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Autore: SamuelCostaRica    15/03/2022    0 recensioni
La storia ci insegna che chiunque può essere sostituito. Anche il Presidente degli United States nel pieno delle sue funzioni. Ma il Presidente ha sempre un sostituto, un designato a sopravvivergli. Ma se il designato non fosse chi il Presidente vuole o crede che sia? E se degli alieni decidessero di impadronirsi del mondo sostutuendosi al Presidente? Ma non sempre tutto è ciò come sembra.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Inizio

Era una mattina fresca e il sole, lentamente, faceva capolino sull’orizzonte del Delaware.

La Joint Base Andrews era in fermento.

La riunione, classificata “For your eyes only”, era stata organizzata nel cargo di un C5 Galaxy, parcheggiato in un hangar dell’aeroporto.

Il muso dell’aereo fuoriusciva dall’hangar, mentre il portellone del cargo era nascosto all’interno dell’edificio.

Inoltre, per farlo entrare nell’hangar, tutti i carrelli dell’aereo erano stati posizionati nella parte più bassa a loro concessa.

I vari partecipanti alla riunione giungevano alla chetichella, su autovetture senza segni di riconoscimento, ognuno circondato dal suo entourage, mostrando i loro completi gessati, da migliaia di dollari, o le medaglie conquistate su dei campi militari virtuali.

Sulla rampa, prima di entrare nel cargo, donne e uomini si incontravano e si scambiavano i loro soliti ed inutili convenevoli.

«Buongiorno, senatore!» L’uomo, alto un metro e ottanta, impettito, con una drop militare color kaki, con tante mostrine e stelle il cui riflesso poteva, da solo, illuminare quel posto, atletico, si bloccò davanti ad un uomo di bassa statura, impedendogli il passo.

«Buongiorno, generale! Come sta?» Disse l’altro, alzando la faccia al cielo: era alto un metro e sessantacinque, grassoccio, vestito con un abito scuro di chiaro taglio americano, portava occhiali tondi e aveva uno strano taglio di capelli, quest’ultimi di color nero.

Tese la mano destra all’uomo davanti a lui, sfoggiando un anello d’oro su cui faceva bella mostra di sé una pietra rossa.

«Non male, grazie. Anche lei a questa riunione?» Il militare allungò anche lui la mano destra, impreziosita di un anello d’argento con una pietra blu.

L’onorevole non lo guardò neanche quell’anello. Ben sapeva che il tipo davanti a lui non era uno dei soliti generali o ammiragli e quell’anello era solo un altro modo per essere un palmo al di sopra di chi gli stava davanti, anche se quest’ultimo era più alto di lui.

«Più che una riunione sembra un conclave di carbonari! Luci soffuse, gente che gira senza meta… Ma cosa vogliono da noi?» Chiese il senatore.

«Non ne ho idea. Mi hanno semplicemente invitato a partecipare…» Rispose, con indifferenza, il generale.

I due uomini risero di gusto.

Il vociare era molto forte e rimbombava all’interno dell’aereo, ove le luci erano basse e parecchie sedie erano in fila, ben ordinate, in classico stile militare.

Sul fondo dell’aereo, su di un palco, anch’esso poco illuminato, un leggio e un tavolo, entrambi di metallo color grigio facevano bella mostra di sé.

Un improvviso bussare metallico sul tavolo attirò l’attenzione di tutti, tacitando il fastidioso brusio.

Le sedie si mossero velocemente, disordinatamente, formando capannelli di persone qua e là per il cargo, riunite intorno a vari capi o comandanti, a seconda che fossero civili o militari.

Sul palco apparve, in penombra, un uomo, in un magnifico Principe di Galles, ritto come un palo, alto almeno un metro e ottantacinque.

Diede un colpo di tosse, si versò, da una brocca di vetro, dell’acqua in un bicchiere alto, anch’esso di vetro, entrambi apparsi miracolosamente sul tavolo: ne bevve un po’, così, con nonchalance, e si guardò in giro, disinvoltamente, come se conoscesse tutti.

Non che la cosa fosse vera, ma a lui piacque così.

Appoggiò il bicchiere sul tavolo con un movimento calcolato, si avvicinò al leggio, provando il microfono, lì montatovi, con un colpo di tosse e, pacatamente, iniziò a parlare.

«Signore e signori, buongiorno! Siete stati riuniti per essere ragguagliati su alcune modifiche che riguardano il sopravvissuto designato!»

Mise molta enfasi nelle ultime parole e un borbottio, sommesso, si levò dalla improvvista sala delle riunioni.

