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Autore: Violet Sparks    13/03/2022    15 recensioni
Ushijima Wakatoshi pensa di sapere tutto.
Pensa che la sua vita sia una strada dritta, precisa, incontrovertibile. Un percorso duro, forse, ma perfettamente definito, un segmento geometrico con un punto di partenza e un'unica meta, da tenere sempre a mente.
Ma Ushijima Wakatoshi ha dimenticato che, sopra alla strada, esiste il cielo, con un sole bollente che brucia e illumina e non vuole essere ignorato.
La domanda è: lui sarà pronto ad alzare lo sguardo?
***********************************************************************
Una notte come tante, dopo la sorprendente sconfitta della Shiratorizawa, Wakatoshi incontra Hinata Shoyo in circostante bizzarre ed è costretto a trascorrere con lui la notte più assurda della sua vita.
Wakatoshi prova una ostilità viscerale nei confronti del piccolo corvo e non vede l'ora di dividere nuovamente le loro strade.
Peccato però, che il mocciosetto non sia del suo stesso avviso.
E stia per stravolgere completamente la sua vita.
[USHIHINA - Ushijima Wakatoshi x Hinata Shoyo]
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tendo Satori, Wakatoshi Ushijima
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XII
La partita d’argento (Parte II)
 
Il cambiamento non ci piace, ci fa paura.
Ma non possiamo evitare che arrivi:
o ci adattiamo al cambiamento o rimaniamo indietro.
Crescere è doloroso.
Chiunque vi dica il contrario sta mentendo. (...)
E qualche volta, oh, qualche volta il cambiamento è bello.
Qualche volta il cambiamento è tutto. 
Grey’s Anatomy
 


La partita d’argento era nata nel 1992 e già alla sua prima edizione aveva raggiunto un successo fuori dall’ordinario.
Era partito tutto come un banale match di allenamento, organizzato dai due coach dell’epoca, Kim Gang-Tae e Reki Nagatsuka, legati da una amicizia di vecchia data. Lo scopo era quello di far competere le due squadre con avversari di alto livello, per affinare le strategie e correggere gli errori prima del grande debutto sui campi internazionali – dai mondiali, alle Champions League, fino ad arrivare alle tanto attese Olimpiadi- ma la faccenda era degenerata quando un noto sponsor del team giapponese, aveva deciso di invitare all’evento anche ex stelle della pallavolo, idol e personaggi di spicco, al fine di pubblicizzare un certo prodotto, con il risultato di fare il tutto esaurito a un’ora e un quarto dall’apertura delle vendite.
Visto il successo inaspettato, per la lega era stato naturale trasformare la sfida in un appuntamento fisso che permettesse di raccogliere soldi per beneficenza e, sopra ogni cosa, donasse visibilità allo sport e agli sponsor che sostenevano i giocatori di entrambe le squadre.
Col tempo, la partita d’argento aveva raggiunto una fama tale che procurarsi i biglietti era diventata un’impresa titanica, dato che la maggior parte di essi veniva distribuita tra l’élite dello sport o del mondo dello spettacolo, mentre la parte restante veniva venduta a cifre da capogiro.
Per questo, Hinata non poté impedirsi di sorridere fin quasi a farsi male le guance, vedendo le due squadre che entravano in campo, in mezzo al clamore generale del pubblico.
Non avrebbe saputo spiegare a parole la magia che stava vivendo, la potenza della folla, dei cori delle tifoserie, l’orgoglio di quei giocatori che parevano luminosi e invincibili come i supereroi dei manga.
Si chiese cosa si provasse ad essere il centro di tanto scalpore: lui si era sentito così piccolo durante il torneo di primavera, di fronte agli schieramenti della Seijo o della Shiratorizawa, che rappresentavano forse appena un quarto della moltitudine presente su quegli spalti! Non osava immaginare il terrore e l’adrenalina di essere inneggiato da un numero tale di persone, essere l’oggetto di tante fulgide speranze.
Il punto massimo dell’esaltazione, Hinata lo raggiunse insieme al fischio di inizio, nell’istante in cui il capitano della nazionale coreana si esibì in un ace diretto, con la battuta al salto più pulita che avesse mai visto da quando aveva scoperto che cos’era la pallavolo.
Gli venne voglia di lasciare tutto e correre in palestra, prendere in mano una palla solo per sentire il cuoio liscio sotto le dita. Gli venne voglia di scendere in campo, mettersi in ginocchio e gridare a tutti: vi prego, fatemi stare qui, insieme a voi! Questo è il mio posto, questo e nessun’altro, ne sono più sicuro che mai!
Se avesse potuto, non avrebbe nemmeno sbattuto le palpebre per non rischiare di perdere nessuna azione. Desiderava bere ogni singolo movimento di quelle persone, assorbirlo nelle membra, farlo proprio. Pensò che sarebbe stato bello anche soltanto tentare di schiacciare su una di quelle alzate, provare a eludere una di quelle difese, uno di quei muri.
Quanto lavoro serviva per arrivare a quel livello?
