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Autore: Pol1709    13/03/2022    1 recensioni
Ben ritrovati! Con questa storia si conclude il ciclo iniziato con "Il Cavaliere e la Strega" e proseguito con "La pietra della collana". Gli avvenimento sono ambientati ai giorni nostri (per ragioni di scorrevolezza della trama non ho considerato la pandemia Covid-19): Oscar verrà chiamata ad essere di nuovo un cavaliere e, con André al suo fianco, affronterà un'ultima battaglia per se stessa e per un mondo antico e dimenticato. Buona lettura!
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Gran Bretagna – Tintagel – Oggi
Oscar François de Jarjayes guardò fuori dalla finestra della sala da pranzo del Camelot Castle Hotel di Tintagel. L’albergo si trovava a pochissima distanza dal sito delle rovine dell’antico e leggendario castello che, secondo la tradizione, aveva dato i natali a Re Artù ed era stato il rifugio della sua nemica, nonché sorella, la Fata Morgana. C’era la nebbia dove si sarebbe dovuto vedere il mare. Una nebbia che avvolgeva tutto il paesaggio e lo rendeva strano, quasi magico, ma, a suo modo, affascinante, quasi ipnotico.
 
Oscar de Jarjayes, ovviamente, non era il suo vero nome. Lei era una discendente di una delle sue sorelle: Josephine Emilie Anne de Jarjayes de La Mothe-Chandeniers. Fino ad arrivare a sua madre: Alphonsine Marie Josephine de la Mothe-Chandeniers che aveva sposato Louis René De Monfort, anche lui di antica famiglia nobile ed alto ufficiale della Legione Straniera. La Storia della Francia, quindi, come pure l’ambiente e l’educazione militare, erano sempre stati presenti a casa sua. Quando da piccolina aveva iniziato a studiare il periodo della Rivoluzione Francese e, inevitabilmente, si era trovata davanti quella strana donna con un nome da uomo, era stato come essere attraversata da una scossa elettrica. La sua stessa insegnante l’aveva invitata ad alzarsi davanti alla classe e l’aveva presentata, lei, una bambina piccola, bionda e paffuta con due puntini azzurri al posto degli occhi, come una delle ultime discendenti di Oscar e aveva sentito un certo orgoglio crescergli dentro. Una sensazione che non l’avrebbe più abbandonata quando si stava parlando della sua illustre antenata.
Da quel momento aveva subito iniziato a leggere ogni e qualsiasi cosa che riguardasse Oscar de Jarjayes e, ovviamente, il suo grande amore André Grandier. Aveva iniziato a vestirsi quasi sempre con abiti di foggia maschile, a prendere lezioni di equitazione e di scherma, disciplina in cui era diventata, da adolescente, molto brava. A sedici anni, durante una visita scolastica alla grande cattedrale di Saint Denis, a nord di Parigi, aveva visto, tra le tante altre, le tombe di Luigi XVI e di Maria Antonietta. La statua della Regina di Francia l’aveva colpita più di ogni altra cosa; tanto che era rimasta in piedi davanti ad essa mentre il resto della classe continuava il suo giro. Quell’espressione che lo scultore era riuscito a dare, di pace, quasi di serenità, con le braccia incrociate sul petto e protesa in avanti, quasi a voler perdonare chi aveva fatto tanto del male a lei e alla sua famiglia, l’avevano commossa. Con gli occhi lucidi, senza nemmeno accorgersene, aveva messo un ginocchio a terra e aveva abbassato il capo: - Non…Non sarebbe dovuta finire così! Non doveva finire così! – aveva sussurrato, per poi essere interrotta dalle risate dei suoi compagni.
L’insegnante, con il volto tirato e le labbra strette, l’aveva letteralmente alzata di peso da terra e aveva continuato la visita seguita dagli altri ragazzi che sussurravano e ridevano tra di loro. Tranne una di loro: Jeanne Valadier, una ragazza dai capelli scuri perennemente arruffati, anche se dal viso angelico. Jeanne veniva considerata come la pecora nera della classe, con poca voglia di studiare e proveniente da una famiglia disagiata con madre lavoratrice saltuaria, una sorellina più piccola di nome Rosalie e padre ignoto. Per gli insegnanti era un caso disperato. Eppure Oscar aveva visto in lei qualcosa: una luce in fondo a quello sguardo spento che gridava: no! Che non era il suo destino vivere in povertà senza nemmeno provare ad emergere.
Jeanne, quella volta, si sistemò la larga giacca, probabilmente appartenuta a sua madre e si avvicinò a lei. Guardò la statua della Regina e piegò la testa di lato: – Era una bella donna! – disse solo. Poi guardò di nuovo lei e sorrise – E tu sei la discendente di quella Oscar che ha fatto prendere la Bastiglia! Ci credo che ti sei inginocchiata a chiedere scusa! Lo sai…Mia madre dice, ogni tanto, da ubriaca, a dire il vero, che anche noi discendiamo dai re di Francia…Anche se non mi ha mai saputo dire chi era il Re in questione…Oh! Ma credo che lo faccia solo per far contenta la mia sorellina –
Lei sorrise e piegò la testa di lato – Bene! Allora abbiamo qualcosa in comune! – disse e risero assieme. In quell’istante Oscar aveva trovato quella che sarebbe diventata la sua migliore amica. Jeanne possedeva, nonostante quello che gli insegnanti pensassero di lei, una mente geniale che si era attivata quando lei e Oscar avevano iniziato a studiare assieme nel grande e lussuoso appartamento della famiglia di quest’ultima, all’angolo tra rue De Rivoli e rue Du Louvre, di fronte all’omonimo museo e a poca distanza dalla Senna.