Mosse la mano destra, mollemente, per far tacere le proteste che giungevano da ogni dove del cargo.

Con calma, appoggiò le mani sul grembo, la destra davanti alla sinistra, e riprese a parlare.

«Ben comprendo che, dopo tanti anni, tale designazione è diventata ormai una consuetudine, ben conosciuta tra di noi, e anche all’estero: ma tale visione del problema non è più sostenibile in questo momento! Ben avrete tutti visto i blockbuster di fantascienza e di disastri ambientali che imperversano nei siti di noleggi di film e in televisione, tanto che la questione merita di essere maggiormente discussa! La caduta di una meteora non prevista, un qualsiasi cataclisma terrestre improvviso o una improbabile invasione aliena lascerebbe gli Stati Uniti, e le nazioni democratiche e libere a noi collegate, con un vuoto di potere inaccettabile, anche solo in caso della perdita improvvisa di solo una metà del nostro governo! Inoltre, i vostri vari uffici sono stati minati, da anni, dall’invasione di donne e uomini non propriamente fedeli al nostro governo e ciò provoca una necessaria salvaguardia delle persone presenti nell’elenco dei designati!»

L’uomo aveva ottenuto l’attenzione di tutti, specialmente dopo aver fatto chiaramente capire che i ministeri e le forze militari erano pieni di spie a servizio di chiunque li pagasse: persone buone, certamente, patriottiche, ma che, se ben convinte, avrebbero volentieri passato segreti ad altri, anche solo per dimostrare che gli alleati, o similmente considerati, meritavano di veder condivise informazioni a cui non potevano o dovevano avere accesso.

L’uomo, con la massima calma, senza guardare, prese il bicchiere e, con molta enfasi, bevve ancora un po’ di acqua, poggiando il bicchiere sul tavolo, senza distogliere lo sguardo dai presenti.

«Ecco perché, dopo varie riflessioni, abbiamo deciso di sottoporvi una visione diversa del problema e una soluzione ancora… più folle e improbabile!»

La sua pausa corrispose con il silenzio che serpeggiò tra i presenti, calando, improvviso, come la lama della ghigliottina sulla testa del condannato.

«Verranno designati dieci donne e uomini, in modo paritario, ex militari, fisicamente preparati, con una visione della vita diversificata, non convenzionale, in grado di usare tutti i mezzi in dotazioni del nostro esercito e che possano, in momenti particolari, comandare, unitamente o individualmente, gruppi di persone, militari o civili, per difendere il nostro territorio!»

La voce dell’uomo era cresciuta di volume man mano che le voci di protesta dei presenti si erano alzate di tono, con molti donne e uomini, di secondaria importanza, che si erano alzati dalle sedie, alcune di queste cadute a terra, per la furia dei loro padroni, con quest’ultimi che urlavano e muovevano i pugni in modo bellicoso, mentre i loro capi sorridevano a tutto quel guazzabuglio che stava esplodendo all’interno dell’aereo.

«Bene! Vedo che, per una volta, siamo tutti d’accordo!»

La voce femminile, che improvvisamente coprì le voci che stavano sciamando come api verso l’alveare, lasciò tutti perplessi e silenziosi.

Aveva un miniabito nero, gambe lunghe, atletiche, avvolto da un collant nero, con scarpe nere dai tacchi vertiginosi, slanciata, alta come il suo collega, che affiancò immediatamente: una giacca di taglio maschile, anch’essa nera, completava il suo guardaroba.

Si mise davanti al microfono, aprì naturalmente le gambe, come se fosse abituata a mettersi in quella posa davanti agli altri, come una giocatrice di basket, e si guardò intorno nello stesso modo del suo collega.

Lasciò le braccia, a penzoloni, lungo il corpo e riprese a parlare.

«Da più di un anno un documento, sottopostovi dal nostro ufficio, per rispondere a questa incombenza, è rimasto inevaso sui vostri tavoli e, ovviamente, non ci sono risposte per poter, da parte del Presidente (sottolineò la parola alzando la voce), prendere una decisione in maniera idonea alle risposte fatte dai cittadini di questa nazione, preoccupati che voi nascondiate la verità sugli UFO! Oh, ben lo sappiamo, non esistono, (alzò il braccio sinistro, muovendo mollemente la mano, per far tacere il brusio che si era subito sollevato da una parte degli occupanti) ma la cosa, oramai, è obsoleta! I servizi segreti militari continuano, vergognosamente, a tenere il Presidente all’oscuro di fatti che, ben provati, vedono una continua presenza di esseri umanoidi sul nostro pianeta!»