Quanto era lunga ancora la strada?
Chilometri, probabilmente, migliaia, miliardi, eppure la cosa non riusciva a demoralizzare Shoyo.
Più osservava i giocatori, più la consapevolezza di voler passare la vita su un campo di pallavolo si faceva chiara tra le valvole del suo cuore in subbuglio.
Non c’era destino diverso per lui.
Era scritto nel suo DNA, sotto la sua pelle, perennemente irrorato dal sangue.
“Grande giocata…”
Hinata quasi sussultò al sentire la voce di Ushijima di fianco a sé, non soltanto perché – si accorse- in maniera del tutto inconscia, aveva cancellato il mondo circostante in favore della partita, ma anche perché era la prima volta che il ragazzo apriva bocca, da quando avevano preso posto sugli spalti.
Aveva ragione, la giocata appena conclusasi era stata uno spettacolo, ed era valsa un punto meritatissimo alla squadra giapponese. Hinata, dunque, girò il capo verso Ushijima per dirglielo, per elargire il suo personale commento con la speranza – magari!- di intavolare una discussione con lui, tuttavia i suoi occhi rimasero impigliati sul volto di Ushijima come un gancio in mezzo ai fili e, alla fine, non riuscì a proferire parola.
Ushijima stava guardando la partita sulla punta della sedia, il busto proteso verso il campo quasi intendesse invaderlo da un momento all’altro, le labbra dischiuse e lo sguardo spalancato, a metà tra la concentrazione e la meraviglia.
Fu immediato.
Hinata riconobbe subito in lui i tratti della sua stessa fame, i sintomi della medesima malattia che tracciava il loro futuro in modo così irreversibile. E di rimando pensò che sì, forse lui e Ushijima Wakatoshi erano davvero come il sole e la luna, avevano mille cose che li rendevano opposti, ma il loro percorso no, non rientrava fra di esse, perché portava alla stessa identica meta, e ciò li avvicinava inesorabilmente.
Loro due avrebbero giocato a pallavolo per tutta la vita.
Era una certezza tanto quanto lo era il sorgere del sole al mattino, lo sbocciare dei fiori in primavera, ed era qualcosa di estremamente rasserenante, compìto, somigliava alla sensazione di lasciarsi andare nella corrente, sapendo che le onde del fiume non avrebbero mai potuto condurre in un luogo differente dall’immensità del mare.
Da quel momento in poi, gli occhi di Shoyo tornarono ciclicamente su Ushijima, in un moto istintivo, come se ciò che accadeva in campo risultasse incompleto senza il corollario delle micro-reazioni che poteva leggere addosso al capitano della Shiratorizawa.
Notò che il suo linguaggio del corpo esprimeva una scioltezza che non gli aveva mai visto prima, una morbidezza e una luce che si rifletteva, insieme al bagliore intenso dei fari del palazzetto, nelle sue iridi di un verde olivastro, ma più in generale era tutto il suo aspetto ad apparire molto più fluido, libero, lontano dal rigore che di solito gli cementava i tratti del viso.
Era quello il vero Ushijima Wakatoshi?
Era così che appariva quando era rilassato, quando non aveva orari da rispettare, diete, allenamenti, incombenze, pressioni?
All’improvviso, il ragazzo si voltò verso di lui, cogliendolo in flagrante.
Se si era accorto del suo interesse, fu abbastanza gentile da non farglielo pesare, tuttavia, per un secondo, Hinata ebbe l’impressione di cogliere un guizzo nel suo sguardo, come se avesse appena scoperto qualcosa di sorprendente da qualche parte sulla sua faccia e seguitasse nel tentativo di interpretarla.
Quel dettaglio schermì Shoyo al punto da farlo agitare sulla sedia, così finì per cozzare con le gambe contro quelle di Ushiwaka al suo fianco.
Anche in quel caso, il giovane asso non si lamentò.
“T-ti sta piacendo la partita?” chiese quindi Hinata, per sfogare l’inquietudine che gli provocava quello sguardo così pesante.
Ushijima parve ridestarsi da una specie di trance, assottigliò le labbra e “Sì, molto.” rispose brevemente.
Sul campo da gioco, l’arbitro fischiò un time-out tecnico, dalla curva della tifoseria coreana si alzò un inno violento, accalorato, ma lui e Ushijima continuarono a fissarsi.
“È questo che voglio fare, nella mia vita.” si lasciò scivolare allora Hinata, consapevole che forse solo il ragazzo di fronte a sé, insieme a pochissimi altri eletti sul pianeta, avrebbe capito ciò che intendeva davvero “Lo so che tu credi che io non sia in grado, ma non mi importa. Desidero giocare a pallavolo finché avrò forza nelle gambe, finché avrò fiato, finché il cuore non smetterà di battermi nel petto. Un giorno ci sarò io su quel campo, costi quel che costi. ”
Ushijima rallentò il respiro, “Anche io voglio giocare a pallavolo, Hinata Shoyo, e lo farò per il resto della mia vita. Non ho alcun dubbio al riguardo.”
