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Autore: Ghostro    03/03/2022    1 recensioni
Questa storia prende spunto dal contest Riddikulus di Fiore di Cenere
Le vicende si svolgono durante gli eventi del quinto libro della saga. Damien Kiran, giovane Tassorosso, durante una punizione notturna nella Foresta proibita fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita. Lui e i suoi amici si troveranno alle prese con il furto di un artefatto antichissimo e proibito capace di strappare alle persone la loro risorsa più preziosa: l'amore.
Genere: Azione, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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ORGOGLIO TASSOROSSO
 
 
Il prigioniero sedeva su una vecchia sedia in una cella nelle segrete del castello. Piton, Minerva e Dolores Umbridge lo stavano osservando con attenzione. Non aveva detto una sola parola da quando si era svegliato. Se ne stava fermo, con il capo chino. Il viso, le braccia, erano cosparsi di segni di ustione e tatuaggi dalla forma tribale. Neanche la Legilimanzia era stata in grado di cambiare lo stato delle cose. Nessun segno d’insofferenza: la sua mente non era protetta da alcun incantesimo o volontà ferrea. In quel mago non c’era assolutamente nulla.
Era vuoto.
«Allora?» lo pressò l’Inquisitore supremo. L’impazienza aveva reso la sua voce più stridula e adulta. «Niente?»
Severus attese che la sua indagine avesse fine prima di aprire bocca. «La sua mente è vuota. Qualunque cosa sia successa a questo mago, la Legilimanzia non funziona.»
«Come non hanno funzionato le difese del castello e la nostra supervisione. Ma quando avevate intenzione di riferirci che dei criminali si stanno aggirando nel castello? La vita di cinque studenti è stata messa a repentaglio!» Se Dolores Umbridge era tesa, la sua collega Minerva McGranitt tratteneva a stento la furia.
L’Inquisitore fece un verso di scherno. «Adesso non essere melodrammatica, Minerva.»
«Come, prego?»
«Non fare finta di essere preoccupata per l’incolumità dei tuoi studenti, questa scuola è stata alquanto indolente in fatto di sicurezza, in questi ultimi anni.»
Colse solo con la coda dell’occhio quanto l’insegnante di trasfigurazione fosse scandalizzata. «Questa scuola ha sempre considerato l’incolumità dei propri studenti come prioritaria. Non le permetto di accusarci di negligenza, o peggio d’insinuare che permettiamo a certe nefandezze di avere luogo senza intervenire.»
«Davvero?» La vocina di Dolores divenne più acuta. «Avete o non avete custodito un oggetto di valore inestimabile e appetibile nel mercato nero come la Pietra filosofale? Per un anno, dopo il quale il suo creatore, Nicholas Flamel, ha deciso di porre fine alla sua vita distruggendolo, temendone le ripercussioni se fosse finito nelle mani sbagliate. Tre anni fa la scuola stava per essere chiusa a causa della pietrificazione di alcuni studenti e voci insistenti a proposito di una camera degli orrori. Due anni fa un evaso da Azkaban, tutt’ora a piede libero e strettamente legato al Lupo mannaro che all’epoca stava insegnando in questo castello, si è infiltrato nel dormitorio proprio da lei custodito mettendo a repentaglio la vita di molti studenti. L’anno scorso c’è stato un ricercato che ha insegnato Difesa contro la arti oscure per un intero anno! E un morto.» Inspirando profondamente, Dolores gonfiò il petto. «Tacete
Minerva dovette farlo, di fronte all’evidenza. Tuttavia mantenne un cipiglio tutt’altro che arrendevole.
Piton risolse quell’attimo di tensione pescando una boccetta lilla da un tavolo imbandito di pozioni. «Veritasserum.»
«Il siero della verità, già…» bisbigliò la Umbridge con fare distratto.
«Se in quest’uomo è rimasta una scintilla di vita, sarà obbligato a mostrarcela.»
La porta dei sotterranei si aprì. Albus Silente fece il suo ingresso.
«Mi lasci indovinare, Silente: un altro cavillo? Non mi è concesso, in quanto Inquisitore, interrogare un eversivo che si è infiltrato nel castello? Spetta anche questo al preside, come l’allontanamento di quella mentecatta?»
«Oh, non ritengo esista un cavillo simile. Se vuole, posso sempre controllare. In questo momento sono qui solo in veste di preside. Proteggere la scuola e i suoi studenti è ancora un mio compito, se non erro.»
Dopo aver versato il Veritasserum nella bocca del prigioniero, Piton gli chiuse la bocca per costringerlo a mandare giù. L’Invasato non oppose alcuna resistenza. I suoi occhi vacui non ebbero alcuna variazione.
Poi furono attraversati da un sussulto. L’espressione dell’uomo assunse piena vita, diventando un sorriso tagliente in un oceano di sufficienza e divertimento. L’iride iniziò a sportarsi lungo i confini visibili dell’occhio in modo raccapricciante e disgustoso.
Si fermò su di lui. «Piton, Severus: il banchetto.»
Poi la Umbridge, e il suo sorriso si ampliò. «A quanto pare la ragazzina è furba.»
«McGranitt, Minerva: serva dei demoni.»
Silente raggiunse Piton, lasciandosi ammirare dal prigioniero.
«Silente, Brian, Wulfric, Percival, Albus.» Sorrise in modo perverso. «Tenebra di luce.»
Dolores li superò impettita. «Chi sei tu?»
Per spostarsi verso di lei, le iridi dell’Invasato curvarono e rotearono in modo raccapricciante. «Nessuno. Ma so chi sei tu: il nemico.»
«Nemico» ripeté l’Inquisitore supremo. «Se io sono il nemico, chi è che servi? È in questa stanza, dimmi? È lui, questo cosiddetto Tenebra di luce?»
L’Invasato rise di gusto. «Chi servo non ha amici qui dentro.»
In uno scatto iroso, Dolores puntò la bacchetta sotto al collo del prigioniero prima che potessero fermarla. «Chi è il tuo padrone?»
«L’Ombra… Mezzosangue.»
«Adesso basta!» Minerva la allontanò con una certa enfasi. «Basta così. Basta enigmi e basta mezze verità.» Stavolta fu lei a porre la domanda: «Cosa stavi cercando nella sezione proibita? Cosa vuoi da noi?»
«Giustizia.» In un attimo, il viso dell’Invasato si era trasfigurato nella collera. «Hogwarts. Ministero. Mangiamorte. Potete chiamarvi con i nomi che preferite. Voi lo state servendo, tutti. Non ve ne rendete nemmeno conto.»
«Il Veritasserum dovrebbe obbligarti a dire la verità» sentenziò Piton.
Lui rise. «È la verità. Abbiamo risvegliato il nostro leader dalla tomba per guidarci in questi momenti bui. Presto uno di voi chiederà il favore del Dio sbagliato e per la vita, come la conoscete, sarà la fine. Noi stiamo cercando di impedirlo e lo faremo con ogni mezzo. Ostacolateci, e la nostra vendetta non conoscerà confine.» Lentamente, il viso e la pelle del prigioniero iniziarono a liquefarsi davanti ai loro occhi increduli.
Il busto cadde a terra staccandosi dalle braccia e il resto del corpo come se la pelle fosse liquame, tra i versi di disgusto delle due streghe. Riverso a terra, con il viso per metà ridotto a uno scheletro e l’altro disciolto fino ai muscoli e la cartilagine, l’Invasato disse infine: «Presto i due amanti torneranno ad unirsi nel loro talamo di tenebra e morte. Temete quel giorno, servi del male.»
 
