Serie TV > Altro - Fiction italiane
Segui la storia  |       
Autore: ClodiaSpirit_    18/03/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
24 Giugno.

Quella giornata era iniziata come un sole pieno e alto.
Il sole, però, non si vedeva dalla spirale di luce che entrava nel piccolo spazio. Era bloccato. Bloccata come la figura di Simone che se ne stava contro il muro di un ambiente insolito. I capelli erano ridotti a un ammasso di nodi, tra ricci ribelli e disordinati. Il sale gli era rimasto addosso, incollato sulla pelle, lo sentiva, infilato dentro i pori. Quel sale ormai, come parte del suo organismo, al posto quasi del suo sangue se era possibile. Il sale si usava sulle ferite di sangue.
Quella non era una ferita, ma era molto simile: un'emorragia momentanea, ma comunque rilevante. Le braccia erano conserte al suo petto, le gambe erano sbilanciate in avanti rispetto alla schiena aderente al muro instabile.
Fuori era un sabato estivo.
Gocciolava il tubo di un sanitario pulito, dentro una piccola cabina in fondo allo stanzino del bagno pubblico della spiaggia. L'odore era di calura, di umido e arrivava alle narici di Simone prepotente, come se fosse stato disinfettante puro, ad alto concentrato. Invece sembrava più un odore misto, di olio, di unto, di sporco. Simone ci si stava immergendo totalmente.
Forse stava esagerando, ma era davvero il caso di non ascoltare a cosa stava pensando dentro? Valeva davvero la pena lasciare perdere quello a cui teneva?
Si sentiva un po' drastico, amareggiato, con se stesso, con quello che era successo. Forse era davvero inutile montare quella sensazione appiccicosa tremenda: cos'era stata la gelosia se non qualcosa che quando si presentava così, rapida, senza controllo, da voler estirpare alla radice?
Simone si guardò i piedi pieni di sabbia ai talloni, li incrociò l'uno sull'altro, sentendo l'esigenza di lavarseli immediatamente.
Com'era che era lui a sentirsi sporco se non aveva fatto niente?
Assurdo, sono assurdo.
Mentre ci pensava, sentiva solo di volersi prendere a schiaffi da solo. Quelle rare volte in cui ti senti di aver agito restando fedele a te stesso, ma senti in ogni caso di doverci ritornare sempre. Mettere a fuoco, allontanare, ripristinare l'obiettivo.
No, non mi interessa.
Non era colpa sua, lui era stato sempre sincero, su tutto.
Simone se ne stava sempre lì, contro il muro, la schiena cominciava a fargli male, ma non si sarebbe mosso. L'aria tirava dalla finestrella del bagno chimico e il sudore gli bagnava i nervi sulla pelle.
L'immagine di una ragazza gli percorse la mente, ma non era quella che voleva richiamare a sé. Subito dopo, una figura riccia venne a galla, famigliare, con un sorriso sghembo. I tipici elementi che Simone avvertiva quando stava per crollare da un momento all’altro, irruppero poco dopo, la mascella si serrava, gli occhi si chiudevano. Poi, un rumore come di qualcosa che sbatteva, lo fece voltare improvvisamente.




- - -



22 giugno.

Manuel era riuscito a fare dell'officina una piccola impresa, con tanto di cartellino specializzato. Almeno, lo sembrava anche se ne aveva fatti stampare un po’, grazie all'aiuto di Simone. Aveva cominciato a diffondere la voce, anche per chi gli portava dei pezzi di motore da poter aggiustare.
Il tutto, ovviamente, era fatto legalmente. Le nuove risorse di Manuel, erano tutte persone con fedina penale pulita, e se qualcuno gli dava sospetto, lo faceva passare sotto qualche controllo.
Simone, si era dato da fare, selezionando come occupare al meglio il suo tempo. Grazie a un'amica di sua nonna, era riuscito a stabilire qualche orario e qualche settimana per l'inizio delle ripetizioni da fare a ragazzi del primo e secondo anno di liceo. Gli argomenti erano vari, o semplicemente i programmi scolastici dovevano essere recuperati nell’arco di pochi giorni.
Una missione abbastanza pesante, ma che pensò subito di saper gestire al meglio.
A Simone piaceva stare dietro a ragazzi che magari avevano avuto dei debiti in matematica - materia in cui lui non aveva mai avuto problemi - o anche in italiano. Non gli interessava molto l'essere pagato, quanto riuscire ad essere d'aiuto a quei ragazzi disperati, che avevano davvero preso in modo tragico le loro situazioni scolastiche. Dove poteva, Simone cercava di lenire con qualche parola o semplicemente, concedendo loro delle piccole pause tra un argomento e l'altro.
Lui e Manuel non avevano trovato molto tempo per vedersi in quei giorni. Quando Manuel era libero, Simone aveva un pomeriggio occupato e viceversa.
I due si sentivano tramite messaggi e la sera, riuscivano sempre però a darsi la buonanotte, stesi ciascuno in mezzo ai loro sorrisi. Quella sera, era una di quelle.
Simone guardò lo schermo, mentre Manuel insisteva a volerlo convincere dell'idea che aveva avuto su una nuova promozione dell'attività che si era messo in testa.
Si era intestardito sulla cosa e Simone annuiva e lo lasciava parlare, fluido come acqua corrente.

« Te dico che la gente è cominciata a venire più spesso, vengono ragazzi con le ruote bucate, con le vespe vandalizzate, » gesticolò con le mani, mentre si lasciava con la canotta « ce stava una ragazzina che mi ha chiesto un favore per un'amica sua. Me so confuso l'altro giorno. I bigliettini stanno finendo e mi sa che devo farli ristampà »

« Dovevi ascoltarmi, dieci erano troppo pochi Manu »

« Eh lo so, Simò, » mormorò sospirando « ma che ne potevo sapè. Provo a fare prezzi buoni, inoltre c'ho na mezza idea de offrire pure qualche tatuaggio gratuito con la rimessa dei mezzi »

Il sorriso furbo come la personificazione di una volpe che riesce ad arrivare all'uva, diversamente dalla versione originale.
« Questo non è proprio legale però » sottolineò Simone perentorio.

« Beh solo se lo vogliono, mica li costringo a farsi bucare, » Manuel mostrò le mani in segno di difesa « e poi me li so fatto addosso io, non mi hanno mai chiesto o detto nulla. A te t'hanno mai sconcicato Simò? »

Simone abbassò il capo, le mani sul lenzuolo, il piccolo bracciale di corda al polso destro.

