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Autore: Ahiryn    15/03/2022    5 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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VIII


Accademia




 

893 p.U.
 



Le statue degli antichi fey, come li aveva chiamati Zario, erano un luogo di assoluto silenzio.
Kieran si sorprese di vedere tutte quelle rovine di pietra ricoperte e invase da grossi rampicanti, non aveva mai visto nulla del genere. Sembravano rovine di piccole case dalle forme oblunghe con incisioni circolari, ma non sapeva spiegarsi che cosa fossero. Le sue conoscenze storiche e archeologiche erano molto scarne e non aveva idea se quei resti fossero appartenuti a qualche civiltà umana del passato.
Lì di fronte si srotolava una vasta radura immersa nell'oscurità; statue stilizzate di antiche fate si succedevano come pezzi disordinati su una scacchiera. Erano ricoperte di muschio, licheni e fiori. Alcuni volti e corpi erano levigati nel legno degli alberi, nei massi e sui tronchi caduti. Sembrava di aggirarsi per un giardino pieno di persone intrappolate nella natura, incastrate negli alberi e nelle pietre.
Ricordava davvero un giardino reale abbandonato o un luogo maledetto.
I prigionieri vennero fatti sfilare fra le statue e legati ai margini della radura ad alcune radici in modo che potessero vedere bene lo scontro. Erano troppi, alcuni erano esausti o feriti, portarli via di soppiatto sembrava all’improvviso un’impresa impossibile.
Gli abitanti ancora vivi e liberi della corte presero posto sui grossi rami degli alberi, i bambini si sedettero con le gambe penzoloni, a distanza dal centro dello scontro.
Si stava mettendo davvero male; doveva farsi venire in mente un modo per sistemare tutto, perché non gli rimaneva molto tempo.
A Kieran era stato concesso un piccolo scranno di legno dove sedersi per assistere al combattimento, per il suo ruolo di accompagnatore di uno dei contendenti.
Si concentrò sulla situazione e valutò in fretta una soluzione.
Da dove si trovava, sarebbe stato difficile aiutare i prigionieri, che erano esattamente dalla parte opposta della radura. Forse però i tre cadetti sarebbero riusciti a scivolare alle loro spalle e a liberarli.
Rimaneva il problema delle due guardie. Erano due fate malconce e ferite, ma ancora armate e vigili.
Doveva sperare che Zario riuscisse a spostare lo scontro più in là, così da celare alla vista di Visnia i prigionieri. A quel punto avrebbe potuto svicolare dalla sua postazione e attaccare le due fate.
Cercò di comunicare il piano a Zario, che si stava ricoprendo le mani di uno strano nettare profumato.
Indossava l'armatura levigata e il suo elmo di ossa. Era in piedi, accanto a lui, pronto per il duello. Se lo avesse incontrato senza conoscerlo, ne avrebbe avuto una gran paura, sembrava un guerriero davvero temerario.
Aveva raccolto i capelli rossi in una treccia, e la pelle bianca di betulla era coperta quasi interamente dall'armatura e da quel nettare scivoloso.
‒ Potresti affrontarla in volo.
Zario osservò i prigionieri e poi le statue. Nel suo sguardo c'era una rassegnazione malinconica, come se essere arrivati fin lì fosse già una sconfitta troppo grande.
‒ Visnia è ferita all'ala. Non si leverà in volo se non sarà costretta o provocata. Mi incalzerà con la sua magia da terra.
Kieran rifletté. ‒ Come posso aiutarti? ‒ domandò ansiosamente.
Non conosceva affatto Zario e neanche trovava qualche somiglianza con un essere come quello. Era una creatura distante da lui, ma in quel momento gli sembrava che ci fosse un legame fra di loro.
Era disposto a morire per tutti loro, e lo faceva con uno stoicismo e una determinazione che aveva visto ben poche volte nella sua vita.
Zario sembrava quasi una divinità ai suoi occhi giovani, un guerriero eterno e costruito solo di idealismi.
La fata gli rivolse una lunga occhiata. ‒ Loro distruggeranno la mia casa, se dovessi vincere.
Non era una domanda.
‒ Loro?
Sfiorò con l'unghia lo stemma del Ferro appuntato sulla placca metallica di Kieran. ‒ Verranno qui con i loro demoni di metallo e insozzeranno il bosco di piombo e morte.
Kieran seppe che quello era un momento cruciale.
Tutto ciò che doveva fare era mentire, mentire come sempre. Dirgli che non sarebbe accaduto, che anzi, li avrebbero ringraziati per l'aiuto reso.
‒ Sì.
La sua risposta fu laconica e spettrale.
Non poteva mentire a una persona che andava a rischiare la vita per loro. Non poteva.
Quella era stata la sua casa e quelli erano i suoi simili, i suoi cari.
Zario lasciò che i suoi occhi sondassero il bosco.
‒ A prescindere da cosa accadrà, sia che Visnia trionfi o perisca, se vedrai un'altra alba domani, dovrai dire loro che nessuna fata è sopravvissuta.
Kieran sbatté le palpebre. ‒ Come?
‒ Voi umani sapete mentire, mentite di continuo, giusto? Menti, dì loro che nessuna fata è rimasta in vita. Periti tutti in una guerra intestina fra fratelli in cui gli umani sono rimasti coinvolti. Puoi farlo, piccolo guerriero?
Kieran aveva la bocca secca, ma l'appellativo gli colorò le guance. ‒ Sì, certo. Ma verranno a controllare. Pattuglieranno il bosco.
Annuì. ‒ Se sopravvivrò porterò via la mia gente. Un'altra corte ci ospiterà, abbiamo alleati. Se dovessi morire gli altri migreranno da soli in luoghi più ospitali. Non Visnia però, che cadrà sotto i vostri colpi. Lei non abbandonerebbe mai la corte, non dopo averla conquistata.
Kieran si toccò la nuca. A quel modo non li avrebbero braccati, sì, era una buona idea.
‒ Lo farò, ma Visnia cadrà oggi.
Zario sorrise e per un attimo vide in lui lo stesso giocoso atteggiamento delle altre fate. Ma scomparve, inghiottito dalla serietà del momento.
Kieran voleva porgli molte altre domande, la curiosità lo divorava e temeva che quella fosse l’ultima volta che lo vedeva vivo.
‒ Ha ucciso tua figlia?
Zario smosse la terra con il manico della lancia. ‒ Sì. Mia figlia Velia, sua sorella.
Kieran aggrottò le sopracciglia e qualcosa scattò nella sua testa. ‒ Visnia è tua figlia?
La fata prese una piccola coccinella poggiata sulla spalla di Kieran e se la poggiò fra i capelli. Sembrava confuso dalla domanda. ‒ No. La seconda nascita di Visnia non mi riguardava, io ho avuto il compito di occuparmi di quella di Velia.
La risposta lasciò Kieran molto disorientato. Ricordava vagamente qualche lezione sul fatto che le fate affrontassero due gestazioni, che era il motivo per cui i purosangue faticavano a riprodursi come gli umani, ma non aveva idea di che cosa significasse quella risposta.