Shoyo parve cogliere uno scippo simile ad un sorriso sulla bocca dell’altro ragazzo, ma poi la partita ricominciò e quello riportò la propria attenzione al centro del palazzetto, dove i giocatori si stavano riposizionando da una parte all’altra della rete, e a lui non rimase che tornare a guardare la partita d’argento, leggermente più frastornato di prima.
La sua pelle sembrava calda sotto i jeans, nel punto dove le loro ginocchia si sfioravano.
Preferì non chiedersi perché.

***
 

Non si rivolsero più la parola fino alla conclusione della partita – arrivata circa mezz’ora più tardi con la vittoria della nazionale giapponese, dopo un terzo set particolarmente complicato- anche allora però si limitarono a qualche frasetta spicciola, giusto il necessario per decidere di accodarsi alla folla che emigrava, chiacchierando, verso l’uscita.
Hinata marciò in silenzio dietro la schiena mastodontica di Ushijima che gli oscurava quasi del tutto la visuale, affidando a lui il loro viaggio, proprio come aveva fatto all’andata.
Non riusciva a concentrarsi, si sentiva strano.
Nelle sue vene scorreva ancora la gloriosa esaltazione degli scambi di gioco, lo slancio feroce della sfida, ma dall’altra parte il breve dialogo con Ushijima gli aveva fatto contorcere le budella, lo sguardo che avevano mantenuto gli aveva teso tutti i muscoli del corpo, cosicché al crepitio dell’entusiasmo ora si accompagnava una sorta di offuscamento di sottofondo, che gli stava rallentando le sinapsi.
Si accorse che avevano deviato dal flusso dei tifosi, solo quando Ushijima si fermò e ruotò il busto verso di lui. A quanto pareva, avevano preso un corridoio laterale, vicino alle scale antiincendio, e a parte un paio di persone che entravano e uscivano da una porticina poco distante, non c’era nessuno.
“Vado un attimo al bagno, tu ne hai bisogno?” gli disse il ragazzo, con una voce più sottile del solito, a tratti vagamente ansiosa.
“No, ti aspetto qui.” gli rispose Hinata.
“D’accordo.” annuì l’altro, poi sparì dietro la porta bianca.
Hinata appoggiò la schiena al muro e ne approfittò per riprendere fiato.
Estrasse il cellulare dalla tasca. Voleva distrarsi, quindi cominciò a scorrere i messaggi che gli erano arrivati, ripromettendosi di rispondere ad ognuno di essi, una volta che fosse salito sul treno: un paio erano di un invidiosissimo Kageyama che, tra un insulto e l’altro, gli chiedeva di raccontargli la partita, senza tralasciare nessun particolare; moltissimi arrivavano dal gruppo che condivideva con tutta la Karasuno, e a giudicare da certi improperi in capslock del coach Ukai, qualcuno doveva aver detto qualche baggianata di troppo; una mezza dozzina provenivano da Yachi e Yamaguchi, preoccupati che Ushijima lo avesse abbandonato in qualche stazione, mentre in un altro, pieno zeppo di emoji, sua madre si raccomandava di scriverle per rassicurarla, quando lui e Ushijima avessero fatto ritorno a casa.
Fu l’ultimo messaggio però, inviatogli da Sugawara, a colpire Shoyo dritto in profondità.
‘Come sta andando con Ushiwaka?’, recitava semplicemente.
Ripose il telefono in tasca.
Già, era una bella domanda, come stava andando con Ushiwaka?
In tutta sincerità, Shoyo non credeva di essere andato molto al di là della linea di confine che divideva Ushijima Wakatoshi dal resto del mondo, eppure c’era stato quel passo, quel piccolo, minuscolo centimetro di spazio guadagnato oltre le difese dell’altro ragazzo, che gli dava l’impressione che tra di loro, finalmente, si fosse messo in moto qualcosa.
Aveva avuto una strana sensazione, quando prima si erano guardati sugli spalti. Una sensazione che non riusciva ancora a scrollarsi dalle membra, nonostante il tempo che passava: era stato come se la pellicola che di solito avvolgeva Ushijima, per un momento si fosse fatta un po' meno spessa, cosicché lui avesse potuto intravedere un frammento del suo vero cuore.
Un cuore che aveva trovato incredibilmente simile al proprio.
Si portò una mano al petto, turbato da quei pensieri.
Forse sarebbe stato meglio fare una capatina in bagno, darsi una sciacquata, rinfrescarsi le idee.
Peccato che una voce squillante lo distolse all’improvviso, facendogli schizzare i battiti alle stelle.
“Lo sapevo che era lui! Te lo avevo detto!”
“Guarda che l’avevo riconosciuto anch’io, imbecille! Ti ho soltanto chiesto di non metterti a strillare davanti a tutti per attirare la sua attenzione!”
“Ah, io ho sempre ragione! Non è vero, piccoletto?