Ma se Jeanne aveva iniziato finalmente a vivere la sua esistenza; per lei, dopo l’episodio di Saint Denis, era iniziato uno dei periodi più strani della sua vita. La Rivoluzione Francese, per la Francia e per il mondo intero, era stato un evento epocale e a Parigi, la capitale rivoluzionaria per eccellenza, le scuole ne approfondivano molto bene ogni aspetto. Durante una visita scolastica a place de La Bastille, improvvisamente si era sentita male. Aveva alzato gli occhi e aveva visto, al posto del cielo azzurro, una massiccia, immensa costruzione nera che svettava sopra di lei e un terribile dolore al petto. Era caduta all’indietro come se qualcuno, o qualcosa, l’avesse spinta ed era svenuta. Durante una gita a Versailles aveva lasciato il gruppo e raggiunto passaggi e stanze non aperte al pubblico, come se lei conoscesse quella costruzione alla stessa stregua di casa sua, con una naturalezza che aveva lasciato perplesso anche il personale che si occupava da sempre della reggia. Un’altra volta, rientrata a casa, aveva trovato sua madre con un’amica. La donna si era alzata dalla poltrona e le aveva allungato la mano per presentarsi e lei, per tutta risposta e senza pensarci, aveva battuto i tacchi, si era inchinata e le aveva fatto un elegante baciamano.
Fece, quindi, moltissimi esami medici che diedero tutti lo stesso risultato: non sussisteva alcun tipo di problema fisico e quindi, per esclusione, vennero chiamati in causa quelli mentali. Dopo aver saputo della sua passione per la sua famosa antenata i medici che l’avevano in cura avevano sentenziato che la sua testa stava rivivendo, in qualche modo, la vita della sua antenata. E quindi era passata nelle mani degli psicologi che pure non trovavano nulla di strano nella sua testa.
Nel frattempo aveva iniziato l’università all’Ecole Normal Supérieur di Parigi, alla facoltà di Storia. In quel periodo aveva anche fatto richiesta di visitare il vecchio palazzo della famiglia de Jarjayes, a Versailles, oggetto di controversia tra lo Stato Francese, che avrebbe voluto farne un museo dedicato alla grande eroina della Rivoluzione e una fondazione privata con sede all’estero che ne deteneva la proprietà da diversi decenni e che, non si sapeva per quale motivo, lo teneva chiuso e senza manutenzione.
Si era dovuta accontentare, quindi, di vedere l’antico palazzo della sua famiglia solo dall’esterno. Una volta aveva persino pensato di entrarvi abusivamente, per accorgersi, fortunatamente, prima di farlo, che una società di sicurezza parigina controllava frequentemente la costruzione ed il parco tutto attorno.
In compenso aveva visto e visitato ampiamente il maniero della sua famiglia materna: il castello de La Mothe-Chandeniers, vicino a Chinon, tutt’ora in rovina e che era stata la casa della sua diretta antenata Josephine, la sorella di Oscar. Ma quel palazzo alla periferia di Parigi, quello in cui aveva camminato Oscar, dove aveva lottato, aveva dormito, pianto e riso, sempre insieme ad André, esercitava su di lei un fascino irresistibile. Come pure il grande dipinto di lei nella veste di Marte su un cavallo bianco conservato al Louvre e ci aveva passato ore intere ad osservarlo. Un giorno, mentre ne stava là in contemplazione estatica, un’anziana signora si era avvicinata incuriosita e si era piegata verso di lei – Perdonatemi, ma avete posato voi per quel quadro? Quell’uomo sul cavallo vi somiglia come una goccia d’acqua! – aveva detto semplicemente.
Mentre lei frequentava l’università, la sua amica Jeanne, che non poteva permettersi quel lusso, aveva dovuto provvedere anche al mantenimento di sua sorella Rosalie, dopo che sua madre si era fatta arrestare per furto. La ragazza, senza perdersi d’animo, aveva trovato lavoro in un night club, spogliandosi e ballando sul palo.
