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Autore: EleAB98    11/03/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo II – Attesa Inerte



Indugiai sulla soglia. Ancora una volta, trassi un lungo respiro e guardai l'orologio. Come di consueto, mi attendeva un'estenuante giornata di lavoro e sarei stato sin troppo contento se nessuno mi avesse rotto le uova nel paniere, per non dire altre parole. Aprii di scatto la porta del mio ufficio e mi guardai attorno con fare circospetto. Sembrava che tutto fosse rimasto al suo posto. Mi abbandonai a uno sbuffo sollevato. Il mio vecchio portatile, la mia fidata pila di romanzi thriller sulla scrivania, la preziosa raccolta di CD sui Caldera* e mille altri gruppi fusion e hard rock disposti ordinatamente sulla piccola vetrina alla mia destra. Le bozze dei miei articoli, pronte per essere...

«Cazzo!» imprecai, a mezza voce. «Dove sono finite le mie bozze?» Esaminai i cassetti dello scrittoio in preda a una spasmodica ansia, quindi li richiusi. Dopo un attimo di smarrimento, strinsi i pugni, sbattendoli l'uno contro l'altro. Alzai gli occhi al cielo. «Aaargh! Michelle!»

In fretta e furia, mi avviai verso l'ufficio di quella donna. Senza premurarmi di bussare – a mio rischio e pericolo, perché quella mina vagante ne sapeva una più del diavolo – spalancai la porta del suo studio. Un sorriso strafottente mi accolse, insieme a una manciata di carte tenute sospese a mezz'aria. Quella manciata di carte. «Cercavi queste?» domandò, inscenando fittizia innocenza.

«Tra qualche ora devo farli uscire! Dai, dammi qua!» Allungai la mano per afferrare quella busta, ma lei fu assai più rapida e se li mise dietro la schiena, scuotendo la testa. Le gambe accavallate – parzialmente fasciate da una gonna nera super aderente –, la camicetta semiaperta che lasciava intravedere un reggiseno in pizzo del medesimo colore, ospitante un seno molto generoso. Digrignai i denti. Che volesse provocare il sottoscritto era più che evidente. Come tutte le mattine, del resto. «Forza, signorina Pantano. Mi dia quelle bozze. Immediatamente», sottolineai, facendo appello a una severità che, pur essendo il mio marchio di fabbrica, da un po' di tempo non sentivo più mia.

L'altra si leccò le labbra. Avevo sempre pensato che quel rossetto – di un colore sin troppo vivo – fosse un pugno in un occhio. «Altrimenti cosa mi fai, si può sapere?»

«Nulla che tu vorresti, te lo posso assicurare», ribattei, per nulla colpito dal suo atteggiamento malizioso, per non dire infantile. Non la sopportavo proprio. «Mettiti a lavorare, piuttosto», la redarguii. Mi avvicinai a lei per riprendere quei benedetti fogli, ma la cara Michelle roteò verso destra, poi di nuovo a sinistra, quindi ancora sulla destra. Ah, quella sedia girevole! L'avrei volentieri scaraventata addosso al muro, rompendola in mille pezzi. «Ti sto facendo girare la testa, non è così? Anche se... mi piacerebbe molto fartela girare... in un altro modo, non so se mi spiego... lavorare su di te sarebbe il mio sogno proibito, sai?»

Dopo qualche secondo di lotta libera, facendo attenzione che le mie mani non si posassero per errore su luoghi piuttosto sensibili, riuscii a vincere l'ardua partita. Mi passai una mano tra i capelli scombinati. «Attenta a quello che dici, Michelle. Questo posto è fatto per lavorare, non certo per fantasticare sui tuoi colleghi.»

Michelle mise su il broncio. «Così mi offendi, però! A titolo informativo, mi piace fantasticare su di te, Malcom. E solo su di te», replicò lei, alzandosi in piedi. La guardai dall'alto in basso. Quel tacco dodici la faceva sembrare un lampione. Anzi, un'autostrada lunga due metri. Mi allontanai immediatamente, onde evitare che si attaccasse al sottoscritto come una cozza su uno scoglio. «Devo scappare, Michelle. Stammi bene, okay?»

Facendo attenzione a tenere ben stretti i miei appunti, accennai un saluto distratto e richiusi la porta dietro di me. Ogni volta che entravo nel suo studio mi girava la testa. Sulla sua scrivania sembrava fosse successo un quarantotto. Era strapiena di dossier inutili, scontrini della spesa piuttosto datati e... persino qualche libercolo dal contenuto vietato ai minori. Mi rassettai la cravatta grigia. La mia giornata era appena cominciata e io già mi sentivo un morto vivente. Bene così, mi dissi, tornando, a passo stanco, nel mio ufficio.