*
 
Damien era seduto accanto al davanzale della finestra. Vedeva il via vai di studenti attraverso una fessura tra la finestra e il soffitto della sua camera. Lo vedeva da giorni. Udì la porta aprirsi e uno studente alto, dai lineamenti simili a quelli di un elfo delle sue favole babbane, fece il suo ingresso. Quel ragazzo era Cedric Diggory e quel giorno, con un sorriso smagliante, si prese la “responsabilità” di tendergli la mano e farlo innamorare di quella scuola fantastica.
 
«Rictusempra!» Finalmente, dalla bacchetta di Damien fuoriuscì quel maledettissimo flusso arancione che tanto l’aveva fatto penare. Cedric fu mandato con le chiappe a terra, ma non se la prese. Il suo viso era entusiasta, come quello di chi lo circondava.
«Ce l’hai fatta!» esultò.
Come Richie, Hanna Abbott, Ernie Macmillan, Susan Bones, Justin Finch-Fletchley, Zacharias Smith e tutti gli altri. Stavano applaudendo, tutti. Davanti ai loro complimenti si sentì imbarazzato e felice come finora non era mai stato.
 
«Tanti auguri a Damien…! Tanti auguri a te!»
Con un sorriso raggiante, sua madre gli mise davanti una gigantesca torta di compleanno al cioccolato e fragole. Lui e Richie erano di ritorno dalla pista di kart che suo padre gli aveva fatto visitare tutto il giorno. C’erano tutti. Anche la madre di Richie, che di solito era sempre impegnata con il suo lavoro al Ministero.
 
«Cioccolato. Il professor Lupin diceva che aiuta a riprendersi.» Silenzio. «Chissà se è vero.»
 
«Damien. Allora, cosa ti ha detto?»
Si era un attimo guardato intorno. Cedric aveva allestito un picnic all’aperto, in mezzo ai fiori e in piena vista del lago. Un luogo davvero romantico.
«Cho ha detto di sì. Cioè: è felice di raggiungerti qui. Me lo sono fatto dire espressamente.»
Non aveva mai visto Cedric così euforico. Ci mancava poco che cominciasse a saltellare avanti e indietro come un canguro. Per qualche ragione, vedere il suo sorriso scintillante rese Damien davvero felice.
 