Forse sbagliava a vedere la Piangente come madre e Zario come padre, ma quelli erano i suoi capisaldi e non conosceva altre varianti.
‒ Mi dispiace ‒ disse allora, preferendo non porre altre domande, benché fosse curioso.
‒ Velia non avrebbe mai potuto vincere contro sua sorella. Aveva il cuore delicato di sua madre e la mia pessima attitudine alla magia.
Kieran si torturò il labbro. ‒ Perché Visnia ha fatto tutto questo?
Il volto di Zario si contrasse, diventando affilato e inumano. ‒ I funghi che crescono sui tronchi possono infestarli e farli marcire, poi diffondersi sugli altri e pian piano uccidere un intero bosco. Così è stato per lei. In un viaggio diplomatico si è recata nella corte dell’Abissale, fra la terra e l’Oltremare. Lì è stata infettata da un fungo a noi sconosciuto. Ha marcito il suo interno e vi ha preso possesso.
Kieran non riusciva a capire se fosse una sorta di metafora della corruzione da parte di idee pericolose o se stesse parlando di qualcosa di letterale. Era difficile seguire quei discorsi.
‒ Qualcuno l’ha corrotta? ‒ osò domandare.
Zario sembrò accorgersi che non lo stava del tutto seguendo. ‒ Anche voi umani vi ammalate. Noi soffriamo di epidemie e malattie diverse. Non siamo fatti di sola carne, come voi, ma anche di magia e natura. Molte fate uccidono per il potere, credo che questo sia un concetto a te familiare. Guerre fratricide sono frequenti anche da noi. Ma qui è accaduto qualcosa di diverso. Visnia è stata infettata.
Prima che potesse approfondire quella faccenda, Visnia camminò fra le statue e richiamò Zario con un verso lugubre. I suoi schiavi erano stati trascinati dai prigionieri, ma la donna non sembrava essersi ripresa.
Kieran prese posto sul piccolo scranno di legno posto fra due statue e guardò un’ultima volta Zario con occhi ansiosi. Questo avanzò fra le sterpaglie e si posizionò di fronte a Visnia. Era più basso di lei, nonostante fosse più anziano e più antico.
Aspettarono qualche minuto, ma lì sotto l’intreccio di rampicanti, rami e chiome degli alberi era impossibile capire che ora fosse e dove si trovasse il sole.
Una fata anziana comparve fra di loro; Kieran la osservò stupito, perché si era convinto in qualche modo che non esistesse l’invecchiamento fra le fate, nonostante non fosse così. Era rugosa come un tronco, le gambe erano rami affusolati che la tenevano in equilibrio, camminava strascicando due ali appassite. Notò diversi rampicanti srotolarsi da lei e si accorse che non poteva camminare più di tanto, il suo corpo era legato a un grosso albero; osservò sconvolto i rami che sparivano dentro il corpo della fata, sembrava essersi animata dal suo sonno soltanto per quel duello.
Seguire le sue parole era fin troppo complesso per Kieran, aveva un modo di esprimersi astruso e disordinato.
‒ Che volteggino i duplici portatori di morte, si prestino occhi e sangue alle scolpite leggi perdute degli antichi Danzanti delle stelle…
Aggrottò le sopracciglia, ma gli sembravano un mucchio di frasi rituali senza un vero senso logico.
Zario guardò verso il cielo e così fece Visnia, che sollevò il capo al cielo con un ghigno presuntuoso.
La vecchia fata venne tirata indietro dai rami e si accartocciò di nuovo nell’albero come un amante stretto dalle braccia della sua metà.
Ci fu un momento di silenzio e quiete nella radura, poi lo scontrò iniziò. Zario scattò in avanti con un colpo d’ali e piombò addosso a Visnia. Questa parò il colpo con un movimento fluido e aggraziato. Nella mano teneva un’arma dalla forma oblunga diversa da qualsiasi arma umana che Kieran avesse mai visto, una lama dentata di ossa con un manico lungo quanto quello di una lancia.
‒ Povero dolce Zario, imputridito dalle emozioni umane. Mia madre ti teneva sempre stretto al petto, ma senza di lei avvizzisci come un frutto avariato.
Malgrado la provocazione, Zario rimaneva concentrato. Roteava la lancia come se fosse parte del suo corpo, aveva una guardia infrangibile e incalzava Visnia con colpi precisi e potenti. Kieran era certo di non aver visto nessun cadetto combattere con altrettanta velocità e grazia, soltanto alcuni ufficiali eguagliavano in qualche modo quello stile.
Visnia d’altronde non era da meno, benché rimanesse in difesa, scivolava sui piedi come se stesse danzando; un passo dietro, poi di lato, una piroetta che sollevava le sue ali e i suoi abiti, si piegava indietro e come se seguisse un famoso ballo di corte, incrociava i piedi avanti e girava intorno al corpo di Zario.
Se non avessero avuto le armi fra le mani, avrebbe potuto pensare che stessero conducendo un nuovo tipo di valzer, si stringevano e si allontanavano, battevano i piedi e sollevavano la terra calcando ogni passo con ritmo.
Nulla di umano è paragonabile a questo.
Usavano le ali per darsi slancio o equilibrio, intanto si tagliavano, si ferivano e il sangue schizzava intorno a loro.
Visnia affondò un colpo insidioso contro Zario e lui mosse appena le unghie affilate e chiuse le dita a pugno. Grosse radici si sollevarono e si avvinghiarono alle braccia di Visnia, al suo collo e alla sua vita. Fermarono il suo affondo.
Visnia rise, di quella risata dolce e atroce che Kieran trovava quasi insopportabile.
‒ Vuoi già giocare con la magia?
Zario mosse di nuovo le dita e la bocca di Visnia si chiuse di colpo con un movimento innaturale, sigillata dalla magia del contendente. La regina sbarrò gli occhi e il nero della cornea si accese di ira.
‒ La tua lingua ha bisogno di riposo, giovane Visnia. So che ti piace il suono della tua voce, ma tanta superbia è sintomo di bruttezza per ogni creatura.
Sorrise nel dirlo, mentre Visnia disfaceva la magia che le teneva la bocca sigillata. Le radici caddero avvizzite dalle sue braccia e sfiorò gli occhi di sua madre.
Kieran sentì un’ondata di magia sollevarsi, una sensazione atroce di pericolo imminente; gli sembrava che quella magia fosse una creatura, una creatura bloccata dietro un velo che cercava di bucare la realtà e irrompere nel loro mondo. Schiacciato e impaurito si tenne allo scranno e guardò il fango sul terreno avvicinarsi. La terra assunse la forma di mani scheletriche e melmose che si trascinavano verso Zario a centinaia, come braccia di soldati moribondi.
‒ Va bene, vecchia e testarda fata, e magia sia ‒ sibilò Visnia, e le braccia di fango si protesero all’unisono contro Zario.
 
