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Autore: Dorabella27    06/03/2022    18 recensioni
Come sa bene chi mi conosce, non ho mai digerito l'episodio 15 dell'anime: mi sembra insensato, soprattutto per quel che riguarda la storia della finta gravidanza di Maria Antonietta (a dir poco impossibile: i parti reali erano pubblici, proprio per evitare rischi di sostituzione del neonato o altri infingimenti); nel finale dell'episodio, poi, la colpa che viene fatta ricadere su Oscar è sommamente odiosa, e sarebbe talmente grave da rendere pressoché incredibile il fatto che nell'episodio successivo nessuno dia segno di ricordare alcunché. Ho immaginato allora uno switch - possibile? probabile? quanto meno, plausibile, si spera - a partire dal rientro di Oscar a Corte. Il racconto si trasformerà in corso d'opera, e da quasi - feuilleton prenderà le movenze di storia di taglio introspettivo e intimista. Questa volta procederò dando la parola, via via, ai singoli personaggi, che si alterneranno come voci narranti, con capitoli brevi e, spero, ravvicinati. Sperando che apprezzerete questo mio ennesimo esperimento .... buona lettura a tutti!
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Charlotte Di Polignac, Contessa di Polignac, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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IX – Di rientri e incontri
 
IN CARROZZA – Alle prime luci del sabato
Girodelle.
Ah, povera Madamigella Oscar. Quale rossore vi imporpora le guance. Mi spiace esser giunto così tardi: quale disgusto e quale panico dovrete certamente avere trovato fra le viscide mani di quell'uomo sozzo. Come siete bella con il volto acceso da una forte emozione! Ancora più bella ora che vi ho scoperto così fragile e debole. Ma dovete sapere che io darei la vita per voi, non solo il mio denaro e, anzi, tutto il mio patrimonio. E questo da sempre, fin da quel giorno di otto anni fa, quando, prima ancora di incrociare le lame, fui soggiogato dai vostri capelli biondi che rilucevano come l'oro sotto il sole, dal vostro sguardo limpido come l'acqua, dalla vostra figura agile e snella. Quale dolore non potervi dire nulla dei miei sentimenti, perché siete il mio Comandante. Ma un giorno, sappiatelo, vi chiederò in moglie. E non mi direte di no, perché siamo due spiriti simili e profondamente affini,.
 
PALAZZO JARJAYS – Mattina del sabato
 
André
Oscar deve avere qualcosa di strano. Stanotte è rientrata tardissimo, alle prime luci dell'alba. E poco dopo è uscita al galoppo su César, senza dirmi nulla.
        Qualche ora dopo, la raggiungo davanti alla grande vetrata che dà sul balcone. Oscar ha davanti a sè una tazza di caffé, ed è insolitamente silenziosa. C'è qualcosa di pesante nel suo silenzio.
"Oscar, posso fare qualcosa per te?".
"No, André; ma grazie, in ogni caso".
"Qualcosa non va?".
"No, André. Assolutamente niente". I suoi occhi socchiusi sembrano sfuggire il mio sguardo, e osservare intenti il fondo della tazzina.
« Vuoi un po’ di questo caffé ? È appena arrivato dalle Antille, dono della famiglia Tascher : li ricordi ?»".
« Volentieri ; e sì, certo che me li ricordo. La figlia minore, Rose, dovrebbe avere suppergiù la nostra stessa età, o forse qualche anno di meno ». Le mie parole, pronunciate appositamente per riempire quel vuoto che sembra mangiare ogni nostra emozione, cadono nel vuoto.
Sorseggio in silenzio il caffé : è come velluto amaro sulle mie papille.
Resto zitto, perché voglio osservare Oscar. Ma no, ma che turbata : ora sembra tranquilla.
Solo, non ha voglia di parlare : non è certo una novità, in questo periodo.
 Proverò a proporle un duello di allenamento.
"Oscar, vorresti misurarti con la spada con me? Ti ricordi quel colpo di cui parlavamo tempo fa, la « botta di Nevers. » ...
