Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: MercuryGirl93    07/03/2022    6 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
VI Margherita
 
Bellis, figlia del dio Belus, un giorno, mentre danzava con il suo fidanzato, attirò l’attenzione del dio della primavera, il quale invaghitosi della fanciulla tentò di strapparla al fidanzato, che spaventato di perdere l’amata reagì in modo molto violento scagliandosi contro la divinità. La Fanciulla per non
guardare quel cruento massacro, chiuse gli occhi e si trasformò in una margheritina. *

-M’ama o non m’ama? Non m’ama o m’ama?
Canticchiava questo Alberta, quella mattina. Agitava Barbie e Ken in una danza che scatenava la sua ilarità, al ritmo di quel motivetto inventato da lei.
Federico entrò in cucina sbadigliando: -Buongiorno. 
Era ancora intontito dopo la sera precedente. Aveva passato la notte a ripensare a quello che era successo con Emma, senza tuttavia riuscire a darsi una spiegazione razionale sul perché lei fosse scappata via in quel modo. 
Lo vedeva quando la accarezzava, quando le parlava, che c’era qualcosa tra loro. Sapeva che qualunque cosa sentisse per lei, era ricambiata, perché anche lei lo cercava come faceva lui. 
Alla luce di quelle consapevolezze che aveva, non sapeva spiegarsi il perché di quello che era successo. 
-Buongiorno, tesoro- sorrise Simona al figlio. –Vuoi del caffè?
Sua madre era più calma rispetto ai giorni precedenti. Essersi preso cura di Alberta per tutto il giorno precedente aveva senza dubbio contribuito a fortificare quella rinnovata fiducia. 
In più, erano giorni che Marco non si vedeva zampettare in giro per casa, e sicuramente essersi sbarazzata di una presenza tanto rozza che aleggiava in casa sua, rendeva Simona più accomodante nei confronti del figlio. 
Non attese una risposta da parte di Federico: era già indaffarata con la caffettiera.
-Alberta si è svegliata molto presto stamattina- disse la donna, armeggiando con i fornelli. 
Buffo, si disse Federico. Buffo come la sorellina fosse riuscita a dormire con il frastuono della festa di Marco, protrattosi fino alle due. 
L’aroma di caffè riempì la stanza, risvegliando quella parte del suo cervello che era ancora assopita.
-Dice che si è molto divertita con te – proseguì lei. 
Federico si strofinò il viso. La barba gli punzecchiò le dita, spinosa più che mai, segno che avrebbe dovuto radersi. Si chiese come aveva fatto Emma ad accarezzarlo senza pungersi le dita. – Non abbiamo fatto niente di speciale. 
In salotto, intanto, Alberta continuava con la sua pantomima. -M’ama o non m’ama? Non m’ama o m’ama? – si sentiva in sottofondo. 
Federico si massaggiò le tempie mentre Simona gli riempiva la tazza di caffè. –Mi ha detto che avete disegnato, giocato con le bambole, cenato in giardino… 
Fu in quel momento che capì il motivo di tanta socialità da parte della madre. Certamente lei era sempre stata curiosa, ma negli ultimi giorni aveva sedato le sue solite domande come punizione per il comportamento che Federico aveva assunto, per la festa. 
Soltanto un pettegolezzo venuto fuori dall’innocente bocca della sorellina poteva aver riacceso il fuoco della mamma ficcanaso in Simona. 
-Le sue attività preferite- borbottò, sorseggiando dalla tazzina fumante, speranzoso che la madre non si spingesse a chiedere nulla relativamente a Emma. 
Quella speranza si rivelò essere vana pochi istanti dopo. - E mi ha detto anche che c’era una tua amica… 
Eccolo, il punto del discorso. 
L’idea di Emma, in quel momento, non gli dava le sensazioni solite: attrazione, mistero, bellezza… In quel momento l’unica cosa che sentiva vivida in lui al pensiero di lei era il fastidio. Si era sentito respinto, per la terza volta, senza una spiegazione valida. 
Non aveva voglia di pensare ad Emma, anche se lo faceva, e non aveva voglia di parlare di lei. 
-Hai qualcosa da chiedermi? 
La frase gli uscì quasi come un ringhio, come se volesse scacciare qualsiasi cosa gli si volesse avvicinare. 
Simona, che quasi non si accorse del fastidio negli occhi del figlio, pareva compiaciuta: era riuscita ad arrivare dove voleva. La sua fame di informazioni infiammava gli occhi scuri. –La conosco?
Federico constatò amaramente che sua madre non aveva un minimo di empatia, nei suoi confronti. Le interessava solo sapere i fatti suoi, a qualunque costo. - No.