 
 
 
 
Silas si voltò nel silenzio del bosco. Aveva sentito un grande afflusso di magia rimescolargli lo stomaco.
Le fronde chiuse però non offrivano alcuna vista e ormai si era allontanato dalla corte. Si passò le mani fra i capelli con un brivido e faticò a distogliere lo sguardo. L’istinto di guardarsi le spalle era troppo forte, il bosco silenzioso e scuro gli appariva ostile in ogni suo anfratto buio.
Ricominciò a mettere un piede dopo l’altro, stanco.
Se n’era andato. Non si era voltato una seconda volta, voltarsi era il primo segno di cedimento.
Non avrebbe rivisto quei ragazzi. Non avrebbe mai più rivisto Kieran.
Avrebbe voluto che il suo ultimo ricordo del volto di Reed fosse rancoroso, perché era capace di prendere quella rabbia e scagliarla contro altro.
Purtroppo non c’era rancore nei suoi occhi. Solo un’immensa amarezza.
Se solo non avesse fatto pressioni per dividere gli alloggi con una persona come lui. Forse la sua Iniziazione sarebbe stata diversa.
Si fermò nel bosco e si stropicciò gli occhi.
Perché era così doloroso? Kieran non era nessuno, un ragazzo senza niente di importante per lui. Era insicuro, musone e di poche parole, era goffo e impacciato, sudava troppo e i suoi stivali dopo un allenamento sembravano intrisi di necromagia per l’odore mefitico che emanavano. Era un bugiardo, rigido e fedele come un cagnolino ai piani alti. Passava un tempo immane a tagliare quegli stupidi peli che chiamava barba.
Pensò a come sarebbe stato tornare in quella stanza sapendo che Kieran non vi avrebbe mai fatto ritorno. L’ultima notte lì era la notte che avevano lottato contro Siegan e i suoi. Probabilmente c’erano ancora i panni insanguinati con cui si erano puliti, la sciarpa che gli aveva riparato di sua madre.
Ebbe un tuffo al cuore a pensare a sua madre, a questa donna misteriosa che era felice e speranzosa per il figlio che aveva avuto una simile opportunità.
Più avanzava e più gli sembrava di avere il cuore sprofondato in un luogo oscuro e distante.
Si sistemò la sacca sulla schiena e continuò a camminare con umore funereo.
Aveva aiutato Kieran più che poteva, lo aveva difeso e curato con la magia, lo aveva salvato dalle illusioni del bosco e da Siegan. E ora quell’ingrato gli chiedeva di morire assieme a lui?
Si era sentito così generoso e magnanimo a difendere Kieran mentre nessuno lo faceva, ma ora era abbastanza lucido da vedere quella smorfia presuntuosa di autocelebrazione che gli compariva quando aiutava un povero ragazzo sfortunato.
Kieran aveva ragione, ma lui non riusciva a tornare indietro.
Aveva paura, così paura che non voleva neanche voltarsi.
Non voleva morire. Non voleva soffrire.
Si passò un braccio sugli occhi e represse un singhiozzo.
Perché tutto doveva essere così brutale? Non sapeva da dove venisse la violenza peggiore in lui, dal suo sangue umano o da quello fatato. Da un lato la codardia, l’opportunismo e la bassezza, dall’altro la presunzione, l’ossessione e la superbia.
Fece un altro passo. I suoi fratelli e le sue sorelle gli volteggiavano intorno, come quel lontano giorno del suo compleanno. Ballavano e ridevano, rincorrendosi e urlando. Marian ballava sui suoi piedi e rideva con quegli acuti che lui adorava.
Sopravvivere aveva un prezzo e lui lo sapeva meglio di chiunque.
Più sopravviveva agli altri e meno voleva vivere. Di volta in volta si sfaldava un pezzettino di sé stesso e nulla sembrava valere più la pena.
Kieran non ce la avrebbe fatta. Il suo destino era una pietra rara, speciale, per qualche motivo, ma si sarebbe spento nel silenzio e nell’anonimato.
Perché era andato? Perché aveva messo da parte il suo istinto di sopravvivenza? Perché doveva comportarsi a quel modo e farlo sentire tanto miserevole e codardo?
Era certo che se Kieran fosse diventato un ufficiale del Ferro, non avrebbe mai chiuso gli occhi di fronte a una situazione come quella dei Vaukhram. Non avrebbe mai accettato mazzette per non vedere se i nobili rapivano bambini mezzosangue o ne uccidevano per i pezzi.
No. Per questo stava andando a morire, per questo le alte sfere del Ferro erano popolate da corrotti figli di puttana. Gli incorruttibili morivano giovani, come eroi, sì, ma non erano gli eroi a gestire il loro mondo. Erano i mostri.
Mostri come lui.
‒ Ah.
La mano su cui aveva inciso il taglio gli bruciò quando scostò un ramo con forza. La fasciatura si era allentata e ormai era vecchia e sporca.
Poggiò la sacca per terra con un sospiro seccato e cercò altre bende per cambiarla. Incontrò con le dita la copertina rigida e rovinata di un piccolo libro. Lo tirò fuori con una certa amarezza.
Era un piccolo manuale di tattiche scritto da Halldora stessa, gli piaceva in modo particolare quell’edizione perché erano state integrate le note e le riflessioni della stessa Halldora, con tanto di dubbi e perplessità.
Lo aprì e guardò la dedica in prima pagina.
Solo guerra senza te.
Lesse quella frase con un nodo in gola. Halldora la aveva scritta per il suo amato, un guerriero del Ferro ucciso dallo Spinato. Non si era mai ripresa davvero. Pochissimi sapevano che Halldora non fosse davvero una nobile, il suo titolo era una farsa che era venuta fuori più avanti. Aveva concluso la sua vita in miseria, alcolizzata e sola. Il Ferro tendeva a omettere quella parte.
Sopravvivere le ha portato solo infelicità.
Aveva fatto la differenza, questo non si poteva negare, ma a quale prezzo?
Sfogliò le pagine e vide le annotazioni del maestro Fergus. Gli aveva chiesto giorni prima se Kieran avesse bisogno di aiuto con lo studio. Era un insegnante competente e brillante nonostante la sua provenienza.
Fece una smorfia a quel pensiero involontario. Non riusciva a farne a meno.
Lanciò via il libro in un impeto di rabbia che andò a schiantarsi contro un albero e cadde fra la terra fangosa.
Solo guerra senza te.
 