"No, grazie, André, non oggi". E dicendo queste poche, asciutte parole si alza e si allontana verso la sua stanza. Ne esce poco dopo, nella divisa da comandante. "Scusami con mio padre, ma oggi farò tardi".
"Sello subito Alexandre e ti seguo..:"
"No, André, per oggi non sarà necessario. Di' a mio padre e alla nutrice che tornerò molto tardi, e di non aspettarmi per cena. Occupati piuttosto di Rosalie : abbiamo ancora molti volumi degli annuari della nobiltà da consultare, se davvero vogliamo scoprire chi sia la sua vera madre »
Monta a cavallo e la vedo allontanarsi senza una parola né un cenno di saluto.
Oscar, Oscar: ma davvero credi che non abbia colto nulla di strano nel tuo comportamento? Ormai ti conosco troppo bene, leggo dentro di te come nemmeno forse tu stessa sai fare, tutta presa come sei dai tuoi doveri di Comandante della Guardia, e dalla volontà feroce di essere degna del retaggio della tua famiglia.
Qualcosa ti ha sconvolto, ieri sera; qualcosa che non vuoi dirmi, perché te ne vergogni? e' per questo che  non hai voluto che ti seguissi ieri notte?
"Madamigella Oscar, Madamigella Oscar!". 
Le parole di Rosalie, comparsa sulla soglia in camicia bianca, gilet e coulottes color pulce, mi riportano alla realtà. "Oh! André! Ma siete qui da solo? E Madamigella Oscar, dov'è?":
"Oggi è partita per Versailles molto presto, e mi ha chiesto di non seguirla".
"A Versailles?! Ma mi aveva detto che oggi sarebbe rimasta qui a palazzo per proseguire nel mio addestramento con la spada!". Nel tono della piccola Rosalie è palpabile la delusione: possibile che Oscar, sempre così attenta, si sia dimenticata di una promessa fatta alla sua adorata Rosalie?
"Non preoccuparti, Rosalie! Prima di andarsene, Oscar mi ha chiesto di sostituirla nell'allenamento con te. Non sarò il comandante delle guardie reali, ma posso comunque completare la tua istruzione nel duello, anche se il mio stile forse lascia a desiderare! E poi, ricordi, dovremo continuare a sfogliare gli annuari nobiliari : dobbiamo a tutti i costi trovare quella Martine Gabrielle che ti ha abbandonata in fasce !". Lo sguardo di Rosalie si illumina: basta così poco a farla felice! Ma io, mentre mi preparo per la lezione con la spada, non riesco a togliermi dalla mente gli occhi di Oscar questa mattina: bassi, sfuggenti, come mortificati.
 
VERSAILLES
Oscar
Nei giardini di Versailles, all’ora della consueta passeggiata della Regina, tutti i cortigiani cercano di incrociare, come casualmente, i passi della sovrana. Un cenno del suo capo, un sorriso, la concessione di due parole sono un favore molto ambito e possono cambiare la sorte e la posizione di una persona. Del resto, l‘improvvisa ascesa della Polignac è troppo fresca per non alimentare speranze d analoghe fortune-
Ecco incedere Maria Antonietta ; dietro di lei, le due sue fedeli lettrici, e, accanto, immancabile, l’onnipresente contessa di Polignac.
Oscar, a debita distanza, seguita a due passi di distanza da Girodelle, controlla che nulla turbi la quiete della sua Regina.
« Contessa di Polignac, non è meravigliosa questa giornata di sole ? »
« Sì, vostra Maestà, e voi oggi siete più fulgida che mai »
« Contessa, siete sempre così cara. Quando rientreremo nei miei appartamenti vorreste essere tanto gentile da dilettarci con un’aria accompagnata dall’arpa ? ».
« Vostra Maestà », dice con tono umile la Contessa, e china il capo con gli occhi semichiusi e un sorriso dolcissimo, « sarò lieta di dilettare il Vostro pomeriggio con le mie povere capacità musicali. Se permettete, potrei prendere ora congedo per andare a predisporre l’arpa nel vostro salotto privato ? ».