Il borbottio salì, fermato, con decisioni, dai due sul palco, che mossero all’unisono le mani destre, fermamente, a bloccare qualsiasi protesta.

La donna continuò.

«Il Presidente ha più volte richiesto a voi, signore e signori, dati inconvertibili di questi fatti, ma avete sempre negato ciò! (la sua voce si era improvvisata alzata) Il Presidente, più di una volta, ha avuto la netta sensazione che una sua defenestrazione fosse imminente!»

La protesta, questa volta, giunse dalle donne e dagli uomini che erano rimasti seduti, i veri comandati delle truppe che prima si erano scagliati contro i due occupanti lo scranno.

«Se il Presidente pensa che non siamo fedeli agli Stato Uniti sbaglia di grosso!»

La frase, decisa, giunse dal fondo del cargo, da una figura posta sullo scivolo dell’aereo, con la luce che entrava dall’hangar alle sue spalle, disegnando una sagoma scura, di cui era impossibile delineare i lineamenti.

L’uomo sul palco intervenne.

«Sì, certo, fedeli agli Stati Uniti (la frase fu enunciata a voce alta), ma il Presidente, questo Presidente, è stato eletto con più del 70 per cento dei voti, per cui pretende una certa lealtà da parte vostra! E mettervi alla porta non servirebbe a nulla! Anche se mandasse via voi, i vostri successori potrebbero avere le vostre stesse idee e il problema rimarrebbe ancora in essere!»

Il clamore nell’aereo cessò, tutti si sedettero e rimasero in silenzio.

Il fatto che questo Presidente fosse stato eletto con così tanti voti, dovuto al fatto che tanti cittadini si erano presentati ai seggi elettorali, per esprimere il loro vigoroso parere indignato sui precedenti inquilini della Casa Bianca, costrinse i presenti a far buon viso a cattiva sorte! Anche se qualcuno, subito messo fuori gioco, aveva meditato di ucciderlo, quel Presidente era pericolosamente troppo ingombrante.

E questa cosa lo rendeva ancora più meno popolare tra i presenti.

I due aspettarono che tutti dirigessero la questione voto, per poi passare alla questione designato.

La donna si mise davanti al leggio, fronteggiando ben decisa il microfono e tutti i presenti.

«Per sicurezza dei designati, non saprete mai i loro nomi, ma solo i loro codici identificativi. Si alterneranno come designati in maniera casuale e non consecutiva! Non saprete mai chi essi siano, dove siano o cosa stiano facendo! Si presenteranno a voi, in caso di necessità, con un tesserino elettronico, il cui facsimile vi verrà inoltrato dopo questa riunione!  Non avranno alcuna scorta, perché sono e saranno in grado di proteggersi da soli, e qualsiasi vostra interferenza verrà vista come un attacco allo stato e sarete immediatamente rimossi dai vostri incarichi! Forse, per il bene del popolo, anche eliminati!»

Era la prima volta che si parlava apertamente di una probabilità che era stata a lungo, da parte dei precedenti occupanti la Sala Ovale, esclusa a priori: eliminare, per il bene comune, persone licenziate o dimessesi dagli uffici della Casa Bianca, durante la legislatura, senza più voce in capitolo, che conoscevano segreti indicibili, pericolosi, se il popolo ne fosse venuto a conoscenza, era stata vista come una decisione estrema, in uno stato tanto liberal!

Il silenzio, simile ad un soffio d’aria che corre tra la cenere ardente sotto ai legni presenti nel camino, pronta ad appiccare un fuoco tremendo, calò nel sito.

La discussione non era di certo finita, ma i due non diedero la possibilità agli altri di interagire con loro.

Voltarono le spalle ai presenti e, prima la donna e poi l’uomo, in fila indiana, scesero dal palco e sparirono nell’ombra.

Nel cargo, dopo qualche attimo, il brusio riprese, le sedie protestavano, mentre venivano malamente spostate, e i comprimari aprivano la strada ai loro capi, che si avvicinavano gli uni agli altri, parlando sommessamente, scuotendo la testa e guardando, ogni tanto, il palco vuoto, con quella brocca e il bicchiere di acqua lì, sotto la luce di un faro, abbandonati, a perenne memoria di un fatto storico, che aveva sconvolto buona parte dei più alti papaveri dell’establishment americana.

Nell’ombra di un corridoio dell’hangar, i due si fermarono a prendere fiato.

«Che te ne pare, Oliver?» Chiese la donna.

«Non ne ho idea, Sybil!» Rispose l’uomo.