 
 
I due combattenti erano stanchi e sanguinanti. Zario era pieno di ferite e coperto di fango. Aveva ematomi lì dove le mani di melma lo avevano ghermito e scorticato, ma non aspettò neanche pochi secondi per prendere fiato. Tornò a incalzarla e ad attaccarla violentemente, si librò in aria per evitare le sue magie e il duello si fece più serrato.
Kieran vide con la coda dell’occhio alcune figure avvicinarsi ai prigionieri. I tre cadetti erano arrivati ad aiutare gli altri, ma erano fermi a causa delle due fate a guardia.
Si erano sporcati di fango i volti e le divise, avevano cercato di mimetizzarsi e aveva funzionato, si notavano con difficoltà.
Thomas gli fece un cenno circolare con il dito che lui colse al volo. Avevano subito improvvisato un nuovo piano, non erano affatto stupidi o impreparati, anzi, sembravano più determinati di lui.
Scivolò dal suo scranno e iniziò a muoversi verso gli altri. Non aveva un piano preciso, sperava di riuscire a eliminare le due fate abbastanza velocemente da fare in modo che Visnia non se ne accorgesse. Le due guardie d’altronde erano perse a guardare lo scontro, stregate e ammirate.
Sgattaiolò dietro gli alberi così da arrivare ai prigionieri senza passare nel mezzo della radura, ma facendo il giro largo per sbucare alle spalle delle guardie.
Un grido di dolore lo arrestò dove stava. Si girò a guardare lo scontro col cuore in gola.
Zario aveva sferzato il volto di Visnia con un colpo, sfigurandolo; le agguantò l’abito per tirarla in avanti e strappò gli occhi azzurri dal suo petto.
‒ Sei sempre stata indegna del suo sguardo ‒ sibilò e lanciò via i due bulbi, che appassirono immediatamente come petali e si sfransero.
Visnia lanciò un urlo di orrore e sbigottimento, si gettò in ginocchio per raccogliere gli occhi, ma non rimaneva nulla fra la terra. Le lunghe falangi delle dita si strinsero intorno al fango mentre un lamento acuto le eruttava dalla gola.
‒ Cos’hai fatto, insulsa nullità!
Gli occhi neri le si riempirono di lacrime cristalline; ogni lacrima che s’infrangeva sul terreno dava vita a fiori vermigli, di una bellezza intensa.
Con un’ira violenta e devastante si strappò un lichene dalla pelle, che sanguinò. Lo intrappolò fra le mani finché non si formò una sostanza scura e vischiosa che vorticava tra le dita.
Kieran riconobbe una piccola nube di necromagia e tremò solo a vederla.
Visnia la indirizzò contro Zario, in un movimento fluido delle lunghe dita, ma all’ultimo cambiò bersaglio. Alzò la testa rapace verso gli alberi e la scagliò su uno dei bambini appollaiati sui rami.
L’incredulità di Zario fu pari a quella di tutti gli altri. Il bambino lasciò uscire un verso di sgomento e le ali presero a battere nel tentativo di librarsi e scappare. Non avrebbe fatto in tempo.
Attacca i più giovani della sua stessa gente.
Quel comportamento andava oltre la sete di potere e la superbia.
Le due guardie si alzarono in volo per intervenire, ma erano troppo lontane. Kieran approfittò del loro allontanamento per correre dai prigionieri.
Thomas e gli altri sbucarono da dietro e cominciarono a strappare i rampicanti e a tentare di liberare tutti.
‒ Aiutateci ‒ singhiozzò un anziano dall’aria malmessa e sporca.
In modo concitato approfittarono della confusione, mentre diverse ombre sfrecciavano sulle loro teste.
‒ I rampicanti si riallacciano ‒ imprecò Jean.
Zack le consigliò di usare i paletti di ferro runico per romperli, rallentavano la magia.
Kieran alzò lo sguardo senza resistere, per controllare la situazione e vedere se il bambino fosse stato colpito.
Con sua sorpresa però lo vide in aria, distante dal colpo. Aveva il volto efebico pieno di orrore.
La necromagia aveva investito in pieno Zario, che stava precipitando privo di sensi o forse morto. Doveva essersi messo in mezzo.
 Il bambino lo afferrò con tutte le sue forze, evitandogli lo schianto. Iniziò a battere le piccole ali per planare e rallentare la caduta, poi ruzzolarono entrambi fra le statue dei fey.
Zario non si muoveva più. Qualcosa gli corrodeva la pelle del corpo e del viso a una velocità impressionante.
‒ Kieran! Concentrati! ‒ sibilò con violenza Jean.
Riportò la sua attenzione sui prigionieri e si affrettò a tagliare tutto ciò che imprigionava i cadetti e gli abitanti del villaggio. Guardò le fate catturate e si occupò di liberare anche loro nonostante gli sguardi diffidenti o impauriti.
‒ Correte attraverso il bosco, non voltatevi, raggiungete il villaggio. Aiutate i feriti.
Sperava che riuscissero a orientarsi, nel dubbio consegnò la bussola a un uomo che appariva ancora lucido e in grado di dirigere gli altri.
‒ Zitta, stai buona ‒ pregò Thomas.
Kenna si dimenava alla vista di Zario immobile e della regina Visnia che incombeva su di lui. Voleva raggiungerlo.