Una sera la polizia chiamò all’appartamento di fronte al Louvre e Oscar, prontamente, andò a vedere cosa era successo all’amica. Jeanne aveva trapassato con il tacco a spillo di una scarpa la mano dal dorso al palmo di un cliente che aveva osato toccare troppo. Qualcuno aveva chiamato le forze dell’ordine e lei e il molestatore erano stati portati in commissariato. Il cliente era una persona di una certa età, con un’aria viscida e che risultò essere nientemeno che René Rohannais, personaggio dal nome bislacco, ma leader di un partito di estrema destra ultracattolica e conservatrice che minacciava crociate contro il decadimento dei costumi, la prostituzione e gli immigrati. In quell’occasione Oscar vide in Jeanne un altro aspetto del suo carattere: un certo istinto criminale che non aveva mai visto nella sua amica. Jeanne ricattò senza mezzi termini Rohannais minacciando di rendere pubblico quello che era successo e lui, di famiglia ricchissima, fu costretto a ritirare ogni denuncia e a pagare profumatamente ed in senso letterale per quello che aveva fatto.
Jeanne si permise quindi non solo di mantenere Rosalie agli studi e, successivamente, alla Ecole de Architecture de Paris-La Vilette, ma anche di iscriversi lei stessa alla facoltà di legge all’Université Paris Sud. Quando Oscar le aveva chiesto perché la legge, la risposta dell’amica era stata semplice e lapidaria: “Perché conoscere la legge dà accesso a tutto e permette di fare quasi tutto”. E quella scelta, successivamente, si sarebbe rivelata fondamentale per entrambe.
Dopo l’università venne per lei l’impiego al prestigioso Collége de France come esperta di storia de XVIII secolo. Iniziò a scrivere libri su quel periodo e, ovviamente, sulla sua antenata e decise, improvvisamente, di cambiare il suo nome con quello di Oscar. Quella che per lei era apparsa come una semplice evoluzione e una conseguenza naturale della sua passione era stata accolta molto male. Malissimo dalla sua famiglia, fondamentalmente di vecchia nobiltà francese e che aveva sempre considerato la “ribelle” Oscar come una traditrice. E peggio ancora dall’opinione pubblica: una parte l’accusava di voler approfittare della fama della sua antenata per vendere i suoi libri e un’altra parte riteneva semplicemente assurdo “rubare” il nome di un’eroina della Rivoluzione.
C’era anche una piccola parte della popolazione che la sosteneva e, di fronte al tentennare dell’autorità giudiziaria, era intervenuta Jeanne, come suo avvocato e agente letterario. Con una battaglia legale puntata sul legame di sangue, sebbene molto annacquato, con Oscar e che aveva consacrato l’ex pecora nera della classe ed ex spogliarellista a principe del foro di Parigi, era riuscita ad ottenere il cambio di nome con la formula pronunciata dal giudice: “In nome del popolo francese e della Repubblica, Rose Antoinette Marie de La Mothe-Chandeniers de Monfort, approviamo il vostro cambio di nome: da ora in poi e nei documenti ufficiali, voi sarete Oscar François de Jarjayes”. E veramente, da quel momento in poi, fu Oscar de Jarjayes.
Nonostante le continue critiche alla sua decisione, si rituffò di nuovo nella Storia della sua antenata e iniziò a voler revisionare la sua biografia scritta dal suo contemporaneo e giornalista dell’epoca Bernard Chatelet. Nell’analisi di quell’opera, ritenuta la più completa sulla vita dell’eroina della Bastiglia, si era imbattuta, quasi casualmente in un fatto singolare indicato quasi in una semplice nota: la passione di Oscar per i racconti del cosiddetto ciclo arturiano. E non quelli di produzione francese, che pure avevano fatto la storia della letteratura francese ed europea e che riguardavano in massima parte l’amor cortese tra dame e cavalieri, concentrandosi su figure come Lancillotto e Ginevra. Oscar aveva apprezzato il vero e proprio blocco originario delle opere, quello riguardante Re Artù e i suoi cavalieri della Tavola Rotonda. Tra i testi che erano appartenuti ad Oscar, conservati al museo Des Invalides, oltre a manuali sulla guerra, sulla strategia e sulla balistica, figurava l’opera di Thomas Malory e altri testi riguardanti quello che veniva considerato come il primo Re inglese. E, cosa ancora più strana, tale passione sembrava nata dopo un viaggio in Normandia del 1775.
Era andata di persona a visitare la vecchia proprietà dei de Jarjayes, nazionalizzata alla fine del XIX secolo: una villa nella località di La Madeleine, nel Comune di Sainte Marie du Mont. Gli arredi erano stati tutti spostati e messi nel piccolo museo del capoluogo. La casa era un semplice fabbricato a forma di ferro di cavallo ad un piano solo a ridosso di Utah Beach, la prima spiaggia ad essere presa d’assalto durante lo sbarco alleato del sei Giugno del 1944 e venne usata, durante l’occupazione tedesca, dalle SS, i pretoriani del partito nazista. La sorpresa di Oscar fu ancora più grande quando scoprì che uno dei reparti che aveva alloggiato nella costruzione apparteneva alla alla cosiddetta SS-Panzerdivisionen Ahnenerbe, letteralmente: divisione corazzata SS Ahnenerbe. Quel reparto non aveva a disposizione nessun carro armato, a dispetto del nome pomposo, ma era forse l’unità più strana e, per certi versi, persino assurda di un corpo militare che aveva seminato il terrore e la morte in tutta l’Europa e che si occupava, anche da prima dello scoppio della guerra, di tutti quei fatti che esulavano dalla normale comprensione umana per volere del suo crudele e lunatico comandante: il Reichsfuhrer Heinrich Himmler.