 

Da qualche tempo mi occupavo di sostenibilità ambientale e leggevo una miriade di riviste sull'argomento. La più interessante era Be Kind, che aveva anche promosso un importante corso di aggiornamento che tuttora seguivo. Negli ultimi tre anni, avevo cercato di saperne sempre di più, tant'è che spesso mi rintanavo in ufficio fino a tarda ora. Il mio sguardo si posò per un istante sulle fotocopie che tenevo alla mia destra. Non le avevo ancora scandagliate per bene e, in tutta onestà, non sapevo se prima o poi mi sarei deciso a farlo. Me le aveva portate Benedetta Carisi – la mia nuova assistente – circa un paio di giorni fa, con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. Quella sua spensieratezza – tipica dei primi anni della gioventù – mi faceva sempre uno strano effetto. Forse perché ormai da anni mi sentivo chiuso, completamente svuotato a livello emozionale. Almeno da un punto di vista che non concernesse l'ambito lavorativo. 

Scossi la testa, quindi chiusi tutte le finestre del computer e mi accinsi a ricontrollare la bozza finale del mio elaborato. Dopo una decina di minuti, senza crucciarmi ulteriormente, decisi di inviarla al mio supervisore. Il fatto che avessi modificato in toto – o quasi – le mie preferenze redazionali aveva, in effetti, comportato la gestione della testata dedicata al territorio a persone ben più competenti del sottoscritto, con in tasca una laurea magistrale – se non addirittura un dottorato – in Scienze Naturali, Geologiche o simili. Insomma, dovevo obbligatoriamente sottoporre i miei testi alla supervisione di un peer reviewer che, dall'alto delle sue esperienze nel settore, aveva il compito di accettare o meno l'elaborato mandatogli, magari apportando qualche modifica e ritenendolo o meno idoneo alla pubblicazione specialistica. Sapevo molto bene che il Master di secondo livello che avevo conseguito due anni prima non mi sarebbe bastato (anche perché lo stesso era legato più a un aspetto di tipo sociologico) e che sarei rimasto, ancora per molto tempo, soltanto un appassionato neofita, ma d'altra parte adoravo le sfide. E continuare a mettermi in gioco sul fronte professionale era diventato ormai un mantra. Dedicarmi a quelle ricerche, per certi versi, mi faceva sentire parte integrante di una società sempre più allo sbando, ma, d'altro canto, desiderosa di progredire da un punto di vista sociale e scientifico.

Richiusi la casella delle e-mail, le mani incrociate dietro la testa. Dovevo ammettere che, perlomeno nell'ultimo periodo, c'erano sin troppi tempi morti a fare da sfondo all'attività giornalistica. Le settimane, paradossalmente, sembravano comunque essere infinite. In quei momenti di pace assoluta, però, cercavo sempre un valido pretesto per tenermi occupato. Che fosse lo studio, la musica o la lettura, tentavo con ogni mezzo di non pensare troppo al mio benestare psicologico, che di tanto in tanto subiva qualche ricaduta. Questi ultimi due anni non erano stati particolarmente entusiasmanti, però non mi potevo lamentare. Avevo ripreso a frequentare l'università – constatando, tra l'altro, che farlo da quarantenne non fosse meno eccitante che farlo da ventenne! – rispolverato le mie vecchie passioni – come il jogging e il kick boxing. Tra l'altro, proprio tramite la prima attività avevo conosciuto Benedetta. Del tutto casualmente, ci incrociammo al Griffith Park e tra una chiacchiera e l'altra finimmo a parlare di lavoro, sogni e aspettative. In realtà, a fare da collante erano stati i nostri gusti musicali: il giorno del nostro primo incontro indossavamo la stessa maglietta dei Deep Purple, e per entrambi era stato più che naturale intavolare una discussione su quella celebre band. Dopo il caffè, le avevo già proposto di venire a lavorare in redazione. Una ragazza neolaureata, con grande spirito di iniziativa e una spumeggiante voglia di imparare. Benedetta era proprio questo. Lasciarla andare via sarebbe stato un grande errore, senza contare che diventare una giornalista affermata era il suo sogno fin da bambina, e io mi sentii in dovere di aiutarla a fare pratica. Da circa un anno si premurava di gestire l'ufficio stampa e dirigere qualche rubrica di stampo letterario e non faticavo ad ammettere che se la stesse cavando egregiamente.

«Avanti!» esalai, non appena sentii bussare alla porta. Appena vidi Christian, mi alzai in piedi e gli corsi incontro. «Chris! Qual buon vento! Come stai?»

