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Autore: _ki_    05/09/2009    3 recensioni
Un Mondo Magico sotto il dominio di Voldemort. La morte dell'unica persona che avrebbe potuto salvarli. La fine di tutto... o no? C'è ancora qualcuno che continua a combattere, nell'ombra, per un futuro diverso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 1

 

«Scappa Ginny!»

«No! Non ti lascio qui!»

«Crucio!»

«No!»

«Ginny vieni via!»

«no! Draco! Draco, no!»

Delle braccia robuste presero Ginny per la vita e la strinsero forte mentre i colori della battaglia si confondevano e Ginny veniva catapultata a terra. Notò che non era più sul marmo di casa, non era a Villa Fatata. Si erano smaterializzati.

«Draco... Draco...» singhiozzò la ragazza. Una mano le si posò sulla spalla, ma lei la respinse con forza.

«Ginny, Draco...»

«No!» urlò la ragazza, con quanto fiato aveva in gola. «Sta’ zitto! Non ti voglio sentire! sparisci, va’ via! L’hai abbandonato! L’hai...» e riprese a singhiozzare. Blaise Zabini la strinse a sé.

«Ti odio, Zabini» borbottò la ragazza, non cercando comunque di sottrarsi a quell’abbraccio di cui aveva un estremo bisogno.

«Saprà cavarsela. Ci sono i tuoi fratelli con lui. Tu non devi assolutamente scontrarti con qualcuno».

Ora Ginny se lo scostò di dosso.

«Sta’ zitto Zabini. Tu non capisci niente» sibilò guardandolo negli occhi. Blaise sorrise.

«Quando tutto sarà finito mi ringrazierai».

La ragazza emise uno sbuffo.

«Tutto questo non finirà mai, Balise, mettitelo bene in testa. Anche tu, come Draco, verrai cercato e i tuoi genitori ti infliggeranno la giusta punizione. Moriremo tutti, prima o poi».

Blaise sentì un blocco allo stomaco che gli fece volgere lo sguardo lontano dal viso infuriato della ragazza. Lui sapeva, sapeva che non sarebbe finito molto presto tutto questo. Sapeva che sarebbe morto, che i suoi genitori lo consideravano feccia che andava eliminata e presto così avrebbero fatto. Sapeva che lui non aveva speranze. Ma loro sì. Loro avrebbero custodito i loro figli, li avrebbero cresciuti come si deve e avrebbero posto la parola fine sulla terribile guerra che li aveva travolti. Loro meritavano di vivere. Per questo aveva portato Ginny lontano da casa.

Ginny si accorse dell’improvvisa tristezza dell’amico.

«Oh Merlino. Scusa! Scusa Blaise! Non volevo... io... intendevo... Oh scusa...» e riprese a singhiozzare.

«Non ti scusare Ginny. Hai detto quello che pensavi. Hai solo messo a parole quello che penso da tempo» la rassicurò Blaise accarezzandole i capelli con gentilezza.

Quei capelli che avrebbe accarezzato tutti i giorni.

Scostò la mano bruscamente e se la infilò in tasca, quindi si alzò e sfoderò la bacchetta.

«Dove mi hai portata?» chiese Ginny alzandosi a sua volta, non accortasi di quel movimento brusco.

«Dove i tuoi fratelli mi hanno detto di portati. Quelli che... beh, verranno qua» distolse lo sguardo dal viso di nuovo rigato di lacrime della ragazza e si guardò intorno. Era una pianura. Ai suoi lati, due colline. Una di quelle colline era stata la casa di Luna Lovegood. Ora era solo terra piena di detriti.

«Siamo» Ginny deglutì. «Siamo vicino a casa mia» un sussurro, niente di più, che la fece piangere ancora. Ricordava la Tana, quel giorno di molti anni prima, assediata dai Magiamorte, incendiata con il corpo di suo fratello Percy dentro, che aveva dato l’allarme a tutti sull’arrivo del nemico.

Cadde di nuovo a terra e si prese il viso fra le mani. Blaise, questa volta, preferì restare in piedi e lasciarla ai suoi ricordi.