«La verità è che le prove raccolte in tutti questi anni, dai nostri predecessori, sono vere e incontrovertibili! Dobbiamo porvi un freno!» Disse la donna.

«Sì, ma ci deve essere qualcosa di più! Hai visto come si sono ribellati gli onorevoli, i senatori e i generali alle nostre pseudo idee? Ho paura che la nostra idea di un movimento trasversale interno ai nostri più alti funzionari sia vero, ma a cosa serve chi può dirlo?» Disse l’uomo.

«Massoneria?» Domandò la donna.

«C’è sempre stata!» Disse l’uomo. «No, credo che sia qualcosa di più complicato. Una parte del mondo cosiddetto civilizzato vuole porre un freno ai rivoltosi…»

«Cinesi, russi…» Sollecitò la donna.

«Forse. Credo di più i paesi del terzo mondo, o meglio, chi li comanda, quel misto di religione e potere dal centro africa fino alle popolazioni arabe impoverite, che vedono nella nostra morte la loro possibilità di rivalsa su un mondo che, credono, li vuole sottomessi…» L’uomo scosse la testa sconsolato.

«Ma quello è colpa…» La frase della donna rimase lì, sospesa per aria.

«Nostra, Sibyl, nostra! E ne stiamo pagando le conseguenze. Ho paura che se la Corea del Nord dovesse cavalcare questa protesta con l’Iran non riusciremmo a fermare l’onda d’urto che ci travolgerà!» L’uomo abbassò il volto e scosse la testa. «Riferiamo al Presidente e poi vediamo il da farsi.»

Uscirono dal corridoio, sbucando dietro l’enorme hangar, non visti dai partecipanti della riunione, mentre il sole, alto, incominciava a scaldare quella tremenda mattinata, salirono su un’auto insignificante e nera, parcheggiata contro il muro dell’edificio.

L’uomo si mise al volante e la donna gli si sedette di fianco.

Il motore si accese al primo colpo.

L’uomo inserì la marcia e si diresse verso la Casa Bianca.

Dopo alcune ore, e dopo innumerevoli controlli, i due si presentarono davanti al Presidente.

A guardarlo non dava l’idea di essere un Presidente.

Aveva ottant’anni, magro, basso (forse arrivava al metro e sessantadue), curvo, ma, quando saliva su di un palco, aveva un piglio invidiabile!

Accolse i due con le maniche di camicia arrotolate, con il colletto sbottonato, la cravatta nera abbandonata sul petto, i pantaloni neri quasi cadenti, con la cintura slacciata, seduto su uno dei divani, mentre abbracciava un cuscino verde di seta.

«Come l’hanno presa?” Chiese, guardando i due dal basso verso l’alto, con gli occhiali cascanti sul suo naso adunco.

I due si guardarono e l’uomo parlò.

«Male, signore. La protesta, di quanto detto in riunione, vi arriverà in molti modi!»

«Fa niente! Non possiamo più tergiversare dopo quello che la NASA ci ha detto! E per fortuna loro, chiunque essi siano, non lo sanno!» Sbottò il Presidente

«I nostri no. Ma stavamo meditando su altre implicazioni, che consideriamo più gravi.» Continuò l’uomo

«Si, lo so! Ma dobbiamo correre il rischio!» Rispose risoluto il Presidente.

«Signor Presidente, per quanto riguarda i designati…» La donna aveva iniziato a parlare, balbettando.

«Mandateli a fare i corsi!» Disse il Presidente, stringendo ancora di più il cuscino. «Abbiamo ancor un po’ di tempo e sicuramente finiranno l’addestramento prima di ogni cosa.»

«Ma il tempo…» Si lamentò la donna.

«La NASA ha ricontrollato i dati. Non se ne farà niente per ancora due o tre anni.» Il Presidente si alzò dal divano e si diresse verso la sua cara scrivania vittoriana.

«Allora il suo successore…» Dissero, all’unisono, la donna e l’uomo.

«Non so se ci sarà un successore! Il colpo di stato è ormai già pronto! Posso scappare, sfuggire, nascondermi, ma loro sono pronti da tempo, e il vostro show è solo servito ad accelerare i tempi!» Il Presidente si sedette sulla poltrona della scrivania, con sempre in grembo il cuscino verde.

Si vedeva che era stanco, ma non si sarebbe arreso tanto facilmente.

I due si girarono e se ne andarono dalla stanza ovale: li aspettava un lungo e faticoso lavoro, e al Presidente ci avrebbe pensato qualcun altro.

   
 
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