« No, » si inumidì le labbra, vedendo che l'altro sorrideva fiero « ma questo non vuol dire che i loro genitori non lo chiederanno ai ragazzi che ti affidano le moto, le vespe o le bici »

« È proprio per questo che l'idea è quella de fà firma una sorta de contratto civile e di totale segreto sulla cosa, Simone. Loro se inventano il tatuatore, se lo scordano o semplicemente lo nascondono ai loro e tutto quadra »

« Sarà, ma mi pare un po' un azzardo »

« Perché i ragazzini tua come fai a sape che sono tutti dei santi appesi al muro? »

Simone scrollò le spalle, storcendo la bocca. Non è che lo sapeva con certezza, ma molti di quelli a cui prestava il suo tempo, sembravano ragazzi per bene o senza strane idee per la testa. O forse dopo essersi messo con Manuel, non sapeva effettivamente distinguere i casi speciali da quelli normali.

« Non lo so, ma sono sicuro che la metà di loro non si farebbe tatuare senza qualcuno con la licenza » lo guardò attento, diretto.

« Ah, beh, che te devo dì, uno così strano te capita solo una volta nella vita...»

Simone gli mostrò il dito medio, sorridendo in fare provocatorio.
Manuel ricambiò mandando un bacio volante allo schermo, che Simone scacciò via in modo immaginario.

« Non ti ha stancato questo strambo però, mi sembra di capire e poi mi sono affezionato ad alcuni, sono molto tranquilli »

Sei troppo lontano, sei vicino, ma non te ho qua vicino per poterlo dire.
Eppure erano giorni che avrebbe tanto voluto toccarlo, sentirlo sotto le sue dita. Manuel non si stancava di quelle notti a sentirsi così, prima di dormire. I sogni che facevano, erano solo sogni che riguardavano cose belle. Una di queste, era proprio Simone.
Gli arrivava in maniera chiara e poi, quando si sbagliava e non era la sua figura a bussargli in mente, erano comunque immagini rassicuranti che ripercorrevano cose che lo riguardavano lo stesso: degli occhi grandi, un oggetto alto e lungo, una bevanda scura, come i suoi capelli, il colore rosso di un tessuto di lana, caldo, che sapeva di un buon profumo.
« Non me stancheresti mai, Simone » sussurrò, il respiro si faceva basso. Aveva tanta voglia di soffiarglielo sul viso. « Senti, ma quando ce vediamo noi? »

« Non lo so »

« Dovremmo rimediare, perché ho bisogno de un po' de vitamina Balestra, mi è finita l'ultima dose che avevo in corpo » scherzò tronfio.

Simone pensò veramente di aver iniziato la relazione con un comico di professione, più che con un suo coetaneo. « La vitamina che possiamo prendere è quella del sole, pensavo, magari potremmo andarcene una giornata al mare, io e te. Ci sarà un giorno in cui non hai lavoro in officina, no? »
« Eh Simone, c'ho un po' de respiro giusto in questi giorni, e se non ce l'ho, me lo prendo. Vediamo... te va bene venerdì? »

« Venerdì non posso, è il compleanno di Nonna, » si grattò il mento « sabato? »

« Vada per sabato allora » il ragazzo sorrise, leggermente sollevato che avrebbero trovato modo di rivedersi, poi il tono di Manuel si colorò di un lamento annoiato « Però annamo alla spiaggia libera, niente Ostia, ce starà una marea de gente »
Simone annuì, convinto.

« Va bene, a che ora facciamo? »

« Non facciamo all'alba, Simò »

« Per le dieci però dovremmo già essere in spiaggia, altrimenti poi c'è davvero il casino »

Manuel si stiracchiò, un braccio dietro la testa, l'espressione soporifera.
« Vabbè, per le nove te va bene se me faccio trovà sotto casa tua? »

« Sì, poi andiamo con la mia vespa »

Il teppistello ebbe un moto di lamento, sospirando.

« Per come guidi arriveremo sicuro dopo due ore »

Manuel conosceva la guida di Simone, precisa e pulita. Solo raramente si permetteva di sforare il limite di velocità per strada. Quando arrivava da lui, ad esempio, la tempistica era di mezz'ora, cioè poco. Per lunghi tragitti, invece, se la prendeva con più calma.

« Sempre meglio la mia vespa che quel catorcio che te ritrovi » sottolineò la parola catorcio, provocando la drammatica offesa dell'altro, che di portò una mano al petto.

« Ma che catorcio Simò, ho fatto rinnovà il motore da uno bravo, adesso va come una scheggia »

« Il problema non è tanto il motorino, quanto l'ombrello...mi sa che dovremo affittarlo là »

« Simò non me pare il caso de camminà con quello dietro… voglio dì, già bastano gli zaini »

« Io porto una sacca, per mettergli dentro la tovaglia, è troppo grande per lo zaino, e poi, » Simone si rannicchiò dentro al letto, il fianco ruotato, infilato tra il materasso e le coperte « mi porto un cruciverba, un mazzo di carte…»
Manuel osservò il ragazzo, di cui ora erano visibili solo gli occhi, una porzione del naso regolare, perché la restante parte nascosta dalla trama della coperta.

« Vabbè allora parcheggio il mio catorcio da te e giriamo con la signora vespa, Balestra »

Una risata gioiosa gli uscì dalla gola, gongolando della sua stessa battuta.

« Sì, puoi dirlo, almeno lei non mi prende per il culo!»
L’espressione del ragazzo era simile a un cucciolo di animale in via d’estinzione o qualcosa di molto vicino, con quel naso schiacciato sul cuscino, i pochi ciuffi di capelli che ricadevano sulla fronte, gli occhi come due telecamere che ti controllavo senza perderti di vista. Manuel ricordava l’ultima volta che erano stati insieme, dormito nello stesso letto. Anche se erano passati pochi giorni, contò mentalmente quanti fossero – forse sette, otto giorni in tutto – percependo tutta la mancanza provata in assenza del calore di Simone, del suo sentore di vaniglia, della pelle morbida e delicata sotto le sue piccole dita, del respiro che veniva fuori una volta preso sonno. Guardò di scatto la foto sul capezzale, nonché suo regalo di compleanno. Sospirò.

« Restiamo per tutta la giornata, in spiaggia e poi vieni a dormì da me, stavolta non c’hai scusa che regga »

« Se per tua madre non è un problema… »

« Ma quale problema! A mi madre fa solo piacere, anzi, » mormorò con l’idea che gli era appena balenata come il disegnino appena apparso, di una lampadina accesa « se poi voi restà per pranzo, non se lamenta mica »

Il ragazzo disteso a letto arricciò il naso, senza però spegnere gli occhi grandi, che capeggiavano, trasformando quel suo ritratto a quello di un bambino.

