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Autore: Zobeyde    30/03/2022    6 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NIMBUS





Blake non volle sentire ragioni. Adesso che tutti i pedoni erano finalmente allineati sulla scacchiera, insistette perché si mettessero al lavoro quella mattina stessa; poco importava che fosse ancora debole, al punto che per vestirsi dovette ricorrere all’aiuto di Jim.
Malgrado l’età era in forma, con una muscolatura asciutta e definita. Ma a sorprenderlo furono le piaghe, una rete di venature nere che gli attraversavano la schiena, il petto e le braccia, e Jim si domandò se fossero dovute all’assunzione della Materia Vuota. Aveva anche molte cicatrici, persino qualche vecchia ferita da proiettile.
«È sicuro di farcela?» domandò, mentre lo stregone annodava la cravatta di fronte a uno specchietto da toeletta.
«Sono stato peggio. Inoltre, ho sufficiente Materia Vuota per tirare avanti ancora per un bel po’.»
D’impulso, Jim si volse verso il tavolo da lavoro, dove, tra alambicchi e strani macchinari, vi era la tempesta sotto vetro attraversata da scariche elettriche viola. «Come è riuscito a produrla? Se entrare nel Vuoto è complicato come dice…»
«Quello è solo un prototipo» disse Blake. «Un’infinitesima percentuale di ciò che è davvero il Vuoto: non può essere attraversato, né restituire materia organica, ma basta a garantirmi la resistenza necessaria a continuare i miei esperimenti. Vieni, c’è una cosa che voglio mostrarti.»
Sostenendosi al bastone, Blake si avvicinò a una delle librerie e ruotò di tre quarti un busto di marmo ritraente Thomas Jefferson; si udì un leggero click ,e tra una libreria e l’altra, si aprì un’intercapedine, che rivelava un vano nascosto con all’interno uno specchio a muro.
«Ci vediamo dall’altra parte» disse Blake, e un attimo dopo sparì nello specchio.
Era la prima volta che si serviva di quella facoltà davanti a Jim, il quale non poté non pensare con inquietudine a quanto sembrasse facile, come varcare la porta di casa propria. E invece, quella pratica lo stava lentamente uccidendo…
Un misto di senso di colpa, curiosità e timore gli agitò il petto. Sto davvero facendo la cosa giusta?
Le rivelazioni di quella mattina lo avevano lasciato stordito, come se avesse ricevuto una bastonata in testa: il folle piano di Blake per salvare sua moglie, la scoperta di essere un Plasmavuoto, per non parlare del fatto che il suo maestro aveva infranto – e stava continuando a infrangere – circa una dozzina di leggi magiche, e che, in quanto suo assistente, adesso Jim era a conti fatti complice di un criminale…
Si sforzò di non pensare alle implicazioni che tutto ciò avrebbe avuto sulla sua vita, ammesso che fosse riuscito a portare in salvo la pelle, e, dopo aver tirato un profondo sospiro, s’immerse nello specchio.
Non aveva la più pallida idea di dove Blake lo stesse portando, ma rimase comunque di stucco quando si ritrovò all’interno di una rimessa degli attrezzi, in mezzo a pale e vanghe. Sgranò gli occhi, domandandosi se qualcosa fosse andato storto durante l’attraversamento.
«Da questa parte» lo esortò Blake, aprendo la porta e precedendolo fuori.
La luce del sole quasi lo accecò, e il freddo lo prese a schiaffi, mentre Jim cercava di mettere a fuoco il paesaggio circostante; una landa selvaggia spazzata da un vento furioso, alle cui estremità più lontane sorgevano fitti boschi e il profilo aspro di una catena montuosa spolverata di neve.
Jim rabbrividì nei vestiti troppo leggeri; nonostante il sole, l’aria era talmente secca e rarefatta che ogni volta che respirava sentiva i polmoni bruciare. Si affrettò a seguire Blake verso un grande hangar che sorgeva in mezzo al nulla, con una specie di torre metallica montata sul tetto, che svettava con arroganza verso il cielo terso.