Kieran la trattenne per un braccio e le tappò la bocca, ma i prigionieri stavano facendo fin troppo rumore. Alcuni piangevano, altri erano già scappati a gambe levate nel bosco senza guardarsi indietro. Alcune fate erano volate verso i bambini o verso lo scontro, disperdendosi.
Kieran non capiva più che cosa dicessero, ma Visnia doveva aver violato una sorta di codice, perché persino le sue guardie sembravano riluttanti a difenderla.
‒ Le antiche leggi sono state violate ‒ tuonarono centinaia di voci all’unisono.
La frase rimbombò fra le statue, roboante e misteriosa. Sembrava provenire dalle statue stesse, dalla natura, dal cielo.
Visnia si guardò attorno e rise sprezzante. Un’ondata di magia sgorgò da lei e investì le fate ostili che aveva intorno, scagliandole lontano. Alcune afferravano i più giovani e fuggivano volando via, un paio di fate si erano avvicinate a Zario nel tentativo di aiutarlo. La più agguerrita delle guardie venne fatta a pezzi dalle altre fate sopravvissute, l’altra abbandonò le armi e sparì verso la corte. Non rimase quasi più nessuno e in poco tempo tornò il silenzio.
Kenna si divincolò dalla sua presa, ma Kieran la afferrò di nuovo per un soffio.
‒ Lasciami, stupido troll! Dobbiamo aiutarlo!
‒ Morirai, Kenna ‒ ringhiò. ‒ Scappa nel bosco, subito.
‒ No, brutto stronzo! Mi rimane solo Zario!
Kieran imprecò per tutto quel baccano.
Visnia era in piedi, ferma e sembrava entrata in una sorta di trance. Continuava a guardare il punto dove gli occhi di sua madre erano stati distrutti.
 ‒ Va bene, lo aiuterò, ma segui quest’uomo e correte fino al villaggio, va bene? Andate tutti verso il villaggio.
Uno degli abitanti rimasti prese Kenna in braccio e annuì. La bambina aveva il viso sporco e graffiato, gli occhi grandi pieni di lacrime.
‒ Lo aiuterai davvero, signore del Ferro? ‒ balbettò con voce esile.
Gli pianse il cuore a mentire, ma non sapeva se Zario fosse ancora vivo e avvicinarsi al corpo era impossibile con Visnia nel mezzo.
‒ Certo, hai la mia parola.
Si allontanarono proprio mentre Visnia pareva riprendersi. Le grandi ali frustarono l’aria un paio di volte, mentre il volto si contorceva. Il fiore azzurro nella cavità dell’occhio gocciolava sangue e alcuni piccoli funghi gli uscivano dai lati delle labbra, come herpes.
‒ Erano miei. Erano miei, miei, miei, i suoi occhi erano miei, la mia eredità, il mio diritto di nascita, la mia corona. ERANO MIEI, MIEI MIEI MIEI MIEI MIEI MIEI.
La voce spezzata urlava quel ritornello come un automa difettoso, Kieran iniziò a sentire la sua voce risuonargli nella testa fino a diventare dolorosa. Si portò le mani sulle orecchie, ma il dolore non cessava.
‒ MIEI MIEI MIEI MIEI MIEI.
Stavolta però si erano preparati e inserirono i piccoli tappi creati con la stoffa per limitare i danni. A poco a poco anche Thomas e gli altri lo imitarono.
Nel frattempo però Visnia aveva smesso di avanzare verso Zario e verso le due fate che lo stavano curando.
Si era voltata verso di loro.
I suoi occhi nero pece li osservarono, curiosi, e Kieran colse il preciso momento in cui l’ostilità più feroce scintillò nel buio di quelle iridi.
Non poteva esprimere il terrore di quel momento. Qualcosa di atavico si risvegliò in lui e in un attimo gli sembrò di tornare bambino, quando le ombre della notte gli parevano mostri grotteschi e cruenti. Passava ore sveglio, spaventato a immaginare di trovarsi di fronte a un mostro invincibile, e lui, un semplice bambino, sarebbe corso da sua madre e insieme sarebbero fuggiti.
Fu come se quegli incubi trovassero compimento in quel preciso momento. Nei denti sporgenti e affilati della regina, nell’occhio nero sbarrato, nell’aspetto mostruoso e slanciato che si allungava su di loro come un’ombra. Non c’era più traccia di quella grazia e bellezza che la aveva contraddistinta, c’era soltanto un essere disturbante pronto a farli a pezzi.
Piccoli insulsi umani.
La sua voce era cambiata e piombò sulla radura come il suono assordante di un tuono.
Si lanciò su di loro ancora prima che Kieran potesse dire agli altri di disperdersi. Aveva pensato di coprire la fuga degli abitanti, ma quando vide quell’essere volare con un colpo d’ali verso di loro, abbandonò ogni proposito coraggioso.
‒ Scappate! ‒ urlò Jean.
Iniziarono a correre in direzioni diverse e a disperdersi fra gli alberi. Kieran corse senza voltarsi e la schiena gli bruciò per la paura di essere raggiunto. Oltrepassò le statue e deviò verso la parte più buia del bosco; in uno sprazzo di lucidità sperò che lì dove la luce filtrava meno gli alberi si chiudessero in modo più compatto. Questo forse le avrebbe impedito di volare e di essere così veloce.
 Sentì alle sue spalle alcuni spari e urla, rumori di combattimenti e sbattere di ali, ma non si voltò.
Una risata disumana riecheggiò nel bosco e accompagnò Kieran fino agli anfratti più bui della selva.