« Non si lamenta lei o tu? »

E’ ovvio Simò. La sua testa rispose per lui, seguito dallo sguardo, senza che però emettesse un singolo fiato o suggerimento attraverso la sua bocca. « Terra chiama Manuel »

« Simone, che c’è da capì, voglio er ragazzo mio, a casa mia. Okay, sì, è più per me però il concetto remane quello: se vuoi restare sabato, » Manuel mise più enfasi sulle ultime parole « me faresti contento. »

Simone lo trovò molto carino, la dolcezza che sprigionava in quelle piccole verità, quei piccoli bisogni interni nascosti che uscivano, così, allo scoperto, mettevano a nudo solo la parte più spoglia, più bella di Manuel e a cui lui si stava pian piano e inevitabilmente abituando. Tuttavia, l’idea di tenergli testa, era troppo forte per lasciarsi andare a smancerie frivole.

« Ringrazia pure Anita allora, » sorrise Simone, incurvando le labbra, che però l’altro non colse, perché erano nascoste dal tessuto « dille che resterò per pranzo »

« Cioè, famme capì, ti ho invitato io e tu ringrazi mi madre? »

Il tono infastidito di Manuel lo fece ridere, scoprendo di colpo il viso, il corpo si mosse e i due incisivi separati di Simone saltarono fuori, inquadrando l’opera completa.

« Scusa solo tu puoi prendermi in giro? E poi la padrona di casa è lei, io porto solo il dovuto rispetto »

« Guarda te che me tocca sentì, Simone sabato, facciamo i conti tu ed io »

«1…2…3 »

Manuel lo guardò serio, gli occhi sgranati, come si guarda qualcuno e si prova subito un senso di svilimento. « Sì, il comico viene meglio a te, hai ragione »

« Lascia stà, che certe cose non te riescono. Te viene meglio la parte del ragazzo senza manco un difetto »

« Ma in tutto questo che ore sono?»

Manuel diede un’occhiata alla sveglia, alla sua sinistra. La lancetta era puntata tutta su un unico numero: l’una di notte. Andavano avanti da due ore e mezza.

« Non è tardissimo, so solo l’una… te c’hai sonno, Simò? »

Il ragazzo alto pensò che non avrebbe fatto differenza qualche minuto in più, considerando che si sarebbe alzato con comodo la mattina dopo. E poi, la voce dell’altro era una calda compagnia nell’aria della casa silenziosa già da un’ora.

« No, per niente »


- - -





24 giugno
L'idea di averlo visto andare via, non gli tolse dalla testa il sentore di colpa, l’ennesima.
Scattò subito in piedi, il mare gli lambiva le dita dei piedi, lì, fermo sulla riva, le mani sui fianchi.
Il petto era esposto al sole, ma era come se avvertisse solo uno strano freddo in quel preciso momento.
Manuel sapeva che avrebbe dovuto parlare. Lo aveva imparato, eppure non lo aveva ritenuto opportuno. Com'era quando si tacevano le cose perché era troppo tardi ormai per ritirarle fuori? Eppure non aveva importanza.
Non avrebbe mai avuto importanza, e lo sapeva.
Non aveva neanche una minima particella, un minimo valore, non era niente di quello che provava per lui. Non avrebbe mai potuto mettersi a paragone. Scosse la testa, e scacciò via la sabbia bagnata con un solo calcio.
Avevano fatto un discorso ben preciso, giusto quella mattina. Manuel avrebbe tanto voluto cambiare la decisione di non avergli detto nulla. Già Simone lo cambiava, plasmava e incombeva sul suo prossimo errore fatto indietro ai suoi ricordi.
Simone me dovresti cambià eccome.
Manuel si girò sui suoi passi. Camminò lungo quella polvere fina, che scottava, che i bambini scalciavano, dove si rincorrevano. La sabbia scottava, ma non gli dava fastidio. L'unica cosa che gli premeva, era cercare Simone e andargli a spiegare tutto quanto.
Parlare, Manuel, glie devi parlare.
Guardò la fila di persone davanti la porta del bagno chimico a pochi metri di distanza. Respirò a fondo, prima di inventarsi che il suo ragazzo non stava tanto bene e si era chiuso dentro.
Una bugia per la verità. La metà di quello che si vorrebbe dire, a volte, si ripaga con qualcosa di falso.
In effetti non fu proprio falso, Manuel mosse la maniglia della porta del bagno chimico, ma quella risultava bloccata da dentro.
Manuel allora bussò, le nocche sfioravano il legno verdognolo, attese. Nessuna risposta, riprovò un’altra volta, più forte e usò le dannate parole.

« Simone, per favore, apri, sono Manuel »








24 giugno, mattina, 11:00.

Il sole era bello alto, la giornata era molto calda e i primi venditori si aggiravano per la spiaggia, molestando di parole e di suppliche le poche famiglie presenti al mare. C’erano file ordinate e non di ombrelloni. Simone e Manuel ne avevano noleggiato uno in comune, piantato per adesso, solo da un lato: quello di Manuel. Erano distesi sopra i loro teli, un po' in disparte rispetto alle madri con i bambini, dai giocatori di bocce, dai signori più anziani, ma comunque più vicini al bar e ai servizi.
Era una posizione ottimale anche per l'entrata in acqua. Arrivati perfettamente in orario, Manuel si era ricreduto e sconvolto anche se non si era risparmiato di dare scherzando, della lumaca a Simone.
Prima di scendere in spiaggia aveva esordito con un la signora vespa ha fatto il suo lavoro beccandosi un’occhiataccia del proprietario nonché guidatore. Rilassati, con i corpi in posizione molle e pigra, sentivano in sottofondo il rumore delle onde, il leggere risucchio della schiuma, il chiacchiericcio e qualche gabbiano che planava in cielo, contraddistinto dal rumore e lo stridio tipico che rendeva la loro specie più simile a delle cornacchie bianche. Era il tipo di giornata ideale per rilassarsi e godere delle ore che avevano finalmente da poter passare insieme.

« Manuel, » Simone si voltò un attimo verso il teppistello, aveva gli occhiali da sole che ricadevano sul naso, come qualche icona famosa ed era impegnato a leggere una rivista di motori. La gamba era portata sull'altra in una posa disinvolta e anche poco maschile, se proprio Simone doveva fare un piccolo appunto « mi spalmi la crema dietro? Non ci arrivo »

In quel preciso momento, Simone pensò di volersi sotterrare. Faceva caldo, ma l'idea lo imporporò comunque all'istante, ed ecco perché aveva già cambiato traiettoria. Adesso era più interessante osservare un bambino che costruiva con paletta e secchiello un castello di sabbia.
Simone gli passò la protezione senza nemmeno guardarlo. Avvertì subito che Manuel gli si metteva dietro, con le mani sulle spalle. Piano e anche in modo abbastanza attento, quello si dedicò prima alle spalle, scapole, poi passò alla schiena e infine alle braccia. Per fare assorbire la crema ci passò più volte.

