Kage e alla loro figlia.

“Tu, torna a casa. Altrimenti la tua promessa sposa fa davvero una strage.”

Come l’avrebbero entrambi guardata, Raisa, dopo che si erano finalmente detti quello che c’era da dire?

Essere genitori di una terza vita, insieme. Una presa di coscienza che cambiava passato,  presente e futuro. 

Qualcosa per cui vivere o morire.

Kurotsuchi si strinse nelle spalle, “Il mio ruolo di Tsuchikage interim mi impedisce di lasciare Iwa. Per cui domani mattina tu riaccompagnerai Raisa a casa sua. È quello che va fatto.”

“No! Non puoi togliermela, adesso!" Akatsuchi si levò, la sua voce acquistò un rimbombo duro. 

Kurotsuchi portò i pugni chiusi contro il suo braccio, senza colpirlo.

“Se ti importa di me come dici che ti importa, devi allontanare Raisa. Trova qualcuno nel suo villaggio di civili che può prendersi cura di lei, come potremmo noi in un mondo ideale. E lasciamoci questa faccenda alle spalle. Sia io che te.”

“Non deve esserci un mondo ideale,” lottò Akatsuchi, fino all’ultimo. “Se tu non vuoi, io potrei occuparmi di Raisa-”

“Soldato Akatsuchi. Questo è un ordine.”

Kurotsuchi non disse altro. Gli occhi neri, immobili come pietra e come la Volontà  dietro di essi,  non seguivano neanche i movimenti e le espressioni della bodyguard.

Quello che Tsuchikage-sama dice, si fa. 

Il gigantesco ninja della Roccia lasciò penzolare le braccia ed emise un sospiro a polmoni contratti. Si girò indietro, sulla soglia, e volle che Kurotsuchi capisse che lui la Volontà di Pietra non la dimenticava.

Ma che obbedirle era l’ultima cosa che avrebbe fatto, se avesse potuto.


 


 



 

Per Raisa, il nuovo giorno appena iniziato si stava svolgendo normalmente. 

A tavola insieme a Kurotsuchi, commentava su come il pesce grigliato che stava divorando fosse migliore di quello che preparava lei con le sue manine.

“Io lo faccio sempre o troppo crudo o bruciato…”

“A casa tua, la tua custode non cucinava per te?”

“Sì, ma lei era ancora peggio. Non era molto abile nelle arti magiche...” 

Kurotsuchi ammirava i gesti, i dettagli del viso e i capelli rosso comfort zone di sua figlia come se li vedesse per la prima volta.

Akatsuchi aveva ragione, la parte alta del viso era quella in cui la somiglianza fra lei e Raisa era più evidente.

Raisa alzò lo sguardo, e incontrare quello della madre le diede un piccolo brivido che risuonava con la parte di lei che l’aveva spinta, a colpo sicuro, a localizzare e riconoscere quella kunoichi di cui ricordava qualche dettaglio, ma non il volto.

"Cosa?" Si rallegrò, con le bacchette vicino alle labbra. 

I capelli le si schiarirono da rossi a salmone, e Kurotsuchi reagì, "Allora com'è che funzionano i tuoi capelli mille colori? Puoi spegnerli?"

"Questo?" Raisa si prese una ciocca liscia, ma spettinata. "È un incantesimo e no, per farlo andare via devo perdere conoscenza o morire. Perché, dovrei toglierlo?"

Kurotsuchi trattenne il respiro. 

"No. No, tienilo. È proprio adatto a te."

"Vero?" Ridacchiò la piccola, quasi con commozione. Era il primo complimento che sua madre le aveva fatto.

"Comunque mi dispiace di aver dormito nel tuo letto, mamma. Ero veramente stanca, forza dell'abitudine."

"Perché, a casa tua dormi in un letto?" Sparò Kurotsuchi, prendendo un onigiri.

"Direi! Perché no?" 

Per il gusto di ridere, Kurotsuchi si era immaginata che casa di Raisa e della custode fosse una specie di tugurio.

Raisa rimase a guardare in alto, con un uovo sodo in mano. "Comunque, quella signora con le trecce..."

"Dalia, è sempre in mezzo...che c'entra?"

"Se non avessi sentito le prove del tuo discorso, avrei detto che tu e lei foste mamma e figlia."

Kurotsuchi ritrasse il mento nel collo e rimase semplicemente a scrutare sua figlia.

"No! No, per amor del cielo!"