 
 
 
Non sapeva da quanto tempo fosse nascosto lì, fra le enormi radici di un albero centenario. Gli sembrava quasi di esserci nato in quell’oscurità.
Era buio e umido, sentiva gli insetti zampettargli sulle mani ed era certo di averli anche nella divisa. Aveva smosso il terreno per celarsi, non vedeva granché, ma le radici lo celavano alla vista.
Zack lo aveva seguito in quella parte del bosco ed era nascosto dentro un tronco scavato da un fulmine. Lo vedeva abbastanza bene da lì: madido di sudore, schiacciato contro il tronco, gli occhi invasi dalla paura.
Un urlo non lontano da loro invase il silenzio; alcuni uccelli si levarono spaventati dalle fronde. Kieran li invidiò con tutto sé stesso.
La terra vi tradisce, figli del ferro…
La sua voce risuonò fin troppo vicina, stava venendo verso di loro e sembrava intenzionata a prendersi il suo tempo.
La sentiva girare fra gli alberi, famelica, folle e potente. Kieran non osava muoversi né emettere un suono.
Non sarebbero usciti vivi da lì. Li avrebbe stanati uno alla volta come animali e li avrebbe ammazzati.
Cercò con gli occhi un nascondiglio, qualsiasi punto dove sgattaiolare via e sparire, ma aveva la mente annebbiata dalla paura. Non ragionava più, gli sembrava che tutto intorno a lui fosse sfocato, udiva soltanto il martellare del proprio cuore.
Sbatté le palpebre e la radura buia si tramutò in un lucente prato, pieno di fiori colorati, rigagnoli d’acqua e fate giocose che si lavavano. Dilatò le narici all’odore del pane bruscato e imburrato, dei dolci morbidi alla cannella e del caffè denso e amaro di Magda.
La tentazione di uscire ai raggi caldi del sole lo spinse quasi a correre, voleva giocare con quelle fate, mangiare, bere e ridere. Era tutto finito, non c’era più nulla di cui avere paura.
S’immobilizzò mentre provava a scostare le radici. Sgrullò la testa nel tentativo di scrollarsi di dosso quelle sensazioni suadenti.
A poco a poco la radura tornò buia e inospitale, scomparve ogni immagine cristallina, lasciando posto a radici contorte e sterpaglie ingarbugliate.
Zack scostò appena la testa, gli occhi illuminati dall’ammaliamento; Kieran gli fece cenno di rimanere nascosto.
Volete giocare, intrattenetemi ancora con la vostra paura.
La voce di Visnia arrivava distorta, grottesca, aveva perso qualsiasi traccia di dolcezza e sonorità, era grave, sdoppiata e profonda.
Un abitante del villaggio corse fra i loro tronchi, urlando, ma Visnia lo raggiunse. Fu come vedere una trappola scattare o un predatore appostato chiudere le fauci in uno scatto.
 I rami lo intrappolarono in una stretta mortale, gli aprirono braccia e gambe per non farlo muovere e lo sollevarono da terra.
Kieran lo vide dimenarsi dal suo nascondiglio, chiedere aiuto e pietà. La regina entrò nella visuale di Kieran con passi lenti e strascicati, le lunghe ali ripiegate la seguivano come uno strascico da sposa. Visnia aveva lo sguardo sfigurato e il sorriso che ormai si allungava famelico fino alle orecchie.
Shhh, piccolo mio, shhh…
Premette la mano sul petto e ignorò le urla di quel poveretto. Con una pressione che appariva leggera gli sfondò il torace e gli ghermì il cuore. Il corpo ebbe diversi spasmi, ma le urla di dolore cessarono.
Kieran era scivolato di lato sul tronco, fuori dalle radici; il sudore gli gocciolava dal naso e represse diversi conati. Era a un passo dal perdere il controllo della sua vescica e della sua sanità mentale, quando udì Zack urlare.
Si affacciò e vide i rampicanti trascinarlo fuori dal suo nascondiglio, da Visnia. Puntò le unghie nel terreno e si dimenò, piangendo, man mano che le piante lo tiravano da lei. Aveva perso la presa sulla pistola.
Kieran seppe all’istante che sarebbe stato il prossimo; uscì dal nascondiglio e iniziò a sparare in preda al panico. Visnia si sottrasse ai colpi con un movimento repentino e disumano, poi si voltò verso di lui e balzò nella sua direzione.
Iniziò a correre, corse a perdifiato, cercando scorciatoie strette fra le fronde e i cespugli di rovi. Gli tornarono in mente le goliardate nel Buco, quando scappava dai teppisti più grandi e saltava fra i barili e le tubature. Ricordò quando era scappato da quei criminali che aveva provocato o quando era fuggito da Siegan e i suoi con Silas.
Nulla era paragonabile a quello.
Avvertiva il respiro furioso di quell’essere, lo sbattere forsennato delle sue ali che frustava l’aria.
Si scostò e un’artigliata gli aprì una ferita sul fianco e sulla schiena. Rotolò via mentre evitava i rampicanti di Visnia e ricominciò a sparare. La maglia gli si inzuppò di sangue, ma il dolore era ancora attenuato dall’adrenalina.
Approfittò del fumo degli spari per lanciarsi dietro un altro albero, lontano da lei, e celarsi alla vista.
Si era scorticato il mento rotolando e sentiva il sangue gocciolare fino a terra. Non osava respirare, tremava così forte che gli sembrava di essere a un passo dal collasso.
 ‒ Dove sei, guerriero dell’autunno? Non celarti alla tua regina. Sarò clemente con te, ti renderò il mio schiavo prediletto.
Se solo avesse potuto rivedere Henry e sua madre un’ultima volta. Mai come in quel momento avrebbe voluto stringerli e dirgli che gli dispiaceva. Gli dispiaceva di morire lì, di averli abbandonati. Senza di lui avrebbero trovato Henry prima o poi, sua madre non ce la avrebbe fatta da sola.
Voleva sentire di nuovo l’abbraccio di sua madre. L’ultima volta che la aveva vista non le aveva neanche parlato del ricevimento dopo l’Iniziazione, perché si vergognava all’idea di farla venire in mezzo all’alta società. Si era scostato con uno sbuffo dal suo bacio affettuoso. Si era ripromesso innumerevoli volte di tornare a casa a salutarli, con un mazzo di fiori magari per lei e uno per Henry, ma aveva sempre rimandato. Doveva allenarsi, doveva studiare, non aveva tempo.
Eccoti qui.
La voce era a un soffio dal suo viso. Non provò neanche a scostarsi, rinunciò in partenza e avvertì i rampicanti di Visnia avvilupparsi intorno al suo corpo e trascinarlo avanti.
La regina sembrava spasimare per ghermirlo, come un bambino con un nuovo giocattolo.
Ho cambiato idea, voglio sapere se il tuo cuore è rosso come i tuoi capelli.
Sperò che tutto quello finisse in fretta. Almeno sarebbero stati pochi secondi di agonia.
Uno sparo esplose nel silenzio, trapassandole la spalla e prendendo di striscio anche Kieran. L’urlo grottesco che risuonò accanto alle sue orecchie lo stordì.
Visnia voltò la testa di un giro completo per cercare la fonte dello sparo.
Kieran faticò a mettere a fuoco, lo sparo e l’urlo lo avevano frastornato, tanto che per qualche secondo pensò di avere le traveggole.
In cima alla radura scura, un ragazzo mezzosangue dall’aria spaventata teneva fra le mani una carabina.
Tirò indietro il braccio nel tentativo di ricaricare, terrorizzato.
Silas?
Era lui.
Era davvero lui. Non poteva essere un’illusione o un sogno.
Visnia però si voltò nuovamente verso Kieran, decisa a finirlo prima di passare al suo nuovo aggressore.
‒ Tutte le principesse fatate sono così sgraziate? Il tuo aspetto grottesco è un’offesa alla natura e al bello.
La regina tornò a osservarlo. ‒ Cosa pronunci, insignificante mezzosangue?
Kieran riusciva a vedere che Silas stava sudando di paura. ‒ Mi hai sentito, fiore appassito che non sei altro. Se fossi tuo figlio piangerei ogni giorno per origini così indegne! Non ho mai veduto fattezze tanto mostruose.
I rampicanti si strinsero dolorosamente su Kieran per un attimo, che represse un gemito, ma poi lo lasciarono cadere. Visnia si era voltata del tutto verso Silas e la sua attenzione era concentrata interamente su di lui.
Un buffone mezzuomo manca alla mia corte. Coprirò il tuo corpo nudo di spine e ortica mentre ballerai per me. Poi ti ucciderò un po’ alla volta, così da prolungare il mio divertimento e scacciare la noia.
Silas sparò un altro colpo, ma la mancò. Visnia in un battere d’ali si avvicinò a lui. Il Discendente lasciò cadere la carabina, troppo pesante, e iniziò a correre.
Kieran rovinò a terra e iniziò a boccheggiare. Alzò lo sguardo e vide Visnia scagliarsi nella direzione di Silas. Cercò di alzarsi, e, barcollando, gli andò dietro.
 
 
 