« Va bene, Manuel può bastare-»

« Simone anche se me incuriosirebbe tanto, » mormorò pacifico « non me va de vederti come un gamberone arrostito dal sole, anche se secondo me saresti bello pure in quella maniera »

Il ragazzo si voltò a guardarlo, stava già ridendo, strizzando gli occhi.

« Guarda che non sono mica così delicato »

Le gambe di Manuel erano ancora dietro la figura di Simone, solo in quel modo riusciva ad avere qualche centimetro in più e poteva guardarlo da un punto di vista migliore.

« Questo lo dirai te, » il dito sporco ancora un po' di crema solare gli finì sotto il mento dell’altro « se poi non te puoi muovere chi me accompagna a casa? »

« Ah ecco perché » rispose rassegnato, un sorrisino consapevole.

Manuel lo tirò, facendolo voltare di poco e senza esitare e lo baciò a fior di labbra. La mano di Simone si era mossa, gli toccava l'avambraccio. Era al mare e stava davvero baciando il suo ragazzo.

Che grandi passi avanti, pensò.
L’odore di crema solare si diffondeva, il sole gli premeva già addosso. Manuel si staccava dalla bocca del ragazzo e poi spostava il dito ancora leggermente unto, glielo premeva sul naso. Afferrò il tubetto messo un attimo sul telo mare, raccolse qualche altra goccia di prodotto e poi lo depositò due linee da indiano sotto gli occhi di Simone. Manuel lo guardò: i segni bianchi si assorbivano piano piano. Simone si ritrovava agganciato, quegli occhi vivaci frugavano dentro i suoi senza difesa, senza censura.

« La protezione resiste all'acqua? »

« Sì »

« Va bene, allora, » Manuel si tolse gli occhiali neri, lanciandoli sullo zaino, la camicia colore paglia che portava addosso venne sfilata in un secondo « annamoci a fà sto bagno, Simò, che sto a morì de caldo »

Lo vide andare in contro alla distesa azzurra, tanto grande, più grande della sua figura a confronto. Simone tirò via la canotta buttandola sul telo, poi raggiunse l'altro, che intanto aveva già urtato un piccolo bambino che correva lì, sui pressi della riva. Manuel si scostò di lato, mentre il bambino si strofinava il punto colpito. Simone si accovacciò verso quella figura piccola, le ginocchia in avanti e le mani che sporgevano in fuori. La faccia del piccolo era ancora leggermente confusa per l'urto.

« Ehi, va tutto bene » Simone sorrise al piccoletto, mise la mano su quella spalla minuscola. Il bambino si fece a poco a poco più convinto, annuendo.
Le lentiggini sul naso gli davano un aspetto particolare, il sole ci picchiava sopra. Quel bambino gli arrivava a malapena alle ginocchia, i suoi capelli biondi quasi scintillarono sotto i raggi caldi, quasi che per un attimo Simone pensò gli si fosse appena disegnata un’aureola sopra la testa. Poi con un'altra occhiata, la creatura innocente si allontanò, le gambe si muovevano, correndo dalla madre nella direzione opposta. Quando Simone rialzò lo sguardo, si ritrovò Manuel a studiarlo.

« Stai per uscire un commento sarcastico, avanti, sono pronto » inclinò la testa, la bocca in una smorfia.

« Nessuno, » le gambe di Manuel erano già per metà in acqua « sembra solo tu ci sappia fare con i bambini »

« Se tu sei tranquillo, trasmetti loro tranquillità. Non ci vuole chissà quale maestria »

Manuel annuì, silenzioso. Il rumore dell'acqua risuonava calmo, profondo nelle orecchie. Non era freddissima, ma neanche a temperatura ambiente, quindi Simone optò per muoversi piano, creando una piccola scia dietro la sua figura.
« Com'eri da bambino, Simò? »

« Non lo so, mi ricordo solo che mi piaceva molto l'aria aperta, l'aria di mare » si girò verso Manuel, ancora distante.

« Mia madre me doveva correre dietro tutto il tempo, invece, » i passi acquatici mossero la traiettoria della scia del ragazzo, creando della schiuma appena percettibile « i giorni al mare per lei erano una tortura, sono sempre stato una peste. Povera donna. »

« Beh non è proprio a tutti i bambini che la tranquillità arriva, » Simone portò la testa indietro, i capelli toccarono l'acqua, la nuca si bagnò per prima « poi non sono tutti uguali »

« Te dovevi essere un bambino di quelli che si mettono a colorare o ad ascoltare il rumore dei passi, contare le formiche, guardare il cielo » fece notare Manuel, il corpo cominciava a sparire con la marea dell'acqua.

Simone si morse le labbra, pensieroso. Gli venivano in mente le poche estati con suo padre, sua madre distante, la figura di quest'uomo barbuto che lo faceva giocare a pallone sulla sabbia. Sorrise nostalgico.

« Forse è stata la presenza di mio padre solo in quei momenti, ma il mare ha sempre avuto un effetto curativo per me. Ci venivo spesso, ogni tanto ci torno. Il rugby, poi, quello aiuta a scaricare un sacco »

« Quello che me domando è chissà come sarebbe stato crescere insieme »

« Intendi, se avessimo frequentato le stesse scuole? »

Il ragazzo annuì, aveva i ricci davanti più chiari, rispetto a quelli dietro. Sembrava molto più piccolo, se non fosse stata per la barba, sul mento, sulla mascella, che ingannava l’età. Il petto magro si immerse, annacquando il serpente sinuoso al centro della pelle. Manuel gli fu vicino senza che se ne rese conto, le mani erano intorno alle spalle, l'acqua gli arrivava già al mento e i capelli erano un ammasso di liane bagnate, dei ricci non c'era più alcuna traccia.

« Se ti avessi avuto come amico prima, » mormorò in tono basso « forse sarei riuscito ad ascoltà meglio il mondo, Simone. Quella vocina nella testa che te dice cosa è giusto e cosa è sbagliato » il ragazzo gli portò le mani sul viso, gli scostò un ricciolo che gli cadeva davanti l'occhio destro « Forse, sarei stato una persona diversa se ci fossimo conosciuti quando eravamo entrambi più piccoli, meno consapevoli »

Il naso di Simone lo sfiorava, con quell'espressione un po' aggrovigliata, pregna di sincerità.