Cosa avessero trovato o portato via le SS non era possibile saperlo. Si era recata persino all’Archivio Storico di Berlino, ma non aveva trovato alcun tipo di documentazione, probabilmente andata perduta o persino distrutta durante gli ultimi giorni di guerra.
Pochi giorni dopo il suo rientro dalla capitale tedesca venne chiamata al Collége de France a Parigi per visionare la fotografia di uno strano oggetto ritrovato sulla costa nord della Cornovaglia, in un piccolo centro chiamato Tintagel, a poca distanza dalle secolari rovine di un castello che, secondo le leggende locali, aveva visto Re Artù e nientemeno che la sua nemesi in persona, l’altrettanto famosa e mitica Fata Morgana. Al suo arrivo uno dei suoi colleghi, Maurice Lafort gli aveva raccontato di un recente viaggio in Scozia con sua moglie Odille e di una strana storia su una legione romana fantasma in un villaggio chiamato Dunblane. Quando il direttore del suo dipartimento aveva mostrato le fotografie dell’oggetto, datato con il metodo del carbonio 14 all’incirca al VI secolo dopo Cristo, aveva dato un’occhiata più per caso, dato che quello non era il suo campo di specializzazione. Ma quando aveva posato lo sguardo sui resti che si sarebbero rivelati quelli di una pistola francese del XVIII secolo si era sentita irrigidire, come in trance, esattamente come nella Chiesa di Saint Denis, a place De la Bastille e a Versailles e aveva avuto una visione ad occhi aperti: una bianca mano che teneva una vecchia pistola ad avancarica, la maneggiava come se non sapesse come usarla, l’agitava e poi la gettava in aria e cadeva…Cadeva sullo sfondo di un cielo plumbeo e precipitava da una scogliera mentre lei la guardava impotente.
Quando aveva detto, nello stupore generale, che si trattava di una pistola ad avancarica l’avevano guardata con stupore e divertimento. Successivamente la sua intuizione si era rivelata esatta. E, con una sorpresa nella sorpresa, si era rivelata davvero un’arma di fabbricazione francese con tanto di marchio e anno di costruzione: il 1772. Quelle rivelazioni avevano gettato nello sconcerto non solo lei, ma anche tutto il personale del Cornwall College che aveva sovrainteso al ritrovamento. Il responsabile, il dottor Anthony Fischer, l’aveva invitata con lui a presentare la scoperta al mondo e per farlo avevano scelto nientemeno che il Camelot Castle Hotel di Tintagel, una strana costruzione che doveva, forse, secondo i suoi costruttori, ricordare il leggendario castello di Re Artù.
Come se non bastasse, un mese prima della partenza, aveva ricevuto una mail da Londra da parte di un certo dottor Andrew Great di Londra che le comunicava di aver trovato, in un vecchio archivio del Foreign Office, il servizio segreto inglese, un rapporto riguardante un viaggio compiuto dalla sua antenata Oscar nel sud dell’Inghilterra: a Tintagel, Glastonbury e Salisbury, cittadina conosciuta perché nel suo territorio si ergeva il sito megalitico di Stonehenge. La sua sorpresa, come pure la sua curiosità, era quindi salita alle stelle: di quel viaggio Chatelet non ne aveva mai parlato nel suo libro; molto probabilmente, semplicemente, perché non ne era a conoscenza e poi tutte quelle località non rimandavano alla storia francese o a qualche avvenimento storico di fine Settecento; non facevano nemmeno parte della storia personale di Oscar, ma rappresentavano, in effetti, una sorta di viaggio per un appassionato della letteratura arturiana.
Non aveva visto in faccia il dottor Great, ma ci aveva parlato alcune volte al telefono. Aveva una bella voce, profonda e dolce, ma quello che l’aveva colpita era il suo nome: Andrew, come André e Great, che richiamava alla mente il cognome Grandier.
Ripensando a tutte quelle coincidenze improvvise aveva rabbrividito. Era stato come se qualcuno, o qualcosa, l’avesse chiamata proprio in Inghilterra. Ed era proprio lì, in quell’albergo strano a forma di castello medioevale, dopo la burrascosa presentazione di una scoperta a dir poco impossibile, che aveva deciso di andare a vedere le rovine del castello di Tintagel.
Che Oscar fosse partita da lì poteva anche capirlo, tra quelle pietre sparse tutto il ciclo arturiano era iniziato: con la rivolta del Duca di Cornovaglia, con il concepimento del Re ed era rimasta la fortezza della nemica per antonomasia, del rivale per eccellenza di Artù e dei suoi cavalieri: la potente, crudele e assetata di potere Morgana, sorella del sovrano. E proprio lì aveva incontrato la strana donna seduta di fronte a lei e che l’aveva invitata a cena: vestita anche lei come un uomo in lugubri abiti scuri, con i capelli neri e la pelle pallida in modo innaturale; di nome Morgan Drakehead.