Il luogo sembrava abbandonato, ma il ragazzo vide un divieto d’accesso che indicava un’area riservata alle esercitazioni militari.
«Ignora il cartello» disse Blake. «Serve a tenere alla larga i ficcanaso.»
Lo stregone aprì le porte dell’hangar, e lui e Jim si misero al riparo dal vento.
Visto da dentro, quel posto appariva ancora più grande. Jim alitò sulle dita intirizzite, e osservò con stupore crescente il macchinario posizionato al centro del capannone poco illuminato: era identico a quello che aveva visto in camera dello stregone. Solo che era gigantesco.
Una schiera di specchi circondava una struttura in rame, collegata tramite un foro all’impalcatura sul tetto.
«Adesso vuole spiegarmi che cos’è questo posto?» disse Jim. «Dove siamo?»
«A circa quaranta miglia da Colorado Springs. È qui che conduco i miei esperimenti.»
Con andatura leggermente malferma, lo stregone si avvicinò al macchinario. «Questo qui invece è Nimbus, una macchina in grado di catturare l’energia dei fulmini e convertirla in onde elettromagnetiche.»
«E questo affare dovrebbe aiutarci a entrare nel Vuoto?»
«Mi ci sono voluti anni per stabilizzarlo» disse Blake. «Avendo per le mani solo un mucchio di speculazioni teoriche. E poi, la soluzione è arrivata dalla persona più impensabile: un Mancante.
Avevo sentito parlare delle tesi di questo geniale ingegnere serbo, dello scalpore che aveva creato nella comunità scientifica. Inizialmente era molto diffidente, ai limiti della paranoia: mi accusò di essere una spia, di voler mettere le mani sui suoi brevetti, addirittura di essere stato mandato lì da Thomas Edison in persona per ucciderlo…»
«Aspetti un attimo» disse Jim, allibito. «Sta dicendo che ha conosciuto Nikosla Tesla?!»
«Sei un suo ammiratore» osservò Blake con un sorriso. «Uno dei pochi, a dire il vero. Quando lo trovai, il signor Tesla era in gravi ristrettezze, al punto da essere costretto a mettere il suo laboratorio a Colorado Springs in vendita.»
Jim lasciò vagare lo sguardo per il capanno. «E lei lo ha comprato.»
«Almeno non è finito in mano ai suoi avversari.» Blake indicò l’intelaiatura di rame. «Le montagne del Colorado offrono un clima ideale per indagare sull’elettricità atmosferica. Nei fulmini, in particolare, Tesla ha individuato onde a diversa frequenza: isolandole, registrò segnali di non meglio identificata natura, che riteneva avessero origine extraterrestre.»
«Il Tutto» mormorò Jim, incredulo. «È stato in grado di vedere il Tutto!»
«Più o meno. Diciamo che ne ha avvertito una leggerissima eco» disse Blake. «Ma questo mi ha portato a riflettere: e se usassi la stessa fonte di energia, il fulmine, per registrare altri tipi di frequenze? Non emesse dalla materia…»
«Ma dalla sua controparte nel Vuoto» completò Jim. «E io fungerei da amplificatore, non è così? Da antenna.»
«Esattamente» approvò lo stregone. «Gli specchi ci consentirebbero di contenere il Vuoto, perciò non c’è rischio che il suo potere sfugga al nostro controllo.»
«Ne è proprio sicuro?»
«Al cinquantasei per cento, o giù di lì.»
«Non è una percentuale molto rassicurante, sa?»
«Ti assicuro che lo è rispetto a quella da cui sono partito.» Blake estrasse dal panciotto il suo orologio e se lo rigirò tra le dita, mentre le sue labbra assumevano una linea tesa, pensierosa. «Te la sentiresti di fare un tentativo?»
