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Autore: Glenda    28/03/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Adrian Vesna non la amava, la politica. O, almeno, non rientrava nei suoi interessi. Ma lavori come quelli non si rifiutavano, se non altro per il bene del proprio conto in banca.

In verità molte cose non gli erano chiare, prima tra tutte il perché un partito dovesse pagare una guardia del corpo privata ad uno dei propri membri, quando, fondamentalmente, nel grande circo del potere anche il più insignificante portaborse andava in giro con la scorta.

Ma quelli che lo avevano contattato per l'incarico gli avevano garantito che tutto avrebbe acquistato senso nel momento stesso in cui avesse conosciuto il signor Dolbruk di persona.

Noam Dolbruk, il giovane fondatore di “Orizzonte”, movimento di cui Adrian ideologicamente sapeva poco o nulla, salvo che quella candidatura a sorpresa aveva portato parecchi voti a “Liberi Insieme” - partito d’opposizione in lenta scalata - e rafforzato l’immagine di Zjam Kàrkoviy, leader di prestigio ma di fascino pari a zero.

Noam Dolbruk, venuto fuori dal nulla, figlio di una terra di conflitti, faccia pulita e sorriso adorabile, telegenico per natura, che riusciva sempre - pur novellino com’era - a spaccare l’opinione pubblica a metà e alla fine tirare l’acqua al proprio mulino. Insomma: l'uomo più discusso del momento, anche e soprattutto dopo la fuga di notizie che rendeva nota la minaccia di morte ricevuta da anonimi.

Tutto sommato era curioso di incontrarlo: trovava che osservare dal vero una persona conosciuta attraverso i sentito dire ed i filtri mediatici fosse un interessante esperimento sociale, che esulava da una trita routine alle calcagna di ricchi industriali o personaggi in affari di dubbia trasparenza. Era bravo ad osservare, era il suo dono: era immune all’inganno delle apparenze, alle costruzioni, a tutto ciò con cui l'umanità si sforzava di camuffarsi per apparire migliore.

Eppure, quando quel giovane alto coi capelli rossi entrò dalla porta facendo “Ciao” con le dita non poté che restare per un momento stranito.

Non reagì al gesto di Adrian di porgergli la mano: se ne avvide in ritardo e buttò là uno “scusi” privo di imbarazzo, per poi stringerla vigorosamente ampliando il suo già largo sorriso.

“Sono Noam.” disse, e per un momento sembrò che a quella presentazione non ci fosse davvero da aggiungere altro.

Se c'era una costruzione d'immagine dietro a un ingresso simile, Adrian non riusciva a vederla.

“Signor Dolbruk,” intervenne l'uomo che era entrato alle sue spalle “le presento Adrian Vesna, l'uomo che da oggi si occuperà della sua sicurezza personale.”

“È un piacere.” formalizzò Adrian con educazione, ma lui nel frattempo sembrava starli ignorando entrambi ed era andato a sedersi su una delle poltroncine che facevano cerchio attorno al tavolo, sprofondandoci comodo.

“Che incarico fastidioso, Adrian. È sicuro davvero che le interessa?” e nel dirlo continuava a sorridere placido, con l'aria di qualcuno che non è completamente presente nel “qui e ora” e in qualche angolo della mente sta passeggiando altrove.

Adrian sedette davanti a lui.

“Di solito questa è una cosa che non mi si chiede. Mi si chiede se sono disponibile e a che prezzo.”

“Oh. Capito.” e si stropicciò il mento “Ma io invece gliel'ho chiesto.”

“Allora le risponderò come meglio posso: non ci sono incarichi che mi interessano o non mi interessano, principalmente perché ciò che succederà domani non è prevedibile. Ci sono incarichi che accetto ed altri che no. Questo mi risulta di averlo già accettato.”

Noam annuì e per un attimo si fece più serio. Non propriamente “serio”, in vero. Solo senza una vera e propria espressione sul volto.

“Glielo hanno detto che non ero d'accordo?”

Adrian fu sincero.

“No, ma lo intuivo. Mi sono chiesto come mai un uomo della sua posizione non fosse già fornito di una scorta personale. E mi hanno detto che conoscere lei sarebbe stato sufficiente a capirlo.”

“E lo ha capito?”

“Me lo spieghi lei.”

“Mm.” si tirò su col busto e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, ora meno rilassato “Va bene. Ci provo. Io non sono venuto a vivere a Noravàl per trovarmi in una posizione. Quello è capitato. Io mi sono trasferito qui per poter vivere, serenamente, dentro la città. Mi piace stare con la gente, mi piace chiacchierare con chi non conosco, mi piace prendere il treno e correre al mattino sulle scale che vanno su al belvedere… Mi fido di tutti. Mi fido e mi piace. La fiducia è un gesto di responsabilità: più ne dai, più ne ricevi, più responsabilità ti assumi. Il solo pensiero di macchine con vetri oscurati e persone che allontanano la gente al mio passaggio mi fa venire la claustrofobia!”

“Ma adesso ha ricevuto una minaccia di morte.”

Noam diede in una sana risata.

“Lei lo sa da dove vengo, vero?”

“Dal paese dove muore un sindaco all'anno.” rispose Adrian, senza enfasi.