Un’altra strana coincidenza, si era detta Oscar: la donna si chiamava Morgan, proprio come Morgana. Le due donne avevano subito legato e avevano visitato insieme le rovine, superato il Tintagel Castle Bridge per arrivare alla penisola di forma circolare a nord del sito con la King Arthur’s Statue che ritraeva il leggendario sovrano in piedi, con la sua altrettanto leggendaria spada nelle mani mentre contemplava la “sua” Britannia. Poi erano scese a vedere il cosiddetto Tintagel Heaven, la spiaggia sottostante la scogliera dove sorgeva il castello e la Merlin’s Cave, la grotta dove, secondo la leggenda, risiedeva ancora il Mago Merlino.
 
Oscar sorrise debolmente e distolse lo sguardo dalla finestra, tagliò un altro pezzo di carne e se lo portò alla bocca. Masticò con gusto e poi sorrise alla sua ospite: - Oggi abbiamo fatto una bellissima gita. E vi ringrazio di avermi consigliato il cinghiale, è decisamente delizioso –
L’altra donna sorrise mostrando dei canini decisamente e stranamente appuntiti – Mi fa piacere Miss de Jarjayes – disse sollevando un calice di cristallo con del vino rosso.
Oscar finì la sua carne e poi spinse in avanti il piatto con entrambe le mani – Sono sazia! –
Anche l’altra non aveva mangiato molto, appoggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita all’altezza del volto – Vi consiglio un tonico alle erbe Questo albergo è abbastanza grande da averne qualcuno locale, anche se in Cornovaglia siamo più rinomati per le birre –
Oscar sospirò e guardò ancora fuori dalla finestra – Oh! Gradirei veramente un amaro! Stavo ammirando la nebbia…Ogni tanto mi piacerebbe perdermici dentro –
L’altra aggrottò la fronte – Non capisco…Vorreste perdervi qui? –
Oscar sorrise debolmente e la guardò – Perdonatemi Miss Drakehead, se sono così diretta, ma a voi è mai capitato di voler…Fuggire dal mondo attuale e vivere in…In un’altra dimensione? –
La donna pallida inarcò le sopracciglia – Continuamente – disse e sorrise.
Oscar annuì – Se voi siete ospite di questo albergo sapete benissimo cosa è successo oggi e perché c’erano tanti giornalisti –
L’altra annuì – Sembra che sia stato trovato un oopart…Che sta per out of place artifact…Artefatto fuori posto…Indica di solito quegli oggetti, dei reperti archeologici, che non possono essere collegati al periodo storico al quale, tuttavia, appartengono. E immagino che quello di cui voi stiate parlando sia legato alla storia di questo luogo e alle sue leggende anche se, parola mia, non ho la minima idea di cosa possa essere –
Oscar sospirò – Ve lo posso dire io, del resto lo leggerete domani sui giornali o, magari, anche stasera su qualche strambo sito internet. E’ stata trovata una pistola, persa nella scogliera a poca distanza dal castello. Gli esami eseguiti la fanno risalire all’incirca al VI secolo dopo Cristo, proprio il periodo in cui questo posto ha conosciuto Re Artù…E la Fata Morgana…La pistola risale al XVIII secolo ed è stato trovato anche lo stemma della fonderia francese in cui è stata creata con tanto di anno di fabbricazione: il 1772…E quella è un’arma che la mia illustre zia avrebbe potuto benissimo maneggiare –
L’altra sorrise – Certo…La vostra antenata…Non certo la strega che portava il mio nome…Morgana, come Morgan –
Oscar annuì – Certo…Cosa ci faccia una pistola del XVIII e datata al VI secolo qui…Proprio non lo so…Ma, Miss Drakehead, checché ne dicano tutti quei giornalisti, quell’oggetto esiste ed è reale –
Morgan strinse le labbra – Troppo spesso gli uomini…E le donne…Reagiscono con violenza contro tutto quello che è diverso dalle loro credenze e da quello che conoscono – disse e sospirò – E’ una cosa…Naturale…Purtroppo –
Oscar appoggiò il gomito sul tavolo e il mento sulla mano – E non vi dico cosa è successo quando ho deciso di cambiare il mio nome per rendere omaggio a mia zia! Mi hanno accusato di approfittare della sua storia gloriosa per vendere i miei libri e farmi pubblicità…Ma io, ve lo assicuro, volevo solo che il mondo conoscesse davvero Oscar de Jarjayes –
Morgan socchiuse gli occhi – E chi era Oscar de Jarjayes? Secondo Oscar de Jarjayes –
Oscar si raddrizzò sulla sedia e inspirò a fondo – E’ stata…E’ stata qualcosa che non ha avuto eguali al mondo! Non è stata solo un personaggio femminile e nemmeno un semplice soldato. Come donna ha comandato la Guardia dei Re di Francia, una delle più antiche e potenti monarchie del mondo. Ha potuto vedere la ricchezza della nobiltà e la miseria del popolo e ha scelto il popolo! Come ha scelto di sacrificare tutto per il suo vero amore, André. Il sacrificio suo e del suo amato hanno fatto piangere il mondo intero. Gli hanno dedicato strade, piazze, eventi, convegni, una sezione del Musée dell’Armée a Les Invalides persino una sala del Louvre e un festival ad Arras, dove il suo corpo riposa. Ogni quattordici di Luglio il Sindaco di Parigi mette una corona di fiori nel posto dove è morta, segnalato da una targa in ottone posata dal capo del Direttorio e leader dei termidoriani che giustiziarono Robespierre, Paul Barras. Un centinaio di circoli femministi francesi usano il suo nome e anche qualche migliaio in tutto il mondo! Hanno fatto di lei film, serie animate e fumetti…Persino nel lontano Giappone! Lo sapevate che trai libri che hanno ritrovato nella stanza di Anne Frank, nel suo rifugio ad Amsterdam, c’era una versione in olandese della biografia di Oscar? E io me la immagino quella povera piccola che trae coraggio dalle gesta della mia antenata! Era alta 178 centimetri e le sue misure erano ottantasette, sessantatre e novanta, come una dannata modella! E per fare un nuovo film sulla sua vita sapete chi vogliono chiamare ad interpretarla? Scarlett Johansson, che non arriva nemmeno a un metro e sessanta! – disse e solo allora si accorse di essersi alzata in piedi piegandosi verso Morgan che, con la faccia spaventata, si era ritirata all’indietro tenendo i pugni all’altezza del petto, come per difendersi.
