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Autore: GrumpyTrolla    12/03/2022    0 recensioni
Severus Piton e Lucius Malfoy si sono incontrati per la prima volta all’esordio del loro primo anno ad Hogwarts: sono coetanei e, nonostante le incolmabili differenze, hanno sempre condiviso un legame speciale. Ora hanno quattordici anni e si apprestano ad iniziare un nuovo anno scolastico, ma dovranno fare i conti con un misterioso oggetto dalle straordinarie capacità magiche che sconvolgerà le loro vite.
* Aggiornata con lentezza.
* Dedicata a tutti coloro che mi hanno ispirata, sostenuta, incoraggiata e sopportata durante la stesura.
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lucius Malfoy, Severus Piton | Coppie: Lucius/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Fra distrazioni, difficoltà e la mia insicurezza cronica, ho lascito trascorrere più tempo di quanto desiderassi, dal mio ultimo aggiornamento. La vita va avanti, ma non sempre si mostra gentile con noi o col nostro tempo – questo bene che dovrebbe essere insostituibile, ma che sempre più viene svalutato.
Per questo capitolo ho dovuto fare a meno del mio beta reader, purtroppo, quindi non mi resta che arrossire e augurarmi di non aver fatto troppo schifo :P
Ringrazio tutti coloro che vorranno commentare, o anche solo leggere, questo nuovo capitolo.
 
 
Capitolo 7: Di una vergogna scarlatta e viscida
 
 
But I'm too afraid, now
(Ma ho troppa paura, ora)
 
È come un labirinto, solo che ogni parete, il pavimento e perfino il soffitto si compongono di serie interminabili di specchi, rozzamente incorniciati di bronzo e d’argento e del tutto incapaci di restituire la sua immagine.
È alienante, è crudele ed è semplicemente ingiusto.
Eppure, nonostante lo smarrimento e la vacuità di cui è caduto preda, il giovane Piton continua ad accanirsi nella sua avanzata. Non ne ricorda la ragione, ma dev’essere importante – la più importante di tutte, probabilmente. Però c’è quel vuoto, quello che lo accompagna da quand’è nato, e può sentirlo dilatarsi come l’oscurità delle pupille su due occhi chiari che non riconosce.
Poi si ferma. Un’illuminazione, forse un lampo di follia, e inizia ad interrogarsi sull’innocenza di questi specchi: e se non fossero loro a rifiutare il suo riflesso, bensì proprio quest’ultimo a disertarne le cornici in modo da poter raggiungere l’altra parte?
Cerca di seguirne l’esempio, proprio come il ragazzo-senza-nome aveva seguito il canto di bimba fuori dalla Città Nera, attraversa lo specchio più vicino.
Si sente trascinare, poi spingere ed infine cadere.
 
Nuovamente cosciente di sé, Severus ricorda che potrebbe essere ancora il giorno di san Valentino, o che sia comunque passato da poco. Il suo non-appuntamento con Lily Evans era stato proprio questo e nient’altro: un non-appuntamento. Ciononostante, non sembrava contenta quando le ha detto che sarebbe tornato al castello così presto, ma aveva capito: il padre di Lucius sarebbe venuto a prenderlo già dopodomani, quindi il tempo che ancora poteva ancora trascorrere assieme al suo migliore amico era agli sgoccioli – e per questo, Lily aveva capito.
Un altruismo che, a parti inverse, Lucius non le avrebbe riservato neppure in punto di morte.
Il pensiero gli scatena un brivido e lo investe con un senso di urgenza e pericolo: la sorda consapevolezza di doversi affrettare a riordinare i ricordi e le idee, a capire cosa stia accadendo e come riprendersi La Faina. Se solo riuscisse a ricordare da chi, o da cosa.