Hinata fissò interdetto prima Oikawa Tooru, che gli stava porgendo la domanda, e poi Iwaizumi Hajime che intanto sbuffava, bofonchiando insulti volgari alla volta del suo compagno di squadra.
Era davvero una sorpresa ritrovarseli lì, in piedi di fronte a lui. In generale, Shoyo non aveva messo in conto di potersi imbattere in qualche faccia conosciuta, data l’esclusività dell’evento; d’altra parte, però, c’era da dire che ormai era così abituato a incontrare certi giocatori esclusivamente sui campi da gioco, che finiva spesso per dimenticarsi che quei ragazzi, in quanto esseri umani, dovevano avere una vita anche al di fuori della pallavolo, e Oikawa ed Iwaizumi rientravano in pieno in quella categoria.
Li analizzò brevemente, quasi stranito dal non vederli indossare le solite uniformi bianche e celesti della Seijo.
Iwaizumi appariva più massiccio, così ingolfato dentro la sua felpa nera, col cappuccio, al centro il logo psichedelico di un gruppo rock, inoltre aveva un ché di vagamente minaccioso con quelle sopracciglia crucciate e le mani ficcate nelle tasche dei jeans, stracciati in più punti.
Ma colui che colpì Hinata veramente fu Oikawa, poco di fianco a Iwaizumi, impegnato a rivolgergli il suo solito sorrisetto zuccherino.
Tutti nella prefettura di Miyagi sapevano che il capitano della Seijo era un bel ragazzo – lo confermavano le sue numerose interviste sui settimanali femminili, lo stuolo di spasimanti che sgomitavano per assistere alle sue partite, sospirando il suo nome tra gli spalti- ma soltanto in quel momento Hinata si rese conto di quanto, in realtà, egli fosse bello, e in una maniera tanto vistosa ed oggettiva poi, da fargli dubitare del precedente stato di salute dei suoi bulbi oculari.
Era diverso da Ushijima. Così come l’asso della Shiratorizawa era solido, imponente, simile ad una statua perfetta e inavvicinabile, Oikawa era elegante e flessuoso, lo stelo di un fiore avvolto in una camicia bianca coi bottoni aperti per rivelare il collo delicato e un paio di pantaloni dal taglio classico, blu scuro.
Aveva una bellezza talmente radiosa ed evidente da risultare eccessiva, a tratti un po' presuntuosa.
Ma forse, era la sua aria generale a dare quell’impressione di lui, lo sguardo tagliente, il mento sempre alto, la bocca morbida protesa in una specie di broncio.
“Allora, piccino? Il gatto ti ha mangiato la lingua?” gli ribadì quindi Oikawa, beffardo.
Hinata si ridestò di colpo, scuotendo la testa.
“Oikawa! Iwaizumi! Non mi aspettavo di incontrarvi qui!”
“Mia madre è nel team legal di uno dei maggiori sponsor della nazionale giapponese! Io e Hajime abbiamo i biglietti assicurati praticamente ogni anno!” gli spiegò subito l’altro, senza nemmeno provare a dissimulare un po' della boria nella propria voce.
“E non vantarti sempre, idiota!” inveì però Iwaizumi, prima di colpirlo con uno scappellotto alquanto violento.
“Uffa, Iwa-chan! Non puoi cercare di trattarmi in maniera carina almeno quando siamo davanti agli altri?”
“Non se ne parla! È necessario che ti ricordi quanto tu sia scemo, sia in pubblico che in privato!”
“Che cattivo che sei!”
“Zitto, merdo-kawa!”
A quel punto, i due ragazzi cominciarono a battibeccare nel bel mezzo del corridoio, trascurando completamente il povero Hinata che, confuso e imbarazzato, si limitò a osservarli in silenzio, non sapendo bene come comportarsi: doveva dire qualcosa? Doveva cercare di dividerli? Doveva aspettare che risolvessero la faccenda da soli e andare via?
Giusto per elevare il grado di assurdità dell’intera situazione, all’improvviso si materializzò una figura poco dietro di lui.
“Oikawa, Iwaizumi, cosa ci fate qui?” domandò Ushijima, e Hinata poté giurare che la sua voce bassa, cavernosa, ebbe il potere di scuotere i due ragazzi dall’interno al pari di un terremoto.
Si voltarono in sincrono, allibiti.
“Noi?! Tu che diavolo ci fai qui, maledetto Ushiwaka?!” esclamò subito Oikawa, gli occhi ridotti a due fessure.
Sembrava pronto a saltargli addosso e picchiarlo con quanta forza aveva in corpo, nonostante Ushijima non avesse fatto altro che porgere una banalissima domanda. Hinata sapeva che il giovane alzatore della Seijo provava un odio viscerale nei confronti dell’asso della Shiratorizawa - reo di averlo ripetutamente sconfitto sul campo da pallavolo fin dalle scuole medie - e adesso ne stava avendo la conferma definitiva.