-State insieme? – continuò, affondando un metaforico coltello nella piaga dell’insofferenza del figlio. 
-No- gli uscì di nuovo come un ringhio. -È un’amica. 
Simona sembrò finalmente capire che qualsiasi approfondimento sulla questione, sarebbe stato fuori luogo, dal momento che il figlio non desiderava esporsi sull’argomento.
-È la prima amica che porti a casa- commentò lei, flebilmente. 
Sapeva di aver mentito per il semplice fatto che conosceva Annamaria e sapeva che frequentava la loro casa. Quello che, tuttavia, Simona intendeva non era del tutto sbagliato: era la prima volta che presentava qualcuna ad Alberta, la prima volta che si interessava sinceramente ad una ragazza. Certo, quest’ultima cosa la madre non poteva saperla, ma Federico era consapevole dell’anomalia che costituiva Emma nella sua vita e in qualche modo sentiva di poter giustificare sua madre e la sua petulanza. 
Tuttavia, avere le idee così poco chiare su tutta la situazione, gli generava fastidio. 
-È venuta a trovarmi, non l’ho invitata. 
-Non l’hai mandata via. 
A quel punto sospirò esasperato, non ne poteva più. Ostentava così tanto fastidio, che anche Simona fece un passo indietro in quella corsa sfrenata per soddisfare le sue curiosità. –Cosa vuoi che ti dica?
-Tesoro, non so. Vorrei che mi raccontassi- E sembrò quasi una supplica, una preghiera affinchè il figlio la rendesse più partecipe della sua vita. 
Rimase neutrale davanti a quell’ammissione. Dopotutto, per la storia di Marco l’aveva ignorato per giorni senza pensarci troppo su. 
Inoltre, a lui non interessava essere accomodante nei confronti della madre, ce l’aveva ancora con lei. -Da quando vuoi che condivida con te la mia vita privata? 
Sembrò sfoderare la sua arma segreta del rancore, in quel momento. Severo come al solito, imperturbabile nel condannare la donna che lo aveva messo al mondo. 
-M’ama o non m’ama? Non m’ama o m’ama? – Alberta continuava a cantare a squarciagola. 
-Dio, Federico! - Simona si passò una mano sul viso, forse stanca di sentirsi giudicata dopo tanto tempo dal figlio. –Sono tua madre: è ovvio che mi interesso alla tua vita. So che vorresti ci fosse tuo padre in questo momento…
Si era sbilanciata troppo nel nominarlo. 
-Sì, lo vorrei- la fermò lui. 
-Ma lui non c’è…- E la voce le si inclinò, fino a tremare, sull’orlo delle lacrime. –Non è qui… Ci sono io, qui con te. 
Osservò la madre, ma non si sentì per niente in colpa. -Sai che non è qui per colpa tua… Per questo fai così, vero?
Simona cercò di ignorarlo, per preservare la sua dignità genitoriale. –Vorrei solo aiutarti.
-Ma io non ho bisogno del tuo aiuto- rise, senza nemmeno accorgersene. –Sei molto più brava a distruggere le cose piuttosto che ad aggiustarle. Me la cavo meglio da solo. 
Vomitò quelle parole velenose senza neanche esitare un secondo. Abitualmente c’era un filtro tra la sua testa e la sua bocca, così da evitare di guadagnarsi il rancore della gente. A lui piaceva stare nel limbo di chi veniva ignorato piuttosto che farsi ricordare per essere uno stronzo. 
Lui fece per alzarsi, aveva bisogno di starsene per i fatti suoi. 
-Federico! – strillò sua madre, contrariata. 
-Che c’è? Cosa vuoi? 
-Smettila! – strillò ancora. Sembrava una bambina capricciosa in quel momento: le guance arrossate, gli occhi lucidi di lacrime. La somiglianza con Alberta era sconvolgente. –Sei crudele!
Federico sorrise sarcasticamente davanti a quelle parole. - Me la cavo, anche con la mia crudeltà. 
Ed uscì dalla stanza, senza soddisfazione, senza sapere se fosse più arrabbiato o ferito, o triste. Quelle emozioni erano sempre così nascoste che quando si presentavano non sapeva distinguerle nemmeno lui. 
-M’ama o non m’ama? Non m’ama o m’ama? – continuava Alberta, ignorando la lite nell’altra stanza. 
-Alberta, smettila! - disse gelido alla sorella, salendo le scale che lo avrebbero condotto in camera sua, nel suo rifugio. –Non ti ama!
La bambina lo guardò, confusa e triste al tempo stesso. 

Parlare con il padre era l’esatto opposto: semplice, senza bisogno di troppi giri di parole o filtri. 