Lo sguardo del ragazzo percorse l’intera torre di rame, fino al soffitto. Chissà se Tesla si era mai sentito come in quel momento si sentiva Jim, diviso tra paura ed esaltazione, due sentimenti che si scontravano in lui sin dalla prima volta che aveva praticato la magia. Ciò di cui parlava Blake superava qualsiasi cosa avesse mai sperimentato in vita sua, qualcosa che persino per un mago sembrava impossibile: unire scienza e magia, due mondi così lontani da non avere apparentemente nulla da dirsi, un po’ come Mancanti e stregoni, o come il Tutto e il Vuoto.
Tuttavia, un punto di convergenza esisteva, e forse proprio Jim ne era la chiave. Quel pensiero lo mandava fuori di testa.
«Va bene, proviamo.»
 
 
Una volta in funzione, Nimbus produceva un chiasso infernale.
Blake chiese a Jim di posizionarsi sotto la torre, sopra una pedana al centro della parete di specchi; dopodiché, indosso dei grossi occhiali di protezione che lo facevano somigliare a una mosca gigante, e tirò su una leva. Subito, gli specchi iniziarono a ruotare sempre più veloci.
Jim prese un respiro profondo e giunse le mani come in preghiera.
“Non possiamo aspettare che arrivi un temporale” gli aveva spiegato lo stregone. “Occorrerà evocarne uno.”
“Ceranopoiesi” aveva detto allora il ragazzo, senza trattenere un sorrisetto.
“La prima volta che ti ho visto in azione hai rischiato di fare un bel danno.” Blake gli aveva fatto l’occhino. “Questa volta puoi sprigionare tutta l’elettricità che vuoi.”
Jim strofinò i palmi l’uno contro l’altro, come, molti mesi prima, aveva fatto sul suo palco della Grotta delle Meraviglie di fronte a un pubblico annoiato. Proprio come allora, dall’alto risuonò un brontolio di tuoni e la porzione di cielo visibile dal foro sul soffitto si riempì di grosse nuvole scure.
Una pioggia di scintille si liberò dalle sue dita, e man mano che l’energia aumentava, i fulmini serpeggiarono lungo la torre di rame e lo circondarono come una gabbia. Il loro ronzio gli riempì le orecchie.
Le scariche elettriche sciamarono all’interno della turbina, attorcigliandosi lungo le sbarre di rame, rimbalzando contro gli specchi.
«È il momento!» gridò Blake, per sovrastare il rumore. «Cerca di stabilire un contatto con il Vuoto. Il principio è lo stesso che ti insegnai tempo fa per il Tutto: non resistergli, lascia che ti raggiunga.»
Fermo in mezzo a una pioggia di fulmini che non era in grado di scalfirlo, Jim adeguò il proprio respiro alle vibrazioni emesse dall’energia che gli si agitava intorno, e chiamò quella parte nascosta dentro di lui dove risiedeva il suo potere.
Come sempre, il legame con il Tutto si sollevò in risposta, ma questa volta Jim lo respinse, ricacciandolo giù, in profondità. Non era lui che stava cercando.
La familiare connessione con tutti gli elementi, dall’umidità dell’aria, all’elettricità, dalla nuda roccia al più sottile filo d’erba adesso non sembrava più un abbraccio confortante, materno. Sembrava una prigione.
Doveva liberarsene, sentiva che quel legame lo stava soffocando, provocandogli un improvviso senso di repulsione.
Nel momento in cui prese consapevolezza di ciò, un’altra voce gli vibrò dentro, arrochita dal prolungato silenzio; una voce che risaliva dagli abissi più oscuri e sconfinati del suo essere. La voce gli parlava in una lingua sconosciuta, ma, sorprendentemente, lui la comprendeva benissimo: gli parlava di potere e libertà, una libertà estrema e autentica, la libertà posseduta dagli Antichi, e che ormai era andata perduta.
Ma il Vuoto era ancora lì, dove era sempre stato. Ha atteso un tempo lunghissimo, ma ha sempre saputo che prima o poi la sua razza sarebbe tornata a parlargli, che Lui sarebbe venuto a cercarlo.
Il suo richiamo era forte e seducente…ma qualcosa continuava a trattenerlo.
Jamie…
Una serie di immagini irruppe di prepotenza nel buio oltre le palpebre; fuoco, urla, Big Joe che si contorceva con gli occhi fuori dalle orbite, in preda al terrore…
È questo il prezzo della libertà? È davvero ciò che voglio?