Silas sapeva di essere un idiota. Non gli importava un fico secco di quelle persone lì, eppure stava per crepare per una di loro. Sua sorella lo stava guardando sicuramente con disprezzo e disappunto dall’alto.
Un sorriso folle di paura gli increspò il viso mentre correva. Non riusciva a fare a meno di ridere, era una reazione che non controllava quando era terrorizzato. A volte gli accadeva anche quando soffriva, quando era morta sua sorella ad esempio. Gli veniva una risata isterica che le persone intorno a lui confondevano con follia o sadismo. In un certo senso gli faceva comodo, perché quella reazione a volte spaventava le persone.
Le radici sul suo percorso iniziarono a sollevarsi dalla loro posizione e a stiracchiarsi, come gambe addormentate. Si sgrullavano la terra e si protendevano per afferrarlo.
Il terreno iniziò a smuoversi e a tremare, un altro cadetto venne cacciato fuori dal suo nascondiglio e iniziò a correre parallelamente a lui.
Silas vide le radici tendersi per afferrarlo. Schivò la prima, ma non riuscì a evitare la seconda. Gli si avvolse intorno alla gamba e rovinò a terra, sbattendo il mento. Iniziò a sanguinargli copiosamente e con una smorfia tentò di tirarsi su, ma le radici lo stavano ricoprendo.
‒ Aiuto! ‒ urlò verso l’altro cadetto.
Questo gli passò accanto, ma non osò fermarsi, troppo spaventato. Silas allora lo afferrò per le gambe nel tentativo di tirarsi su e lo fece cadere a terra nella trappola di radici.
‒ No, lasciami! Figlio di puttana ‒ urlò il cadetto, dimenandosi.
Silas sentiva Visnia a pochi passi da loro che rideva a vedere quella scena pietosa. Con le braccia strette nella morsa iniziò a evocare la magia nel tentativo di contrastare quella della regina. La fronte gli si imperò di sudore e il sangue dal mento prese a scorrere più velocemente. Era uno sforzo titanico, gli sembrava di provare a spezzare il metallo con le mani. Bastava allentare un po’ la morsa per fuggire, solo questo.
Le radici si allentarono appena e lui sgusciò fuori, agile.
‒ Non lasciarmi qui! Ti prego! Aiutami! Perché lo hai fatto?
Il cadetto gli afferrò una gamba. Silas in preda al terrore gli assestò un calcio e scivolò indietro. ‒ Mi dispiace ‒ balbettò.
Il pensiero di aiutarlo non lo sfiorò neppure. Lui o me.
Si rialzò e ricominciò a correre, mentre il cadetto urlava, stritolato dalle radici. Quel suono gli squarciò qualcosa in testa, gli venne da vomitare, ma continuò a correre senza fermarsi.
Non andò lontano.
Alcuni rampicanti pieni di spine gli si avvolsero intorno alla mano e venne tirato indietro con forza. Ricadde a terra con un tonfo che gli tolse il fiato.
Un mezzuomo coriaceo, ma pur sempre un essere a metà.
I rampicanti iniziarono a stringersi e le spine gli bucarono la pelle. Soppresse un urlo man mano che la morsa si stringeva. Le dita si accavallarono una sull’altra e le ossa si ruppero. La pelle della mano sanguinava per le spine e lui iniziò a urlare.
Visnia con un gesto delle dita mosse i rampicanti, che iniziarono a trascinare Silas verso di lei.
Pensa Silas, pensa.
C’era sempre un modo, bastava arrivarci e tentare.
Ma in quel momento il dolore della mano martoriata e le urla coprivano tutto il resto.
 
 
 
Kieran non ebbe difficoltà a ritrovarli, le urla di Silas squarciarono il silenzio del bosco. Erano urla strazianti e quando arrivò sul luogo col cuore in gola ne capì anche l’origine.
Silas era terra, i rampicanti stavano riducendo la sua mano destra a una poltiglia di sangue mentre lo trascinavano verso Visnia.
Si guardò intorno, disperato, ma non sapeva come intervenire, come aiutarlo. Spararle sarebbe servito a poco, era troppo vigile e veloce per i proiettili, forse sarebbe riuscito a colpirla una volta, ma non sarebbe bastato.
Ebbe un lampo di lucidità e si ricordò della granata. Con foga aprì la sacca ed estrasse la granata di ferro runico avvolta in un panno. Si concesse un sorriso disperato, ma le urla di Silas lo incalzarono.
Lanciò la granata con forza, contro la testa di Visnia. Questa la afferrò con un gesto rapace e spostò gli occhi a osservare l’arma.
Kieran perse pian piano il sorriso.
Non la aveva attivata.
Non aveva sfilato il beccuccio in cima.
S’impedì di cadere sulle ginocchia, mentre si odiava di un odio così feroce, che se avesse potuto uccidersi all’istante lo avrebbe fatto.
Buono a nulla. Idiota, ritardato, incapace, figlio di puttana.
Ogni parola aveva la voce di suo padre.
Aveva condannato tutti loro. Aveva commesso un errore madornale. Gli avevano affidato la granata e lui non solo si era scordato di averla, ma la aveva appena sprecata. Aveva deluso tutti, e ora sarebbero morti.
Visnia con aria annoiata lanciò la granata dietro di lei, disinteressata, e tornò a concentrarsi su Silas. Doveva avergli dato un attimo di tregua, perché le urla erano cessate momentaneamente, sostituite da lamenti, ma erano appena ricominciate.
Kieran aveva gli occhi pieni di lacrime, ma scorse un luccichio dietro Visnia, lontano fra gli alberi. Mise a fuoco e vide Jean sdraiata su un rialzo col fucile in mano, un occhio socchiuso.
‒ Muori mostro immondo! ‒ urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Sparò.
Visnia si scostò d’istinto, ma il proiettile non era diretto a lei. Colpì la granata caduta a terra accanto alla regina, che esplose con un rumore assordante.
Kieran si buttò a terra, mentre centinaia di lame e chiodi di ferro runico esplodevano tutto intorno. Il frastuono dell’esplosione risuonò per il bosco.
 Visnia emise urli striduli e grotteschi man mano che i pezzi di metallo la trapassavano e la ferivano. Si schermò con le ali, che vennero ridotte a brandelli e stracciate.
Kieran la guardò proteggersi e realizzò che la granata non la avrebbe uccisa. Sanguinava da decine di buchi, ma era ancora in piedi, impazzita di rabbia. Dalla sua bocca colavano sangue e piccoli baccelli bianchi che vomitò a terra insieme ad alcuni fiori. Aveva la mascella spaccata, un pezzo di metallo le aveva trapassato la guancia.
Era un’immagine orrifica, crivellata di buchi e ferite, le ali ridotte a pochi brandelli sanguinanti, il collo sporco di una sostanza biancastra.
Ma era ancora in piedi.
Prese fiato e lasciò uscire un urlo così devastante che la terra sembrò tremare. Gli uccelli si alzarono in volo e gli animali storditi dall’esplosione si ripresero e fuggirono in un lampo.
Kieran non attese che si riprendesse. Estrasse la spada e corse verso di lei con passi grandi e veloci.
Visnia voltò la testa martoriata verso di lui e la inclinò, i brandelli di carne che pendevano lì dove era stata bucata.
Dalle sue dita scaturì un fiotto di magia necrotica, che si tese fino a lui come uno schizzo di fango denso. Kieran però lo schivò con una scivolata e continuò a correre. La fata lanciò uno strillo di rabbia e frustrazione, l’occhio sopravvissuto talmente gonfio e sanguinante da sembrare un bocciolo pronto a schiudersi.
Vide la magia formarsi di nuovo fra le sue mani e le radici intorno a lui si mossero repentine. Saltò in avanti e ricadde violento con una capriola goffa, ma si rialzò con un colpo di reni e accelerò.
Visnia però fu più veloce stavolta e non gli diede il tempo di schivare la sua magia necrotica. Kieran decise che la avrebbe presa in pieno e avrebbe resistito pur di uccidere quell’essere. Poi, sarebbe morto, ma la avrebbe portata con sé.
Un’ondata di vento però scostò la nube di necromagia. Kieran guardò alla sua destra e vide il braccio libero di Silas proteso verso di lui. Il suo viso era una maschera di dolore, ma con l’ultimo fiato rimastogli in corpo aveva trovato la forza di evocare una magia e far uscire un debole soffio di vento per proteggerlo.
Bastò.
Si lanciò sul corpo di lei e la trafisse al torace con la spada. La gabbia toracica fece resistenza, ma lui non si trattenne, usò tutta la sua forza per sfondarla. Le ruppe le ossa mentre la trafiggeva. I suoi artigli gli aprirono tagli sulle braccia e il viso, ma Kieran non si fermò e continuò ad affondare. Gli urli striduli di quella creatura ormai avevano perso ogni traccia di umanità.
L’occhio osservò Kieran e una luce sinistra si mosse al suo interno.
‒ C’è ancora tempo per lui. L’Ailanto giungerà. E il sole tramonterà per sempre sull’umanità.
Dopo pochi attimi fu tutto finito. La tensione gli si sciolse dal corpo, le ferite, la stanchezza e la paura provata presero il sopravvento. Ricadde indietro lasciando l’elsa della spada. Perse i sensi prima di poter raggiungere Silas.
 