Seduto ad uno dei tavoli del Bangladesh, quella sera raccontò a Giancarlo tutto quello che era successo, dall’arrivo di Emma fino all’ennesima lite con la madre. 
-Sai cosa è tutta questa rabbia repressa che hai? – borbottò il padre dall’altra parte della cornetta, masticando qualcosa di indistinto. 
Federico prese a girare il dito sul bordo del bicchiere pieno di birra. Anche se erano le sei, farsi stordire dall’alcol era sempre un piacere. 
Aveva sentito un bisogno così forte di allontanarsi da casa che poco dopo la discussione con Simona era andato via, portandosi a seguito il suo blocco e le sue matite. Aveva disegnato per ore sulla spiaggia, per poi rintanarsi in un posto decisamente meno solitario. 
-Non ho rabbia repressa – brontolò e bevve un sorso dal boccale. 
-Per questo si chiama repressa, non sai di averla- rise Giancarlo, con quel vocione che lo contraddistingueva. 
Sospirò, con un mezzo sorriso che il padre non poteva vedere. –Illuminami. 
-Il tuo culo orgoglioso non accetta i rifiuti e punisce il mondo al posto di chiedersi ‘perché?’. 
Aveva capito, ma non riusciva a dargliela vinta con così tanta facilità. Ammettere di aver torto gli era da sempre troppo difficile. 
-La lampadina non si accende. 
Giancarlo ridacchiò in uno sbuffo. - Ma sì che si accende, non sei deficiente- lo incalzò. –Stavolta non è colpa né di tua madre né di tua sorella, e tu lo sai. 
-E di chi sarebbe? - borbottò. 
-Se la risposta te la do io, che gusto c’è?
-Stronzo.
Giancarlo rise. –Sono tuo padre, no? Fatti della stessa pasta. 
-Pasta di merda. 
-Al posto di fare il coglione, va a scusarti con Simona. Non mettere a soqquadro la tua vita perché le cose non vanno come vuoi tu. 
Federico scuoteva la testa già da minuti. –Come se le avessi dato tanta importanza! - commentò infastidito. 
Emma era il centro dei suoi pensieri da giorni, come se nell’esatto momento in cui l’aveva conosciuta tutto il resto del mondo fosse andato in blackout. La desiderava, la ammirava, si chiedeva cosa pensasse o cosa facesse quando non era con lui. 
Federico sapeva che in realtà l’importanza gliel’aveva data eccome, ma si sentiva troppo ferito per poter mettere le mani avanti, anche con il padre. Lui, che non si era mai sbilanciato per nessuno in vita sua, l’unica volta in cui aveva osato farlo si era visto sbattere la porta in faccia, anche se solo metaforicamente. Uno schiaffo gli avrebbe fatto meno male di vedere Emma scappare dopo quel bacio che si erano dati, si disse. 
-Ah! - gridò Giancarlo, un bambino entusiasta per aver scoperto chi metteva le mani nella marmellata. –Visto che sapevi di che cosa stavo parlando! 
-Ti sbagli – brontolò Federico, sorseggiando un altro po’ di birra. -E poi su cosa dovrei interrogarmi? Sul fatto che mi ha dato un due di picche? 
-Ma ne capisci di donne? – lo prese in giro il padre. – Sono complicate, fanno le sostenute, mica puoi avere quello che vuoi subito. 
Lui non aveva mai preteso che Emma cadesse tra le sue braccia alla prima avance, ma non era possibile che lo respingesse dopo avergli dato il via libera tutte le volte. Sembrava volerlo tentare per gioco, per poi ritrarsi all’ultimo minuto. 
Non aveva neanche preteso di avere da subito quello che voleva, era anche disposto a faticare per ottenerlo… Ma non sapeva se Emma lo meritasse, quello sforzo. 
-Io mica ho detto questo, è che… non so dove cavolo ho sbagliato con lei. 
Giancarlo, che con le donne non ci aveva mai saputo fare dal momento che era stato sposato per vent’anni con la stessa donna, la sua prima fidanzata, non aveva certamente consigli da latin-lover da dispensargli. 
-Smettila di fare il frignone, Federico –lo riprese bonariamente. 
-Dimmi cosa fare, mio maestro. 
-Innanzitutto, non sputare veleno su chi non ha colpe, scusati con tua madre e tua sorella – disse Giancarlo. – Se la tua lampadina non si accende e non riesci a spiegarti perché lei se ne sia andata, passa all’atto pratico e vaglielo a chiedere. Rimuginare sulle cose a lungo non pone rimedio, ci sono già passato. Muovi il culo, piuttosto. Ti saluto!
E la telefonata si interruppe così, bruscamente, senza che Federico avesse il tempo di salutarlo e di aggiungere qualcos’altro per difendersi.  