Oscar deglutì e si guardò attorno. Tutti i presenti, compresi i camerieri, erano rimasti impietriti e la fissavano ad occhi aperti. Si raddrizzò, batté lentamente i tacchi delle scarpe, fece un piccolo inchino e si sedette abbassando la testa – Scusate – disse piano.
Un cameriere si avvicinò piano: – Er…Scusatemi…Vi serve qualcosa? –
Oscar si limitò a tentennare e Morgan lo congedò con un cenno. Poi guardò l’altra e sorrise – Io…Accidenti! Volete davvero molto bene alla vostra antenata! –
Oscar sospirò – Volevo farvi capire che non ho preso il suo nome per farmi pubblicità, ma perché…Perché la sento parte di me…E alle volte…Alle volte, vi prego di credermi…Mi sembra di essere davvero lei –
A Morgan brillarono gli occhi e poi sorrise; prese il calice di vino e lo alzò – A Oscar, allora, all’eroina che era…E all’eroina che è – disse indicando l’altra.
Oscar sorrise e prese il suo calice – A Oscar! –
 
Poco dopo le due donne si diressero verso il grande atrio dell’albergo. Di fronte all’ascensore Oscar sorrise e porse la mano all’altra - Vi ringrazio della bella serata. E perdonatemi se vi ho fatto imbarazzare –
Morgan sorrise e gli passò un biglietto da visita – Se vi trovate a Glastonbury o…In Gran Bretagna per un qualsiasi motivo, non esitate a chiamarmi, ve ne prego –
Oscar prese il biglietto e sorrise di nuovo – Lo terrò a mente, arrivederci, Miss Drakehead – disse ed entrò in uno degli ascensori. Le porte si richiusero e Morgan sospirò; attese un altro ascensore, entrò ed aspettò che le porte si chiudessero. Prese una chiave dalla tasca della sua giacca nera, sollevò un pannello sotto la pulsantiera e la infilò nel piccolo pertugio. L’ascensore cominciò a salire; la stava portando in una sezione segreta dell’ultimo piano, creata e messa a disposizione solo per i proprietari dell’albergo. Dopo qualche istante la porta di riaprì in un corridoio rivestito di viva pietra. Morgan sapeva che le pareti erano di cemento armato e solo rivestite con sassi e pietre, ma così lei aveva voluto anni e anni prima in sede di progettazione. Aprì una porta massiccia in legno di quercia ed entrò nella stanza.
Anche le pareti di quell’ambiente erano rivestite di blocchi di pietra, come la sala di un antico castello e anche il mobilio, ad occhi moderni, sarebbe apparso antico e vetusto. Su una parete c’era un grande caminetto che sembrava intagliato nella viva roccia e, sulla mensola, era appoggiata una grande spada con fodero ed elsa neri; la guardia era in lucente acciaio, come il pomolo. Quest’ultimo aveva la forma di un uccello ad ali aperte. Sopra la spada campeggiava un vessillo bianco con il disegno di un grande uccello nero ad ali spiegate, fatto di un tessuto talmente consunto da dover essere protetto da una lastra di vetro.
La donna si guardò intorno e, come sempre, notò che la foggia antica della sala, del letto, delle sedie e dei tavoli strideva con il moderno delle lampade alogene al soffitto e alle pareti e con il serramento in alluminio della finestra; come pure il computer portatile aperto su un tavolino. Morgan notò che una luce intermittente stava brillando sullo schermo, si avvicinò e schiacciò un bottone. Dopo qualche istante apparve il volto di una donna bionda con i capelli raccolti in una treccia che ricadeva sulla spalla sinistra.