Ginny aveva ormai smesso di singhiozzare da tempo, e ora solo le lacrime rigavano il volto della ragazza, quando un forte pop la distrasse dal suo dolore.

Erano a pochi metri da loro. Ginny balzò in piedi con una rapidità sorprendente ed incominciò a correre. Anche Blaise, accortosi dello slancio della ragazza, voltò il capo verso il gruppo di persone ed incominciò ad avvicinarsi, il passo spedito ed un sorriso un po’ tremolante in volto.

Ginny si fermò a pochi passi dal gruppo. Guardò i suoi familiari.

Remus era davanti. Reggeva a fatica Dora, che aveva un grosso taglio in fronte, e teneva per mano il piccolo Teddy, che si reggeva il braccio con una smorfietta di dolore, ma per il resto erano tutti e tre salvi.

Affianco a Dora Ron respirava a fatica. Aveva del sangue incrostato sui capelli e un occhio gonfio.

Poi veniva Neville, che teneva per mano Nives. Dietro i loro s’intravvedevano George e Luna, stanchi ma illesi. Bill e Fleur erano accanto a loro. Fleur si teneva il grembo con una smorfia.

Lavanda, dopo essersi fermata, cadde a terra con un sospiro e restò lì.

Fred era dietro di tutti. Reggeva la neonata in una mano e con l’altra teneva ancora salda la bacchetta, guardandosi intorno furtivo.

Balise si affiancò a Ginny, il sorriso che scompariva piano dal volto.

«Do... dove sono Hermione e Draco?» chiese. Ginny trattenne il fiato. Remus abbassò lo sguardo, scuotendo il capo, così come fecero quasi tutti. Fred guardò Ginny in viso, così lei poté accorgersi che aveva gli occhi lucidi.

Sentì i singhiozzi salirle in gola. Scosse il capo con furia e chiuse gli occhi: meno guardava meno male stava.

Blaise sentì le lacrime pungergli gli angoli degli occhi. Ma non le lasciò uscire. Si voltò, in modo che i presenti non lo vedessero, e abbassò le spalle, sconfortato. Il suo miglior amico non ce l’aveva fatta.

«Hanno dato fuoco alla casa. Ancora» disse Remus, la voce roca. Ginny scosse di nuovo il capo. Non voleva sentire nient’altro. «Non siamo sicuri che li abbiano uccisi».

«E cosa credi che ne abbiano fatto? Li hanno portati con loro per offrirgli un banchetto e trattarli come vecchi amici?» esclamò Blaise, ancora girato di spalle. Remus scrollò le spalle.

«Potrebbero averli imprigionati per costringerli a dir loro dove siamo» fu la sua semplice risposta, quindi si voltò verso Teddy, lo prese in braccio e portò Dora a sedersi accanto ad un albero solitario. Ron si avvicinò timidamente a Lavanda e si accovacciò, prendendole il viso tra le mani per sollevarlo. Questa scostò in malo modo le mani e si inginocchiò con una smorfia di dolore. Ron vide così il sangue che le impregnava la veste da notte.

Cercò di parlare, ma la ragazza fu più veloce.

«Ce l’avevi ad un passo. Era ancora lì, distesa. Potevi prenderla. Perché non l’hai fatto?» aveva sussurrato così piano che nessuno, apparte Ron, poté sentirla. Questi si sentì sprofondare in un baratro oscuro, ma non rispose.

«Non l’hai dimenticata, vero? Volevi farle un torto? Volevi fare un torto a tuo fratello? Sei uno stupido, Ronald Weasley» e detto ciò si mise in piedi, pur a fatica, da sola e si avvicinò con passo traballante all’albero dov’era appoggiata Dora e dove si stavano riunendo tutti. Luna le andò accanto e la sorresse con il corpo minuto.

Bill fece sedere con molta lentezza la moglie e le scostò i capelli dal viso, sorridendole con quanta convinzione poteva. Questa ricambiò con dolore il sorriso e si strinse la mano di Bill sul viso con tristezza.

Blaise si voltò e trovò ancora Ginny davanti a lui, le mani in volto e il petto che si alzava e abbassava a ritmo irregolare. Le toccò un braccio con gentilezza e le scostò i capelli dal viso. Ginny abbassò le mani e lo guardò negli occhi. Leggeva in quelle pozze azzurre lo stesso dolore che provava lei. Così, senza pensarci, gli buttò le braccia al collo e lo strinse in un abbraccio, che il ragazzo restituì un po’ titubante.