« Non sarebbe cambiato nulla, » Simone si avvicinava ancora, l'odore del mare sempre più forte « e poi, tu sei tu. Non mi piaceresti se fossi diverso. »

« C'è sempre qualcosa che si può cambiare »

« Manuel, non mi interessa. Il bambino di prima, secondo te vedendomi, pensava 'questo ragazzo è troppo uno spilungone, magari fosse più basso' ? No, ha visto solo un ragazzo che gli sorrideva. Secondo me, manteniamo sempre un po' un lato infantile. E quello non cambia, non va cambiato. »

« Ah quindi, non cambieresti niente? Proprio niente de me? » si indicò, la mano si sfilava per un attimo dalla presa. Simone schiacciò il suo naso, prima di depositarci un bacio sopra.

« Sei troppo irruento a volte, ma no, non ti cambierei, non vorrei tu cambiassi. Si cambia solo se si vuole, ma cambiare qualcuno... È la tua natura. Mi piacerebbe non mi facessi sentire così fragile a volte, ma questa è più una cosa mia, che devo sbrogliare io »

Simone sembrò non prestare troppo caso a cosa aveva appena detto. Era vero, la sua sensibilità veniva fuori all'istante quando si trattava di Manuel. Ogni tanto, Simone, si sentiva un po' come un canale in cui le monetine gli cadevano tutte dentro, ne cadevano così tante che ognuna - nessuna esclusa - per lui aveva un valore, ognuna gli provocava un senso di pienezza, di vuoto, lo scuoteva. Manuel gli accarezzò la schiena, metà sopra e metà sotto il filo dell'acqua.

« Simone, » lo tirò così vicino, le gambe si sfioravano sott'acqua e la mano dalla schiena, si spostava sul fianco immerso nel bagnato « se te parlassi de tutte le volte che m'hai tenuto stretto il cuore in pugno, faremo notte. Non hai idea. »

Il contatto risultò umido, mentre le dita si attorcigliavano già nei nodi di quella matassa bagnata. Con il rumore dei gabbiani, della calca, col caldo estivo, l'aria umida. Le onde cullavano entrambi, tra un vai e vieni, tra il sole che batteva sullo specchio marino e creava quel riverbero a spicchi tanto splendido, quanto fastidioso alla vista. Quando le bocche si trovarono, riprendendo confidenza, nonostante ormai fossero maestri nell'essere inesperti e istintivi, quelle sembrarono riconoscersi dopo quello che era sembrato un tempo infinito. Simone e Manuel erano così, all'interno di uno specchio azzurro d'acqua che li lambiva come uno scudo e mentre con la stessa esatta cura, loro si tenevano a vicenda, si stringevano. Era sabato, non sarebbe andato niente storto. Nulla avrebbe potuto.




Entrando nel chioschetto della spiaggia, la confusione era evidente.
Un bel po’ di gente era in fila, davanti i distributori di thè, di merendine, gelati.
Il piccolo bancone dove servivano dietro due ragazze vestite di cappellino, coda di cavallo e maglia e pantaloncini, cominciava già a ricevere gli ordini di panini e tavola calda. Simone si trovava in mezzo alla calca per prendere solo due coni gelato al piccolo spazio accanto, osservando una serie di piedini che tiravano il braccio ai genitori, impazienti. Manuel era rimasto a guardare gli zaini e le loro cose.
Quando anche un altro ragazzino superò Simone, quello avanzò lungo la coda.
Una signora accanto vantava di un cane che le scodinzolava attorno alle gambe, il pelo della coda gli passava attraverso.
Ricordava la voglia di tenere un animale da piccolo a casa, poi però pensò anche al fatto che anche quelli se ne andavano prima o poi.
L’immagine di Jacopo gli balenò in testa, come per uno strano e ingenuo collegamento, come se fosse un pensiero automatico. Gli capitava sempre più di rado ultimamente. Tra le varie cose e ritmi dei suoi giorni, la figura di suo fratello era diventato un tassello sbiadito, sostituito dalla presenza di Manuel.
Simone non stava dimenticando, aveva solo preferito accantonarlo dentro di sé e tirarlo fuori solo quando non poteva farne proprio a meno. Mentre era in fila per un gelato, in piena estate, Simone pensava a quello.
L’immagine era legata solo a delle foto che non ricordava e a un oggetto che aveva chiarissimo in mente: l’animale che possedevano in comune era un dinosauro, anche se di plastica, ma pur sempre un animale.
Simone ricacciò indietro il pensiero. Era troppo triste come immagine in una giornata spensierata come quella.
Simone non ce devi pensà. La felicità è una scelta, afferrala.
Sentì la voce di Manuel nella testa.
Quando ritornò alla realtà, il cliente davanti a lui aveva quasi finito. La signora stava già pagando e quindi Simone osservò bene i gusti artigianali di gelato presenti nei piccoli contenitori della cella frigorifera. Il gusto che Manuel preferiva era l’amarena, la adocchiò subito, a primo colpo.




- - -





Tornato in spiaggia, coni alla mano, Simone trovò Manuel che parlava con una ragazza. Era più o meno della stessa altezza del suo ragazzo, capelli rosso mogano, un paio di occhiali da sole sulla riga di quelli e due grandi orecchini a cerchi ai lobi. Una camicia a righe annodata sopra l’ombelico le scopriva la pelle, mentre dei pantaloncini corti di jeans, le lasciava scoperte l’inizio delle cosce.
Simone si sentì un po’ confuso, anche se pensò si conoscessero per forza per parlare in modo così tranquillo e sciolto. Avvicinandosi un poco, Manuel lo notò e gli fece un cenno con la mano. Il dialogo si era spento nell’esatto istante in cui Simone aveva passato il cono a Manuel e la ragazza era in piedi, con lo sguardo fin troppo curioso poggiato sulla sua figura.

« Vi conoscete? »

Solo ora Simone notava gli occhi verdi della ragazza, sembravano due spilli che ti si conficcavano dentro, oppure due gemme antiche, colore di uno strano innesto tra il verde e l’ambrato. Potevano sembrare quelli di un gatto, ma meno invasivi.

« Oh, beh sì diciamo che siamo conoscenti » la voce della ragazza suonò melliflua, la bocca si aprì in un sorriso plastico, come se sorridesse a forza. Le dita lunghe si mossero, portavano dei piccoli tatuaggi. Simone distinse solo la parola away lungo l’anulare sinistro. Per il resto la ragazza, portava una borsa a strisce sulla spalla destra, i due manici erano fatti di corda. Manuel sembrava distante dal suo sguardo, ora che lo osservava. Tuttavia non lo era, nei confronti di lei, sembrava più vigile che mai nei suoi riguardi, come se dovesse anticiparne qualche mossa.
Simone annuì verso la nuova figura piazzata davanti, il sole gli calava sugli occhi, una mano si coprì la fronte per evitare di rimanerne accecato.