« Certamente, Contessa. E perdonatemi se vi privo della possibilità di godere più a lungo di questo bel sole primaverile e della vista dei roseti in fiore ».
 
Oscar
La Contessa si allontana come fluttuando, con quella sua andatura molle e aggraziata che ormai ho imparato a conoscere bene: ne devo convenire, sembra un bocciolo appena sfiorato dalla brezza ... Chi sa se è anche questo uno degli elementi che costituscono il fascino di una donna...chi lo sa...ma che dico ! Sono nauseata dall’ipocrisia della contessa. Mi sento accenso in petto un fuoco divorante, se solo ripenso all’ignobile incontro che aveva organizzato ieri notte, e alle mani di quell’uomo che deve avere avuto a sua disposizione altre ragazze, più deboli e ingenue, e certo anche più giovani di me. È proprio vero: la contessa sa solo spandere veleno, un veleno dolcissimo, ma non meno letale di quelli amari come il fiele;  quando assisto agli arrivederci notturni fra lei e la mia regina, e la vedo avvicinare il suo volto a quello della Contessa, mi sento a dir poco stomacata.
Credo che Girodelle si sia reso conto del mio silenzio. Spero di non essere arrossita, ripensando alle mani del duca de Guiche su di me. Non mi piace questa ridda di sensazioni nuove e sgradevoli, non mi piace.
Non è per questo che sono nata ed educata.
Mi sembra di attraversare un territorio sconosciuto e pericoloso, dove a ogni passo rischio di mettere un piede in fallo. Che ne è stato della mia sicurezza? Vivono sempre così le donne? Sospese fra mille dubbi, paure, riflessioni attente e calibrate su quel che sarebbe conveniente o sconveniente dire e fare, e questo per ogni gesto, ogni parola?
Guardo Girodelle, che mi fissa in modo strano, con espressione interrogativa e interessata. Certo, aspetta una mia risposta. « Girodelle, penso che andrò a controllare il boschetto di Venere poco distante da qui : la Regina ama molto passeggiare lì dopo il tramonto, fra le querce e i mirti ; continuate Voi a scortare sua Maestà ».
« Sì, Madamigella. Come volete: sempre ai Vostri ordini ».
Appena fuori dalla portata di Girodelle, mi appoggio al tronco di una quercia. Poso il viso sul braccio e piango. Lacrime di rabbia, per come la mia Regina viene ingannata da quella simulatrice.
E io ? Io che ho promesso di consacrare la mia esistenza a proteggere la Regina, dove sono stata mentre quel demonio dagli occhi liquidi e dolci invadeva il suo animo, ne prendeva possesso, carpiva la sua fiducia con le sue parole di miele, facendo leva sulla sua giovinezza, la sua ingenuità, la sua solitudine ? Perché non sono stata capace di essere più vicina alla mia Regina ? Stringo il pugno, con rabbia. « Padre, ho mancato ai miei doveri... », sussurro.
Ma se devo essere sincera, almeno con me stessa, le mie sono anche lacrime di umiliazione: perché ieri notte ero così inerme, spaventata. Certo, sono un soldato, e so come difendermi, ma ... in quella situazione, e obbligata com’ero a non scoprirmi, a nascondermi, a dissimulare, che cosa avrei potuto fare ? È stato così avvilente dover attendere che qualcuno intervenisse in mio aiuto, e se Girodelle non fosse arrivato con le diecimila livres io...io...che cosa sarebbe stato di me?
Vivono così le donne? Perennemente in bilico, in posizione subordinata, precaria, vittime di ricatti vergognosi, considerate poco più che un corpo che può suscitare desideri, da toccare e comprare senza riguardi?
Perché ho avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno ? Perché quel qualcuno non era Andrè ? Perché non l’ho voluto con me.. ? Ma che dico ? Sto impazzendo ? André come avrebbe potuto accettare....
Per fortuna, a interrompere il filo di quei pensieri inquieti, mi raggiunge una voce sottile ed eterea:« Ombra mai fu..../ di vegetabile....cara ed amabile, soave più ».