È grazie ad un misto di istinto e mera attenzione al dettaglio che si rende conto di trovarsi ora nel passato – un ricordo del passato per l’esattezza, di un pomeriggio freddo ma assolato del 1965. Era il suo primo anno ad Hogwarts ma, nonostante l’entusiasmo iniziale, a questo punto aveva già capito che quel formidabile castello, abitato da persone e creature formidabili, nonché difeso da formidabili incantesimi, poteva in realtà diventare inospitale quanto qualsiasi altro luogo. Parte del problema era che La Faina non esisteva ancora – c’era Malfoy, certo, ma Malfoy non era un bambino molto rassicurante.
Non aveva ancora scambiato che poche parole col Prodigio Platinato seduto un paio di banchi avanti al suo, quindi doveva essere un giorno fra settembre e novembre.
Si era attardato nelle serre al termine di un’atroce lezione di Erbologia, per cercare di ripulirsi il mantello da macchie di fango e sbuffi di polline violetto, nonché per sbollire l’imbarazzo – più per il sorriso che Malfoy gli aveva rivolto, che per l’incidente in sé. Era uno di quei sorrisi minimizzanti, che mirano a sdrammatizzare e tacitamente ti invitano a riderci sopra. Peccato, però, che il giovane Piton non aveva la minima voglia di ridere, mai.
Così come non aveva voglia di ridere la mattina della loro prima esercitazione di Volo, quando la scopa aveva deciso di imbizzarrirsi e disarcionarlo senza motivo. Anche allora, Malfoy gli aveva rivolto lo stesso identico sorriso, accompagnato dal primo di una lunga serie di ammiccamenti – gli stessi che aveva additato come fraintendibili appena sei mesi prima, che amava e per questo gli aveva chiesto di non mostrare mai più. 

Per questo (e per un milione di altri motivi) il mondo non è un luogo clemente o giusto, o non sarebbe stato intercettato da James Potter e dal suo branco di disagiati: se li rivede lì, tutti bambini ma non meno irritanti mentre si avvicinano ad un sé stesso undicenne per lanciargli qualche insulto quasi del tutto immotivato. Sotto ai suoi occhi, il diverbio degenera più in fretta di quanto ricordasse e qualcuno – forse Sirius Black, forse lo stesso Potter – decide di lanciargli un sasso.
Nonostante le nebbie e le sbavature di quel ricordo, solo ora, a tre anni di distanza, Severus saprebbe definire quanto provato in quel momento: è lo stesso misto di rabbia, umiliazione ed impotenza che fino ad allora aveva riservato solamente a suo padre.
Vede un rivolo di sangue scivolare dalla fronte del suo giovane sé stesso, gli riga il volto e gli macchia il colletto della camicia di una vergogna scarlatta e viscida. La consapevolezza del futuro lo trova già voltato altrove: sa di aver estratto la bacchetta a questo punto, con uno stuolo di maledizioni accavallate sulla punta della lingua, ma è su Malfoy che si concentra.


Il freddo gli aveva arrossato il naso, indossava il mantello pesante della divisa scolastica e il corredo sciarpa-guanti-cappellino nei colori del Serpeverde. Più basso ed esile ma non meno pallido di quanto non sia anche oggi - ed ancora, ma non ancora per molto, aggrappato alle ultime vestigia della goffaggine tipica dell'età infantile. Furtivo senza farlo apposta, arrogante senza rendersene conto, li sorprende tutti con un semplice «Che state facendo?», e con la pretesa assurda di avere il diritto di potersi immischiare in ogni faccenda. Fosse anche solo per dire che sì, lo sapeva già, e che no, in fondo non gli interessa poi tanto e che oh, se proprio non riesci ad essere interessante almeno impara il dono della sintesi.
Se la ricorda bene, Severus, la sensazione provata in quel momento: la mera possibilità che Malfoy, fra tutti, avesse assistito alla scena, che avrebbe potuto rivolgergli l’ennesimo sorriso minimizzante o "fotografarlo" a tradimento col suo ammiccamento migliore era bastata ad umiliarlo in modo ineluttabile e totale.
Il primo a riaversi e rispondere è Sirius Black, gli chiede «Che vuoi, cugino?» con quel tono particolare che gli ha sempre riservato nelle rare volte in cui si sono rivolti la parola. È come una sorta di difficoltà, un disagio vestito di nonchalance nel tentativo di mantenere la propria clandestinità.
«Aspetta», s’intromette James. «Il Folgorato è tuo cugino?»

Folgorato è un soprannome inventato proprio da Potter, che significa “bizzarro”, “alienato”, e che per un po’ aveva seriamente rischiato di prendere piede, visto che era vero. O meglio. A undici anni, l’umore di Malfoy oscillava fra l’inspiegabile disinteresse agli svaghi dei suoi coetanei ad altri di curiosità e divertimento eccessivi. Il suo comportamento si manteneva, in generale, sempre troppo adulto – una parentesi di discriminazione tutto sommato breve, nella vita di una creatura destinata ad arricchirsi di simpatie e di fascino fin dalla nascita.