« Simone, lei è Giulia » suonò sbrigativo, mentre il gelato in mano cominciava a gocciolare leggermente sul cono. La ragazza ebbe come un sussulto, l’occhio si fece interessato di colpo, la borsa estiva le ricadeva dal braccio e ne usciva fuori un fogliettino che allungava a Manuel « Ci conosciamo perché ha aiutato mia madre in una relazione da tradurre »

Simone scosse il capo in cenno di comprensione, ma in realtà non ci stava capendo granché, il sapore del gelato alla nocciola gli rinfrescò il palato ma gli congelò il pensiero. Non sapeva nemmeno perché si stava facendo dei problemi e così decise di scegliere la calma.

« Ciao, piacere »
La ragazza gli fece un sorriso, che però non risultò molto veritiero. Simone osservò il ragazzo accanto a sé abbozzare un piccolo sorriso, alzò il bigliettino sventolandolo di poco in aria.

« Ho pensato te servisse, dato che non mi hai più scritto, » sospirò Giulia, « il mio numero di casa e di cellulare. Posso passare il contatto dell’officina a un paio de amiche che ne hanno bisogno come er pane » l’accento ora era cambiato.
Prima non aveva usato il parlato romano, adesso, era come se si fosse sentita in diritto di imporre la sua caratteristica simile a quella di Manuel. Solo che laddove lui suonava naturale, lei sembrò caricaturale.

« Te ringrazio, anche se lo sai perché non ce l’avevo più, Giulia, anche meno » sospirò Manuel, infilando il bigliettino dentro la tasca inferiore dello zaino. Il gelato venne leccato un attimo dopo, volendo chiudere lì la questione.

« Voi ragazzi etero, » sibilò, in modo molto schietto « non sapete proprio come si trattano le ragazze »

Etero.
Simone si morse le labbra, soffocando una risata ben evidente. Giulia girò di scatto la testa, la sua attenzione ora era fin troppo palese per il ragazzo. Simone se ne accorse, il palmo della mano rivolto verso la direzione del sole.

« Scusa, ma sentire Manuel ed etero nella stessa frase, mi ha fatto ridere » sottolineò, lo spazio tra i denti si aprì in un sorriso genuino.

Giulia guardò un attimo Manuel e poi ritornò a quel ragazzo che tanto la incuriosiva. Il suo sorriso si allargò, inevitabilmente.

« Manuel, » il tono era abbastanza sospettoso « l’amico tuo non lo sa che te piacciono le ragazze? »
Simone guardò dritta la ragazza, la mascella si serrava. Si credeva simpatica? Tutto quello era un po’ ridicolo, lei sembrava ridicola in quella situazione. Prima che Manuel potesse rispondere, il ragazzo aveva già messo la quarta.

« L’amico qui davanti, è il suo ragazzo » i suoi occhi grandi erano accesi, ma non era il sole ad averli resi vivi. Si erano animati soli. Se c'era qualcosa da mettere in via ufficiale era proprio il loro stare insieme, Simone avrebbe difeso sempre quella cosa.
La ragazza sfoggiò un’espressione sorpresa, l’attaccatura della fronte si sollevava appena e la mano si portava ad accarezzarsi qualche ciocca rossastra con le dita. Osservò bene Simone, che non aveva intenzione di mollare la presa determinata, la decisione sul volto.

« Ah, quindi è quel Simone? »

Questa volta il ragazzo però, non si evitò di voltarsi a guardare Manuel. Che cosa voleva dire, le aveva raccontato di lui? I due si conoscevano da così tanto tempo? Perché Manuel non gliene aveva mai parlato, si chiese. Forse era un’amicizia scomoda? Sembrò capire qualcosa che non voleva riconoscere.
Simone sgranocchiò il cono rimastogli in mano, sentendo una strana sensazione all’altezza della gola, proprio lì, si faceva strada e pompava energia negativa.
Manuel si ritrovò a scrollare le spalle, il gelato ridotto ad acqua dolce, il tovagliolino alla base ormai inutile.

« Sì, è lui, ora comunque noi c’avremo da fare, » Manuel si alzò facendo forza sulle gambe, mentre si metteva di fronte a Giulia « il numero me lo hai dato Giulia, non abbiamo nient’altro da dicce, no? »

Nient’altro da dirci. Quelle parole rimasero sospese nella testa del ragazzo ancora seduto sul telo, la testa gli stava ripetendo delle parole insensate, sconnesse, un universo di incastri che non trovavano soluzione.

« Ma perché non ce posso parlà? Tranquillo Manu, mica te lo rubo, » le dita della ragazza si mossero in un attimo, aprì la mano e la presa rivolta a Simone, ignorando completamente Manuel « tanto piacere, lui mi ha parlato molto di te, Simone Balestra, giusto? »

Sapeva il suo nome e cognome per intero.
Il soprannome.
Manu.
Quel modo di chiamarlo gli fece ribollire il sangue. Lui lo chiamava così.Simone deglutì, non riusciva più a guardala bene negli occhi, una patina era come se la coprisse davvero. Pensò solo: chi cazzo sei tu.
E non sapeva nemmeno perché. Si atteggiò a tranquillo, ma non era più tanto sicuro di esserlo.
Si voltò verso Manuel: lo riconosceva quello sguardo. C’era qualcosa che lo stava infastidendo, era visibile, palpabile. Corrucciava la fronte, aveva due pupille fisse e accese come braceri. C’era qualcosa, negli occhi del suo ragazzo, che non gli potevano dire che era realmente tutto apposto.
Accettò la stretta di mano, che fu molto rapida. La ragazza si divincolò poi, studiandolo ancora un bel po’. « Sai non ti facevo così, da come me ne parlavi Manuel, me lo aspettavo diverso »
Manuel si mosse, le mani finirono arpionando un braccio della ragazza, quello piegato nell’atto di reggere la borsa, quasi ad allontanarla da loro.

« Non si sceglie chi si ama, altrimenti avremmo tutti un copione per quello »

Simone pensò di giocarsela sulla verità e di risultare affilato solo con quella. Di pungolarla con stile. Non accettava di abbassarsi a certi giochetti, soprattutto da chi non conosceva.

« Mortacci, che pescata che hai fatto. Dov’è che lo hai trovato fuori dai libri romanzeschi? » rise, mentre lo sguardo del teppistello incombeva rovente « Non sembri proprio uno stronzo o sfigato che gioca a rugby… » ritornò a Simone.
Simone guardava impietrito davanti a sé. Se sapeva quello, sapeva molte altre cose. Manuel gli aveva elencato anche cosa gli piaceva o cos’altro disgustava? A una persona che lui non conosceva, gli era estranea.

« Saprai che sono anche compagno di Manuel, immagino » lo disse più per una questione di chiarezza che non di interesse.