Qualcuno sta intonando un’aria dal Serse; chi può mai essere ? Mi avvicino con circospezione, la mano destra sull’elsa della spada, perché ovunque si può nascondere un tranello, un agguato...ma subito scuoto la testa con un sorriso, e la mano lascia il metallo freddo intarsiato d’argento e d’oro: non c’è nessuno sul prato, solo la contessina Charlotte del Polignac, che, nella radura del boschetto, coglie fiori cantando.
Che meravigliosa visione ! Come la madre, è leggera come una farfalla, piena di garbo e di grazia, ben lontana dall’immagine della bambola pesantemente agghindata che la contessa le impone di rivestire a corte. Qui, con un semplice abito senza panier, e con i capelli morbidamente raccolti, appare come la bambina che è. Mi fermo al limitare della radura, sorridendo di fronte allo spettacolo dei suoi passi leggeri, degli occhi ridenti, dei capelli biondi baciati dai raggi del sole che filtrano dall’intrico dei rami.
Non voglio disturbare questo momento di pace e letizia assoluta. E, allo stesso tempo, mi si stringe il cuore, ricordando la conversazione della contessa con il duca : tanta bellezza e tanta innocenza sono dunque avviate a una sorte così ripugnante ? Ma mi riscuoto all’improvviso, perché Charlotte ora è proprio di fronte a me : alza lo sguardo e sorride felice. « Madamigella Oscar !|  Voi qui ? »
Si alza e corre verso di me. « Che meraviglia, Madamigella !  Vi vedo sempre e solo con la Regina, e non c’è mai un momento in cui possiate essere tutta per me ! ».
«Contessina de Polignac, ma che fate qui tutta da sola ? Non sapete che può essere pericoloso inoltrarsi senza compagnia nel parco della Reggia ?»
«Ma è pieno giorno, Madamigella ! E poi, e poi... », e qui i suoi occhi si abbassano. « La mia signora madre vorrebbe che io frequentassi solo personaggi illustri e potenti, perché dice che è ormai giunto il tempo di pensare al mio futuro e di stringere relazioni importanti, ma io mi annoio tanto in quei momenti, e vorrei solo restare tranquilla fra i roseti... »
Povera bambina ! Mi si stringe il cuore : che pena mi fa. Spero che non abbia colto il mio sguardo allarmato, perché le parole della Contessa a proposito dello « stringere relazioni importanti »  forse sono oscure alla contessina Charlotte, ma ieri notte io ho capito benissimo a che cosa alludano.
Ma, del resto, penso, in un sussulto di obiettività, è così diversa la sorte di Charlotte, vittima delle ambizioni della madre, da quella delle mie sorelle ? Questa idea mi attraversa fulminea la testa : che cosa c’è di tanto differente fra il prossimo matrimonio della contessina di Polignac con il duca de Guiche e la sorte di mia sorella Josephine, di Hortense, di Adélaide, di Clothilde, di Sylvie, tutte spose e madri prima dei sedici anni ? Eppure, mi sono sempre sembrate felici, loro...Forse fra i quindici anni di Joséphine e Clothilde e gli undici di Charlotte c’è questa gran differenza ? Ma Josephine non era stata destinata a un uomo di oltre trent’anni più vecchio ....
Per fortuna la voce di Charlotte mi impedisce di abbandonarmi a questi pensieri.
«Ma voi, illustre Oscar, oggi resterete qui con me ? »
« Oggi, sì,. Contessina »
« Oh! È forse una occasione speciale ? »
« Precisamente. Oggi per l’appunto è una occasione specialissima ». Fra me e me penso che anche la Regina, se sapesse, non mi disapproverebbe per qualche ora trascorsa con la contessina, una volta lasciata a Girodelle la responsabilità del servizio d’ordine nei giardini di Versailles.
« Madamigella Oscar, sono così felice di avervi tutta per me oggi! Voi non sapete grande dono mi avete fatto !»
Charlotte mi cinge con le braccia, si alza sulla punta dei piedi e mi dà un bacio sulla guancia, con il visino radioso. Poi mi prende la mano e mi dice : «Venite, Madamigella, c’è un roseto meraviglioso alla fine di questo sentiero», e così ci incamminiamo. La sua gioia è palpabile : povera piccola !