Lanciò un’occhiata preoccupata in direzione di Ushijima, ma il ragazzo non pareva aver accusato affatto l’astio del suo interlocutore. “Sono venuto a vedere la partita d’argento. È un evento importante per chi è appassionato di pallavolo.” spiegò infatti, senza alcuna inflessione, cosa che fece irritare Oikawa ancora di più. Ushijima non vi badò nemmeno in quel caso. Sporse solo un po' il busto verso Hinata e “Se non hai bisogno del bagno, sarebbe meglio andare. Abbiamo un lungo viaggio davanti a noi per fare ritorno a casa.” gli disse, con fare pratico.
Hinata allora arrossì, “C-certo sì!” acconsentì subito, quindi si voltò verso i due giocatori della Seijo con l’intento di congedarsi.
“Allora noi…” ma non finì la frase.
Oikawa e Iwaizumi li stavano fissando ad occhi sgranati e bocche aperte, le facce deturpate da un tale grado di sgomento -anzi, di orrore!- che Hinata si preoccupò che dietro le sue spalle potesse essere appena apparso un fantasma o fosse appena stato commesso un efferato omicidio.
Si grattò la testa, dubbioso, proprio mentre Oikawa sembrava riacquistare almeno l’uso della parola.
“V-voi d-due sta-state in-ins-“ d’un tratto si portò una mano al petto in maniera abbastanza teatrale, come se stesse avendo un malore, si girò verso un Iwaizumi ancora pietrificato, e “No, non riesco neanche a dirlo, guarda! Mi sento male solo al pensiero!” sbottò, fuori di sé.
“Voi due state insieme?” riprese quindi Iwaizumi, al posto suo.
Hinata sentì il cuore sprofondargli sotto la suola delle scarpe.
“NO!”
“Sì.”
Questa volta fu Hinata a rimanerci quasi secco per lo shock.
Alzò la testa di scatto verso Ushijima, sorpreso dalla risposta che il ragazzo aveva dato all’unisono con lui, ma lo sguardo tanto perplesso quanto innocente di quest’ultimo, gli fece presto intuire che, come spesso accadeva, egli doveva aver frainteso la domanda.
Hinata ingoiò un groppone amaro - dal forte e inspiegabile sapore di delusione- poi si affrettò a spiegare il terribile malinteso.
“Ushijima, loro non parlano dello stare insieme qui, fisicamente. Intendono se siamo… beh f-fidanzati…”
“Oh!” esclamò quindi l’asso, le guance colorate di una tenue sfumatura rosata “No allora, io e Hinata Shoyo non abbiamo nessuna relazione romantica.” specificò con la sua solita, superflua, accuratezza “Lui vive soltanto a casa mia.”
“Scusa, che cosa?!” strillò Oikawa, di rimando.
“È una lunga storia…” intervenne di nuovo Hinata “Sono stato aggredito qualche settimana fa, Ushijima è capitato di lì per caso e mi ha soccorso. Poi mi ha ospitato a casa sua per la notte, io ho insistito per restare con lui, dato che mi sono autoinvitato al campo estivo del suo liceo e anche perché… vabbè non è importante! Insomma, per adesso io vivo a casa sua, sì!”
Se possibile, le facce di Iwaizumi e Oikawa erano ancora più inorridite di quanto non fossero state in precedenza. I due rimasero in perfetto silenzio -necessitando di qualche minuto, probabilmente, per processare tutte quelle informazioni bislacche- ma anche quando sembrarono recuperare un briciolo di autocontrollo, il loro aspetto somigliava a quello di uno straccio bagnato.
“Mamma e papà lo sanno che tu vivi da Ushijima?” gli chiese d’un tratto Oikawa, sempre con un tono alquanto sprezzante.
“Mmh, ovvio!” rispose Hinata, confuso dalla domanda “Non sarei potuto mancare da casa tutto questo tempo senza dirlo a mia madre…”
“Non parlo dei tuoi genitori biologici! Che vuoi che me ne importi di loro! Intendo gli altri mamma e papà! Sugawara e Sawamura!”
“Oh! Beh sì, certo, l’ho detto anche a loro!”
“E quei due scellerati ti permettono di vivere con questo bastardo?”
“Ehi, datti una calmata!” lo sgridò Iwaizumi.
“Perché?! Lo sappiamo tutti che è un pallone gonfiato pieno di sé, troppo occupato a lucidare le sue medaglie d’oro e a crogiolarsi nella perfezione della sua miracolosa aura dorata per occuparsi del resto del mondo! Probabilmente se il piccoletto affogasse nella sua vasca da bagno, non se ne accorgerebbe nemmeno!”
“Non è così, e ti assicuro che sto molto attento all’incolumità di Hinata Shoyo nella mia abitazione.” ribatté Ushijima, la voce improvvisamente fredda, il corpo rigido.
“Non ci crede nessuno, men che meno tu…” continuò Oikawa, sempre più velenoso. Fece un passo verso l’asso, arrivando a parlargli a pochi centimetri dal volto “Non sei in grado di interessarti a qualcuno al di là di te stesso, Ushiwaka. Se non è utile per il tuo gioco, se non è in grado di ampliare la tua forza, per te non esiste nemmeno!” un sorriso stirato, falso, si formò sulle labbra del giovane alzatore “In campo, come nella vita reale, pensi di avere il diritto di diventare l’epicentro del dannato pianeta Terra! Tutti dobbiamo sottostare alle tue regole! Tutti dobbiamo prostrarci al tuo potere! Non è forse così?”