« Sì, infatti mi risulta proprio strano, » i capelli rossi si accesero contro la luce del sole « Manuel avrà dei gusti particolari pe’ i suoi compagni de classe. Come se chiamava quell’altra, Chicca, giusto? »

« Giulia, mò basta però, vedi de annà via » la spingeva, di lato, in un atto di rabbia trattenuta. Simone si accigliò, non era più in tilt ora che vedeva il suo ragazzo alle prese con quegli scatti tipici di chi non vuole iniziare una rissa.

« Scusa, ma chi sei tu per giudicarlo tanto? Non ho ancora capito »

Giulia aprì la bocca e la richiuse subito, in cerca di qualcosa da dire, ma Manuel si mise tra lei e Simone.

« Simone lasciala stare, purtroppo una volta che apre bocca, le escono solo cose brutte. Fidati, » Manuel si voltò verso l’interessata « ora è meglio se ce salutiamo, Giulia »

« Ma perché scusa, se stava parlando in pace, che non lo sa? Non glielo hai detto? »

Giulia lo sussurrò, ma Simone lo sentì ugualmente. Non glielo hai detto.
Il panico si fece evidente, ma il protagonista era lui. Il ragazzo si alzò dal telo, in un unico movimento veloce.
Basta, ora.
Simone non ne poteva più.

« Non credo che sia il caso di parlarne qua »

Simone fermò Manuel per un polso, la sua mascella era già in allarme, serrata contro i denti, sentiva lo sforzo che stava facendo per rimanere calmo e le pulsazioni erano già aumentate. Nonostante lo stato fisico in rivolta, la voce contrastò perché uscì calma.

« No, lasciala parlare, cosa c’è che non so? »
Gli occhi grandi rimasero fermi sulla figura della ragazza, si sentiva come un essere microscopico, eppure era più alto di lei, era più pronto, ma i suoi nervi erano tesi. Così, ansioso, il volto si limitava a un’espressione sulla via del crollo. Simone sapeva di aver retto fino a quel momento, ma l’impressione era diventata ormai evidenza e non c’era nulla da fare, se non chiedere.
Il petto gli cominciava a fare male e il gelato appena ingerito, avrebbe voluto già rimetterlo in qualche angolo di spiaggia. La ragazza lasciò andare la presa di Manuel, reggendo la presa sulla borsa con una mano. Schioccò la lingua con fare disinvolto, suonò come mastica con cui si giocava alla tipica bolla e veniva fuori il sonoro pop. Simone vide un piercing brillare e ballare al centro della bocca, quando la bolla dentro la sua bocca, scoppiò.

« Beh, giusto di un piccolo incontro occasionale, un po’ di tempo fa » la ragazza rise un po’ sopra, come se contornasse le parole col veleno « ma che a me piace ricordare ancora molto. Era anche quello un sabato, no? Me ricordo anche com’ero vestita. Te sembri averlo dimenticato, non è vero, Manu? »

Manuel la guardava adirato, la testa era eretta, ma le mani ormai abbandonate lungo i fianchi, le labbra erano contratte. Non mosse un muscolo però, la mano di Simone era ancora ferma sul suo polso e la stava guardando. Quando rialzò lo sguardo, fu per conficcarlo negli occhi della ragazza simili a due pietre.

« Non me piace ricordà certe cose, » fu lui questa volta a rigirare il coltello dalla parte del manico che Giulia aveva tenuto per metà del tempo « soprattutto se so morte e sepolte »

« Non la pensavi proprio così, quella sera » Giulia gli rivolse uno sguardo eloquente, che non aveva bisogno di aggiungere altro pepe al discorso « In ogni caso, è stato un piacere fare la tua conoscenza, » si girò per un’ultima volta verso Simone « ti auguro buona fortuna, te lo sei scelto bene il tipo »

Il ragazzo non la sentì nemmeno andare via e spostare la sabbia.
I suoi occhi erano rivolti a Manuel, che adesso le andava addosso a pochi metri di distanza, il cono finì dentro un contenitore della spazzatura, stava urlando forse, non lo capiva. Sentiva come un ronzio che faceva da eco.
Giusto un piccolo incontro casuale. Cos’era quella sensazione?
Non glielo hai detto? La conosceva, ma non la provava da un po’.
Non la pensavi così quella sera.

Oh, sì, gelosia.
Ma più di quello, era la sensazione di sicurezza che gli scivolava via dalle mani.
Quando però lo vide tornare, era lui che non voleva più stare lì. Simone aveva voglia di correre altrove, confuso, la testa faceva male e l’ultima cosa che avrebbe voluto era discutere. Simone si limitò a guardare Manuel, prima di mettersi a camminare in direzione opposta. Non fece però molta strada, perché quello lo tirò per il braccio.

« Simone per favore, lasciami parlare »

« Non ho voglia di ascoltare, ho bisogno di essere lasciato da solo » il tono era basso, flebile. Gli dava le spalle, larghe e tese.

« E invece è l’ultima cosa che devi fare, stammi a sentire e poi se vuoi te ne vai, Simone » lo supplicò dispiaciuto.

« Sa che gioco a rugby, sa che scuola faccio, cos’altro le hai detto? Che ti andavo dietro come uno scemo o no, aspetta, »
Simone deglutì, la gola mmediatemente secca, non riusciva proprio a guardarlo, fissò un punto indefinito sulla sabbia « che sono stato male per te? Cristo Manuel, sono uno sfigato e va bene. Ma quella ragazza sapeva di questo, ma non di noi. Non hai detto una parola su quello » la rabbia gli montò in corpo, ma uscì solo un verso amaro.

Cazzo no, questo no.

« Non lo sa, perché non la sentivo più da un pezzo- »

Simone si mosse aggirandolo mentre gli si piazzava davanti. Lo superò, senza nemmeno dargli l’attenzione che meritava. Ho bisogno di stare da solo.

« Devo andare in bagno, Manuel »

« Simone, per favore, guardami! » Manuel con quella poca forza che si trovava in corpo, lo fece voltare e notò il suo sguardo assente.

« Per favore, non mi va di litigare » provò a camminare ancora, ma l’altro gli bloccava ancora la strada, la visuale.

« Ma noi non stiamo litigando, » Manuel deglutì, costringendolo a guardarlo, gli prese le mani, la voce cambiò con un tono più lento, dolce « dobbiamo solo parlare, quella la non la sento più, tu devi sapere-»

Simone sganciò la presa all’istante, quasi come se si fosse scottato.