  
 
Un raggio di sole s’insinuò fra i suoi occhi socchiusi. Li strizzò con un leggero fastidio e iniziò ad aprirli a poco a poco. La sua vista incontrò un soffitto di tela scuro e una lama di luce che s’infilava da un’apertura sull’ingresso.
Cercò di tirarsi su, ma alcuni dolori lo pervasero, riportandolo sdraiato. Si accorse di essere su una brandina, avvolto in morbide coperte. Aveva alcune fasciature dove era stato ferito al fianco. Voltò lo sguardo, smarrito. Non ricordava cosa fosse accaduto, era stato soltanto un terribile incubo?
Dopo pochi attimi comprese di trovarsi in una grande tenda d’accampamento. Accanto a lui c’era un’altra brandina su cui dormiva Silas Vaukhram col respiro appena udibile.
Aveva il mento fasciato e alcuni tagli sul viso, la mano era interamente fasciata fino all’avambraccio e tenuta sollevata da alcuni lacci.
Gli bastò vedere Silas per ricordare tutto ciò che era accaduto. Si tirò a sedere di scatto, ignorando il dolore. Aveva indosso solo dei pantaloni di tela e non aveva idea di dove si trovasse.
Fuori dalla tenda si sentivano voci, ordini impartiti e carichi spostati.
Dove siamo?
L’ingresso della tenda venne scostato e il sole invase l’interno; si portò una mano al viso per schermarsi e in controluce distinse a malapena la figura sull’entrata. Richiuse la tenda e si avvicinò nella penombra.
‒ Kieran? Ti sei svegliato?
Riconobbe subito quella voce ferma e autoritaria: William.
Il rettore prese uno sgabello e si sedette accanto alla sua brandina. I suoi occhi erano invasi da venature nere di preoccupazione. Indossava con eleganza la divisa da ufficiale e l’armatura, le stelle appuntate sul petto; i capelli scuri erano legati in un codino ordinato che nascondeva le orecchie a punta.
‒ Come ti senti?
‒ Signore ‒ salutò, in uno scarso tentativo di mettersi sull’attenti. ‒ Bene, sto bene. Cos’è accaduto?
Il rettore alzò un sopracciglio. ‒ Questo dovrai dirmelo tu. Siamo arrivati ieri notte in aeronave dopo che la vostra squadra non era rientrata dall’Iniziazione.
‒ Quanto tempo è passato?
‒ Il sindaco ci ha detto che tre giorni fa siete stati ritrovati presso il fiume insieme agli abitanti del villaggio sopravvissuti. Vi hanno portato nel villaggio e curato, ma la maggior parte di voi non si è svegliata se non due giorni dopo. Forse siete stati colpiti da una magia fatata. I miei uomini stanno setacciando il bosco, ma sembra non sia rimasta alcuna fata sopravvissuta.
Kieran aggrottò la fronte, confuso. Com’erano arrivati al fiume? Non ricordava più nulla dopo lo scontro con Visnia. Forse le fate sopravvissute li avevano portati lì.
‒ C’erano altre fate alla corte?
Ricordò la promessa fatta a Zario e scosse la testa. ‒ No, erano tutte morte ‒ rispose.
William annuì. ‒ Quando starai meglio mi scriverai un rapporto completo su cos’è accaduto. Lo farete tutti. Quando non ho visto tornare la tua squadra… ‒ s’interruppe per un attimo e si inumidì le labbra. ‒ Non parliamone adesso. Devi riposare.
‒ E Silas? Silas come sta?
Il rettore spostò lo sguardo sull’altro ragazzo addormentato. ‒ Si riprenderà, ma dovrà essere visitato dai maghi del Diaspro. Ha consumato troppa magia ed è in una sorta di letargo, non sappiamo quando si sveglierà, ha spinto il suo corpo oltre il limite, potrebbe rimanere addormentato per settimane. La sua mano inoltre è messa piuttosto male, o almeno quello che ne rimaneva.
‒ Gliela rimetteranno a posto? ‒ domandò ansiosamente.
William sospirò e lo spinse sdraiato con una leggera spinta. ‒ Non preoccuparti adesso. La famiglia Vaukhram è ricca e potente, hanno innumerevoli risorse. Il giovane Silas starà bene. Siete entrambi sopravvissuti contro una fata molto potente. Mi hanno raccontato che sei stato tu a ucciderla.
Gli sembrava irrilevante in quel momento. ‒ Gli altri? Come stanno i cadetti? E Kenna?
‒ Dopo potrai vederli. La bambina di cui parli mi ha detto di darti questo. Tieni.
Gli porse un piccolo ramoscello a cui era legato un messaggio. Kieran lo srotolò.
La betulla è viva. Ti è grata.
La calligrafia era troppo elegante per essere stata scritta da quella bambina indisciplinata. Forse la aveva aiutata il sindaco.
Realizzò che parlavano di Zario. Doveva essere sopravvissuto; li aveva addormentati e riportati vicino al villaggio, poi era partito forse con gli ultimi della corte.
‒ Ha detto che potevi leggerlo solo te ‒ rise William con dolcezza.
Richiuse il messaggio, nervoso. ‒ Voleva ringraziarmi ‒ mentì.
‒ Ma certo. Ora riposa. Non preoccuparti, è finita.
Kieran annuì e rimase sdraiato, sorridendo al rettore finché non fu uscito. Una volta rimasto solo provò a chiamare un paio di volte Silas, ma non ottenne risposta.
Osservò il soffitto della tenda per una manciata di secondi.
Si accorse a malapena di essere scoppiato a piangere. Si girò su un fianco e soppresse i singhiozzi nel cuscino. Lo inzuppò di lacrime, mentre sfogava l’orrore e la paura provati, il sollievo di essere vivo.
Sperava davvero che Silas si svegliasse presto.
Perché era certo che lui non avrebbe più dormito sonni tranquilli.
 

Ciao a tutti!
Siamo alla fine di questa lunga parte nel passato, che dovrò rivedere sicuramente ancora e ancora, specialmente questo capitolo. E' un capitolo parecchio lungo che mi ha consumato, deve essere rivisto in un po' di cose ^^'', ma intanto eccolo qui.
Silas ha cambiato idea per Kieran, ma tutto questo ha avuto delle ripercussioni importanti su entrambi che emergeranno a poco a poco.
Dal prossimo si ritorna nel presente ^^.
 
 
   
 
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