In due sorsi finì la birra. Di nuovo si sentì deliziosamente stordito. 
-Te ne offro un’altra. 
Federico fece una sincera fatica a riconoscere il suo interlocutore: i capelli riccissimi e il sorriso malizioso spiccavano all’interno del locale, guadagnandosi l’attenzione di tutti, ma inizialmente non collegò quella ragazza a nessuna delle sue conoscenze.  
Lei si sedette al suo fianco, accavallando le gambe lunghe. A quel punto Federico fu colto da un’illuminazione e capì che si trattava dell’amica di Marco che ci aveva spudoratamente provato durante la festa. 
Non ne ricordava il nome, ma qualcosa gli disse che non era necessario sforzarsi. 
Marco, biondissimo e spavaldo come al solito, si stava facendo strada tra i tavoli per raggiungerli, un braccio sulle spalle della gemella della ragazza che aveva lui al fianco. 
-Sbaglio o ti avevo dato il ben servito? – borbottò seccato. 
La riccia arricciò le labbra, rigorosamente tinte di rosso. –Non sbagli.
-E allora non ti disturbare ad offrirmi un bel niente – la liquidò. 
-Fede! – lo salutò Marco, stravaccandosi nel posto di fronte a lui. Pareva ignorare la discussione che c’era stata tra di loro, come se non fosse mai avvenuta. 
-Marco – lo salutò di rimando, senza ricambiare con altrettanto entusiasmo. 
-Che facevi da solo? – chiese, ma non gli diede il tempo di rispondere. – Per fortuna ci siamo noi ad allietarti la serata, no?
Federico lo trovò più irritante e superficiale del solito, proprio non poteva sopportare di condividere il suo spazio vitale con Marco, quella sera. 
Fece per andarsene, ma una mano lo trattenne. 
La ragazza accanto a lui – di cui non si sforzò neanche di ricordare il nome – gli sorrideva, furba. -Non mi hai dato la possibilità di giocare tutti gli assi nella manica. 
-Non mi interessi – la liquidò nuovamente, sperando che questa volta il messaggio attecchisse.  
Lei ebbe un guizzo al labbro, quasi come se quel rinnovato rifiuto l’avesse eccitata. - È che di solito non ho neanche bisogno di sforzarmi – spiegò senza che lui le avesse chiesto un bel niente. -Tu invece fai il difficile, mi piace. 
-Non faccio il difficile per piacerti. 
Lei fece l’occhiolino, facendo svolazzare le sue ciglia lunghissime. -Sì, certo. 
Non poteva riuscire a sopportare niente di più, quella sera. 
Scoccò un’occhiata a Marco, che si faceva i suoi comodi tutto preso dalla ragazza al suo fianco. Federico non gli aveva mai chiesto di rimediargli un appuntamento, eppure lui aveva insistito per presentargli quella ragazza, e probabilmente aveva detto a lei di insistere per farsi portare a letto, lo sapeva. 
L’amico sembrava incurante del fatto che Federico fosse ancora arrabbiato con lui, cosa che lo faceva ancora più arrabbiare. La superficialità che aveva rispetto al loro rapporto non lo aveva mai ferito, ma in questo caso lo aveva fatto infuriare. 
Ripensò al padre che gli diceva di non prendersela con il mondo a causa del suo orgoglio ferito da Emma. Certamente, prendersela con sua madre e sua sorella era stato ingiusto, lo sapeva, ma con Marco era solo l’apoteosi di anni di fastidi che non aveva mai esternato. La rabbia che sentiva in sé per tutt’altra ragione poteva infuriare su Marco, non se ne sarebbe pentito. 
Si alzò in piedi di botto, urtando rumorosamente il tavolo e attirandosi così tutte le attenzioni addosso. 
-Me ne vado – sentenziò, duro. 
-Ma dai stronzo, resta – ridacchiò Marco, facendogli stancamente cenno di sedersi. 
-No, Marco, sono stanco di queste serate da cazzoni che mi imponi, io non sono così, non sono come te. A me non frega niente di scopare con la prima facile che incontri in giro per la strada, non mi interessa organizzare festini, non mi interessa questa amicizia fatta di nulla. Ti saluto. 
Si voltò senza vedere come il biondo avesse reagito alla sua sfuriata, non gli importava. 
Mentre percorreva il locale verso l’uscita, si rese conto che la discussione non era passata inosservata neanche agli sconosciuti presenti. Aveva dato spettacolo, senza neanche volerlo. 
Arrivato all’uscita scorse sulla porta Annamaria, gli occhi sgranati e la bocca spalancata per lo stupore. Probabilmente anche lei aveva sentito tutto. 