L'altro mi sorrise, raggiante come non mai. «Benissimo, Malcom! Era da un po' che non mi facevo vivo da queste parti, così ho pensato di passare a trovarti.» Mi diede una pacca sulla spalla e io lo abbracciai. «Come vanno le cose, eh? Novità all'orizzonte?»

«Dai, siediti pure», gli feci cenno di accomodarsi e mi accinsi a preparargli immediatamente un caffè.

«Non ti disturbare, ho già fatto colazione.»

«Ma un buon caffè non si rifiuta mai, no?»

Christian finse di pensarci un po' su. «D'accordo, mi hai convinto.»

Sorrisi e mi voltai verso la macchinetta del caffè, inserii la capsula e dopo qualche istante gliene versai una generosa tazza. «Tieni. Come sta il piccolo Alessandro? E la tua Cynthia?»

«Meravigliosamente bene», rispose Christian, sollevando i lembi della sua camicia bianca, abbinata a un paio di pantaloni classici. Negli ultimi tempi assomigliava sempre più a un damerino; mi sembrava ringiovanito e non meno affascinante. Il matrimonio doveva avergli giovato molto. «Alessandro cresce a vista d'occhio, a dispetto dei suoi tre anni, mentre Cynthia... be', lei è sempre più bella», asserì, con uno sguardo pregno d'amore. «E adesso che aspettiamo un altro maschietto, mi sembra che lo sia ancora di più. I suoi occhi brillano di felicità.»

«Proprio come i tuoi», rimarcai, sorridendogli. Un po' lo invidiavo, perché per certi versi avevo vissuto anch'io la mia favola, seppur molto tempo prima. «Avete già pensato al nome?» chiesi poi, curioso come una faina.

«Su questo stiamo lottando non poco, devo dirlo», ridacchiò, centellinando un altro sorso di caffè. «A me piacerebbe tanto chiamarlo Andrea, mentre lei vorrebbe che lo chiamassimo Ernesto.»

«Mmm... Ernesto mi sembra una scelta interessante. Mai sentito parlare de L'importanza di—»

«Chiamarsi Ernesto...** Se ne ho sentito parlare? Cynthia non fa altro che ripetermelo! Anzi, si è messa persino a leggermi alcuni passi dell'opera ieri mattina, mentre mi stavo facendo la barba.»

Malcom scoppiò a ridere. «Tenace la tua donna, eh?»

«Puoi ben dirlo!» Christian si grattò la testa. «Talmente tenace che già si pensa al terzo figlio...» mormorò, un sorriso a metà tra il preoccupato e il divertito.

Strabuzzai gli occhi. «Caspita! Volete proprio fare una squadra di basket, come si dice qua in America! Sono contento per voi, davvero.»

«Be', credo sia meglio dedicarsi prima ad Alessandro e al figlio che stiamo aspettando, poi si vedrà», rispose l'altro, facendo spallucce.

Sorrisi ancora. Voleva fare tutto il distaccato, ma si vedeva che l'idea di un terzo bambino non gli dispiaceva affatto. Anzi, forse lo elettrizzava più di quanto volesse ammettere a se stesso. «La ami come il primo giorno, non è così?»

«Alla follia. Forse anche di più. Sai, non mi manca di ricevere proposte assai indecenti quando sono al lavoro, però... la mia mente è sempre su Cynthia, non potrei mai tradirla. Inorridisco al solo pensiero. Io e lei siamo molto affiatati, ci vogliamo un gran bene. Lei è la mia amante, la mia complice, la mia più grande amica. Al suo fianco mi sento completo, non desidero altro. Spero tanto che le cose rimangano così e di crescere i miei figli nel migliore dei modi. Ma tu, piuttosto... nessuna novità?» Il suo sguardo, da tenero che era, si impregnò di una certa malizia.

«Nessuna», risposi, secco. Sapevo benissimo cos'avrebbe voluto sentirsi dire.

«Nessuna nessuna? Dai, ci sarà pure qualche donna che ti ronza attorno! Tipo quella...» Christian si fece pensieroso. «Com'è che si chiama? Michelle—»

«Pantano.» Mi battei le mani sulle cosce. «Ah, che spina nel fianco quella donna! Mi tormenta sin da quando ha messo piede qui dentro.»

«E a te dispiace? Avanti, non posso credere che—»

«Sai benissimo come ho vissuto questi ultimi due anni, Chris. Non c'è bisogno che ti faccia il riassunto, no?» sbottai, infastidito.