“Smettetela, vi prego…” pigolò appena Shoyo, tentando di placare la situazione.
Non gli piacevano affatto gli sguardi carichi di ostilità che si stavano scambiando i due ragazzi, non promettevano nulla di buono e lui stava cominciando seriamente ad agitarsi. Una cosa erano i battibecchi innocenti – e a quelli, oramai, aveva fatto l’abitudine per colpa di Kageyama, con cui non perdeva occasione di punzecchiarsi – ma i litigi veri e propri, gli scontri, erano tutta un’altra storia, e mai come allora Oikawa sembrava sul piede di guerra.
Suo malgrado, Shoyo capiva la frustrazione dell’alzatore, l’aveva provata sulla sua stessa pelle il giorno in cui aveva incontrato Kageyama, quell’unica volta in cui si erano scontrati in veste di avversari ed era rimasto folgorato di fronte alla sua avvilente superiorità, e poi ancora, dopo la rovinosa sconfitta che il Karasuno aveva subito proprio per mano della Seijo di Oikawa, ai primi inter-liceali della sua vita.
Lottare, impegnarsi, sudare, stringere i denti… e alla fine dover arrendersi all’evidenza di non essere abbastanza, di non poter superare il muro che si parava davanti perché semplicemente troppo alto, troppo spesso per essere abbattuto con le proprie, limitate, capacità.
Se due mesi fa il Karasuno avesse perso contro la Shiratorizawa, avrebbe detestato anche lui Ushijima? Quando era stato sconfitto da Oikawa, da Kageyama, una piccola parte di lui li aveva odiati – non poteva negarlo- ma quella più consistente aveva condannato se stesso per la sua inadeguatezza.
Forse era per questo che nella cattiveria che incupiva gli occhi grandi di Oikawa, a Shoyo pareva di scorgere le lame affilate dell’invidia, della colpa, della sofferenza?
“Sei ingiusto, Oikawa.” sentenziò Ushijima, senza retrocedere di un millimetro “Ma immagino che tu risenta ancora della sconfitta di quest’anno, quindi le tue parole non sono del tutto lucide. D’altronde è il tuo ultimo anno, deve essere stato difficile da accettare.”
“Come cazzo ti permetti, io sono lucidissimo! E poi hai perso anche tu, finalmente, o sbaglio?”
“Sì, ho perso anche io contro il Karasuno di Hinata, ma ho partecipato alle nazionali già due volte, sette se si contano pure i tornei delle scuole medie, e adesso faccio parte della squadra giapponese under-19. Tu non hai mai avuto niente di tutto ciò, non ti sei mai creato la tua occasione. Per questo dico che faremmo meglio ad avere questa conversazione in un altro momento, in cui proverai meno rancore.”
“Brutto figli-“
Oikawa alzò la mano in aria all’improvviso, caricando un pugno che si sarebbe infranto sulla mascella di Ushijima, se solo Iwaizumi non lo avesse fermato. Il ragazzo della Seijo, infatti, afferrò rapidamente il polso dell’amico e lo strattonò all’indietro, “Basta, Tooru! Stai esagerando!” gli urlò e quando l’altro tentò di divincolarsi, gridando, quello lo spinse da parte e non gli permise di avvicinarsi ancora a lui e Ushijima.
“È meglio che andiate.” disse loro, svelto, prima di tirare Oikawa per un braccio e cominciare a discutere animatamente con lui in un angolino in disparte.
Hinata era scosso. La situazione era degenerata nel giro di un istante e, per un secondo, aveva temuto sul serio che Oikawa avesse potuto colpire Ushijima, riversandogli anche sul corpo quel risentimento tossico con cui aveva intriso le sue parole.
Angosciato, cercò allora lo sguardo di Ushiwaka, tentando di carpire quale reazione avesse scatenato in lui il litigio, ma il ragazzo dei miracoli era un blocco di pietra e già stava dando le spalle alla scena.
“Hinata andiamo, per favore.” affermò soltanto, dopodiché si incamminò verso la porta antiincendio alla fine del corridoio, senza aggiungere altro.
Shoyo lo seguì ubbidiente, ma non poté impedirsi di voltarsi indietro, di tanto in tanto, per spiare la discussione violenta che seguitava dietro di loro.
Ben presto divenne difficile distinguere le voci di Oikawa e Iwaizumi: i due si parlavano sopra a vicenda, spezzavano le frasi. Gesticolavano, si spingevano, a volte si afferravano per le braccia, i polsi, i capelli. Oikawa era stravolto, forse piangeva, le spalle affossate al muro e la camicia immacolata ormai completamente sgualcita, mentre Iwaizumi, tra le sue gambe, un po' lo attaccava, un po' cercava di consolarlo, gli prendeva in malo modo il viso fra le mani e lo costringeva a guardarlo, a prestargli ascolto.
