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Autore: Mentina    06/09/2009    3 recensioni
- .. quindi non sono morta – realizzai con angoscia. E ora che cosa mi aspettava? Charles mi avrebbe massacrata. Allora si che sarei morta, agonizzando ancora un bel po’. Mi arrabbiai, mi sentivo una belva feroce, ringhiai. Ringhiai. Ringhiai!
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentii il mio cuore dare un ultimo, feroce, colpo e poi quietarsi del tutto

Sentii il mio cuore dare un ultimo, feroce colpo e poi quietarsi del tutto. Ero morta, dunque?

Avevo cercato di urlare ma dovevo essere ridotta talmente male che ero sicura di aver prodotto soltanto gemiti e lamenti. Mi avevano immersa nell’acido o forse lanciata nel cuore di un vulcano attivo.. o forse legata a un paletto su una catasta di legna accesa. Il mio corpo si era arso lentamente. Avevo cercato la morte e pensavo che sarei stata capace di trovarla. In ultimo pensai ad una punizione. Lo dicevano che all’inferno faceva caldo. E lo sapevo che i suicidi finivano là.

 

- Esme..? – non avevo mai sentito pronunciare il mio nome in quel modo. Niente male, l’inferno.

 

- Carlisle, dalle il tempo di realizzare. Crede di essere all’inferno – mi chiesi a chi appartenesse quest’altra voce. Melodiosa e bellissima anche questa. Cosa stavo credendo? Carlisle? Sentii le farfalle nello stomaco ed ero sicura che il mio cuore mi stesse scoppiando tra le costole per l’emozione, anche se a dire il vero sembrava fermo là, pietrificato.

 

Sorrisi. In tutta la mia vita, avevo incontrato una sola persona con quel nome. Il ricordo era sfocato nella mia mente, ora. Eppure, sentivo forte il suo profumo nell’aria. Più forte dei miei ricordi confusi. Provai a deglutire: mi parve di avere della cartavetro in gola. Una sensazione fastidiosissima. Ok, all’inferno ci stavano i dannati, no? Mi rassegnai.

In fondo, me l’ero cercata.

Eppure, sentivo che un’altra mano, grande e morbida e calda stringeva la mia.

 

- Edward, perché non apre gli occhi? – era stato un sussurro. Avevo sentito perfettamente: l’inclinazione angosciata, la consistenza dolce del suo respiro, il rumore delle labbra che si sfioravano e quello della lingua che batteva sui denti. Mi sentivo confusa.. avrei dovuto aprire gli occhi? Perché, li stavo tenendo chiusi?

 

Provai lentamente, con il destro. Era come vedere il sole la prima volta, dopo essere stati chiusi in una cantina per anni. Non so bene se il paragone potesse funzionare.. perché non ero mai stata chiusa in una cantina per anni. Eppure vedevo, sentivo, percepivo tutto. Ero meravigliosamente ubriaca del mondo che mi circondava. Aprii anche l’altro occhio. E mi assicurai di non stare sognando. Ai piedi del mio letto, un ragazzo bellissimo mi osservava, accennando un sorriso triste. Era un ragazzo. Davvero, davvero bellissimo. Provai a sorridergli di rimando. Era pallido quel ragazzo. Davvero, davvero pallido. Eppure provai un senso di serenità nell’osservarlo. Avrei voluto con tutto il mio cuore che il mio bambino, avesse potuto diventare un ragazzo così. Storsi il naso, rivedendo in me quella persona frivola e meschina che era stata mia madre. La mia mente pensava tutto contemporaneamente. Mi sentivo un po’ angosciata: non capivo cosa mi stesse succedendo. Edward fece un cenno d’intesa, a qualcuno al mio fianco. Avevo quasi paura a voltarmi, eppure, inspiegabilmente lo feci: mi voltai.

 

Non è che, alla fine, ero finita in paradiso?

 

I ricordi erano una fitta nebbiolina nella mia mente ebbra, eppure il volto perfetto e meraviglioso del dottor Cullen, i suoi profondi e liquidi occhi d’oro, il suo sorriso dalla dentatura bianca e perfetta, mi osservavano cauti. Allungai una mano, e gli accarezzai i capelli. Forse lo feci per controllare la fittizia realtà di quello che stavo vivendo o forse non so.. ma mi sentivo serena. Avevo sognato ad occhi aperti, da ragazza, una cosa del genere. Poi la mia vita aveva preso quell’altra strada e il ricordo del dottore si era messo da parte, sopraffatto dalla disperazione. Avrei voluto piangere. In realtà pensavo di stare piangendo ma non sentivo né gli occhi umidi, né le lacrime rigarmi le guance. Era come se il fuoco che era scoppiato dentro ed intorno a me non mi avesse arso soltanto la gola, ma anche tutto il resto. Sentii il ragazzo allontanarsi e chiudere la porta della stanza. Avrei voluto chiamarlo e dirgli di non andare via. Lo avrei voluto vicino ancora un po’. O anche per sempre. Stavo ancora accarezzando il volto del dottore. Facevo troppe cose contemporaneamente e forse le stavo facendo anche molto velocemente. La lancetta sottile dell’orologio sul comò non aveva ancora fatto il giro dei… secondi. Sobbalzai, sedendomi e strinsi forte la mano del dottore. Non capivo, non riuscivo a capire. Lo fissai, spaventata.

 

- Esme, ti ricordi di me? – sorrisi maliziosa. Chi se lo scorda ‘sto schianto di dottore?! Avrei voluto rompermi anche l’altra gamba e entrambe le braccia, solo per sentire di nuovo le sue mani gelide accarezzarmi. Credo di averci anche provato.