Ed eccone una prova: in questo preciso momento, in questo preciso ricordo, è Sirius Black a cadere preda di tutto l’imbarazzo cui L’Immacolato Pezzo di Ghiaccio sembra immune. Sirius ignora la domanda di James Potter e continua a rivolgersi al cugino in tono sbrigativo: «Stiamo solo giocando, ma tu adesso te ne devi andare!»

Ma il Folgorato non se ne va, e anzi, si acciglia. Li passa in rassegna uno per uno con sguardo pigro, come se trovasse l’idea di venir tagliato fuori semplicemente indegna di nota. Senza che nessuno glielo avesse chiesto, men che meno il diretto interessato, fa notare che «A me non sembra che Piton si stia divertendo, a questo gioco».

Non ottiene risposta ma, ancora oggi, a Severus piace pensare che l’appesantirsi dell’atmosfera fosse solo colpa del fare incerto di Black, che doveva averli contagiati tutti. Non poteva esserci nulla di davvero sinistro attorno al bambino dal naso arrossato che di lì a poco sarebbe diventato il suo migliore amico. James Potter inizia a spingere un giovane Black verso il castello, dicendo «Va bene, senti, lasciamo stare. Ci divertiamo un’altra volta.» col tono di chi si crede spiritoso ma che, almeno per Severus, suona solo corrosivo. Come il costante gocciolare di un’acida oppressione.
Il suo sé stesso undicenne medita intanto di allontanarsi in silenzio, evitando ad ogni costo lo sguardo del Folgorato. Sapeva che se fosse rimasto ed avesse incrociato i suoi occhi anche solo per un attimo, l’umiliazione lo avrebbe costretto a blaterargli contro parole ostili ed offensive, che non pensava veramente. Parole che avrebbero potuto marchiare il suo nome sulla lista nera dell’unico erede di una delle famiglie purosangue più ricche, potenti ed influenti del mondo magico.

Mentre nessuno fa più caso a lui, Malfoy raccoglie un sasso da terra e chiama «Sirius?» per spingerlo a voltarsi. Prima ancora che possa capire cosa sia successo, il giovane Black viene centrato in volto da un sasso, che gli apre un taglio sul labbro, poco dissimile da quello sulla fronte di Severus. Segue uno stuolo di ingiurie e minacce che si confondono le une alle altre, cui Lucius replica con un accanimento (come sempre “un po’ troppo”) eccessivo. «La prossima volta, Sirius Black, pensaci bene prima di cercare di prendermi in giro!»
A questo punto si volta e, a tradimento, incastra lo sguardo in quello di Severus – quello vero, che lo conosce da anni – col proprio. Il mondo intero decide d’immolarsi alla vanità, di annegare negli occhi di Lucius solo per potervisi specchiare un istante e tutto attorno a loro si congela e scompare. L’aveva trovato: lì, su quelle iridi color dell’inverno c’era uno degli innumerevoli riflessi mancanti nel labirinto di specchi e, per la seconda volta, il giovane Piton si sente trascinare, poi spingere ed infine cadere.
 
L’attimo prima di riaprire gli occhi, altri ricordi della giornata appena trascorsa tornano ad affiorargli alla mente: proprio poco prima di lasciare il castello assieme a Lily Evans per il loro non-appuntamento, 
aveva incontrato Remus Lupin e lo aveva aggredito verbalmente. Alla notizia che quel giorno La Faina non avrebbe lasciato il castello, il Grifondoro aveva accennato alla possibilità di restare indietro a sua volta e di cercarne ugualmente la compagnia e questo aveva fatto saltare i nervi del giovane Piton come una molla.  
Al suo ritorno anticipato, sempre lo stesso Lupin gli era andato incontro per informarlo di come il suo migliore amico si fosse addormentato. Solo che i minuti erano diventati ore, i suoi tentativi di ridestarlo si erano rivelati infruttuosi e quelli dell’infermiera della scuola non avevano avuto maggiore successo.

Ecco perché sono venuto qui. si ritrova a pensare: Sono proprio dove volevo essere… solo che non so come ci sono arrivato, né dove sia davvero “qui”. 