« Io non voglio sapere proprio più niente, Manuel. Tu hai detto i cazzi miei a una sconosciuta, di cui tra l’altro non ti ho mai sentito dire nemmeno una singola parola, in mesi e io non dovrei incazzarmi? Puoi averci fatto quello che ti pare » deglutì pentendosi subito di quello che aveva appena detto. L’ipotesi era quella, ma non approfondì di più « ma non voglio starti a sentire adesso »

Manuel non percepiva la rabbia, ma il dolore, l’aspro nella sua voce. Cercò inutilmente di avvicinarsi, premere la fronte contro quella di Simone e trovare con calma, il modo per dirgli tutto. Simone gli prese i polsi e li spinse via, piano. Scosse la testa, guardando in basso.

« No, Manuel, lasciami stare! » si girò di nuovo, mentre sentiva già Manuel che riprovava a riprenderlo, avvicinarlo di nuovo a sé. Sentì le braccia che si avvinghiavano al suo corpo, la presa che si stringeva sempre di più per non lasciarlo andare. Simone non voleva associare quei gesti a quelle parole velenose di poco prima.

« Simone ti prego, sono stato un coglione, ma se solo me provassi ad ascoltare… » sembrò sul punto di spezzarsi « se Giulia sa qualcosa, un motivo c'è, se non te spiego come sono andate le cose, non potrai mai capire »

« Peccato io non voglia ascoltarle adesso, non ce la faccio » Simone rimosse ancora le braccia dell’altro e si allontanò, i piedi sulla sabbia si mossero lenti e pesanti. Non voleva correre. E anche se lo avesse fatto, Simone sapeva non lo avrebbe raggiunto nemmeno volendolo, perché era deciso a non parlargli in quel momento. Non si voltò nemmeno un’ultima volta prima di guardare Manuel.








24 Giugno, 15:00, pomeriggio

« NON VOGLIO NESSUNO, VAI VIA » urlò da dentro.

Manuel continuò a bussare, insistentemente sulla porta, qualche asse di legno era scolorito e in qualche angolo anche sporco. La gente in fila cominciò a spazientirsi. Il ragazzo li guardò esasperato.

« Forse dovrebbe essere più gentile, non ha detto che è il suo ragazzo? »

« Mi scusi signora, ma si faccia i fatti suoi » e nel tono fu quanto meno garbato, ma avrebbe voluto dirglielo con meno premura e più faccia tosta. Ritornò a parlare dietro la porta, sentendosi avvilito « Simone, vedi che non me muovo da qua, apri e parliamo. »

« DITEGLI DI ANDARSENE »

Manuel sospirò stanco, era almeno una decina di minuti buoni che era lì dentro e non sapeva in che condizioni fosse. Se avesse pianto, se invece avrebbe programmato di passare la giornata lì dentro. Si sentiva malissimo, impotente. Gli spettatori erano ancora lì, a osservare la scena. A quanto pare, dovevano sembrare interessanti, o troppo tragici o divertenti. Si rivolse a tutti quanti.

« Sentite, qua è ‘na cosa lunga, ce sono gli altri servizi più avanti, andate a usare quelli! »

La gente lo guardò male e offesa per la maniera con cui aveva parlato, non prestandosi cura di scegliere un tono meno brusco. Piano piano la calca si dissolse, chi si lamentava, chi invece sembrò far finta di concentrarsi su altro. Manuel respirò un pochino dopo che si liberò di quegli sguardi invadenti e riprese a bussare con la mano aperta stavolta.

« Simone se non apri questa porta e mi fai entrare, te giuro che la butto giù! »

« Non me ne frega niente, ti ho detto che voglio restare solo »

Manuel studiò la cabina non molto grande del bagno chimico, se ci fosse stata una finestra, sarebbe stata la sua ultima opzione possibile. Girò l’intero abitacolo e sul retro, una piccola apertura che doveva assomigliare a una finestra, dalla forma lunga, rettangolare ma molto stretta, si posizionava in alto a destra della struttura in legno. Manuel sospirò: l’altezza era l’unico problema a tenerlo distante da Simone che si era chiuso dentro da ormai una decina di minuti. Gli serviva uno sgabello, qualcosa su potersi alzare di qualche centimetro. Si guardò intorno.
A pochi metri, al chiosco del bar c’era una sedia messa al contrario e vuota, lasciata al lato dell’entrata. Manuel fu abbastanza veloce, l’addetto alle pulizie lo vide trascinava un secchio e un mocio. Vide il ragazzo portarsi via l’oggetto, ma non disse nulla.
Ritornato sotto la struttura mezza fatiscente, Manuel si piazzo sopra la sedia, salendo sullo schienale. I piedi scivolavano un poco e le gambe tremavano, ma non mollò. Le mani si arpionarono all’interno della fessura. Per fortuna che era magro e la sua struttura ossea - seppur composta da massa magra che grassa - reggeva bene i colpi.
La testa trovò spazio al centro, non però avvertendo un leggero schiacciamento delle braccia, che per via della poca larghezza della fessura, risultavano troppo attaccate.
Una volta sormontato quel problema, artigliò con le mani in basso, dandosi una spinta con le gambe che prontamente scivolarono rimandandolo giù. La parete della struttura era fin troppo liscia. Doveva esserci qualcosa a cui poteva tenersi e farsi da sostegno. Manuel ci riprovò di nuovo, questa volta, trovando un piccolo buchetto col piede all’interno del legno. Non doveva essere più di quattro o cinque centimetri, ma gli bastò per farsi leva su un solo piede. La testa spuntò fuori di nuovo, dall’apertura, le braccia gli fecero male, ma poco importava.
Simone guarda te cosa mi tocca fare per tirarti fuori da lì.
Scalò la superficie e in un attimo si trascinò giù col corpo come se si stesse tuffando. Solo che non incontrò né acqua, né il pavimento. Una gamba gli finì dentro la tazza del gabinetto, dove si trovava adesso: un piccolo cunicolo dove batteva la luce del sole e la porta aperta e cigolante e con i cardini alla serratura di ferro, strappati. Manuel dovette fare rumore in quell’esercizio disperato, perché una volta atterrato, vide subito Simone nascosto in un angolo, girarsi verso la fonte del suono, verso di lui.




Clò: amo il titolo del capitolo, amo proprio
l'idea dietro che mi è frullata giorni e giorni fa, si ripeteva prodigiosa, come una lampadina.
Il mare e le sue incantevoli tempeste, come un famoso quadro che amo: Il viandante sul mare di nebbia,
Romantico, apocalittico, naturale. Ho voluto invertire le parti, anche perchè un Ferro già geloso lo abbiamo avuto.
Tivibì Simone.
Chissà cosa scatenerà questa tempesta, ma chissà chissà.
L'indecisione era tra Elena e Giulia, la seconda era più romana anche se la prima ha scatenato la Guerra di Troia.
Mi hanno fatta desistere, anche se la prima non ci stava poi tanto male.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro - Fiction italiane / Vai alla pagina dell'autore: ClodiaSpirit_