La donna bionda sospirò – Finalmente! Ti sto cercando da molto, sorella –
Morgan inarcò un sopracciglio e l’altra sospirò: – E’ iniziata…Come tu avevi predetto –
Morgan alzò il mento e si permise di sorridere. In quel momento lo schermo si divise in due ed apparve, sull’altro lato, il bellissimo volto ovale di una donna dai capelli rossi come il fuoco e dagli occhi verdi come smeraldi: - Sono qui, sorelle! So che è finalmente iniziata la fine della nostra lunga missione –
Morgan annuì e non disse nulla. La donna dai capelli rossi si portò una mano alla bocca soffocando un singhiozzo di commozione. Si ricompose subito e aggrottò la fronte – E…E tu…Hai trovato il nostro campione? –
Morgan sospirò – Oh, si! L’ho trovato, sorella! Anzi…L’ho ritrovata! –
La donna bionda abbassò per un attimo la testa e poi la rialzò stringendo le labbra – Dunque ci siamo! Lei…Lei lo sa? –
Morgan tentennò – No! Non lo sa ancora, ma lo saprà…Oh! Lo saprà, di questo non dovete dubitare, sorelle –
La donna rossa, con gli occhi lucidi, tirò su con il naso e annuì – E così sia! Ti serve il nostro aiuto, sorella? –
L’altra fece un gesto con la mano – Quando verrà il momento, sorelle, tutte noi verremo chiamate a fare qualcosa, non dubitate. Per adesso, dobbiamo solo attendere il momento più propizio –
Le due donne sullo schermo annuirono contemporaneamente e Morgan chiuse la comunicazione. Rimase per un attimo a guardare il suo riflesso sullo schermo nero e poi allungò il braccio destro verso il camino. La spada sulla mensola ebbe un sussulto e poi si librò in aria per andare ad appoggiarsi, lentamente, nella mano di lei che se la tenne stretta al petto con entrambe le mani ed estrasse di qualche centimetro la lama perfettamente lucida ed affilata: “Mia vecchia amica! E’ finalmente arrivato il momento…L’ora della nostra ultima battaglia. Sono tornata senza onori e senza gloria, senza insegne e senza titoli…E combatterò!” pensò e rinfoderò l’arma con uno scatto.
 
Gran Bretagna – Londra – Oggi
Andrew Great si coprì con una mano l’occhio sinistro e guardò la penna con l’occhio destro. La mosse a destra e a sinistra e poi la lasciò cadere sulla scrivania. Si massaggiò gli occhi e poi le tempie. Non vedeva più nulla dall’occhio sinistro e l’occhio destro si stava sempre più indebolendo. Guardò per un attimo fuori dalla grande vetrata il panorama del Tamigi e del Tower Bridge. Riconosceva la forma dello storico ponte, come pure, dalla parte opposta, quella del vecchio incrociatore Belfast, ancorato alla banchina, ma il resto gli appariva sfocato e lo sarebbe stato sempre di più con il passare del tempo.
Improvvisamente sul tavolo piombò un aeroplanino di carta. Lui lo prese e guardò l’altra scrivania, quella occupata dal suo migliore amico e collega Alan Saxton che se ne stava stravaccato sulla poltrona con le mani incrociate dietro la nuca: - Sai, Andrew…Dovresti deciderti a farti vedere quell’occhio! Sta diventando noioso anche farti gli scherzi! –
Andrew sospirò, si accarezzò i suoi capelli lunghi fino quasi alle spalle, prese l’aeroplanino di carta, lo schiacciò nella mano e lo gettò nel cestino sotto la sua scrivania – E tu dovresti deciderti a lavorare, Alan! –
L’altro alzò le braccia e fece girare la poltrona su sé stessa – E perché? Per il momento il nostro boss è impegnato con la mostra al British Museum e io me ne starò qui volentieri in questo moderno palazzo a non fare assolutamente nulla! Tu invece, dovrai scarrozzarti per Londra quella…Come si chiama? –
Andrew sorrise – Oscar François de Jarjayes –
Alan abbassò le mani e si piegò in avanti – Ecco! Quella francese là! Ho visto la sua fotografia…Bella è bella! Ma chiamarla Oscar…E’ un nome che va bene ad un gatto, non ad una bella biondina! –
Andrew sorrise – Non è il suo vero nome, ma quello di una sua antenata…Ma che te lo dico a fare! Lo sai benissimo di chi e di cosa stiamo parlando – disse e poi rimase assorto nei suoi pensieri.
