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Autore: Legar    16/03/2022    8 recensioni
La Ministra Granger è in visita al MACUSA e ritrova una vecchia conoscenza in un ruolo inaspettato.
«Volevo farle di persona i complimenti per la sua elezione, è un forte segnale di rottura con il passato.»
Hermione deglutì l’astio che non poteva mostrare liberamente davanti al Presidente, che aveva parlato del proprio assistente con così tanta stima, e rispose con un cenno. Malfoy le dava del tu, una volta, e non le faceva mai complimenti, e non voleva rompere nulla se non lei.

[Questa storia partecipa all'Enemies to best friends contest indetto da Mari Lace sul forum Ferisce più la penna.]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Dietro il nome

 

 

Avrebbe dovuto essere abituata al ritmo delle macchine fotografiche, rapido e irregolare, in contrasto con la fissità del sorriso studiato per il pubblico. Numerosi lampi di luce la investivano in volto – la stampa locale e quella britannica che aveva viaggiato con lei – ma nessun cenno di fastidio le alterava i lineamenti. L’unico movimento approvato era una piccola rotazione del capo, a destra e a sinistra equamente, perché ogni giornalista avesse la possibilità di catturare un’immagine centrata.

All’ufficio del Presidente Quahog si arrivava tramite un corridoio a cui si accedeva dal fondo della sala, presidiato da una coppia di Auror americani in uniforme. Tuttavia in quel momento l’anziano mago non sedeva alla propria scrivania: in piedi al fianco di Hermione esibiva un’analoga espressione, perfezionata in anni di esperienza ai vertici del MACUSA. Le stringeva la mano con un vigore insospettabile dall’aspetto caduco dei fini capelli bianchi.

Le ampie finestre su un lato della sala conferenze erano chiuse, ma, prima del loro ingresso, un incantesimo aveva animato le bandiere alle loro spalle come il vento sulla sommità di un palazzo istituzionale Babbano.

Stipati tra le file di sedie, reporter britannici e americani immortalavano un’immagine di cooperazione internazionale, il primo risultato sulla scena estera dell’ufficio della Ministra Granger, insediatasi quattro mesi prima tra le perplessità per la sua giovane età e l’incrollabile stima del predecessore Shacklebolt. Nemmeno a un’eroina di guerra era risparmiata la critica politica e Hermione era determinata a conquistarsi ogni merito con il lavoro e la competenza, come aveva sempre fatto.

«Basta così, grazie.» A un cenno del Presidente Quahog rivolto ai presenti, una giovane strega del suo staff riconobbe il segnale per indirizzarli verso l’uscita.

«Grazie a tutti» disse anche Hermione.

Decine di passi e un intenso vociare aleggiarono nella stanza che si svuotava. Il suo omologo americano fu costretto a piegarsi verso di lei e alzare il tono per essere udito: «Il trattato è firmato, la conferenza conclusa e le foto di rito scattate; ora passiamo alla parte più interessante, che dice? Abbiamo fatto preparare anche del tè, Ministra!» Il mago ridacchiò come a sottolineare l’eccezionalità dell’evento.

«Ne sono onorata» rispose lei, trincerandosi nello stesso tono leggero. Si sarebbe premurata di annotare mentalmente i gusti che l’uomo avrebbe palesato, per mostrargli ogni cortesia quando la visita istituzionale sarebbe stata ricambiata.

«Ci sposteremo nel Salotto Rosso» annunciò il Presidente, e dal piccolo palco rialzato di fronte alle sedie si avviò verso una porta alla propria destra. La sua scorta si mosse subito con lui e gli Auror britannici scelti personalmente da Harry Potter seguirono lei, non appena si incamminò con Quahog.

«In questa stessa sala» continuò, «fu revisionata la legge Rappaport sui rapporti tra maghi e No-Mag.»

«Lei sa che io ho origini Babbane, Presidente.» Lui annuì, mentre Hermione riprendeva: «Essere ospitata proprio qui per me ha un estremo valore simbolico.»

Lui si schernì, ma pareva invero molto fiero. «È stato un suggerimento di un mio assistente, lo conoscerà a breve.»