Ron rimase a terra. Delle gocce caddero sul suolo erboso e presto diventarono molto frequenti. Il gruppo alzò lo sguardo verso il cielo come un unico elemento e i nuvoloni grigi che si presentarono agli occhi dei presenti li fecero rattristare ancor di più. Anche il cielo sapeva di aver perso due delle poche persone che ancora si opponevano a Lord Voldemort.

 

*

 

Hermione venne spinta in malo modo dentro una cella e dietro di lei la serratura venne fatta scattare. Qualcuno rise e Hermione si sentì mancare.

«Non avrete mai nulla da me!» urlò quasi senza rendersene conto. Ancora una risata, poi il nulla.

La ragazza di mise seduta e cercò di scrutare il buio attorno a lei. Ma non vedeva più in là della sua mano.

Non ricordava precisamente com’era finita in quel luogo, di qualunque luogo si trattasse. Ricordava Villa Fatata, quella sì, ricordava Fred che l’avvisava dell’arrivo dei Mangiamorte, lei che prendeva Rose e scendeva di sotto per andar via. Ricordava di essere entrata in cucina, poi tutto si era fatto confuso. Qualcuno le aveva lanciato una maledizione e lei l’aveva schivata solo per un soffio. Poi però qualcosa doveva averla colpita, perché si ricordava di esser caduta a terra ed essersi svegliata solo quando l’avevano spinta nella cella. Constatò con un rapido esame di aver preso una botta in testa e una storta alla caviglia, perché le doleva al minimo movimento. Si toccò i capelli in cerca di tracce di sangue, ma con suo enorme sollievo non aveva ferite sul capo, solo un livido che al minimo tocco protestava vivacemente.

Cercò di prendere un respiro profondo, ma quello che venne fuori fu l’ennesimo sospiro frammentato dai singhiozzi che premevano di uscire.

Pensò ai suoi genitori, che non vedeva ormai più da anni, alla sua nuova famiglia, che aveva appena perso. Pensò a Fred, che sicuramente in quel momento non sapeva che pesci prendere, pensò alla sua piccola Rose. E pianse. Le lacrime le sgorgarono dagli occhi prima che potesse anche solo pensare di fermarle, e così le lasciò fare. Lasciò che quelle gocce calde le attraversassero il viso con gentilezza e cadessero sul suolo sudicio della cella. Si sfogò, piangendo tutte le lacrime che possedeva, singhiozzando fino a sentir male al petto, sussurrando ogni tanto i nomi dei suoi amati.

Dovevano essere passate ore, ormai (non che ne fosse sicura, non si capiva molto in quella cella lontana dal mondo), quando finalmente le lacrime incominciarono ad esaurirsi e i singhiozzi divennero semplici respiri irregolari. E fu in quel momento, mentre la razionalità si faceva largo a spintoni decisi tra la disperazione che l’attanagliava, che la porta della cella fu aperta.

Un cigolio di ferro disperato accolse l’entrata in scena di qualcuno che non riusciva a vedere. L’improvvisa luce che illuminò la cella le fece dischiudere gli occhi, infastidita.

«Alzati. Forza, ora. C’è qualcuno che vuole vederti» disse una voce strascicata che fu impossibile da riconoscere. Forse poteva sbagliarsi, ma le sembro, mentre mani rudi le afferravano un braccio e la strattonavano in malo modo in piedi, che quella voce avesse un che di disgustoso. Come di... fogna.

Una fitta allucinante alla caviglia la fece urlare di dolore, ma l’uomo che le teneva ancora saldo il braccio non accennò a fermarsi. Si chiuse la porta della cella alle spalle e prese a camminare con una certa fretta, facendo così venir fuori il lato rude di Hermione, che incominciò a insultarlo con tutti gli epiteti disgustosi che aveva imparato nel corso della sua breve vita. L’uomo, comunque, che ora alla luce Hermione poteva vedere un pelo meglio, non accennò ad averla sentita e tirò dritto, svoltando per tanti di quei passaggi che Hermione presto perse il poco orientamento che aveva cercato di mantenere.