-Federico – lo chiamò. 
Ma lui rigò dritto e andò via, aveva voglia di stare da solo. 

Mentre percorreva la strada per arrivare a casa tutto si aspettava fuorché di incontrare Emma. 
Si aspettava che la ragazza sparisse per giorni, come aveva già fatto, per poi ricomparire quando la situazione si fosse distesa. Federico sapeva che lei sapesse di averlo ferito, in qualche modo; quindi, gli sembrava ovvio che lei fuggisse, non volesse affrontarlo, o almeno non subito. 
Invece, quella sera, nel rifare il percorso verso casa, se la ritrovò davanti, come se lo avesse aspettato per ore nel punto in cui sapeva sarebbe passato. 
Stava seduta su di un muretto, le gambe incrociate, i capelli corti legati in cima alla testa in maniera disordinata. 
Federico si fermò a guardarla per qualche istante, rapito come sempre dalla bellezza di lei, ma la rabbia che sentiva dentro di sé, forse troppo esplosiva per un’incomprensione così piccola, gli impediva di affrontarla. Si mise le mani intasca e tirò dritto. 
-Non mi saluti neanche? – fece lei, andandogli dietro. Aveva un tono falsamente leggero, cercava di apparire disinvolta per smorzare la situazione. 
-Oggi non sono in vena – le rispose borbottando, lusingato che per una volta fosse lei ad inseguirlo e non il contrario. 
Emma gli afferrò il polso con una decisione che non si aspettava. -Ti fermi un secondo? 
Federico lo fece, si fermò e la guardò. Aveva di nuovo le labbra rosso fragola, le ciglia lunghe le sfioravano le guance piene. 
Se l’amica di Marco toglieva il piacere della conquista, per Emma era necessario così tanto impegno che forse veniva meno la voglia di tentare. Se da una parte c’era qualcuno che andava dritta al sodo, consapevole di ciò che voleva, Emma era così complicata da essere un mistero persino per sé stessa, probabilmente. Lo dimostrava il fatto che lo stava cercando in quel momento, dopo averlo respinto la sera prima. Emma non sapeva che cosa voleva. 
-Sei arrabbiato- constatò lei guardandogli il viso. Vide gli occhi di lei indugiare sulla mascella, sul naso, sulla bocca, ma non lo guardò dritto negli occhi. 
-Non ci voleva molto a capirlo- bisbigliò lui, seccato. 
-No infatti – fece lei, facendo scivolare la mano in quella di lui. Federico non si ritrasse, deliziato come sempre dal modo in cui lei lo toccava, ma non prese iniziative, non se la sentiva. -Beh, io… 
Lui attese, riacquistando per un attimo la speranza. Gli sarebbe piaciuto sentire delle scuse, che lei aveva sbagliato a comportarsi in quel modo, che non era affatto pentita di averlo baciato come aveva dimostrato con le sue azioni. 
-Tu? – la incoraggiò, perdendo quel ringhio nella voce che aveva usato per tutto il giorno, con tutti i suoi interlocutori. 
Emma continuava a non guardarlo negli occhi. -Io… 
Si stancò presto di quella esitazione nella voce di lei e nel suo comportamento. Emma era una persona decisa, nella sua testa, e quelle frasi sospese nel vuoto non le si addicevano per nulla. 
Federico sbuffò, sfuggendo alla presa di lei. -Ho capito. 
-Che hai capito? – scosse la testa lei, confusa. 
-È stato un errore, hai ragione, non succederà più – fece lui. – Solo un bacio accidentale. 
Lo disse più per provocarla, non lo pensava davvero. Federico non l’aveva baciata per sbaglio, né voleva che non succedesse più, era solo stanco di quel limbo in cui lei lo teneva. L’unico modo per poter porre fine a quella situazione era sfidarla: se lei voleva, sarebbe venuta allo scoperto, avrebbe fatto pace con le sue indecisioni e sarebbe stata chiara con sé stessa e con lui. Era l’unico modo per smettere di inseguire un miraggio, un sogno ad occhi aperti ed iniziare qualcosa di concreto con una persona in carne ed ossa, che non spariva quando le faceva più comodo. 
Lei pareva perplessa per le parole di lui. -Ma che s… -
-Ora scusami – la interruppe – devo andare. 
Lei non lo seguì. 

Il tuo culo orgoglioso punisce il mondo al posto di chiedersi il perché, aveva detto il padre. Ma, al posto di riflettere sul perché che Giancarlo aveva posto, Federico pensava a quanto fossero scurrili gli insegnamenti che gli venivano impartiti dal padre. Insegnamenti più che giusti, si disse. Doveva fare qualcosa per sua madre e Alberta, ingiustamente travolte dal disappunto che Emma aveva generato in lui. 