Niente. Damien si accasciò a terra, sconfitto. Le aveva provate tutte, ma quel Patronus non voleva proprio saperne di uscire. In quei giorni, poi, aveva la testa sottosopra e non riusciva nemmeno a concentrarsi. Sentire Alma e Richie litigare in continuazione, mentre aggiustavano la macchina, certo non aiutava; si stava pentendo amaramente di aver mostrato al suo amico quella stanza.
Non riusciva a non pensare alla Umbridge, a Piton, a quel mago oscuro che, per un momento, aveva assunto il viso di Cedric dopo che Alma gli aveva tolto la maschera. Avevano addirittura appreso che, mentre lui mostrava a Richie quella stanza speciale, lei, Luna e Ginny si erano scontrate con lui. Della bacchetta nera, ancora una volta, si erano perse le tracce in modo inspiegabile.
– Finché non mettiamo le mani su quella bacchetta, questa storia non avrà fine. Dovremmo aiutare il tuo professore – ripeté Glyn per la milionesima volta.
– No. Hai sentito quello che ha detto Richie? Perché Piton avrebbe dovuto uscire a bordo di una scopa? Non ha senso. Questa faccenda del diario potrebbe essere stata solo una trappola, e forse Piton è coinvolto in tutto questo. Se non fosse stato per Alma, io e Richie saremmo morti. –
– Fammi capire: adesso non ti fidi più di lui? Perché? È da quando quella strega ha pronunciato quella parola, Mangiamorte, che te ne stai sulla difensiva. Cos’è, esattamente un Mangiamorte? –
Damien strinse i denti. – Sono dei maghi oscuri, contento? Sono degli assassini. – Ripensò a Cedric, alle insinuazioni della Umbridge. – Sono malvagi. –
– Anch’io sono un assassino – mormorò Glyn con un certo fastidio. – Anch’io sono rimasto invischiato con la magia oscura. Eppure di me ti sei fidato. –
Damien preferì non rispondere.
Il ricordo da cui Glyn attingeva per il suo Patronus era tra i più piacevoli che avesse mai visto. Forse era anche per questo che, alla fine, si era aperto con lui. Ma Damien non aveva dimenticato che lo stava costringendo a fare qualcosa che metteva a repentaglio non solo la sua vita, ma anche quella di chi gli stava vicino.
– Non te l’ho mai chiesto. La notte in cui abbiamo scacciato quelle ombre, per un momento mi è parso di vedere qualcuno. È il ricordo da cui attingi per il Patronus, vero? Chi è quella donna? –
Glyn rimase in silenzio per qualche momento. La mente di Damien fu attraversata di nuovo dall’immagine di quella donna dai capelli rossi. – Aine. Era il capo dei druidi del nostro villaggio. –
– Da come ne parli, sembra qualcosa più di questo. –
– Certo, era molto bella. E durante i rituali di fertilità ero più che lieto di… –
– Sì, non è una cosa che ci tengo a sapere, quella. Ti sto chiedendo se l’amavi. –
– Con tutto il mio cuore. Ma apparteneva a un altro. –
– Chi? –
– L’Amato. – Stavolta, Damien fu attraversato dalla visione dei due bracciali cerimoniali, candidi, che Aine portava su ciascun braccio. Somigliavano terribilmente ai due manufatti che possedevano lui e gli Invasati, ma erano bianchi come le pellicce che quella donna bellissima stava indossando. – La legge degli dei l’aveva vincolata a lui ed io, impotente, ho dovuto restare a guardare. –
– Perché non siete semplicemente fuggiti insieme? –
Lui emise un verso di condiscendenza. – Se avessimo abbandonato i nostri doveri, saremmo stati inseguiti fino ai confini del mondo e i nostri corpi sarebbero stati usati per propiziare il favore degli dei attraverso una pratica sacrificale che, se te la descrivessi, segnerebbe per sempre i tuoi sogni di giovane uomo. – Damien deglutì sonoramente. – È stata Aine a insegnarmi il rituale del Patronus. Era bellissima, di animo gentile. Ciò che sono oggi lo devo a lei, nel bene e nel male. –
– Ma perché la danza? Insomma, il Patronus che hai lanciato per aiutare Piton era diverso. Più… –
– Debole? Sì, il Patronus ha molte forme e “livelli di potenza”. Generalmente, l’animale sacro che ne fuoriesce dovrebbe riflettere la nostra vera natura. Anche se non sempre è un bene. Talvolta i druidi non ne producono di alcuna forma, o l’animale sacro che ne fuoriesce rappresenta una creatura a noi sconosciuta. Nel nostro villaggio, quei druidi li offrivamo in sacrificio agli dei. –
Rimase a bocca spalancata per l’orrore. «Perché?»
– Io non sono mai stato d’accordo, e per un buon motivo. Ma per gli anziani del villaggio quello era sintomo di estraneità. Se la tribù non aveva mai visto quella bestia, dicevano che il cuore del druido era straniero. Per fortuna, ciò accadeva raramente. –
Damien aveva sempre immaginato i popoli del passato come una banda di motociclisti che viveva in un mondo senza regole e offriva i propri sacrifici a qualche divinità pagana. Sentirlo da una testimonianza così diretta gli fece pensare a quanto fosse stato fortunato: se un suo antenato, per un qualsiasi motivo, fosse caduto in uno di questi rituali barbari, adesso non sarebbe stato tra quelle mura a imparare la magia.
Metteva le cose sotto una certa prospettiva.
– Lui può fare davvero quello che ha detto Piton? L’Amato. –
– Può. Per fortuna il tuo professore conosceva il Patronus, o avrebbe perso la sua anima. E non solo: ciò che hai visto, per un momento, è un altro dei suoi talenti. Come i Dissennatori, l’Amato può fare leva sulle tue paure e gli episodi più oscuri della tua vita. Più la tua esistenza è stata segnata dal dolore, più facile sarà per lui insidiare la tua mente. Non permettere che succeda. Lui avverte le tue paure e si nutre della tua felicità. Se inizi a provare freddo, devi iniziare a temere. –
– Perché accidenti avete permesso a un tizio simile di vivere tra voi? –
Glyn pronunciò quelle parole con molto dolore. – Perché gli animali si riuniscono in branchi, Damien? Ci hai mai pensato? –
– Per cacciare insieme. –
– E per proteggersi. Dai predatori. La mia faida con l’Amato non è iniziata in vita ma nella morte. Sono stati i discendenti del nostro villaggio a concluderla, guidati dalle nostre anime che da secoli giacciono intrappolate nei bracciali magici di Aine. Noi affrontammo un temibile predatore e in quello scontro lei perse la vita per colpa nostra. Cercava di farci ragionare, ma io ero troppo geloso e cieco… – Glyn si prese un momento. – Quando ci sigillò nelle profondità della terra, promisi alla discendente di Aine che avrei impedito con ogni mezzo all’Amato di tornare a infestare queste terre. Il suo amore per Aine è diventato follia. Il suo dolore potrebbe corrompere i popoli che con tanto impegno c’impegnammo per preservare quel giorno. –
 