Come aveva immaginato solo a sentir la voce, l’uomo a lei davanti aveva un aspetto piuttosto ripugnante. Aveva lunghi capelli neri tendenti al grigio sporco, impiastricciati da macchie poco rassicuranti di rosso bordò e a volte anche verde. Gli occhi giallognoli erano iniettati di sangue e il viso, che un tempo doveva essere stato almeno chiaro e pulito, era cosparso da polvere nera che gli dava un aspetto alquanto pipistrellesco. Era un po’ gobbo, più basso di lei, e con almeno una ventina di chili in più di quanti se ne poteva permettere. Indossava abiti logori e sporchi come il suo viso, ed Hermione notò le dita con le unghie nere e gialle delle mani che la fecero rabbrividire: abituata almeno a quel poco di pulizia che era il decente, vedere quell’essere ripugnante che le stringeva un braccio con le mani sudice e incrostate dello sporco più ripugnante del mondo non era proprio rassicurante.

Rimasero in silenzio a lungo, Hermione intenta a non pensare a ciò che la stava toccando, l’uomo concentrato sulla strada da prendere per far perdere l’orientamento alla ragazza (o almeno così lei pensava, perché non riusciva a spiegare in altro modo le continue deviazioni e le immersioni in cunicoli bui come una notte senza stelle, luna e città luminose nei paraggi).

Aveva ormai calcolato che altri due metri e sarebbe crollata a terra svenuta per il male alla caviglia, quando l’uomo si fermò davanti ad una porta completamente indistinguibile dalle mura scure e incrostate di sporco.

‘Certo che si trattano bene in questo luogo’ pensò la ragazza contemplando l’unto che poteva vedere dappertutto. Ormai sospettava che, stando in quel posto, si stesse contaminando anche lei di tutta quella sporcizia.

«Ti conviene badare a quello che dici, ragazza, o non uscirai viva da questa stanza» borbottò l’uomo con un ghigno sadico, prima di infilarla oltre alla porta a forza, facendole urlare l’ennesimo insulto. Cadde in ginocchia con pateticità e non si alzò per un periodo di tempo che le parve infinito. Tutti i muscoli della gamba destra pulsavano così forte che sembrava andasse a fuoco l’arto. Il viso volto verso terra, aspettò la sua fine che sarebbe arrivata molto presto (sperava). Poi, dopo attimi interminabili di silenzio, constatò più saggiamente che molto probabilmente prima l’avrebbero torturata per estorcerle informazioni preziose sui superstiti con cui viaggiava, quindi forse l’avrebbero lasciata a marcire lentamente nella sua cella, divorata dai topi e sommersa da scarafaggi intenti ad avventurarsi nella sua bocca e su per il suo naso. Un rivolo gelato le attraversò la spina dorsale per tutta la sua lunghezza, quindi decise che forse alzare lo sguardo non le avrebbe procurato molto dolore in più di quello che già le torturava gli arti e si espandeva in tutto il corpo come formiche lavoratrici nel loro giorno di festa intente a procurarsi più cibo possibile.

Alzo molto lentamente (molto probabilmente il bradipo più pigro del mondo sarebbe stato cento volte più veloce di lei) il capo e guardò fisso un punto davanti a sé. Non vedeva molto così, in realtà. Davanti a lei c’era una scrivania di legno scuro da cui spuntavano un paio di gambe snelle fasciate da un abito scuro.

Il silenzio regnava sovrano nella stanza che (Hermione lo constatò quasi con un sospiro) era molto più pulita dei posti che aveva “visitato” negli ultimi venti minuti. Rimase alcuni attimi a contemplare quel poco che riusciva a vedere della persona che le stava di fronte, intimorita da quello che sarebbe successo di lì a poco.

‘Potrà sembrare stupido, adesso, ma non ci tengo a marcire con degli scarafaggi in bocca’ pensò, rabbrividendo solo all’idea.

‘Certo, però, resto ancora un altro po’ qui in silenzio e finisco con l’addormentarmi...’