L’orrore si impossessò di lui, e Jim spalancò gli occhi, respirando forte. Aprì le mani e le saette si estinsero all’instante. Lentamente, gli specchi smisero di ruotare.
«Che cosa è successo?» volle sapere Blake, raggiungendolo sulla pedana. «C’eri quasi, perché ti sei fermato?»
I suoi occhi erano spalancati, le iridi azzurre frementi di aspettativa. Jim non riuscì a sostenere oltre il suo sguardo. «Non ci riesco, mi dispiace.»
«Certo che ci riesci! Ti sei solo fatto prendere dal panico, è normale. La prossima volta…»
«Non ci sarà una prossima volta!» esclamò Jim. «Non posso farlo, lei…lei mi sta chiedendo troppo.»
Blake aggrottò la fronte. «Non corri alcun pericolo, te l’ho detto. Sei un Plasmavuoto, Jim, fa parte della tua natura…»
«E se io la odiassi la mia natura?» reagì Jim, la voce che tremava. Si sentiva come in preda alla febbre, la pelle attraversata da riccioli di gelo. «Finora cosa mi ha portato? Ho solo messo in pericolo la mia famiglia e i miei amici e adesso metterò in pericolo lei e…e chissà quanta altra gente se questa cosa sfugge al mio controllo!»
Solomon lo fissò per un lungo momento, e lui vide agitarsi in fondo ai suoi occhi blu emozioni contraddittorie. Poi sospirò. «Angeline aveva ragione: sei ancora instabile.»
«Forse se mi desse altro tempo, se aspettassimo...»
«Io non ce l’ho altro tempo!» scoppiò improvvisamente Blake. «Sto morendo, lo capisci? Questa è la sola occasione che ho!»
Jim si sentì sbiancare. Blake sembrò sorpreso quanto lui da quella reazione. Per un attimo, fu sul punto di dirgli qualcosa, ma poi ci rinunciò e gli diede le spalle mentre andava a recuperare la giacca e il bastone. La fiamma che gli ardeva dentro sembrava essersi affievolita, lasciando al suo posto solo una tiepida rassegnazione. Jim aveva il sapore del ferro in bocca. «Signor Blake…»
Ma lo stregone era già uscito dall’hangar.
Quando Jim lo raggiunse, qualche minuto dopo, lo trovò seduto sul prato, con i gomiti poggiati alle ginocchia e lo sguardo rivolto alla distesa brulla, su cui raggi del sole battevano con feroce intensità.
Jim si fermò alle sue spalle. «L’ho delusa, mi dispiace.»
Lo stregone scosse piano la testa. «Non mi hai deluso, semmai sono io ad averlo fatto. Hai ragione, sto pretendendo troppo da te. Lo facevo anche con i miei allievi, l’ho sempre fatto con chiunque.»
Il ragazzo gli si sedette accanto; la terra crepitava ancora di elettricità e tra i fili d’erba Jim vedeva guizzare scintille lunghe un pollice.
«Quella cosa che ha detto ieri sera nel cimitero, su mio padre…è la verità? Lo ha davvero incontrato?»
«Un anno fa, sì.»
«Come le è sembrato?»
«Te l’ho detto, era in perfetta salute.» Lo stregone gli rivolse una lunga occhiata da sopra la spalla. «Ma non è quello che vuoi sapere, non è così? Vuoi sapere se è arrabbiato con te. Credo che per scoprirlo dovresti andare a trovarlo.»
Jim si strinse le ginocchia tra le braccia. «A cosa servirebbe? Non sono stato che un peso per lui da quando sono nato.»
«Questo non è vero.»