*
 
Luna spalancò con un certo timore la porta della Stanza delle necessità che improvvisamente si era formata davanti ai suoi occhi. Solo per trovarsi davanti a una scena davvero curiosa: Alma e Richie stavano armeggiando con l’auto di quella notte nella foresta, ed erano abbastanza presi in quello che facevano da non accorgersi di lei.
«Mhm.» Alma stava curvando le labbra con fare pensieroso, mentre studiava gli interni della creatura. «Sì, penso che tu abbia ragione. Chiunque abbia incantato questa macchina sa il fatto suo. Non sono un’esperta, ovviamente, ma resto dell’idea che l’incantesimo non durerà per sempre.»
La testa di Richie emerse dalle fauci aperte della macchina. «È quello che temevo. Posso cambiare le gomme, riparare il telaio. Però questa signora è viva. So che non è educazione chiedere, ma devo sapere quanto tempo ci resta.»
Luna era così affascinata dal fatto che i denti e la lingua di quella creatura fossero fili e pezzi squadrati, neri come il carbone, da perdere il filo dei loro discorsi. Era una cosa davvero bizzarra.
«Se vuoi una stima informale, penso che sia arrivata all’incirca a metà vita. Incantesimi così complessi di solito hanno una data di scadenza. Se vuoi che questa macchina viva più a lungo, penso che dovresti trovare un modo per farla funzionare con qualcos’altro oltre alla magia che la anima.»
«Intendi un supporto, tipo un bastone da passeggio o robe simili?» Era disgustato.
«La tua signora non è più giovincella. È la dura realtà e non possiamo…»
Fu Alma ad accorgersi di lei. Poi Richie, che saltò sul posto come se avesse visto un Tamarillo. Infine Damien.
«T-Tu come hai fatto ad aprire la porta?» strillò il secondo.
«Stavo cercando le mie cose. I Nargilli me le hanno nascoste» rispose pratica.
Com’era strana la vita. L’Esercito di Silente aveva impiegato settimane per trovare quella stanza, e solo per merito di un elfo di nome Dobby. Se avesse chiesto a uno solo di loro tre, si sarebbero risparmiati giorni e giorni di ricerche. Ma non poteva. Alma si era chiamata fuori. Quanto a Damien e Richie, secondo Michael Corner erano troppo vicini alla Umbridge, soprattutto dopo gli eventi di Notturne Alley. Fred e George avevano capito a grandi linee che Piton era coinvolto in qualcosa di losco e avevano chiesto a tutti loro di tenere la bocca chiusa. Che fosse opera di Tu-sai-chi o meno, Harry aveva già “troppe grane”. Si erano assunti il compito d’indagare sulla faccenda.
«Forse intendi questa.» Damien prese dalla tasca la sua collana di tappi di Burrobirra e gliela porse timidamente. «Ti era caduta nella rissa del pub. Ultimamente è difficile incontrarti, perciò…»
Gli occhi di Luna s’illuminarono. «L’hai trovata!»
Mentre Damien farfugliava qualcosa, Luna vide Alma prendere Richie per l’orecchio e tirarlo via. «Dove andate?»
«Oh, niente di che. Pensavo di pestare chi ti ruba le cose. Lui mi darà una mano.»
«Ma i Nargilli sono praticamente invisibili. Come farete?»
Lei sorrise in modo astuto. «Ho i miei metodi, amica mia. Ho i miei metodi.»
 