«Non vi dirò niente» fu la prima cosa che le venne in mente di dire mentre cercava (invano) di alzarsi in piedi. Una fitta prepotente alla caviglia la fece gemere contrariata. Odiava farsi male.

Qualcuno rise. Era una risata che le accendeva un campanello di allarme nella mente. Non che fosse maligna, tipo quella di Bellatrix Lestrange, anzi, era un po’ derisoria, forse, ma sincera e stranamente gentile. Era più il fatto che le sembrava in qualche modo familiare, come qualcosa che non si sente da tempo e fa fatica a tornar in mente appena lo si risente. Come se quella risata l’avesse accompagnata per la sua vita con dolcezza, fosse stata presente nei suoi momenti migliori e peggiori. Come se Hermione conoscesse quella persona che rideva.

‘Maledetta caviglia’ si ritrovò a pensare la ragazza. Aveva una tremenda voglia di guardare la persona che le stava davanti negli occhi, non fissare le sue gambe.

«Dovrete uccidermi» mormorò ancora la ragazza, con più sicurezza di quanta ne avesse in corpo.

«Prendi tempo» le diceva sempre Fred quando i loro discorsi viravano verso una sua presunta cattura. «Cerca di farli parlare. Più parlano più si distraggono. Devi sembrare decisa, sicura di quello che fai, anche se dentro sei disperata e non trovi via di fuga. Questo li farà pensare in una tua arma segreta, un modo per sfuggirgli. E più parli, più loro si dimenticano quello che stavano facendo. Devi distrarli a parole. Combattere non serve in questi casi, non quando sei probabilmente senza bacchetta e sfinita dopo uno scontro».

«Non mi prenderanno mai» ribatteva con fermezza Hermione, sorridendo al ragazzo. «Non finché ci sei tu con me. Nessuno ci deve separare».

In quel momento quelle due semplici frasi le sembravano le più stupide e infantili del mondo. Era stata catturata, era stata allontanata da Fred, da Rose, da tutti. Era tutto perduto. Sarebbe morta.

«Non ti preoccupare, questo non succederà» ribatté la persona, con una fermezza ed una calma invidiabile. Ed Hermione si sentì mancare. Non perché, oltre alla calma, c’era una gentilezza agghiacciante in quella voce. Non perché l’uomo si era alzato e si era parato davanti a lei con la bacchetta in mano. Non perché lei era disarmata, piena di ferite e prossima a morte certa. Ma perché quella voce era, presumibilmente, l’ultima che si era aspettata di sentire tra quelle che aveva immaginato mentre cercava una via di fuga. Perché la persona che aveva davanti era l’ultima che avrebbe voluto vedere in quel luogo. Perché quei capelli scuri, spettinati, gli occhi verde smeraldo, gli occhiali cerchiati di corno, il corpo minuto ma muscoloso, il sorriso beato stampato in volto, erano cose che non vedeva da anni e che mai avrebbe pensato di rivedere.

«Non è possibile» mormorò, mentre l’uomo si chinava su di lei e il sorriso si allargava di più. Hermione pensò che forse, in fin dei conti, ora poteva davvero dire di aver visto di tutto prima di morire.

 

 

Spazio ringraziamenti:

 

Ringrazio le gentili persone che hanno aggiunto questa storia tra le preferite:

1 - millyray
2 - yuukimy

 

Quelle -quella, a dir la verità- che l’ha aggiunta tra le seguite:

 

1 - emmetti

 

Le persone che leggono senza dar segni di vita ritracciabili e, infine, le dolcissime persone che si fermano anche per una recensione:

love luna: eccomi qua con il seguito ^_^ Sai, anche a me sono sempre piaciuti Fred e Hermione insieme, così anche come George e Luna! Spero questo capitolo ti piaccia come il precedente.. bacini ^_^

emmetti: assie assie per i complimenti... eccoti il seguito ^_^ allora.. com’è? Spero ti piaccia come l’inizio... beh, aspetto la tua recensione C= Bacini...

 

Bene... al prossimo capitolo. Spero (come sempre) che possa piacervi questo cap e che mi recensirete, anche solo per una critica su qualcosa che non va ^_^

Bacini a tutti quanti _ki_

   
 
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