"Perché? Non sembra cattiva."

"Oh no, è davvero gentile come persona." La rassicurò Kurotsuchi. "Ma è così così come madre."

Raisa aspettò che Kurotsuchi finisse il suo tè, poi impilò piatti e tazze sul suo palmo o meglio, una superficie invisibile e molto più ampia del suo palmo.

La Tsuchikage la fermò sulla soglia della cucina. "Raisa?"

"Sì?"

"Grazie. Di non aver parlato a tutti di noi. Come hai fatto con Akatsuchi."

"Perché avrei dovuto farlo?” Disse, con gli angoli della bocca un poco all’ingiù. “Mi hai chiesto di non farlo."

"Raisa, hai dodici anni e non appartieni a Iwa." Kurotsuchi la fissò negli occhi, abbassando il mento. "Mi rifiuto di credere che tu faccia tutto quello che un adulto ti dice...Fai tutto quello che un adulto ti dice?"

"No, mamma. Ma da come parlavi tu," Raisa flesse il braccio e le stoviglie ancora impilate scivolarono in linea retta fino al lavello, come trasportate da un nastro invisibile. "Sembrava che il mondo potesse crollare  se avessi fiatato."

Nonostante la consapevolezza di averlo fatto le desse rabbia, Kurotsuchi aveva passato la notte a pensare ad un discorso adeguato da fare alla stramba.

Perché non poteva mandarla via in malo modo. Non dopo averla incontrata.

Era una bambina, dopotutto, una brava bambina.

Non meritava la durezza in cui non era cresciuta, a cui non ci si abitua se non ci si nasce.

Onoki-sama l'avrebbe fatta scortare via e ci avrebbe messo una pietra sopra. Ma Kurotsuchi voleva trovare un altro modo.  "Raisa, stammi a sentire." 

Quella non era una conversazione che si poteva fare sballandosi, era ora di un'altra bella secchiata di onestà nuda e cruda. La seconda in poche ore. 

Kurotsuchi andò dalla bambina, vicino al lavello, e la fece girare verso di sé.

Lo sguardo negli occhi di Raisa, permeati dal tremito dell'intuizione nella loro tranquillità, stroncava ogni parola di scuse. 

Kurotsuchi abbassò le palpebre e la fronte, trovò della saliva da deglutire. 

"Raisa. Il mondo per me crollerà se tu resti. Devi tornare nel Paese del Fuoco."

Raisa aveva capito che Tsuchikage-sama stava per dire qualcosa di difficile. Eppure, il suo sguardo e le sue labbra si schiusero di incredulità. 

"Ma mamma! Come faccio? Non ho nessuno."

"Sei una maga, no?"

"Sì, ma a parte trasformarmi in animali le magie che posso fare sono cose semplici. Non posso alterare il destino.” Ribadì Raisa, come se volesse specificare che non era il momento più adatto per discutere delle sue capacità magiche. 

E che era consapevole di non essere altro che una dodicenne con tutta la vita per imparare, non una divinità onnipotente.

“Non ti è scattata la scintilla con me, o il problema sono io?” Chiese, con un tono più soave.

Kurotsuchi volle allungare le dita per toccarle la guancia ma si fermò, prima che il contatto potesse rendere il momento più drammatico di quanto potesse gestire.

"Il problema è che non posso tenerti. Sei sbucata dal nulla e metti in pericolo me e la mia carriera. Mi dispiace."

“In che modo io ti rovinerei la carriera?” La bambina incrociò le braccia. 

Se Raisa voleva a tutti i costi evitare il conflitto, mantenendo toni educati e sforzandosi di cavalcare i suoi istinti empatici, d'altro canto era disperatamente bisognosa di capire. 

Di dare un senso alla decisione affaristica che sua madre stava riaffermando in quel momento, ma anche alla sua gentilezza la sera prima.

Kurotsuchi chiuse gli occhi, nel dire “Leggi di Iwa...Cose da ninja.”

Troppo in fretta per il contesto in cui successe, Raisa abbassò le sue lievi difese. “Oh. Ho capito, mamma.”

Forse erano state le parole in sé, o il modo completamente onesto in cui Kurotsuchi le aveva pronunciate ma qualcosa, almeno in quel momento, aveva disinnescato la motivazione di Raisa.

E un pensiero attraversò la mente di Kurotsuchi come un lampo.