 

- .. hai provato a.. ti sei.. – rinunciò – eri all’ospedale l’altro ieri notte. Ed io ti ho portata via – sorrisi ancora: certo, il tutto compreso. Ecco la chiave: un arto alla volta te lo aggiusta chi è di turno al pronto soccorso, tutta intera prendi il pezzo grosso. Venni travolta dallo sconforto.

 

- .. quindi non sono morta – realizzai con angoscia. E ora che cosa mi aspettava? Charles mi avrebbe massacrata. Allora si che sarei morta, agonizzando ancora un bel po’. Mi arrabbiai, mi sentivo una belva feroce, ringhiai.

Ringhiai.

Ringhiai!

 

Le braccia di Carlisle mi stringevano. Con fatica. Cercai di riprendere il controllo. Ma non accadde. Forse l’ansia, forse l’angoscia, forse quella mia strana nuova mente che produceva immagini così vive e pensieri così funesti.. mi prese il panico. Strinsi forte il suo maglioncino. E sentii la stoffa lacerarsi lentamente. Non riuscivo a mollare la presa: io avevo paura. E non capivo. E volevo piangere e non riuscivo. Mollai di colpo, pentita. Nascosi il volto nell’incavo della sua spalla.

 

- Esme, tu non sei più quello che eri – sembrava dispiaciuto. Alzai la testa, incitandolo a continuare. - .. non sei morta, ma è come se lo fossi. – alzai un sopracciglio. L’unica cosa che mi premeva era non rivedere mai più Charles. Una profonda tristezza mi colse all’improvviso. Stavo ripensando al mio bambino. Contemporaneamente ripensai al ragazzo triste dai capelli ramati.. che mi aveva letto  nel pensiero. Rimasi immobile, trattenendo il respiro. Lo trattenni ancora e ancora e ancora. Non avevo bisogno di respirare. Sulla fronte di Carlisle si era formata una profonda ruga.

 

- Ora sei come me. Ti ho dato la vita eterna ma ti ho privato della tua anima, Esme. Potrai mai perdonarmi? – vita eterna. Cercai di realizzare. Quindi, non ero morta. Anzi. Lo fissai. Grandi ragionamenti, ma poche parole. Mi stupii di me stessa. Dovevo capire.

 

- Perché mi brucia la gola? – lui sospirò.

- .. perché hai sete. – Non capii bene il senso di quella parola: che mi desse un bicchiere d’acqua, no? Era un dottore, diamine, mica avrei dovuto dargli suggerimenti io!

 

- I tuoi bisogni sono cambiati, Esme. Il tuo corpo è cambiato. Sei stata congelata in questo tuo primo e ultimo infinito giorno, non è necessario per te respirare, dormire.. nemmeno mangiare – io cercavo di capirlo, ce la stavo mettendo tutta… ma come avrei potuto placare quel fuoco nella mia gola? Non mi accorsi di aver ragionato a voce alta. La risposta mi arrivò come una valanga addosso. Mi sembrò scontata, tutto ad un tratto. Avevo letto anche io Dracula di Bram Stoker. E mentre Carlisle continuava in una sorta di spiegazione tecnica riguardo a quello che era diventata e sarebbe stata la mia vita, cercavo analogie e ricacciavo indietro il ricordo di quella bestia di Charles. Sangue animale, occhi rossi. Brillare. Volterra, Volturi. Londra, milleseicento. Edward, Chicago, spagnola. Uccidere, nomadi. Sangue. Segreti, documenti, fingere, immortalità. Trasferirsi, pioggia. Forza, velocità, istinto. Mesi, iridi dorate. Niente funzioni vitali, niente lacrime. Niente ciclo, niente bambini. Trasalii. E strinsi di nuovo il suo maglioncino tra i pugni. Carlisle si scusò.

 

- Che ne sarà di me, allora? – ero spaventata. Ora avevo perso le coordinate della mia esistenza.

 

- Sei libera di scegliere - ma cosa avrei dovuto scegliere, in fondo? C’era solo da rassegnarsi. E solo e soltanto una cosa mi premeva. Del resto non mi interessava. Avrei accettato tutto. Lo sussurrai.

 

- Perché mi hai salvata? – Carlisle sospirò mestamente, dandomi una carezza sul volto.

 

E capii.

 

Sorrisi, folle, facendo una cosa che mai e poi mai mi sarei aspettata: lo baciai. Dolcemente, timidamente. Le sue mani mi strinsero la vita e i fianchi e dimenticai il pudore: lo trascinai sopra di me e continuai a baciarlo, con passione e desiderio… e amore. Era tutto nuovo, tutto amplificato. Le nostre labbra fameliche si rincorsero a lungo. I nostri corpi sembravano due pezzi di un puzzle. Le sue mani correvano veloci su di me, ovunque, sopra e sotto i vestiti. Poi, di colpo, si fermò. Una violenza bella e buona: staccarsi da me, così. Lo fissai impudicamente felice. Non sapevo cosa fosse la felicità. Ed era così tanto, tutto assieme, in un solo giorno. Fermai le sue mani addosso a me, prima che si allontanasse del tutto.

 

- Ho passato giorni e notti a pensare a te. Ero solo una ragazzina con una gamba rotta.. – sorrise, fissandomi. Mi mancarono le parole. Mi diede un bacio sulla fronte. Era una bella sensazione. Stavo provando… amore.

 

- Devo portarti a caccia – annuii. La gola raspava, feroce. Mi strinsi un po’ di più al suo corpo perfetto e sospirai beata. Ero sempre più ebbra. Ed euforica.

 

Alla fin fine, mi era toccato davvero il paradiso.

 

 

  
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