Ad una rapida indagine, capisce di non aver mai visto quel luogo prima d’ora: una grande stanza da letto in stile provenzale, sulle tonalità dell’azzurro e del grigio, con pesanti tende ad incorniciare l’ampia vetrata – e oltre questa un paesaggio apparentemente sconfinato, imbiancato dalla neve. Severus è certo di trovarsi in un ricordo, solo stavolta non suo, e con un moto d’orgoglio realizza come quella connessione scoperta con Lucius nell’intimità del suo baldacchino ad Hogwarts non fosse frutto della loro fantasia. Altrimenti non gli sarebbe stato possibile accedere ad un ricordo che palesemente appartiene al suo migliore amico, no?
Un nuovo piacere gli cola sul petto, distruttivo, vasto e complicato quanto il vorticare di un buco nero, eppure anche dolce e caldo come miele. Decide di non indagarlo, di concentrare i propri sforzi sulla mai più conveniente necessità di ricordare di più e di capire. Attraversando una porta sapientemente intarsiata e dipinta di bianco, appare La Faina – o più precisamente un ricordo che La Faina ha di sé. Ha l’aspetto diverso, più opaco e uggioso di quanto non sia mai davvero stato ad occhi esterni e indossa una lunga veste da mago color blu notte. Deve trattarsi di un ricordo delle ultime vacanze di Natale, perché l’espressione infuriata di Lucius è slavata dalla stanchezza che già allora scoloriva i margini di questa effige fusa nel vapore e scolpita nel platino.
Nonostante la propria prigionia in un corpo sfibrato, però, negli occhi di Lucius restava incastonato tutto lo straordinario rigore dei fuochi fatui, poiché rabbia e rancore si collocano stabilmente fra i sentimenti più vivi e ardenti del suo animo serpentino.

Prima che la porta possa chiudersi completamente alle sue spalle, un uomo entra senza bussare: è alto, con le spalle mascoline in tensione ed i capelli biondi tagliati corti. Emana una solidità particolare, come un'energia accumlata e nascosta sotto la pelle, celata ed in agguato come una bestia a sangue freddo dietro al pallore gelido dello sguardo - quello sì, tanto simile a quello della Faina. Sembra, inoltre, possedere un volto senza tempo che solo il pizzetto pieno e le rughe espressive ai lati degli occhi suggeriscono sulla mezz’età, o anche oltre.

Questo è Abraxas Malfoy. è il pensiero graffia la mente di Piton come la crepa di un lampo contro il cielo tempestoso. Questo è lo stesso uomo che aveva convinto Lucius di avere un fratello, per poi inventarsi che è morto divorato da pericoli inesistenti, in agguato appena fuori delle mura del loro maniero. Si rende conto di odiarlo, non più come si possono odiare le forze misteriose del caso e del destino, bensì col livore più mirato e deliberato che si riserva a coloro di cui si conoscono il volto e le fattezze.
Lucius 
serra le mani fra loro per frenare chissà che moto d’ira, la voce che si alza per aggredire suo padre trema appena, come se divincolandosi da chissà che rimprovero o divieto. Gli dice che «Non va bene.» e che «Non puoi trattarmi così, che diavolo ti ho fatto stavolta?»
Ogni passo con cui il patriarca accorcia le distanze col figlio risulta attutito dal pesante tappeto disteso disteso sotto ai loro piedi e per un attimo Severus teme che Abraxas schiaffeggerà suo figlio, ma ciò non accade: le sue mani cercano le spalle di Lucius con prepotenza, poi ci ripensano e gli catturano il volto, avvicinandolo al proprio. «Che diavolo ti ho fatto io, piuttosto! Mi incolpi di tutto, mi chiedi cose solo per poi rinfacciarmele nel momento stesso in cui le ottieni e dici un mare di bugie… un momento sei mio figlio, quello dopo mi aggredisci con parole crudeli.»