Arrivati al roseto, si protende verso i fiori.  « Attenta, contessina », la prevengo,  « Potreste pungervi con le spine » ! La precedo e stacco una rosa bianca dal suo stelo.
« Ecco contessina de Polignac », le dico porgendola e appuntandogliela sul petto. « Un fiore per un fiore » ,
« Madamigella ! Che meraviglia ! Grazie ! ». Si guarda la rosa appuntata sul corpetto; poi rialza il viso, con occhi sognanti, e continua : «Quando mi sposerò, voglio che mio marito vi somigli, che sia bello e gentile come Voi», e china gli occhi imbarazzata « Oh, scusatemi, che sciocca sono stata: non volevo essere indelicata ! Se ho detto qualcosa di sbagliato, vi chiedo perdono».
« No, contessina. Non avete detto nulla di sbagliato. Siete anzi molto gentile », rispondo cercando di imprimere alla mia voce la maggior dolcezza possibile.
Per tutto il pomeriggio passeggiamo per i viottoli più segreti : Charlotte, appesa al mio braccio, chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera felice ; sediamo sul bordo di una grande vasca e osserviamo le carpe, lanciamo sassi nello stagno facendo a gara a chi riesce a fare più rimbalzi, e per un attimo mi sento trasportata ai pomeriggi passati con André nel parco di Palazzo Jarjays, quando non avevo per la testa nulla che non fosse correre, giocare e saltare.
Quando il pomeriggio volge al termine, Charlotte si fa seria.
« Vi ringrazio infinitamente, Madamigella Oscar, per il tempo che mi avete regalato. Quando mi sposerò, spero davvero che sarà con una persona gentile e affascinante come voi !", ripete. "Ma.. : » e qui si toglie  la rosa dal petto e me la porge, « è meglio che questa la teniate voi. Sapete.. : » e qui il suo tono si fa esitante, «La mia signora madre non sarebbe felice di sapere che sono stata in vostra compagnia, e la rosa bianca la insospettirebbe di certo».
« Apprezzo la vostra delicatezza, contessina, ma davero non volete conservare un ricordo di questo pomeriggio... ? ». Parlo con un sorriso incerto, cercando di assumere un tono leggero e quasi divertito.
« Madamigella, il mio ricordo è  serbato qui », e incrocia le mani al petto, all’altezza del cuore, « e da qui non può scappare, né appassire ».
Charlotte fa due passi all’indietro, alza la mano sinistra in un saluto infantile, poi mi gira le spalle e si avvia verso la reggia, mentre un senso di tristezza mi pervade.
A un tratto, quando è già avanti lungo il sentiero, si volge indietro e mi dice : « Non dimenticherò mai la vostra gentilezza nei miei confronti. Mai, mai, mai finché vivrò ». Poi, non è che un puntino che si allontana nella luce incerta del tramonto.
Mi sto avviando lungo l'Allée d'Apollon, quando sento una voce dietro le mie spalle:
"Buon pomeriggio, Comandante de Jarjayes". È una voce morbida e un po' ironica, con un che di indolente e modulato. Una voce che ho già sentito, più bassa e insinuante, vicina, nelle mie orecchie.
 
Mi volgo, e vedo il visconte di Valmont, incurantemente appoggiato con la schiena a una quercia poco lontana, i piedi leggermente discosti dal tronco e incrociati. È abbigliato con la consueta, ricercatissima, persino eccessiva eleganza, in un completo di damasco celeste dai riflessi cangianti e rosati, con tanto di spadino e parrucca, come se dovesse partecipare a un ricevimento. Con una mano sinistra giocherella negliegentemente con la catena dell'orologio da taschino, ma l'impressione è che mi abbia attesa. Che questo sia un agguato in piena regola. Come diceva quel missionari, quell’ex gesuita tornato dal nuovo mondo, che fu ospite una sera a casa di mio padre ? « Le corti europee sono una giungla al cui confronto la giungla dove abbiamo vissuto è un giardino ben coltivato » . Come aveva ragione. Rivolgo un sorriso al visconte e rispondo al saluto : "Buon pomeriggio a voi", mi esce di bocca, in tono guardingo.