Fu così, in quella confusione di emozioni, che accadde.
Ushijima era già per le scale, a differenza di Hinata che, prima di chiudersi la porta alle spalle, d’istinto decise di girarsi nel corridoio un’ultima volta.
Iwaizumi teneva ancora le guance di Oikawa ferme tra i suoi palmi e Oikawa aveva ancora la felpa di Iwaizumi stretta fra le dita, ma ormai avevano smesso di combattere, perché si stavano baciando.
Si stavano baciando a labbra aperte, occhi chiusi, le lingue che si cercavano senza pudore.
Si stavano baciando come gli adulti, come gli attori del cinema.
Si stavano baciando come se nient’altro avesse avuto importanza.
Hinata sentì i suoi organi cambiare posizione, mettergli a soqquadro persino le ossa.
Chiuse la porta.
 
***
 
 
Oikawa e Iwaizumi erano fidanzati?
Stavano insieme?
Da quando andava avanti questa cosa?
Anche quando avevano giocato contro il Karasuno, ai tornei interscolastici e di primavera, avevano quel tipo di relazione?
Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Hinata osservò il suo riflesso sbiadito attraverso i vetri della metro che sfrecciava tra i cunicoli del sottosuolo, quasi completamente vuota, tanto diversa dalla trappola di corpi umani che era stata appena qualche ore prima.
Non riusciva a togliersi dalle pupille l’immagine di quel bacio, le unghie di Oikawa piantate nella stoffa della felpa di Iwaizumi, il modo intimo e delicato con cui quest’ultimo, invece, sfiorava la pelle del suo capitano e approfondiva il bacio, indirizzandogli la testa.
Era la prima volta che si approcciava a un tipo di amore così carnale.
Non era un bambino, conosceva il sesso e tutto ciò che ruotava intorno ad esso. Più di una volta si era arrischiato a googlare qualche immaginetta sporca sul suo PC, guidato da una curiosità deliziosamente proibita. E si era perfino toccato, sì, a notte fonda, nella sua cameretta, col cuore che gli batteva forte tanto per il pericolo quanto per l’euforia. Ma al di là di ciò, la verità era che Shoyo aveva sempre rilegato i concetti di piacere e desiderio in un angolo remotissimo della sua mente, dando loro una consistenza esclusivamente onirica, fumosa, lontana dalla realtà dei suoi giorni.
Adesso, invece, era come se i cancelli fossero andati in frantumi e quel ginepraio di sensazioni calde, pungenti, gli si fossero riversate addosso all’improvviso, scorticandogli la pelle e insinuandosi tra le sue viscere.
Era così che si amavano gli adulti?
Era questo che significava volersi, appartenersi?
Sembrava bellissimo.
Terrificante, ma soprattutto bellissimo.
“Ti senti bene? Stai avendo un altro attacco d’ansia?”
Hinata trasalì, quindi alzò la testa verso Ushijima e incontrò il suo sguardo crucciato.
Constatò che non aveva una bella cera, il suo volto era adombrato, le sue spalle tese: gli eventi del post-partita dovevano averlo scosso più di quanto Hinata avesse sospettato.
“No! No, sto bene, grazie.” si affrettò quindi a dire, scuotendo le mani.
Ushijima annuì brevemente, poi tornò a guardare le sedute vuote di fronte a sé.
“Ti sei spaventato, prima.” affermò d’un tratto, e Hinata non capì se fosse un’affermazione o una domanda.
“Un po'… non mi piacciono le risse…”
“Le risse?”
“Beh, Oikawa stava per darti un pugno! Non ti saresti difeso?”
“Difeso sì, ma non avrei risposto con un altro pugno. Non sono così, non mi piace venire alle mani.”
A Hinata scappò un sorriso: Ushijima si dimostrava sempre più maturo della sua età, anche nelle situazioni spinose. Trovava curioso che un ragazzo dall’aspetto minaccioso come il suo, capacissimo di vincere una discussione contando esclusivamente sulla stazza fisica e la severità dello sguardo, nascondesse dentro un animo così pacato, metodico, disinteressato agli scontri e impassibile di fronte alle provazioni più meschine. Shoyo realizzò che da quando lo conosceva, in effetti, solo lui era riuscito a fargli saltare i nervi dentro e fuori dal campo, cosa che gli provocava una certa vergogna.
“M-mi dispiace per quello che ti ha detto Oikawa, Japan…” gli disse allora, torturandosi le dita.
“Perché ti dispiace?”
“Non è stato gentile ad attaccarti così… non avrebbe dovuto dirti quelle cose…”
“Non ne sono così sicuro.”
Hinata fece scattare la testa verso Ushijima, cercando i suoi occhi per provare ad afferrare il filo dei suoi pensieri. Sebbene entrambi fossero seduti, il ragazzino doveva tendere il collo per riuscire a inquadrare il suo viso e, di nuovo, ebbe l’impressione che qualsiasi cosa stesse frullando nel cervello del giovane asso, lo stava appesantendo quanto un macigno.