C’è qualcosa di minaccioso e di profondamente inopportuno nella vicinanza imposta dall’uomo, nel modo in cui incastra lo sguardo a quello del figlio e tradisce, fra i toni bassi della voce, qualcosa di ossessivo. Ed è così, in un solo istante, che Severus si riscopre estraneo nella vita del suo migliore amico, cosciente che, qualsiasi cosa sia, quella scena non era fatta per i suoi occhi. Che non importa quale straordinario legame possa unirli, o quanto bene possano volersi, con quanto accanimento – nel modo più innocente e lascivo del termine – desiderarsi.
La rabbia sale a graffiargli la bocca dello stomaco ed è qualcosa per cui non vorrebbe incolpare Lucius, ma che gli ha sempre fatto desiderare di ferirlo e questo lo fa sentire tragicamente simile al proprio, di padre. Semplicemente, ci sarà sempre una parte di Lucius che per lui resterà completamente inaccessibile. Glielo legge in volto, nello sbigottimento e nello sconforto che hanno costretto la collera ad abdicare: emozioni, ambedue, cui il suo migliore amico si è sempre finto immune, soprattutto perfino con lui.

Sul punto di dire altro, Abraxas Malfoy si zittisce di colpo e lascia andare il volto del figlio come se avesse iniziato a bruciare, come se si fosse appena reso conto di aver fatto - o di essere stato sul punto di fare - qualcosa di orribile. Il suo «Riposa un po’, se vuoi.», ha il tono mesto che è tipico delle scuse e se le getta alle spalle mentre già oltrepassa la porta per richiudersela alle spalle. Un attimo dopo, il suono di diversi giri di chiave risuona dietro la serratura, ma la prospettiva di essere appena stato rinchiuso nella propria stanza non sembra rinverdire la collera di Lucius, né strappargli quel genere di apprensione che collocherebbe tale evento fuori dall'ordinarietà di Casa Malfoy.
Severus gli cerca lo sguardo nella speranza di trovarvi, come era accaduto nel ricordo precedente, un altro dei riflessi mancanti nel labirinto di specchi, ma l’inverno ha cessato di riempirgli le iridi. Il volto elegante ed affilato del suo migliore amico inizia a slavarsi e sbiadire, divenendo una superficie liscia e pallida fra le bionde tende di un sipario dimenticato aperto.
 
È alienante, è crudele ed è semplicemente ingiusto.
 

La stanza in stile provenzale inizia a perdere consistenza come tempera che cola lungo una tela umida; distinguere la vertigine dal cataclisma di una vita che si lascia drenare è ormai impossibile e anche Severus sente di stare iniziando a sbiadire, a dimenticare – di nuovo. In preda ad una vertigine, chiude gli occhi e respira, costringendosi a ricordare che «Mi chiamo Severus Piton e sono nato il 9 gennaio del 1954.» e che «Oggi è il giorno di San Valentino e non fa niente se la Faina si cancella la faccia, perché io me la ricordo ancora benissimo.»
L'essere senza volto che gli sta di fronte sembra fissarlo attraverso orbite inesistenti, le sue labbra si schiudono ma non ne esce che un rantolo informe; il pallore della sua mano sembra colargli fra le dita mentre le allunga in sua direzione. 
Sforzandosi con tutto sé stesso per non dissolversi, Severus continua a ripetersi che «Mi chiamo Severus Piton e sono nato il 9 gennaio del 1954. Oggi è il giorno di San Valentino e non mi importa quanti ricordi si laveranno via dalla nostra mente
». Allunga a sua volta la mano ed insinua le dita ormai sbiadite fra quelle mezze disciolte di Lucius. «Tanto non è nel tempo, che ci siamo trovati.»

Una cacofonia di suoni, di luci e di voci inizia a ribellarsi, come insofferente dinnanzi all’ostinazione con cui questo mago appena quattordicenne rifiuta di arrendersi allo smarrimento. In questo caos si affacciano il sorriso ammiccante di Lucius, il battito del cuore di Severus contro il suo orecchio, il ghigno ubriaco di Tobias, il bagliore scarlatto di un taglio aperto sulla fronte, il tocco fresco delle mani di sua madre – e poi una foresta in penombra, un parco giochi malandato, un giocattolo nuovo in un pacchetto argentato, una palla rossa su una spiaggia, il tocco di una mano che per la prima volta si avventura lungo il proprio corpo.

Una meravigliosa assenza di confini.
Un assalto, una divagazione in cui distinguere i propri flash da quelli di Lucius non è più possibile. 
Come se le loro vite, da separate che erano, fossero entrate in collisione e si fossero fuse insieme.

Poi, pur non sapendo se per proprio merito o per semplice, naturale decorso delle cose, per la terza volta si sente trascinare, poi spingere ed infine cadere.
  
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