«E lei che ne sa? Non c’era.» Un brivido lo scosse nel profondo, ma non aveva nulla a che vedere col freddo. «Sapevo che la magia di mia madre lo turbava, ma con lei era diverso. E quando poi è morta…ha perso la testa. Si alzava di notte e girava per la fattoria armato di fucile, come se avesse paura di essere attaccato da un momento all’altro. Se succedeva qualcosa che non riusciva a spiegarsi mi guardava come se fosse colpa mia, sono sicuro che mi desse la colpa anche per la morte di mamma…» Si morse il labbro con forza, per reprimere quel fremito improvviso che adesso gli si era propagato a tutta la faccia. «Non volevo diventare come lui. Non volevo vivere nel terrore e nella sofferenza come faceva lui. Per questo non sono più tornato; per qualche ragione non riesco a ricordare cosa accadde la sera dell’incendio…ma dentro di me pensavo che fosse meglio saperlo morto. Almeno avrebbe smesso di avere paura di me.»
Blake lo ascoltò in silenzio; quella luce piena, fredda e spietata, metteva in evidenza le rughe del suo volto, lo faceva apparire sbiadito e stanco, come se fosse in grado di restituirgli tutti gli anni che possedeva.
A un tratto, Jim sentì la sua aura dilatarsi lentamente, fino a sfiorare le proprie terminazioni nervose. La prima cosa che percepì in essa fu dolore: un dolore antico, che veniva da lontano, ma non per questo meno intenso, e Jim poteva quasi avvertirne la pressione sulla pelle, come un cespuglio irto di spine.
«Tuo padre non ti odiava e non aveva paura di te» disse infine lo stregone. «Semplicemente, non riusciva a capirti. Pochi padri ci riescono.» Jim sentì i rovi agitarsi attorno a lui come serpenti. Adesso quel contatto gli faceva quasi male. «Quando persi Isabel mi sentivo smarrito, spezzato. E avevo paura, una paura terribile di non essere in grado di andare avanti da solo, di non riuscire a dare ad Alycia ciò di cui aveva bisogno.» Fece una pausa e poi un grosso sospiro, come se cercasse di svuotarsi di un peso. «Ho lasciato che le mie paure prendessero il sopravvento e l’ho allontanata da me. Avrei dovuto affrontarle insieme a lei, forse adesso molte cose sarebbero diverse.»
«Alycia è troppo intelligente per non aver capito quanto soffriva.»
«Soffrire non è una giustificazione per essere venuto meno alle mie responsabilità.» Il volto di Blake si contrasse, impercettibilmente, in una smorfia. «Mio padre ha usato questa scusa per anni: con mia madre, con mio fratello e infine anche con me. E noi gli abbiamo concesso tutto.»
«Non sapevo avesse un fratello.»
«Morì che aveva più o meno la tua età» spiegò Solomon. «Ti sarebbe piaciuto, era coraggioso ma non arrogante, sensibile ma anche forte, leale e generoso. Si chiamava Jonathan. Jonathan Ichabod Blake.»
Stupito, Jim fece subito mente locale. «Quello dell’orologio? “J.I.B.”»
«Me lo regalò l’ultima volta che lo vidi, prima che andasse ad Arcanta» rispose lo stregone. «Fu scelto per entrare nella Corte delle Lame e diventare un giorno Arcistregone. Per la mia famiglia fu un grande onore e una possibilità di riscatto dopo secoli, ma per mio padre era molto di più: ci ha cresciuti perché fossimo le sue pedine in una battaglia che era troppo vigliacco per combattere da solo. Non ha mai ammesso da parte nostra debolezze o errori e io mi sono ripromesso che non sarei mai stato come lui. Invece, sono diventato esattamente ciò che voleva diventassi.»
Invece di ritirarsi a quel contatto che era ormai diventato doloroso, Jim permise alle loro auree di continuare a rasentarsi: quella giovane e acerba, e quella antica e spezzata. Non sarebbero mai state un Uno, ma due realtà ben distinte, pur avendo tanto in comune.
«Devi superare quest’odio che provi per i tuoi poteri» disse Blake all’improvviso. «È raro che ciò che vediamo nel nostro riflesso allo specchio ci piaccia, ma per quante siano le cose che detestiamo, saranno sempre parte di noi e non possiamo ucciderle. O saranno loro a uccidere noi, mi capisci?»