Certe volte non riusciva a capire se Alma fosse una creatura magica o una sua coetanea. Forse era semplicemente merito del suo essere un Omnilofono. Le sarebbe piaciuto da matti scoprire che fosse una creatura semi-umana come i centauri.
Stava percorrendo la Foresta proibita a piedi nudi, con una borsa piena di carne fresca assicurata alla vita. Damien si era offerto di accompagnarla. Era stato gentile. Era sempre gentile. Forse anche troppo per gli standard umani; magari era anche lui una creatura magica, ma non sarebbe stato carino chiederglielo.
«Sei sicura che vada bene? Insomma, non hai freddo ai piedi?»
Luna distese le labbra in un lievissimo sorriso.
«Dove stiamo andando di preciso?»
Superarono un albero, e poi un altro. «Ultimamente sono stata distante dai miei amici.»
«Ah, quindi è una visita. Scusami, non l’avevo capito. Pensavo volessi sgranchirti le gambe perché qualcosa ti turba.»
Non aveva torto. «Quell’uomo, l’altra sera. Per un attimo ho visto una persona che conoscevo.»
«Capisco cosa intendi. Anch’io ho visto qualcun’altro, per un attimo. Non ho ancora capito che incantesimo abbia usato, ma ti assicuro che non era reale.»
«Lo so» rispose, mentre il terriccio si infilava in mezzo alle dita.
«Mi dispiace per quello che è successo, comunque.»
Sì, Damien era davvero insolito. Come Alma, come Ginny ed Harry Potter. In ognuno di loro c’era qualcosa di diverso che la affascinava. Seguivano degli schemi diversi dalla gente comune. Forse le piacevano proprio per questo.
 
Arrivati nei pressi di una radura, vide i Thestral iniziare a radunarsi. Dalla borsa estrasse un pezzo di carne cruda e lo lanciò verso di loro. Il modo in cui Damien sbiancò vedendolo sparire nel nulla fu buffissimo.
«Ok. C-Cosa sta succedendo?»
Pur di non mettersi a ridere, dovette coprirsi la bocca con le dita. Ne lanciò un altro e vide un rivolo di sudore scivolargli lungo la tempia.
«Il tuo amico ha rischiato di travolgerne uno, settimane fa. Era solo un cucciolo.»
Poteva quasi vedere il suo cervello entrare in funzione. «I tuoi… amici?»
Luna lanciò un altro pezzo, guardando un adulto afferrarlo al volo. «Si chiamano Thestral. Sono creature invisibili che abitano la Foresta proibita. Sono molto timidi.»
«Timidi?»
«Sono loro a tirare le carrozze che ci portano al castello.»
Damien sbatté le palpebre. «Scusa. Vorrei crederti, ma questo non è possibile. Richie una volta è inciampato davanti alla carrozza che doveva portarci al castello. Non c’era niente.»
Luna sorrise. Aspettò che un Thestral la salutasse poggiandole la fronte contro la spalla e gli carezzò il muso dolcemente. «Prova ad accarezzarlo.»
Dovette insistere per convincerlo.
Damien sollevò la mano nel vuoto, ma a un passo dal dorso della creatura questa s’incurvò con l’elasticità di un gatto privo di ossa ed evitò il contatto. Allora consigliò a Damien di porgere loro un pezzo di carne. Mentre questo spariva davanti ai suoi occhi, il tassorosso allungò la mano e stavolta riuscì a toccarlo.
Lo vide sgranare gli occhi. «Ma questo è un cavallo!»
«Si possono definire destrieri, sì» gli rispose, mentre coccolava il suo.
«Sembrano pelle e ossa. Mangiano a dovere?»
«Sono fatti così. Se tu potessi vederli, non li definiresti carini. Ma… sono giocosi.»
«Tu puoi vederli?»
Luna annuì. Poggiando la fronte su quella del Thestral, chiuse gli occhi. «Possono essere ammirati solo da chi ha visto qualcuno morire, e l’ha compreso. Mia madre. Avevo nove anni, perciò alcuni di loro li conosco da quando ho iniziato a frequentare la scuola. È stato Silente a spiegarmi cosa sono.»
«Mi dispiace. Per tua madre, intendo. Immagino che siano pochi gli studenti che riescono a vederli.»
«Alma li intravede soltanto, il che è un po’ bizzarro. So per certo che Harry Potter può vederli nitidamente quanto me. Immagino sia per Cedric.» Quando aprì gli occhi, scoprì che Damien era turbato. «Tutto bene?»
«Sì. Pensavo solo che è triste. Insomma, vivere sapendo che il resto del mondo non può vederti. Se non in condizioni spiacevoli.»
«Io non la vedo in questo modo.» Luna lasciò andare il Thestral e si avvicinò a Damien per aiutarlo. Lo sentì sussultare quando gli prese la mano, ma si lasciò condurre. «Molti ritengono che i Thestral siano un segno di cattivo presagio, eppure loro rallegrano le mie giornate da quando avevo undici anni. Forse il loro aspetto può scoraggiare, ma… vedere qualcuno morire davanti ai tuoi occhi ti scoraggia allo stesso modo. Non trovi? La vita va avanti tranne per chi vive nel lutto. Ti senti solo prima di vederli apparire davanti ai tuoi occhi. Credo che loro vogliano insegnarci proprio questo.» Lo guardò intensamente e Damien la ricambiò. «Tu non sei solo. E anche se le cose brutte accadono e tutto sembra diventare buio, c’è ancora luce. Devi solo avere il coraggio di stendere la mano e scoprire che non tutto è come sembra.»
Nell’attimo in cui toccarono il muso della creatura, le loro dita s’intrecciarono leggermente.
Successe qualcosa di strano: Damien arrossì come un fungo velenoso e si agitò così tanto da inciampare e cadere a terra in modo buffissimo.
 