«Sì, hai vissuto come un monaco! Come un uomo del tutto privo di prospettive! E questo ti sembra normale? Ho capito che l'esperienza con Megan Rossi non ti abbia lasciato bei ricordi, ma non per questo devi mandare tutto a puttane! Hai ancora una vita davanti, te l'ho sempre detto.»

«Chris, basta così, per favore.»

«Lo so, non vuoi sentirla nemmeno nominare e non posso biasimarti. Ma io voglio solo che tu sia felice. Che tu abbia qualcuno nella tua vita.» Sospirò. «Senti, ti prego di essere sincero... a lei ci pensi mai?»

Scostai lo sguardo da lui. Tutto d'un tratto, mi sembrava quasi che stessi davanti a un agente di polizia. «Io sono cambiato, Chris. Quella vita non mi appartiene più.»

«Ma ne sei stato protagonista. L'hai vissuta. E comunque, non hai risposto alla mia domanda.»

«Cosa cambierebbe? Risponderti o meno affermativamente non cambierebbe niente.»

«Invece cambierebbe tutto! Mi hai sempre detto che non era amore, ma d'altro canto non era stato neanche solo sesso.»

«E io ti ho sempre risposto che avevo rivisto in lei la mia Melissa. Comunque, no. In questi ultimi due anni l'ho pensata ben di rado. E non nel modo in cui credi tu.»

«Sai che non intendevo questo. Magari... non so, con il tempo avresti potuto innamorarti di lei.»

«Di quella donna senza scrupoli?»

«Lo ha fatto perché tu hai nominato Melissa quella notte! Lo vuoi capire?»

«La stai per caso giustificando? Senti, ne abbiamo parlato troppe volte e io sono stufo. Sono passati tre anni da allora e sono andato avanti. Sto bene così, non devi preoccuparti per me.»

L'altro mi regalò un sorriso sconsolato. «Scusa. Non volevo farti arrabbiare e, te lo assicuro, non giustifico il comportamento di quella donna. Dico soltanto che avresti potuto parlarle a cuore aperto. E magari perdonarvi a vicenda.»

«Io non le serbo rancore. Incontrarla mi ha fatto rivedere le mie priorità. Lavoro, tempo per me stesso... sto benissimo così. Sono sereno e non ho bisogno di altro. Tantomeno di una donna. A dispetto di quello che diceva Melanie.»

«La tua vecchia assistente?»

«Proprio così.» Estrassi un pacchetto di sigarette dalla tasca della mia giacca, quindi me ne accesi una. Ricordavo ancora l'espressione sbigottita di quella donna quando mi ero deciso a licenziarla. La mia scopata del lunedì, come la definivo un tempo. Nei suoi occhi potevo ancora vedere riflessa la sua delusione.

«Non hai intenzione di rivedere la tua decisione? Credevo ti piacesse fare l'amore con me... ci siamo divertiti così tanto insieme. E potremmo continuare a farlo.»

«Ascolta, Melanie... io non sono mai stato innamorato di te», le avevo detto due anni prima. «Non posso tenerti più qui, non dopo quello che ho saputo.»

«Io posso aspettare. Anche se non mi ami, posso—»

«No, Melanie. È meglio per entrambi se te ne vai.»

«Meglio per te, vorrai dire.»

Mi spezzò il cuore vedere quanto fosse affranta. E non mi ero mai accorto che provasse qualcosa per me, oltretutto. Il mio egoismo mi aveva accecato. «Troverai un altro uomo, vedrai. Un uomo che ti ami veramente. E che non consideri il sesso un diversivo, anche se... credo di essere molto cambiato, a questo riguardo.»

«È stata lei, non è così? Quella Megan...»

In quel momento abbassai lo sguardo. «Non proprio, diciamo solo che ho avuto modo di riflettere tanto su me stesso... anche grazie a lei.»

«Sei un uomo molto passionale, Malcom. Io ne so qualcosa. E dubito fortemente che tu riesca a stare troppo a lungo senza una donna. Ma se mandarmi via ti fa sentire meglio... è quello che farò. Buona fortuna per tutto.»

Mi riscossi da quel ricordo e guardai Christian. «Lei era più che convinta che presto mi sarei fatta una nuova amica, ma non è stato così. A quanto pare, avevate tutti torto.»

«O forse ti sei soltanto precluso un'opportunità che in realtà desideri. Anche se non lo sai.»

Aspirai una lunga boccata di fumo. «L'unico viziaccio di cui non sono riuscito a sbarazzarmi sono queste maledette sigarette. Per il resto... ti ho già detto che sto bene così.»

Christian non disse altre parole, ma quel momento di silenzio fu interrotto da un altro picchiettio alla porta. «Avanti!»