«Vuole che impari a conviverci» disse Jim. «Ma non so come.»
«Dà loro uno scopo» rispose Blake. «Aiutami a salvare Isabel, a restituire ad Alycia sua madre. Liberati della concezione di essere sbagliato per questo mondo perché non è così. Tutto accade per una ragione, anche un Plasmavuoto che non accetta di esserlo.»
«E se invece fallissi? Se mi stesse sopravvalutando?»
«Almeno potrai dire di averci provato. È già qualcosa, no?»
Jim tacque, guardando le montagne che ornavano quel paesaggio sconfinato e alieno, e solo in quell’istante realizzò quanto fosse lontano da tutto ciò che conosceva. Lontano da suo padre, lontano dal circo…
Si trovava su un territorio inesplorato da tutti i punti di vista. Ma almeno non era da solo.
Tutto accade per una ragione, forse anche questo.
«Riproviamoci» decise alla fine.
 

E riprovarono per i giorni a venire.
Il problema era che Jim sentiva di non avere col Vuoto la stessa affinità che aveva col Tutto, nonostante Solomon continuasse a ripetergli il contrario. Il maestro tenne anche alcune lezioni su quanto aveva ricavato negli anni sulla Magia Vuota, per aiutarlo a familiarizzare di più con essa. Gli dava tè da bere e libri da leggere, insisteva perché si sottoponesse a esercizi di meditazione.
E Jim acconsentiva, sebbene una parte di lui continuasse inconsciamente a opporre resistenza. Solomon, dal canto suo, non cedette più a scoppi d’ira e si dimostrò invece più comprensivo e paziente, addirittura grato dell’impegno che lui ci metteva.
Nel frattempo, Jim ebbe modo di approfondire meglio gli studi di Tesla sulla correte alternata, sul plasma e i campi magnetici; era strabiliante quanto certe sue teorie fossero avanti rispetto ai tempi e soprattutto quanto avessero in comune con la stregoneria. Non si sarebbe stupito se a distanza di qualche anno i Mancanti avessero scoperto i segreti del Tutto e imparato a riprodurre loro stessi la magia.
«Il problema con i Mancanti è che sono ancora enormemente ottusi» gli aveva risposto il maestro una mattina, mentre imburrava una fetta di pane tostato. «Finché continueranno ad anteporre cose come il denaro, la guerra o la religione al benessere comune non riusciranno a raggiungere il massimo del loro potenziale.»
Su quelle parole, un bagliore si accese improvvisamente alle spalle di Jim, che per poco non si rovesciò addosso il suo caffellatte; al centro della saletta per la colazione era appena apparso un fuoco fatuo bianco, che bruciava a mezz’aria.
Solomon fissò la luce con espressione torva. «Ecco, a proposito di ottusità.»
«Che cos’è?»
«Un messaggio da Arcanta.»
Jim spalancò gli occhi. Solomon, invece, si alzò con calma e mise una mano fra le fiamme.
«Alla Cittadella hanno i loro sistemi per comunicare» spiegò, restando in attesa di qualcosa. «E non si può dire che manchino di inventiva laggiù.»
Improvvisamente, nella sua mano apparvero due piccoli rotoli di pergamena bianca, ciascuno sigillato con un fermaglio a forma di ape. Le fiamme si estinsero di colpo.
Incuriosito, Jim si avvicinò mentre lo stregone ne dispiegava uno.
«Sono due convocazioni ufficiali» disse, scorrendone rapidamente il contenuto. «Per la Prova dell’Oro di Alycia.»
«Significa che è entrata nel Cerchio d’Oro?» esclamò Jim, con un gran sorriso. «Ero sicuro che ce l’avrebbe fatta, quella sua tesi sull’Anthea Ingannatrice era una bomba!»
Solomon però non sembrava condividere il suo entusiasmo e continuava a fissare i due rotoli con aria pensierosa.
«Sono per due persone, quindi alla Cittadella sono stati messi al corrente della tua esistenza. Le notizie circolano in fretta.»