Rinvenne dopo qualche minuto. Luna gli aveva fatto poggiare la testa sul suo grembo, seduta accanto al tronco di un sempreverde. «Sei un tipo imbranato, Damien Kiran.»
Lui provò a rialzarsi e fallì miseramente. «Mi gira la testa.»
«Passerà. Prenditi un momento» gli suggerì, mentre lo carezzava tra i capelli. «Non sono esperta d’incantesimi di guarigione, ma tra poco dovresti stare bene.»
Lui annuì, conteso tra la veglia e il sonno. «Ora capisco perché il Cappello parlante ti ha assegnata a Corvonero. Sei incredibile, lo sai?»
«Chissà. Cerco solo di fare quello che mi piace, come te.»
«Se fosse vero, avrei trovato il coraggio d’invitarti al ballo. L’anno scorso.»
Luna controllò che la sua fronte non scottasse per la febbre. «Ci vuole davvero tanto coraggio per parlare con me?» chiese curiosa.
«Silente è venuto a trovarmi, quest’estate. Ha detto che persino un’opinione come la mia conta. Ma come potrebbe? Non sono un Grifondoro, o un Corvonero: non ho il coraggio di esprimere quello che sono, e se anche lo avessi evidentemente non varrebbe molto.»
«E cosa sei, allora?»
«In questo momento? Vorrei essere un Thestral: invisibile.»
Luna sorrise. «D’accordo. Facciamo che sei un Thestral e solo io posso vederti.»
«Sarebbe un sogno. E adesso cosa dovrei fare?»
«Chiudi gli occhi» gli sussurrò con dolcezza, aiutandolo a chiudere le palpebre. «Riposati.»
Continuò ad accarezzarlo tra i capelli anche dopo che si addormentò. Damien era davvero una creatura esotica.
 
*
 
Aveva seguito Luna anche per interesse.
Di soppiatto, mentre tornavano al castello, l’aveva vista prendere dalla tasca una moneta. L’aveva seguita. Solo per guardarla entrare nella Stanza delle necessità in compagnia di molti, tra cui Ginny, il fratello Ron e… Harry Potter.
Aveva atteso in silenzio che la porta si chiudesse e sparisse, nascosto all’ombra di un angolo. Pressato dai dubbi.
 
Damien era chino sul parapetto del ponte di legno. Stava ammirando il tramonto.
Quel posto era deserto a quell’ora. Ci passavano pochi studenti e solo per affrettarsi a tornare al castello prima delle ore buie. Per lui quel momento rievocava un ricordo in particolare.
Era stato proprio in quel punto, dove adesso poggiava i gomiti, che aveva affrontato Cedric. Gli aveva chiesto perché consigliare ad Harry Potter di usare il bagno dei Prefetti. Dopo un solo anno dalla sua scomparsa era incredibile quanto di una persona si riuscisse a dimenticare. Il suo viso diventava sempre più astratto e irriconoscibile, fino a far sorgere il dubbio che quei ricordi fossero solo frutto dell’immaginazione e quelle avventure non fossero mai avvenute.
Quello in particolare andava tuttavia controcorrente: lo ricordava perfettamente.
«Damien, perché tu non hai mai indossato la spilla che prendeva in giro Potter, qualche mese fa? Sei stato uno dei pochi in tutto il castello.» A quella domanda, non aveva saputo come rispondere. «Avrei dovuto impedirlo. Non l’ho fatto. Noi tassorosso dovremmo sostenere un gioco leale, essere di esempio. Ho tradito la mia casa. Harry Potter… è stato migliore di me. Sai, lui mi ha parlato dei draghi.»
Ricordava, come se fosse ieri, che Ced si era voltato per guardarlo dritto negli occhi.
«Sei stato un vero Tassorosso. Dovresti esserne orgoglioso
Adesso si stava facendo buio. Damien allungò la mano oltre il bordo e vide la sua pelle contesa tra luce e ombra. Gli tornarono alla mente le parole di Luna a proposito dei Thestral, quelle di Glyn e di Cedric, mentre osservava quella lotta serrata proseguire sulla propria pelle.
Un ultimo barlume di sole morente spazzò via ogni traccia di ombra.
 