La mano guantata di un membro del personale aprì per loro la soglia. Li accolse un intreccio di tonalità scarlatte e vermiglie e cremisi: i tappeti sul pavimento, le tende alle finestre, le poltrone attorno a un basso tavolo apparecchiato. Ai muri erano appesi i ritratti annoiati di alcuni Presidenti passati e sulla parete di fronte all’ingresso fiamme vivide scoppiettavano in un camino di marmo candido. Lo stile asettico della sala conferenze – bianco e grigio, linee rigide e arredamento essenziale – lasciava spazio al rosso ricco della storia sulle cui fondamenta era stato edificato quel luogo.

Si accomodarono per le conversazioni più distese che di solito facevano seguito alle formalità previste dai riti istituzionali – nel corso della propria carriera al Ministero, Hermione vi aveva assistito seguendo il Ministro Shacklebolt in alcuni viaggi in Europa. In un contesto più privato – per quanto concesso dalla presenza irrinunciabile dello staff, vincolato comunque da accordi di non divulgazione – Samuel G. Quahog poteva sbilanciarsi a proposito di consigli su come equilibrare la vita professionale con quella familiare e lei poteva interessarsi dei suoi piani riguardo il pensionamento.

Qualcuno batté sulla porta e il Presidente diede istruzione di aprire. «Voglio presentarle il mio assistente, visto che è soprattutto con lui che ha lavorato al nostro trattato. E poi potrete parlare di tè o di qualcun’altra delle vostre cose» ridacchiò ancora, quasi istigandola ad alzare gli occhi al cielo. Ma ogni sua reazione fu scavalcata dallo stupore, quando il mago in questione fece il proprio ingresso. «È inglese, sa?»

«La Ministra Granger lo sa già, Presidente.»

«Malfoy!»

Un discreto colpo di tosse fece seguito alla sua esclamazione. «Preferiamo non usare quel cognome, rispettiamo le decisioni dei nostri impiegati» la corresse gentilmente il Presidente.

L’uomo che un tempo faceva vanto di ogni singola lettera di quel nome di famiglia fece un passo verso di loro. «Non è un problema: la Ministra mi conosceva con quel cognome.»

Nel mese di trattative che aveva preceduto le loro firme in fondo a un rotolo di pergamena ufficiale, Hermione era stata consapevole di lavorare con l’ufficio del Presidente più che con Quahog in persona: arrivato alla fine della propria carriera, il mago americano amministrava l’arte del delegare come era stato consigliato anche a lei di fare, lei che nelle prime fasi del proprio incarico si stava affannando tra impegni e scadenze. Ciò che Hermione non aveva mai saputo prima di quel giorno, né aveva avuto alcun motivo di sospettare, era che la firma “L. Black, Ufficio del Presidente Quahog” che accompagnava la corrispondenza intercontinentale aveva il volto di Draco Malfoy.

Avrebbe forse riconosciuto la grafia, se a scuola fossero stati amici e compagni di studio? Se lui non fosse stato odioso rivale, Mangiamorte nemico, aspirante assassino.

Draco Malfoy aveva per lei un’espressione gentile che non le aveva mai rivolto, tuttavia si adombrò quando si rese conto di dover ritirare la mano che lei non accennava a stringere. Era la destra. Il braccio sinistro era coperto dalla manica lunga – non faceva caldo e in ogni caso l’abbigliamento formale imponeva di coprirsi, ma Hermione non aveva notato frammenti del vestiario di nessun altro in quella stanza, perché di nessun altro sapeva cosa nascondevano.

«Volevo farle di persona i complimenti per la sua elezione, è un forte segnale di rottura con il passato.»

Hermione deglutì l’astio che non poteva mostrare liberamente davanti al Presidente, che aveva parlato del proprio assistente con così tanta stima, e rispose con un cenno. Malfoy le dava del tu, una volta, e non le faceva mai complimenti, e non voleva rompere nulla se non lei.

Da quando si faceva paladino della cooperazione internazionale? Da quando sosteneva che le amicizie potessero essere coltivate anche su un terreno di secolari differenze? Quanto era disposto a fingere e sorridere, pur di ripulirsi la faccia? Non gli era bastato cavarsela senza una condanna dai processi dei seguaci di Voldemort, né lasciare senza alcuna traccia la Gran Bretagna e la propria reputazione macchiata: dal padre condannato al carcere a vita aveva ereditato l’ambizione al potere, e l’aveva inseguito e ottenuto in un luogo diverso.