Si disse che per un po’ non avrebbe più pensato a lei, come una sorta di periodo di disintossicazione da qualcuno che aveva totalmente assuefatto il suo cervello, per giorni. 
Tornato a casa, trovò la madre addormentata sul divano, il Buio oltre la siepe aperto a pagina novantadue. 
Deciso ad andare a letto senza nemmeno perder tempo a togliersi i vestiti, Federico salì le scale. 
-M’ama o non m’ama? Non m’ama o m’ama?
Sentì la stessa cantilena della mattina, ma priva di entusiasmo, di allegria. 
La camera di Alberta era ancora illuminata, la porta socchiusa. La bambina era sul pavimento: accarezzava i capelli alla Barbie, vestita di tutto punto per il suo matrimonio, ma senza il suo Ken ad attenderla. 
-M’ama o non m’ama? - ripeté ancora una volta la bimba.
-Tesoro? - la chiamò Federico, chinandosi accanto a lei. 
Albertina gli sorrise forzatamente e lui capì: punire la sorella per qualcosa che non era stata lei a generare non era giusto. Sfogarsi con il mondo non era la risposta, soprattutto perché non c’era niente per cui arrabbiarsi con il mondo. 
Probabilmente neanche Emma si meritava la sua rabbia, lei era libera di respingerlo, se non lo voleva. 
-Barbie non sa se vuole sposare Ken e quindi consulta le margherite per risolvere il problema. 
Federico rise. –Barbie non ha nessuna margherita. 
-Un po’ di fantasia, Fede- sbuffò la bimba, senza severità. 
-Va bene! - sollevò le mani in segno di resa. –Facciamo finta che Barbie abbia una margherita. Deve essere un fiorellino a stabilire se vuole sposare Ken o no? 
Albertina fece spallucce. –Se non può stabilirlo con la margherita, allora come? 
-Non so… Ma solo Barbie può decidere per sé. 
-E come fa a decidere se non con la margherita? - borbottò, aggrottando le sopracciglia scure. Federico rise. –Deve sapere se le piace Ken, se vuole stare con lui… Questo può stabilirlo facilmente, le basta un bacio per capirlo.
Pensò di nuovo a come si era sentito nel baciare Emma e per un attimo gli mancò il respiro. 
-Fede lo sai che sono solo bambole, vero? - mormorò Albertina, con il tono apprensivo di una piccola mammina.  Era come se la bambina avesse capito che non stavano più parlando di bambole, o che forse non lo avevano mai fatto davvero. 
-Ma certo- sorrise lui, ma non era vero. Lui non parlava delle bambole. -Vai a letto, domani ti aiuto io a celebrare le nozze.
Magari Emma dopo averlo baciato non si era sentita come lui, per questo era fuggita via. Forse per questo il padre gli aveva detto di riflettere sul perché era successo quel che era successo. 
-Non sei più arrabbiato? - chiese la bimba, sorpresa.
-Arrabbiato? - la scimmiottò lui, divertito. –E perché dovrei essere arrabbiato? – fece il vago, così che la sorellina potesse rilassarsi un attimo all’idea che c’era stata solo una piccola incomprensione tra loro. 
-Oggi mi hai detto tu che Barbie non ama Ken. Ed eri arrabbiato.
Federico si diede dello stupido per essersela presa con la sorellina. 
-Ma sì che lo ama, io non parlavo di loro. 
Albertina piegò la testa di lato. –E di che cosa parlavi? 
Di Emma. 
-Di nessuno. Non dovevo arrabbiarmi, è stato solo un bacio accidentale – disse ad alta voce, così come lo aveva detto ad Emma poco prima. Tentò di convincersene pure lui, così che l’indomani, dopo una bella notte di sonno, sentisse il suo cuore con un po’ di pace in più. 
-Un bacio? - ripetè la bambina confusa.
Federico si passò una mano in viso. –Ti aiuto a mettere il pigiama.

Mentre si rigirava sul letto nel tentativo di prendere sonno, si ripeteva più e più volte che quel bacio era stato un incidente. Se se ne fosse convinto pure lui, il suo umore si sarebbe conseguentemente alleggerito. 
Federico non era più arrabbiato: non serviva ingigantire una cosa che di per sé era così semplice. Non c’era stato nessun rifiuto da parte di Emma perché non c’era stato nessun bacio, solo un incidente di percorso. E comunque non si sarebbe mai lasciato turbare da una reazione negativa di lei, non le aveva dato così tanta importanza. Era tutto a posto. 