L’ufficio della Umbridge era un posto rosa, pieno di quadri animati da gattini miagolanti e un ordine maniacale. Aveva bussato prima di entrare ed era stato ricevuto da una professoressa raggiante e più rosa del solito. «Signor Kiran. Bene. Hai già trovato delle prove?»
«No.»
Accadde in un attimo. Tutto lo scintillio del suo viso da rospo si spense in un’espressione di pura freddezza e le ci volle qualche secondo per stentare un nuovo sorriso. «Non capisco. Cosa sei venuto a fare qui, allora, caro ragazzo?»
Non si scomodò a sedersi. Poggiò il dito sullo stemma ricamato sul petto della sua divisa da Tassorosso. «Sa cosa vuol dire questo, professoressa?»
«Signor Kiran, non ho tempo per giocare. Ho una scuola da mandare avanti.»
«Ma noi stiamo già giocando, professoressa» le rispose immediatamente. «Qualche notte fa non ha deliberatamente deciso di iniziare a farlo con i miei sentimenti?»
Il dado era tratto. Lo vide dal cambio di postura della Umbridge, dal modo lieve ma decisivo in cui si accigliò e assottigliò le labbra. «Ora, ascoltami attentamente…»
«Se lo risparmi. Non sono venuto qui per fare questione, ma per mettere un punto: non farò la spia per lei, non tradirò i principi della mia casa per scoprire la verità sulla morte di Cedric. Ho rispettato la sua scelta di non insegnare la magia perché anch’io la ritengo pericolosa, nelle mani sbagliate. Ma il fatto che io condivida i suoi metodi non significa che debba tradire la memoria di Ced.»
«Tradire la sua memoria?» La Umbridge rise. «In che modo tradiresti la sua memoria?»
«Facendo un passo indietro, invece di restare al mio posto: tra lei e i miei amici.»
L’Inquisitore supremo smise immediatamente di sorridere. «Allora consiglio a lei e i suoi amici Luna Lovegood e Richie Gallagard di fare le valige. Immediatamente.»
«Non faremo nulla del genere, e le dirò perché: se avesse potuto interrogarci, o toccare Harry Potter, l’avrebbe già fatto.»
«Molto bene. Dica ai suoi amici che vi aspetto stasera dopo cena. Il vostro atteggiamento eversivo merita di essere corretto con una punizione esemplare.»
«Non farà neanche questo.»
«Ti sorprenderebbe sapere cosa sono capace di fare, signor Kiran.»
«Ed io non ho niente da perdere. Lei invece sì. Forse non sarò intelligente come un Corvonero, o coraggioso come un Grifondoro, e chiaramente non sono un Serpeverde, ma un Tassorosso rimane leale fino alla fine e la mia lealtà non appartiene al Ministero. Punisca me, se vuole, ma parli anche solo un’altra volta di espulsioni o punizioni in mia presenza e la polvere sotto al suo tappeto rosa shocking potrebbe presto infestare l’opinione pubblica.» Pose entrambe le mani sul bordo della scrivania. «Vogliamo continuare a giocare?»
– Non ci ho capitolo molto, ma… Bella mossa, ragazzo. –
 