"Permettete?". E così dicendo, con un movimento fluido delle spalle, si stacca dal tronco e viene verso di me. "Vi dispiace se percorro con voi questo tratto dell'Allée?"
"Nessun problema".
"Ma che sciocco: non ci siamo ancora presentati, comandante de Jarjayes". Si profonde in un inchino. "Visconte Jacques Hercule Honoré de Valmont. Per servirvi". C'è qualcosa di profondamente, e volutamente, stonato in queste parole, nel tono di voce con cui sono pronunciate, nell'inchino, che sarebbe adatto alla presentazione a una dama, nello sguardo indagatore di quegli occhi grigi, ambigui anche quando fissano direttamente le mie pupille.
"Perdonerete certo se mi affianco a Voi, comandante de Jarjayes, ma la sera sta calando, e i viali derserti della reggia al crepuscolo possono non essere sicuri per un ... viandante indifeso".  Vedo il compiacimento dipingerglisi sul viso quando la mia bocca viene increspata da un lieve sorriso di fronte alla sua spiritosaggine leziosa. Sembra un gatto soddisfatto di avere convinto il padrone a dedicare del tempo a giocare con lui.
Sto al gioco. "E va bene, visconte. Vi scorterò con piacere lungo il viale".
Il silenzio accompagna i nostri passi. Inutile: cedo per prima.
"Non mi pare di avervi visto spesso a Versailles, Visconte".
"No, è vero, comandante de Jarjayes". Pausa. "Dovete sapere che conduco una vita molto ritirata. I miei amici si stupirebbero di vedermi qui, per come mi conoscono. Discreto, pieno di considerazione: più casto di un prete". Su quelle parole, non riesco a trattenere un piccolo scoppio di risa. Il suo sguardo soddisfatto e la piega delle labbra mi dicono che quello è proprio l'effetto che voleva ottenere. "Beh, con quello che si dice a Parigi dei preti", aggiunge in tono volutamente piatto. Non posso che lanciargli uno sguardo sorridente, mio malgrado. Ma Valmont non lo vede, o forse sì. Parla con il capo leggermente chino, come se fosse molto interessato a dove posano i suoi piedi, calzati in scarpini di seta azzurra dalla fibbia argentata. "Tuttavia, a volte, accade che qualcosa ... mi tocchi".
Lascio decantare queste parole.
Due, cinque, dieci passi.
 Valmont si volge, osserva il percorso fatto e l'Allée d'Apollon che si perde lontana nel verde ormai diventato quasi bruno dopo che il sole è declinato.
 "È molto lungo, questo viale, Comandante de Jarjayes".
"Sì, è uno dei più lunghi di Versailles, visconte de Valmont", convengo.
"E ... non ci sono svolte".
"No. Non ci sono svolte", affermo anch'io. E aggiungo: "Una volta presa una direzione, è necessario seguirla sino alla fine".
"Come immaginavo", risponde tranquillo.
Silenzio. Altri due, cinque, dieci passi. Poi, ancora la sua sottile voce tenorile a rompere il muto crepuscolo: "Sapete, comandante de Jarjays, mi è accaduta poco tempo fa una cosa molto bizzarra".
Pausa.
"Davvero, Visconte?", lo incoraggio a dire, incarcando le sopracciglia e lanciandogli un'occhiata in tralice.
"Sì.  Poche sere fa mi trovavo in un luogo...." un sorriso imbarazzato, o furbo, che gli tende le guance e le labbra. "In un luogo dove forse sarebbe meglio che il comandante delle guardie reali non mettesse piede. Non che sia disdicevole a stretto filo legale, o in senso morale, ma a tutti piacerebbe immaginare un colonnello, freddo, sicuro e padrone di sé, lontano da quello che accalora noi poveri mortali".