«E allora?» disse Jim, che non riusciva ad afferrare dove fosse il problema. «Non avrà pensato di andare laggiù senza di me!»
Solomon si voltò a guardarlo, riemergendo dai suoi pensieri, e Jim s’indignò: «Mi avrebbe sul serio mollato qui?!»
«In realtà, non pensavo di parteciparvi. Te l’ho detto, è molto che non metto piede ad Arcanta.»
«Ma si tratta di sua figlia!» protestò Jim, sempre più sbalordito. «Per lei è importante, ci deve andare! Mi dice che le prende?»
«Il problema è che Boris Volkov mi sta addosso.» Blake sventolò i due rotoli sotto il suo naso.  «E ora sa anche dove trovarmi.»
«Questo Volkov non è l’Arcistregone del Nord? Il maestro di Alycia?»
«In persona.»
«E non dovreste essere dalla stessa parte?» Jim si portò una mano ai capelli, sforzandosi di dare un senso alla cosa. «Voglio dire, noi siamo i Buoni, no?»
Solomon sospirò.
«Volkov è sempre stato in aperta rivalità con me, non solo nella magia ma in tutto il resto. Fin da giovani sapevo di non piacergli, ma dopo la Guerra Civile…il suo odio per me è diventato del tutto manifesto.»
«Ma perché?»
«Perché è convinto che Isabel sia morta per colpa mia» rispose Solomon. «E che se avesse sposato lui anziché me l’avrebbe impedito.»
Jim era scioccato. «Era innamorato di sua moglie?»
«L’ha amata da sempre, da quando erano ragazzi» rispose Solomon con amarezza. «Non riesce a perdonare il fatto che non l’abbia salvata. E adesso sta plagiando Alycia per metterla contro di me.»
«Se le cose stanno così, abbiamo un motivo in più per andare ad Arcanta» affermò Jim con decisione. «Non vorrà lasciarla lì da sola?»
«Jim, Volkov è convinto che io fossi in combutta con l’Eretica, che stia tramando per riportarla al potere e penso che in questi anni in cui sono stato assente sia riuscito a persuadere anche gli Arcistregoni del Sud e dell’Est. Sta cercando prove da presentare al Decanato per incastrarmi. Adesso capisci? La storia della convocazione è una trappola!»
«Ma non ha pensato che se non si presenta avranno la conferma che nasconde qualcosa?»
Blake valutò quell’opzione. «Potrebbe destare sospetti.»
«E poi ormai sanno di me» aggiunse Jim. «In fondo, non ho scritto “Plasmavuoto” sulla fronte, basterà che eviti di attraversare gli specchi e passerò del tutto inosservato.»
Solomon però non sembrava ancora convinto della cosa.
«Arcanta è un luogo pericoloso» lo mise in guardia. «La Prova dell’Oro chiamerà a raccolta l’intera élite magica e saranno tutti molto interessati a te, soprattutto Macon e Una: non ho più accettato allievi per diciassette anni, e quando vedranno il mio nuovo apprendista non resisteranno alla tentazione di studiarti, di metterti alla prova in modi che neanche immagini.»
«Quando si terrà la Prova dell’Oro?»
«Tra una settimana.»
«Abbiamo un po’ di tempo» disse Jim. «Può prepararmi, almeno saprò da chi stare in guardia.»
«Ho paura che per imparare quello non basti una vita intera» replicò Solomon. «Non è Volkov a preoccuparmi, so come ragiona ed è facilmente prevedibile. Ma Una Duval e Macon Ludmoore, con loro sarà un altro paio di maniche.»
«Non la metterò nei guai» affermò Jim, deciso. «Si fidi lei di me per una volta.»
Le rughe che gli aggrondavano la fronte si appianarono lentamente in un’espressione più distesa, quasi divertita.
«Mi sembra giusto.» Dopodiché lo misurò con lo sguardo da capo a piedi. «Adesso però abbiamo un altro problema da risolvere.»
«E cioè?»
Un accenno di sorriso gli incurvò l’angolo della bocca. «Ti devo trovare qualcosa di appropriato da indossare.»
  
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