Ma non era sufficiente cambiare un nome per dimenticare – glielo disse, in un gelido commiato, nell’unico momento di quella giornata lavorativa in cui non furono circondati da americani ignari.

 

***

 

Avevano continuato a scriversi per lavoro.

L. Black non era Draco Malfoy, quando faceva commenti sorprendentemente acuti sul valore della cooperazione, quando le sottoponeva proposte coerenti con le ambizioni politiche e programmatiche del suo ufficio, quando sosteneva che sarebbe stato opportuno che la legislazione in materia di diritti per le minoranze fosse avanzata tanto quanto quella sui No-Mag negli Stati Uniti d’America.

L. Black era Draco Malfoy, quando concedeva sprazzi di ironia pungente al tono istituzionale, quando uno scampolo di alterigia sfuggiva nel tono di un commento, quando citava casualmente certe tradizioni secolari ben radicate nelle più antiche famiglie magiche.

E lei rispondeva – che ringraziava per l’interessamento, che un dipendente di un'altra istituzione non poteva sapere di più, che era già abbastanza stressata dalle impellenti richieste di ogni fascia della popolazione per badare anche a quelle di un mago britannico espatriato.

Fu quando lui le chiese “Come stai?” in un P.S. in fondo a un resoconto sui rapporti commerciali tra i due Paesi nell’ultimo trimestre, quando lei gli rispose che le mancava avere più tempo a disposizione da trascorrere con i due figli in età prescolare, che Hermione si rese conto che le piaceva parlargli. Che le era già piaciuto. Che se prima di conoscere la sua identità aveva apprezzato l’anonima voce su carta di quel collaboratore del Presidente, adesso le piaceva scoprire quella dietro il nome, la nuova faccia del suo vecchio compagno di scuola – e odioso rivale, e Mangiamorte nemico, e aspirante assassino, ma forse non più, perché nessuno poteva portare avanti una finzione tanto a lungo.

Quando infine Hermione, rassegnata di fronte al proliferare degli impegni, trovò un’assistente che sembrava competente quanto si era rivelato L. Black e la nuova assunta iniziò a sbrigare la sua corrispondenza, Draco le spedì la prima lettera privata.

A Hermione Granger, firmato Draco Malfoy.

 

***

 

Ne riconobbe la voce prima di ritrovare il volto.

«Spero che quel tè sia buono quanto sembra. Latte e zucchero?»

«Sempre.»

«Solo qui potrò berne uno come si deve. Mi chiedo perché al MACUSA tutti dimentichino il latte.»

La sala stampa del Ministero della Magia, che avrebbe accolto le dichiarazioni istituzionali, in quel momento ospitava solo la sua scorta e un paio di dipendenti a sistemare le ultime postazioni. Hermione vi si era rifugiata per ritagliarsi un momento di tranquillità.

Il Presidente Quahog aveva accettato di ricambiare la visita in occasione dell’anniversario della firma del trattato tra i due Paesi, ma Draco Malfoy evidentemente non era entrato al suo seguito. Ferma accanto al leggio, Hermione attese che fosse lui ad avvicinarsi, esaminato dagli occhi sempre vigili degli Auror assegnati alla sua incolumità. Una targhetta appuntata sulla giacca scura lo identificava come visitatore autorizzato, segno che aveva già superato i controlli di sicurezza previsti nell’atrio.

«Te lo faccio preparare» si offrì Hermione, «prima che arrivi il Presidente a scoprire quanto sgradito sia il suo.»

«Non ce n’è bisogno, sarò qui per poco. Non resterò per l’evento» le comunicò, secco, il tono che aveva perso tutta la serenità della loro più recente corrispondenza.

«Cosa? Perché?»

Il mago sospirò e fissò assorto le bandiere dei due Paesi davanti a loro. Hermione prese un sorso, si domandò se avrebbe scorto un colore altrettanto liquido nelle iridi di Draco Malfoy.

«Per gli sguardi all’ingresso, i sussurri nei corridoi, lo spazio intorno a me nella folla. Per come i tuoi Auror non mi hanno tolto gli occhi di dosso da quando sono entrato a salutarti.» Perfettamente professionali, i due uomini della scorta non si mossero neanche, anche se potevano udire ogni parola di quella conversazione.