"Naturalmente". Un intercalare come tanti, senza rivolgergli un solo sguardo. Tengo gli occhi fissi davanti a me, per non mostrare in modo troppo scoperto che sono curiosa di sapere come continuerà il suo discorso, ma che temo anche di sapere dove miri.
"E, pensate un po', quella sera ho incontrato una donna che vi somiglia moltissimo. Bionda come voi...bella come voi" - gli rivolgo di scatto uno sguardo allarmato - "Una donna che però non nascondeva come voi il suo bellissimo corpo sotto una uniforme, ma lo esibiva in un magnifico abito nero di pizzi e trine. Voi avete dei parenti a Venezia, Madamigella Oscar?"
"No, Visconte de Valmont. Che io sappia, la famiglia Jarjayes non ha né parentele né relazioni a Venezia".
"Capisco ... Mi permettete un'insolenza, Madamigella Oscar?".
Lo fisso, interdetta. Evidentemente, il visconte di Valmont interpreta il mio silenzio come un assenso, e prende nuovamente la parola: "Verrà un giorno, Madamigella, e verrà presto, ve lo assicuro, in cui non potrete più piacere a tutti. Se posso azzardare un consiglio, cercate di far pace con questo pensiero. Credete a me".
 Queste parole, pronunciate da un essere così frivolo e superficiale, dalla nomea tanto malfamata, mi lasciano addosso uno sgradevole presentimento, ma, fortunatamente, siamo agli ultimi passi, e ormai il corpo centrale della reggia è in vista. "Bene, Visconte, siamo arrivati; vi devo congedare. È stato un piacere scortarvi". Batto i tacchi e mi allontano.
André mi aspetta ai piedi della scalinata, mentre il Visconte si allontana, affiancato, dopo pochi passi, da una dama dall'incredibile abito giallo damascato che ci ha osservati con aria fintamente svagata.
"Che ci facevi col Visconte di Valmont?"
"Lo conosci?"
"Naturalmente. Lo conoscono tutti, a corte e non solo. È un libertino. Un uomo che ha deciso sin dalla sua prima gioventù di impegnare tutta la sua notevole intelligenza per perseguitare le vittime più indifese: le donne".
Sento una sfumatura severa nella voce di André, e vedo il suo sguardo fermo seguire Valmont, riconoscibile anche mentre è ormai lontano, nella sua andatura languida e indolente. Se non sapessi che è impossibile, direi che André è stizzito, e cerca di tenere a bada il disappunto....e forse, anche una punta di qualche altro malumore che non riesco a decifrare.
"André, precedimi a casa. Devo sistemare alcuni documenti in ufficio".
"Oscar, tu sai vero verso che cosa stai andando?", mi chiede, apparentemente distratto,
"No, André; e trovo molto piacevole non saperlo".
Un breve silenzio, e poi André parla nuovamente, questa volta per qualcosa di concreto e reale.
"La serata volge al brutto, Oscar. Probabilmente pioverà", protesta debolmente.
"Non sarà un po' di pioggia a mettermi in difficoltà", dico; e senza dagli il tempo di ribattere, allungo il passo e mi avvio, sola, verso il mio ufficio.
 
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Ed ecco dunque svelato chi era il famoso personaggio che Oscar, anche altrove, ricorda : e come avrebbe potuto Valmont, con l’occhio clinico che si ritrova per le bellezze femminili, lasciarsi ingannare da un pur elegantissimo e inusuale abito di pizzo nero ? Quanto ad alcune battute, di Valmont a Oscar, e al dialogo finale di Oscar e André, mi dichiaro debitrice di « Ritratto di signora », libro e film (e nella pellicola, guarda caso, c’è sempre John Malkovich). A prestissimo, e grazie per avermi seguita sino a qui !
PS. Quanto a Rose Josèphe Tascher, bella creola cresciuta nelle Antille francesi, non ho saputo resistere alla tentazione di citarla, almeno di sguincio: a lei una veggente locale profetizzò, quando era poco più che bambina, che sarebbe diventata, da figlia del proprietario un po' spiantato di una piantagione, "più che regina", e ci azzeccò....  
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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