Andrew aveva poco più di trent’anni; originario del Lincolnshire, aveva perso i genitori da bambino ed era stato allevato da sua nonna Mary: una simpatica, piccola e paffuta vecchietta che, superati gli ottant’anni, era abituata a bere un bicchiere colmo di gin ogni sera e a mettersi in piedi davanti ad un grande ritratto di Elisabetta II e cantare “Rules Britannia” ogni mattina. “Il mio segreto di lunga vita” lo chiamava lei. Si era laureato alla History Faculty di Oxford a pieni voti, con la voglia e la speranza di insegnare. Ma invece aveva trovato quel posto da ricercatore in una società privata che pagava molto meglio di qualsiasi istituto, compresi quelli privati e che occupava una cospicua parte del grande palazzo a forma di pigna di vetro sulle rive del Tamigi, tra il museo galleggiante dell’incrociatore HMS Belfast e del Tower Bridge. Il loro capo, nonché presidente della Historical Research Foundation Ltd, era un uomo ricchissimo, di origine svedese e recentemente era venuto alla ribalta in Gran Bretagna e nel mondo intero per un importantissimo ritrovamento archeologico effettuato nientemeno che nei pressi di Stonehenge, vicino a Salisbury.
Si era specializzato in storia inglese del XVIII secolo, anche se la sua tesi di laurea era stata fatta, contrariamente al volere dei suoi professori, che si aspettavano un argomento più inerente alla storia britannica; sulla figura storica di Oscar de Jarjayes. L’eroina della Rivoluzione Francese lo aveva sempre affascinato, fin da quando, da piccolo, aveva studiato quel periodo storico e si era imbattuto, inevitabilmente, in quel particolare personaggio. E, fino all’inizio dell’università, era stato intimamente convinto di essere stato chiamato Andrew in onore del compagno d’armi e grande amore di Oscar: André Grandier. Si era più volte detto che quella convinzione l’aveva sempre bloccato nelle relazioni con l’altro sesso. Aveva avuto molte ragazze, ma con nessuna era mai riuscito a stare per più di qualche giorno. E, si, non vedeva l’ora di conoscere quella Oscar. Quella sua lontana pro pro pro pro pro nipote che aveva cambiato il suo nome. Secondo lei per omaggiarla, secondo i suoi detrattori, ed erano molti, per vendere più libri. Quando gli era capitato per le mani un vecchissimo rapporto del servizio informazioni di Re Giorgio III sul viaggio di Oscar de Jarjayes, quella vera, in Inghilterra non ci aveva nemmeno creduto. La sua felicità era salita ai massimi livelli, anche considerando che non si sapeva assolutamente nulla di quell’avvenimento. Oscar, l’eroina della Rivoluzione, aveva fatto un viaggio in Inghilterra, nel paese considerato nemico della Francia, poco dopo la fine della guerra nelle colonie americane che avevano visto l’indipendenza e la nascita degli Stati Uniti d’America e prima di prendere il comando delle Guardie Francesi, quegli stessi soldati che, solo due anni dopo, avrebbe guidato, spada alla mano, alla presa della Bastiglia.
Perso in quei pensieri e immaginandosi Oscar in posa plastica di fronte al nero castello simbolo della tirannia borbonica, Andrew non si accorse della figura che gli aveva appoggiato una cartellina sulla scrivania. Alzò lo sguardo e incontrò i begli occhi chiari di Diane, collega sua e di Alan all’istituto e specializzata nel periodo coloniale inglese tra diciassettesimo e diciottesimo secolo nelle Americhe. Diane era una franco-canadese e, non appena arrivata a Londra, Alan l’aveva presa sotto la sua ala protettiva, ma non come una ragazza da conquistare, ma più come una vera e propria sorella. In effetti il suo bel viso e i suoi capelli castani mossi formavano un quadro delizioso che solo Andrew, per un breve periodo, quasi sei mesi, il più lungo della storia delle sue relazioni, era riuscito a conquistare.
La donna sorrise – Che hai…Pensi alla tua bella francese? –
Andrew sbuffò – Mi sembra che tutti voi pensiate alla bella francese! Magari la porterò qui e così la vedrete dal vivo –
Diane annuì – Non vedo l’ora! Ho letto alcuni dei suoi libri e sono molto interessanti…Specie quelli sulla sua antenata. E’ come se le cose le avesse vissute di persona…Ma non sono qui per questo! Nella cartella c’è il tuo prossimo incarico, il grande capo ha comunicato che lui in persona accoglierà la de Jarjayes –
Andrew rimase a bocca aperta e guardò Alan – Ma come… -
L’altro scrollò le spalle e si alzò, andò a sedersi sulla scrivania dell’amico con una gamba a ciondoloni e sorrise mestamente: - In fondo, se ci pensi, è anche giusto così. Ti dimentichi sempre che l’antenato del capo era stato l’amante di Maria Antonietta…Quella Maria Antonietta che Oscar de Jarjayes, quella vera, conosceva. Credo che lui lo trovi in qualche modo elegante! Del resto il suo pro pro pro…Qualcosa…Zio deve averla senza dubbio incontrata quando bazzicava Versailles per farsi qualche giro di giostra con la Regina di Francia –
Andrew aggrottò la fronte – Riesci a rendere qualsiasi cosa squallida, Alan –
L’altro sorrise e incrociò le braccia sul petto – Andiamo, amico mio, è chiaro come il sole che Fersen vuole conoscere la de Jarjayes! Che cavolo! Sembra un film o un pessimo libro: i discendenti di due importanti personaggi storici che si incontrano…Non lo trovi divertente? –
   
 
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