"Non è giusto. Ha dodici anni e le sto togliendo la speranza. Sente solo che il nostro mondo è duro, non le lascio capire le nostre regole e le scelte che ne conseguono."

Ma scavando più a fondo nei suoi pensieri, portandosi ad un livello di contatto con se stessa che non aveva forse mai sperimentato prima, Kurotsuchi volle tracciare una chiara distinzione tra fare pace con il suo innegabile apprezzamento per quel piccolo, scaltro impiastro, e scegliere di puntarsi un jutsu alla tempia.

"La mia carriera è sempre stata in pericolo, perché se non la tengo ora l'ho fatto dodici anni fa. Perché l'ho tenuta?"

Qualcuno bussò alla porta e Raisa esultò, nascondendo la delusione nei suoi occhi.

“Tsuchikage-sama,” Akatsuchi si inchinò quando ella gli aprì la porta. 

Si era presentato all’ora pattuita.

“Akatsuchi ti accompagnerà, Raisa. Io devo restare ad adattare la muraglia al mio chakra,” sospirò Kurotsuchi. 

Ma forse Raisa era più felice di vedere Akatsuchi che lei.

“Hai fatto colazione, Raisa?” Akatsuchi le mise una mano sulle spalle e lei guardò su e su, fino alle sue guance piene, e annuì con un sorriso a labbra chiuse.

“Bene, andiamo. Saluta mamma."

Chissà che rospo aveva dovuto ingoiare. Lo sguardo di Raisa erano basso, ma gli angoli della bocca erano più alti rispetto a quello che ci si aspetterebbe da semplice tristezza.

Guardò Kurotsuchi coi suoi occhi limpidi, pieni della volontà di non lasciare che nulla cancellasse la sua natura ottimista, ma anche di gratitudine per quei due giorni insieme.

“Almeno ti ho conosciuta. Non ti dimenticherò, mamma.”

Non l'aveva mai dimenticata...

Presto quella bambina sarebbe sparita così com’era arrivata. Kurotsuchi le sfiorò infine i capelli con un gesto lieve, senza rumore.

“Nemmeno io, piccola bellezza. Prenditi cura di te.” 

Akatsuchi fece un cenno militaresco alla sua Kage e partì con una Raisa che ancora sventolava innocentemente la mano. 

Kurotsuchi aveva lasciato andare quella bambina, un’altra volta. Si rifugiò in casa, dove nessuno poteva vederla fragile.


 


 



 

Ad asciugare vicino al lavello c’erano ancora due piatti, due tazze e quattro bacchette. I vestiti che Kaori le aveva prestato erano piegati sul divano, Kurotsuchi prese un capo fra le mani e sentì il profumo di sua figlia fra le trame del cotone.

In effetti il suo profumo era ovunque, soprattutto fra le lenzuola che aveva brevemente usurpato.

La camera da letto era piena di sole al mattino, Kurotsuchi prese un capello che era rimasto sul piumino e si mise vicino alla finestra a guardarne tutti i micro riflessi.

Se solo avesse potuto, avrebbe ammesso a se stessa che la sua decisione era convenienza, ma anche, in fondo, volontà di proteggere una creatura che era sua e che non poteva difendersi da una cultura che voleva farle del male. 

E che un indizio di quella volontà, forte come e più della pietra, c’era stato sin da molto prima che Kurotsuchi sentisse la sua bambina muoversi per la prima volta e annunciasse alla sua famiglia che avrebbe lasciato Iwa per un po’ di tempo per andare ad allenarsi, aveva detto. Che jonin di cui essere fieri, avevano detto.

Sin da quando il Quarto Tsuchikage era stata distesa sul suo letto, un pomeriggio d'inverno, a vegetare e guardare nel vuoto. I vestiti più smessi e larghi e scoloriti, quelli da usare a fine mese, erano puliti e piegati nel cassetto.

Ma Kurotsuchi si era resa conto che sarebbe stato inutile aspettare che le arrivasse il ciclo.





 

Pensieri dell’autrice:

 

Udite udite, habemus baby daddy! Ed eleggiamo Kurotsuchi madre dell’anno!

Spero che questo capitolo vi abbia intrattenuti abbastanza da voler proseguire fino al prossimo, in cui sara’ tempo di incontrare il tritagonist della storia. Spoiler, e’ un pg canon!

Spero che stiate bene in questo nuovo clima di ansia, per quanto si possa stare bene, e che la mia storia possa darvi qualche sorriso!

 
   
 
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