«È permesso? Ops, scusami tanto, Malcom! Se vuoi posso tornare più tardi e—»

«Ma no, figurati! Entra pure, Benedetta.» Le rifilai un sorriso. Come sempre, era vestita in modo molto semplice e genuino – una camicetta attillata e jeans bluette –, con quella cascata di biondi capelli alla Riccioli d'oro e un visetto delicato e dai tratti angelici. Per non parlare dei suoi occhi verdi, in cui un barlume d'innocenza si mescolava a un'espressività e una determinazione ragguardevoli.

«Volevo solo dirti che ho sistemato l'archivio inerente agli articoli dello scorso giugno.» Sorrise, timida. «Ho anche preparato la sala riunioni per oggi pomeriggio.»

«Ben fatto. Va' pure a prenderti una pausa, al resto ci penso io.»

«Sicuro?» Alternò per un istante lo sguardo tra me e Christian. «Il signore desidera qualcosa, invece?»

«Tranquilla, ci ho già pensato io. E sì, ne sono sicuro. Dai, prenditi un po' di tempo per te, ci vediamo più tardi.»

Benedetta annuì, torcendosi le mani. «D'accordo, se proprio insisti...»

«Insisto», confermai. «A dopo.»

La ragazza fece per andarsene, ma poi, come colto da un'illuminazione, la richiamai. «Benedetta?»

«Sì?» Si voltò verso di me, l'aria piuttosto insicura – o almeno così sembrava.

«Ti va bene se più tardi pranziamo insieme?»

Mi rifilò un sorriso genuino, a trentadue denti. «Certamente, mi farebbe molto piacere.»

«Allora passerò tra qualche ora nel tuo ufficio, okay?»

Lei annuì e, dopo avermi ringraziato ancora una volta, richiuse la porta.

Christian incrociò le braccia. «Benedetta. Mmm... non hai mai dato del tu a un tuo dipendente, che io sappia. Cos'ha di speciale questa ragazza, eh?»

Scossi la testa e strofinai la sigaretta sul portacenere. «Ha venticinque anni, Chris! Ci siamo conosciuti a una sessione di jogging e, tra una chiacchiera e l'altra, ho deciso di assumerla. Tutto qui.»

«Sei sicuro che sia tutto qui? Ho visto bene come ti guardava...»

Corrugai la fronte. «Cosa?!»

«Dai, non puoi non essertene accorto! Quando l'hai invitata a pranzo ha fatto un sorrisone pazzesco!»

Ridacchiai, incredulo. «Ma dai! Sarà pure fidanzata; e poi è solo una ragazzina in confronto a me! Siamo soltanto buoni amici, tutto qui.»

«Tra uomo e donna il confine tra amore e amicizia può essere molto sottile, caro mio... l'età è solo un numero. Ma questo non devo certo dirtelo io.»

«E io ti ribadisco che tra me e lei non c'è assolutamente niente. Lei è come se fosse una mia allieva, non capisci? Le sto insegnando tanti trucchi del mestiere e, allo stesso tempo, ho avuto modo di conoscerla un po'. Ha energia da vendere e credo sia una straordinaria risorsa per quest'azienda. Ma non c'è altro, te lo posso assicurare», ribadii con fare tranquillo.

«Mmm... dì pure quello che vuoi, ma per me questa Benedetta ha un debole per te. Poi magari mi sbaglio, eh!» Christian terminò di bere il suo caffè, quindi si rialzò dalla sedia. «Credo sia meglio che vada ora. Tra poco devo andare a prendere il piccolo Ale all'asilo.»

Mi alzai anch'io e ci scambiammo un abbraccio. «Stammi bene, okay? E aggiornami pure, se ci sono delle novità. Non mancherò di tornare a farti visita, di tanto in tanto.»

«Per me è sempre un piacere, lo sai. Dà un bacio da parte mia ad Alessandro e salutami la tua bella. Ah, e pure il futuro Andrea-Ernesto!»

Christian rise. «Lo farò senz'altro. A presto, amico mio. E mi raccomando... non fare troppe conquiste!»

Soffocai una risata e gli diedi un pugnetto sulla spalla. «Ciao, Chris. A presto!» Richiusi la porta e presi a giocare con la cravatta. Le parole di Christian mi avevano spiazzato, non smettevano di brulicarmi in testa. Che avesse ragione lui?

 

Caldera: gruppo americano (1976-1979) di jazz fusion (jazz, funk, rock e musica latina).

** L'importanza Di Chiamarsi Ernesto: commedia teatrale redatta nel 1985 dallo scrittore inglese Oscar Wilde (1854-1900).

   
 
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