«È da questo che sei scappato dopo il tuo processo?»

«Sono sempre stato molto bravo a fuggire, non trovi?»

«E ad agire nell’ombra» concesse Hermione. «Perciò hai scelto di iniziare a lavorare con un nuovo nome.»

Draco piegò le labbra in una smorfia amara. «Concorderai con me che quello di prima ormai non era il più comodo con cui presentarsi.»

«Ma stavolta puoi permetterti di farti vedere al tuo posto. Lascia che conoscano i tuoi meriti.»

Draco scosse la testa piano. «E chi ci crederebbe?»

Chiunque avesse lavorato con lui, chiunque avesse visto come la testimonianza della prossimità al potere e ai potenti di Lucius Malfoy fosse stata messa a frutto da suo figlio nel campo delle relazioni internazionali, fatto di delicati equilibri, la ricerca del contento di una parte e dell’altra pure.

«Saresti sorpreso. Ron è sempre meno sconvolto ogni volta che gli racconto di stare collaborando con il Presidente, e quindi con te.»

A quelle parole lui tornò a guardarla con un misto di incredulità e divertimento. «Non invoca il mio licenziamento borbottando?»

«Questo sì.» Hermione lasciò andare una risatina. «Ma di questi tempi credo che si farebbe andare bene chiunque possa alleggerirmi di un po’ del carico di lavoro.»

Il mago si limitò a un broncio poco convinto in risposta.

«Non ti manca casa, Draco?»

Lui scivolò con lo sguardo sulla tazza ormai fredda tra le sue mani. Un istante dopo, nel grigio sotto le palpebre galleggiava una sofferenza acuta e innegabile. Calarono, e ogni verità svanì nella compostezza.

«Non hai niente che ti trattenga negli Stati Uniti, se non la posizione lavorativa che ti sei guadagnato. Ti offro la stessa qui, a casa.»

«Hermione…» la chiamò, con un tono che chiariva indubbiamente che non aveva previsto quel risvolto.

«Però questa proposta è per Draco Malfoy» precisò, poi si distrasse un momento per rispondere a un collaboratore e un altro le si avvicinò per recuperare la tazza.

Quando riportò lo sguardo su di lui, Draco stava contemplando l’uscita con risoluzione. «Pensaci» gli suggerì tranquilla. «Andiamo? Se tu sei qui, il Presidente arriverà certamente a breve e io ho bisogno di recuperare il mio discorso dalla mia assistente.»

Draco le offrì il braccio per scortarla. Era il destro.

Lei si portò dall’altro lato, gli prese il sinistro senza esitare e avanzò al suo fianco.

Sulla soglia, lui si fermò d’improvviso. «Mi manca casa, Hermione.»

Lei sorrise e strinse il tessuto spesso che gli copriva l’arto con una confidenza che l’anno prima non avrebbe mai immaginato. «Al Ministero della Magia nessuno dimentica il latte per il tè, te l’assicuro.»

Draco sbuffò. «Ora inizieranno a dire che ho ottenuto un posto solo per le mie amicizie ai vertici.»

Hermione ridacchiò, mentre guadagnavano l’uscita. «E non è quello che hanno sempre fatto i Malfoy?»

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Il Presidente del MACUSA Quahog è citato da J.K. Rowling in un contenuto pubblicato su Pottermore. La sua spocchia nei confronti delle abitudini inglesi è farina del mio sacco e fa molto stereotipo americano, lo riconosco!

La legge Rappaport è quella in vigore negli Stati Uniti nel film Animali fantastici e dove trovarli: non solo imponeva alla comunità magica la segretezza, ma proibiva ai maghi persino di sposarsi o fare amicizia con i No-Mag, perciò ho ovviamente immaginato che in seguito sia stata revisionata.

Il contest a cui partecipa questa fanfiction prevede di sviluppare un rapporto di amicizia tra due personaggi che hanno avuto contrasti in passato. Anche se quelli tra Draco e Hermione sono canon, ho voluto mostrarli nella prima parte della storia, per poi romperli nella parte centrale e scrivere infine di due amici nella terza parte.

Spero che questa one-shot vi sia piaciuta, grazie per la lettura!

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Legar

   
 
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