“Un po' meno di uno all'anno, in vero. Ma sì. Se si desse credito ad ogni minaccia che si riceve, Mòrask, anzi no, l’intero Dàrbrand sarebbe una terra blindata.”

Lo è ogni volta che qualcuno che non ci è nato deve passarci – pensò Adrian tra sé, ma si trattenne.

“Io sono un bersaglio facile.” fece Noam allargando le braccia “Direi quasi un bersaglio banale. Se qualcuno avesse voluto ammazzarmi, lo avrebbe fatto da tempo senza prendersi la briga d'avvertirmi. E se anche fosse… io rischio di saltare in aria con una bomba messa su un tram più o meno da quando sono nato!”

“Osservazione sensata. Ma è vero anche che le persone con cui lavora non hanno la sua stessa esperienza di vita, e non vogliono problemi.”

“Ha ragione.” disse, gettando un’occhiata al suo accompagnatore, che era rimasto un poco in disparte “E questo è il motivo per cui ho acconsentito di incontrarla, e lo stesso per cui le ho detto che sarà un lavoro fastidioso. Io rispetto profondamente la paura degli altri, ma ciò non significa che debba diventare la mia. Un compromesso funziona quando se ne esce soddisfatti da due parti, non quando entrambi i contraenti accettano una sconfitta parziale.”

Adrian annuì ed abbozzò un pallido sorriso.

“D'accordo, Signor Dolbruk. Sì: ora penso che questo incarico mi interessi.”

“Davvero?”

“Proteggere qualcuno che non ha voglia di essere protetto, giuro che non mi era mai capitato!”

Noam scoppiò a ridere. Chissà cosa c'era di tanto divertente? Eppure aveva una risata fresca, di cuore: sembrava che quella risposta lo avesse divertito davvero.

“Perfetto. Benvenuto ad Orizzonte, Adrian.”

 

***

 

Quell'uomo gli piaceva: lo trovava ingenuamente spontaneo, pur se nei suoi atteggiamenti non ci fosse nulla di davvero ingenuo; anzi, semmai sembrava che il suo fosse uno stato raggiunto, conquistato.

E tuttavia bastarono poche ore perché Adrian si rendesse conto di aver accettato un incarico improbabile, e che il suo essere lì era quasi umoristico.

Nel breve tragitto che lo portò fuori dall'anonimo edificio in cui si erano incontrati, Noam Dolbruk riuscì ad attirare l'attenzione almeno un paio di volte, si fermò a parlare con tre persone che non avevano certo l'aria di essere suoi conoscenti, e appena uscito sul portone si accomodò a sedere sui gradini consultando qualcosa sul telefono, disinvolto, a suo agio.

Forse avrebbe dovuto fargli presente che se quell'incontro avesse voluto essere meno riservato, avrebbero potuto vedersi direttamente alla sede del partito, o persino sotto casa sua… e lo avrebbe fatto, se di fronte avesse avuto qualcun altro. Dirlo a lui, in quel momento, gli pareva più paradossale della situazione stessa.

“Ok, posso farcela!” constatò ad un tratto Noam balzando in piedi “Devo spicciarmi, però.”

Parlava del treno, presumibilmente, visto che si stava dirigendo deciso verso l’ingresso della metropolitana. Lo aveva pure detto. Gli piaceva “vivere dentro la città, prendere il treno, andare a correre”… Santo cielo, sembrava finto! Era come se fosse uscito da un romanzo. O da un cartone animato, forse. I suoi colori, il sorriso sgargiante, quella sfacciata “presenza scenica”…

D'un tratto ricordò alcuni articoli che aveva letto su di lui giorni prima. Com'è che lo chiamavano, un po' con scherno e un po' con dolcezza? Il “soave Dolbruk”. Era indubbio che quell'aggettivo fosse scelto bene: sembrava che glielo avessero ritagliato addosso. A volte i giornalisti ci sapevano proprio fare, con le parole.

Ma lui, lì, in piedi sulla gradinata, non era un giornalista e nemmeno un disegnatore di fumetti, e doveva prendere una decisione.

Corrergli dietro? Pessimo: avrebbe significato rendersi – e renderlo – ancora più visibile di così.

Seguirlo a distanza? Ridicolo: era il cliente, non l’oggetto di un’investigazione.

Pensò che queste valutazioni avrebbero dovuto essere state già fatte, a tavolino, e concordate col diretto interessato… e invece l'unica cosa di cui avevano parlato era stata… quale? Alla fine, nessuna. Non avevano deciso proprio niente, e lui si era lasciato trascinare dai discorsi di quell'uomo, dalle sue stranezze, dal suo carisma.

No, non era corretto parlare di “carisma”: Noam Dolbruk non era carismatico, non parlava come un uomo di pubblico, non aveva il magnetismo del leader né la terminologia e l'atteggiamento di chi ammalia le folle. Eppure adesso gli era ben chiaro come ottenesse tanto seguito: aveva fatto perdere il filo persino a lui, a lui che era così abituato a tenere sotto controllo ogni cosa.

Lo vide imboccare quasi al volo la scala mobile, voltarsi un attimo a guardare qualcosa – cosa? Lui, forse? O solo un pensiero, un’immaginazione? – e poi sparire nella grande bocca scura del sottopassaggio.

Adrian sospirò. Estrasse il telefono, impostò la destinazione e andò a riprendere la propria macchina.

 

  
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