*
 
«Insomma, si può sapere perché accidenti mi hai preso per l’orecchio?»
«Falla finita» gli disse. «So che a Damien piace Luna, e se sei davvero suo amico dovresti saperlo anche tu. Non ci vuole un genio.»
«Cribbio, che brusco risveglio per me. Ed io che pensavo di avere un Q.I. da cervellone. Non c’era un modo meno doloroso di trascinarmi via?»
Alma roteò gli occhi. Quel ragazzo era una cornucopia di sarcasmo. «Se quello è doloroso, meglio che non finiamo quello che abbiamo iniziato a Hogsmeade. Quello per te sarebbe stato l’inferno.»
«Ehi, ehi, ehi, bella. Non ci provare. Guarda che mi stavo trattenendo.»
Le venne da ridere. «Trattenendo?»
«Odio le ragazzine, ma in futuro queste potrebbero sbocciare in delle attraenti signore. Insomma, siete come delle crisalidi da cui usciranno delle farfalle mature. Colpirvi sarebbe uno spreco.»
Alma si girò allibita. «Tu sei, completamente, pazzo.»
«Te ne accorgi solo ora, corvonero? Non sei così intelligente.»
C’era disgusto sul suo viso, quando riprese a camminare. «Sì, ora capisco perché riesci a parlare con una strega come Lucilla Ollivander con tanta disinvoltura. Solo un pazzo lo farebbe.»
«Sì, come ti pare. Ma dove stiamo andando?»
Le serre erano dietro l’angolo. Alma fermò Richie prima che potesse svoltarlo e lo imprigionò tra il suo braccio e il muro. «Ascoltami attentamente. Quelle come Lucilla Ollivander sono persone davvero pericolose. Al di là di queste mura non vedrai rose e fiori, meglio che ti ci abitui. Il mio è un consiglio spassionato.»
Richie sbatté le palpebre. «Quindi che si fa ora? Restiamo così a guardarci negli occhi?»
«Scusami tanto se ho questo aspetto bozzoloso. La prossima volta mi bevo una pozione Polisucco e ti parlerò con la faccia della McGranitt.»
Il fatto che non rispondesse alla sua battuta acida le diede i brividi. «Per tutte le bacchette, sei disgustoso!»
«Ehi! Generalmente non corro dietro alle anzianotte, ma ammettiamolo: potrebbe portarseli peggio, gli anni.»
Alma brontolò e svoltò l’angolo pur di abbandonare quella conversazione ambigua. Lo dicevano che Richie Gallagard non aveva tutte le rotelle a posto, ma pensava che gli altri studenti si riferissero alla sua fissa per la merce babbana. Quel tipo era matto come un cavallo. Iniziò a temere che Damien gli fosse amico contro la sua volontà.
Il corridoio svolta a sinistra in una stanza ricca di finestre opache. Riflettevano malamente la luce del sole e chi c’era dentro, ed era per questo che lei l’aveva scelta. C’erano due ragazzi a guardia della porta. Due energumeni serpeverde che rispondevano al nome di Tiger e Goyle. Alma li raggiunse ignorando i richiami di Richie.
Goyle la vide per prima e stese il braccio. «Ehi, qui non entra…»
Prima che potesse sfiorarla, afferrò quell’arto e glielo torse dietro la schiena, spedendo la sua faccia a mangiare il vetro. Guardò allora Tiger e lo sfidò con un’occhiataccia.
«Lasciateli entrare» disse la voce all’interno della serra.
Goyle fu libero di prendere le distanze. C’era l’odio nei suoi occhi, ma Alma non si lasciò impressionare. A braccia conserte, attese che entrambi i serpeverde la superassero per andare a fare il palo nel corridoio.
Fece segno a Richie di seguirla e insieme varcarono la serra.
Lucilla Ollivander si stava prendendo cura di un piccolo alveare. Sfiorava le celle dove quegli insetti stavano producendo del miele senza alcuna protezione, se non una vecchia cuffia bianca sulla testa e un grembiule consunto sopra la sua divisa da Serpeverde.
«Alma Rodriguez» disse la strega senza neanche girarsi. «Ho sentito che ci sono stati dei disordini in città non molto tempo fa. Spero che i tuoi uomini stiano bene.»
«Tutto sotto controllo.»
«Me lo auguro. Mio padre non è il tipo che ama il concetto di ritardo.»
«I soldi di questo mese sono stati già consegnati.»
La strega sogghignò. «È un peccato. Mi sarebbe piaciuto ricevere la mensilità da Alma Rodriguez in persona.»
Pestò il piede di Richie prima che potesse parlare aprire bocca. «Sai perché sono qui. Richie ti ha chiesto un favore.»
Lucilla si voltò, si stava pulendo le mani con un panno. «Ciao, Richie Gallagard.»
«Diavolo.»
«Fai combattere le tue battaglie alle ragazzine, adesso?»
«In verità non so nemmeno cosa ci faccio qui. E da quand’è che hai il pollice verde?»
Lei sorrise davvero come un piccolo diavolo. «A ognuno i suoi capricci. E immagino che i vostri siano alquanto esotici. Un uomo armato con una bacchetta nera che non è di legno? Forse non corre buon sangue tra la mia famiglia e il mio caro prozio ma, signori, persino io so ciò che vi direbbe: non esistono bacchette simili.»
«Non siamo ancora dei signori, Lucilla.»
«Oh.» Lei finse palesemente stupore all’obiezione di Richie. «Perdonami, è stato un lapsus.»
Trovarsi tra quei due le fece provare l’imbarazzante sensazione di essere un incomodo. Aveva provato ad avvertire Richie che non era saggio immischiarsi con Lucilla Ollivander. Ma, in fin dei conti, se quel pazzo faceva il sordo non sarebbe stata certo lei a fermarlo.
«Ci aiuterai o no?» disse infine, troncando ogni altro discorso sul nascere.
Lucilla curvò leggermente la testa. «Fammi capire bene: vuoi che io metta da parte i miei affari per dare la priorità alla ricerca di una bacchetta dall’esistenza improbabile? Sta bene, talvolta fa bene svagarsi un po’, ma…» Sbatté gli occhi con una falsa innocenza. «Sapete cosa voglio in cambio.»
«Se ci dai un momento…»
Lucilla alzò il dito. «Non mi riferisco a te, tesoro. Parlavo a lei.»
Alma chiuse gli occhi. «Cosa vuoi sapere?»
«Oh. Dai, amica mia. Davvero c’è bisogno che te lo chieda apertamente?»
Non erano affatto amiche. Non lo sarebbero mai state. «Sputa il rospo, Ollivander.»
Un sorriso astuto si disegnò sulle labbra di Lucilla. «Tua madre era un Mangiamorte come si dice in giro?» Diretta, spiazzante. Spietata.
Non a caso era la figlia di un boss della malavita di Diagon Alley.
«Sì.»
«Affascinante.» Sogghignando, Lucilla aprì tutte le gabbie e consentì alle api di uscire. Presto lo sciame la avvolse completamente, come se fosse entrata in una nube di insetti. «Molto bene. Troverò questa vostra piccola bacchetta.»
Al diradarsi dello sciame, in quella serra rimasero solo lei e Richie.
 
   
 
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