I vagoni della metro erano semi deserti, compreso il loro, occupato soltanto da un gruppetto di ragazze intente a chiacchierare, sorseggiando frappè dai colori sgargianti, così, per un lungo istante, il silenzio venne riempito soltanto dal rumore del mezzo che sfrecciava sistematicamente sulle rotaie.
Shoyo strinse forte i pugni intorno alle ginocchia: chissà perché, nelle vene sentiva correre l’istinto di mettere la propria mano su quella di Ushijima – grande, calda, le dita spesse e nodose come le radici di un albero – per prendersi un po' di quel brutto peso.
“Perché dici così?” gli chiese però, rosso in viso. “Credi che Oikawa abbia ragione su di te?”
Non voleva tirare troppo la corda, Japan era come un animale selvaggio: se le distanze si accorciavano, senza le dovute precauzioni, poteva fuggire e sparire nella foresta da un momento all’altro.
Lo avvertì sospirare forte, “Oikawa è uno dei migliori giocatori di tutta la prefettura, forse di tutto il paese.” cominciò, serio “Un alzatore che tira fuori il meglio dai suoi giocatori è un’arma di inestimabile valore per una squadra. Se fosse venuto alla Shiratorizawa, avremmo vinto le Nazionali tre anni di fila, l’ho sempre pensato.  Così come ho sempre pensato che la sua rovina fosse quel suo inutile orgoglio e le sue manie di protagonismo, che gli impedivano di sacrificarsi all’asso, come dovrebbe essere nella pallavolo…” scosse la testa e contrasse la mascella, indurendo i tratti del suo volto “Ma ultimamente mi chiedo se sia questa la verità oppure se io… se io…”
All’improvviso, Ushiwaka si voltò verso di lui e Hinata non poté impedirsi di retrocedere un po' verso il sedile di fianco, tanta era la soggezione di avere quegli occhi verdi penetranti puntati su di sé.
“È strano…”
“C-cosa?”
“Da quando conosco te, Hinata Shoyo, mi sembra di non sapere più niente. Non riesco più a distinguere cos’è reale da cosa non lo è.”
Shoyo non rispose, ma prima che potesse essere colto dal panico, gli autoparlanti annunciarono l’arrivo alla loro destinazione, assorbendo completamente l’attenzione di Ushijima Wakatoshi.
Scesero non appena le porte automatiche si aprirono, senza più toccare l’argomento, senza più incrociare gli sguardi, quindi si incamminarono su per le scale della stazione di Shinjuko per raggiungere la parte commerciale.
Non sapeva come interpretare ciò che l’altro ragazzo gli aveva appena confessato.
Era una cosa positiva o negativa?
Lo stava forse rimproverando?
Aveva appena mandato all’aria quella piccola, preziosa reazione chimica che aveva raggiunto con lui solo qualche ora prima, sugli spalti dello stadio?
Era tutto così dannatamente confuso.
“Abbiamo un’ora prima di riprendere il treno per casa, vuoi vedere qualche negozio?”
Hinata si morse le labbra.
“N-no, veramente avrei un po' fame.”
 
 
 
 
 
 
NOTE AUTORE
Ok… ammetto che nemmeno io so da dove partire…
BUONGIORNO AMICI E BEN RITROVATI! Questo capitolo è rimasto sul PC a impolverare per qualche settimana, purtroppo, a causa degli impegni che mi hanno costretta a rimandare a oltranza la sua revisione, ma finalmente eccoci qui! SQUILLINO LE TROMBE!
 
Come avrete visto, si tratta di un capitolo abbastanza corposo, con tanti piccoli eventi che si incardinano uno all’altro e contribuiscono a porre nuovi mattoncini nel rapporto tra Hinata e Ushijima.
In primo luogo, abbiamo le emozioni della partita d’argento che finalmente sembrano far avvicinare i due ragazzi, almeno per quanto riguarda la loro passione. Hinata – ma anche Ushijima- rimangono folgorati da questa scintilla che si crea tra gli spalti e cominciano a rendersi conto di una cosa molto, molto importante: al di là delle divergenze, forse soltanto loro, malati di pallavolo come sono, possono capire veramente cosa significa questo sport nella loro vita.
Nella seconda parte, invece, l’incontro con Oikawa e Iwaizumi accende una lampadina nella testa – e negli ormoni!- di Hinata. Spero tanto di essere riuscita a mantenere Oikawa e Iwaizumi abbastanza IC e che la scena vi sia piaciuta, sia nella parte più ironica che in quella più tesa!
 
Il prossimo capitolo costituirà un passaggio importantissimo per l’intera long!
Mi duole avvisarvi però che potrebbe arrivare con un pochino di ritardo! Purtroppo sto avendo un periodo di full immersion a lavoro che mi sta rallentando su tutta la linea, ma conto di recuperare nei prossimi giorni! Incrociamo le dita!

 
A presto,
Violet Sparks 
   
 
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