Proprio mentre ci pensava, sentì un cigolio sospetto, come di qualcosa che si apriva. Non era la porta: era perfettamente chiusa quando sollevò di poco la testa per controllare. Era la finestra, dalla quale era entrata una figura che adesso si nascondeva nell’ombra.
Non pensò neanche per un secondo che si trattasse di un ladro: la figura nell’ombra era troppo minuta, troppo leggiadra. E nessun ladro si sarebbe intrufolato in quel modo, con il palese intento di farsi sentire. 
Federico non si lasciò tradire da nessuna emozione mentre Emma gli si avvicinava. Era identica a poco prima, stessa buffa acconciatura, stesso vestito bianco. Aveva qualche foglia appiccicata alle braccia. 
-Non mi chiedi che ci faccio qui? - gli sussurrò, guardandolo dritto negli occhi. Sorrideva. 
Si sedette accanto a lui sul letto, mentre Federico si sollevava puntellandosi sui gomiti. 

-Aspetto che sia tu a dirmelo- bisbigliò, più calmo rispetto a quando si erano visti poco prima. 
Alla luce della luna sembrava così eterea, quasi uno spettro. 
-Poco fa ci siamo fraintesi – spiegò lei. 
Federico si massaggiò le palpebre. -Non c’è stato alcun fraintendimento, non ci siamo detti proprio un bel nulla. 
Emma annuì, pensierosa. -Tu hai detto che è stato un bacio accidentale, quello mi è suonato come un fraintendimento. 
-Me lo hai fatto pensare tu e quel modo titubante di reagire. 
Lei fece una pausa che sembrò essere lunghissima. 
- Non volevo scappare via in quel modo, l’altra sera. 
Suonava come un discorso che si faceva ad un bambino per spiegargli che no, non può avere il suo gioco preferito. A Federico questo non piacque. –Lo hai fatto- sibilò incolore. 
Era più facile, più giusto, mantenersi incolore piuttosto che farle presente ciò che realmente pensava. 
-Ero confusa, avevo bisogno di mettere un po’ di chiarezza nella mia testa. 
Emma indugiò sulle mani di lui con lo sguardo, per poi osservargli le braccia, il petto lasciato nudo dalla mancanza di maglietta, la mascella quadrata, la barba ancora incolta. 
Federico si sentì quasi a disagio per il modo spudorato con cui lo guardava. 
-Non potevi aspettare domani per dirmi la conclusione della tua lunga riflessione? - commentò scocciato. 
-No, dovevo vederti subito- sorrise lei, ma senza allegria. 
A quel puntò gattonò sul letto, più vicina a lui. Federico si rese conto che arrampicandosi sull’albero si era graffiata le gambe candide e il mento. 
Emma gli accarezzò i capelli scuri, facendo scivolare la mano sul retro del suo collo. –Dai, non è stato forte vedermi entrare dalla finestra?
Federico si sciolse, sia per la battuta sia per la carezza, e rise. – In realtà averti nel mio letto mi preoccupa: non hai un coltello sotto la gonna, vero?
-Niente del genere- scosse la testa lei, scostando le pieghe del vestito bianco per mostrargli la sua innocenza. 
A quel punto Federico scostò le lenzuola, incurante che lei fosse sporca di terriccio e di foglie. Emma si tolse le converse sporche e si rifugiò sotto le coperte. 
Il corpo di lei era gelido vicino a lui, ma Federico non aveva voglia di ritrarsi. 
Le mise un braccio sulle spalle per scaldarla e la sentì inspirare il suo profumo, le labbra di lei vicinissime al suo collo. 
–Senti… Quello che tentavo di dirti, poco fa… Beh, è che mi dispiace essere corsa via, l’altra sera… 
Le uscì una leggera balbuzie mentre formulava quel pensiero, come se si sentisse vulnerabile per la prima volta da quando lo conosceva e se ne vergognasse terribilmente. 
Federico la trovò tenera nel suo essere impacciata: come era già successo, vedere dell’umanità in lei la rendeva più vera, meno favolistica. 
-Non sono brava con queste cose… -borbottò più a sé stessa che a lui, strofinandosi la fronte. 
-Non ti scusare: è stato un incidente – la sedò lui, esternando ad alta voce ciò di cui aveva cercato di convincersi per tutta la serata. -Prometto che non succederà più, è tutto ok. 
Emma fece un’espressione buffissima, come se le fosse stato dato un pizzicotto. -Che cosa non succederà più? 
-Che ti bacio – spiegò candidamente Federico – Come ho detto è stato un incidente. 
Lei lo fissò per qualche istante, indispettita, dopo essersi scostata dall’abbraccio in cui lui l’aveva incastrata. –Un incidente? - ripeté, scettica.
-Emma forse è meglio che vai a casa, è tardi – disse lui, perché se l’avesse ripetuto ancora una volta, avrebbe smesso di crederci a quella bugia che si era raccontato. Lei lo metteva troppo a dura prova. 
La spinse leggermente, per farle capire che era arrivato il momento di andare. Emma non si mosse dal suo letto: continuò a guardarlo truce, ostinata come non mai.
-Non mi sono arrampicata sul muro di casa tua nel cuore della notte per sentirmi dire questo! – bisbigliò lei contrariata, avendo cura di non alzare il tono della voce. 
Sebbene lui l’avesse scacciata, lei non ne voleva sapere di andarsene. 
In un impeto inaspettato, si mise a cavalcioni su di lui, bloccandolo. Federico spalancò gli occhi per la sorpresa di quel gesto, che a lui parve la cosa più eccitante che avesse mai visto. Ed era ancora più eccitante perché lei lo aveva fatto con ingenuità, senza pensare al contatto intimo che avrebbe imposto ai loro corpi. 
-Emma – gli uscì come una supplica, mentre sentiva un calore diffondersi all’interno del suo corpo. 
Lei rimase con il viso corrucciato. -Non me ne vado a mani vuote. 
-Sentiti libera di portare via quello che vuoi: un souvenir per la tua arrampicata – le disse con il fiato corto, indicandole la stanza. Le mise le mani sui fianchi, pronto a sollevarle il corpicino esile per tirarla via da quell’incastro. 
-No- protestò lei, schiaffeggiandogli una mano. 
Si chinò in avanti così da avvicinare il viso a quello di lui, le gambe di lei ad avvolgergli i fianchi in una trappola deliziosamente sensuale. 
-Voglio ciò per cui sono venuta – gli sussurrò seria, pungolandogli la guancia con il naso, in una carezza più infantile. 
Federico non aveva la voce per chiederle nulla, era ipnotizzato, colpito. 
-Devo baciarti – disse lei, inumidendosi le labbra con la lingua, mentre accarezzava con un pollice le labbra di lui. 
Federico la guardò ad occhi spalancati per tutto il tempo. 
Conscia che lui non l’avrebbe respinta e che non sarebbe stato in grado di proferire parola, Emma lo baciò, stringendolo a sé. Bypassò subito lo step del bacio innocente, insinuando la lingua nella bocca di lui. 
Federico parve riscuotersi dall’incantesimo che lei gli aveva fatto: le mise una mano alla base della schiena, portandola ad inarcarla maggiormente, così che il contatto tra i loro corpi fosse totale. Emma, come era già successo la sera precedente, mugolò qualcosa di incomprensibile, forse presa dall’eccitazione, e questo risvegliò in lui un trasporto maggiore. 
Con un gesto, la portò sotto di sé, interrompendo per un attimo il loro bacio. Lei aveva la faccia paonazza e il fiatone, il petto le si alzava e sollevava velocemente. Il vestito bianco che indossava era tutto stropicciato ed era risalito su per le sue gambe, fino a rivelare la base della pancia e l’ombelico. 
Federico la guardò, accaldato come non mai. Emma gli accarezzò il petto ed il collo, come a richiamare nuovamente l’attenzione di lui. -Questa volta ti giuro che scappo se smetti di baciarmi. 
Risero entrambi per pochi istanti, poi si intrecciarono nuovamente, intimi anche se era la prima volta che si toccavano in quel modo. 
Federico si disse che no, quello della sera prima non era stato un incidente, e che sì, baciarla gli piaceva forse più del dovuto. 

 
Nel linguaggio dei fiori la Margherita assume diversi significati tutti volti alla positività e collegati al concetto di ‘verità’. Tra i significati più frequenti troviamo quello di semplicità, innocenza, spontaneità, bontà, freschezza e purezza, amore fedele. Grazie ad un'usanza comune nel Medio Evo ha assunto il significato di: "ci devo pensare", da cui derivò il significato di "abbi pazienza". Nella religione cattolica tradizionale significa "bontà d'animo". 
[www.ilgiardinodegliilluminati.it]

Nel Medio Evo le Dame usavano cingersi il capo con delle margherite ogni volta che non erano decise sulla scelta dello spasimante: di qui il significato "ci devo pensare". 
[www.dilloconunfiore.com]


*Fonte: www.pollicegreen.com 

Buongiorno! A dispetto di quello che avevo comunicato sono riuscita a pubblicare il capitolo prima.
Spero vi piaccia e attendo sempre qualche feed-back, anche piccolo. 
Ci sentiamo giovedì per la parte sette. 
Buona giornata! 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: MercuryGirl93