ANGOLO
DELL’AUTRICE
Rieccoci!
Scenetta
spicy, ma non troppo… Se la si prende nel contesto, fa un
po’ (! un po’ !) di
malinconia. Se non conosci il contesto, torna al capitolo prima:
così
l’ambientazione emotiva rende di più perché
sono sadica con i personaggi.
Ci
vediamo in fondo, ho una cosa da chiedervi!
_ Zoro? _
Le aveva
risposto con un grugnito soffocato nell’incavo del collo
lungo il quale
nascondeva il viso, il respiro infranto sui capelli di fuoco e mai
sazio del
loro profumo. Un suono seccato e selvatico come la sua indole.
Perché lui
sapeva, sapeva che quando lei pronunciava il suo nome con
quell’inclinazione
della voce, ciò che sarebbe avvenuto non era qualcosa che
avrebbe mai
apprezzato.
Ma Nami non
poteva farne a meno.
Fece
serpeggiare le punte delle dita dalla nuca taurina fino al cuoio
capelluto
dell’uomo e lì le intrecciò con i suoi
fili verdi. Lo percepì per un breve,
chiaro istante, il brivido che corse lungo la spina dorsale di Zoro e
la
resistenza dei suoi muscoli dorsali a quell’atto volutamente
rassicurante e
mellifluo.
_Cosa? _ la
sollecitò brusco, prima di inasprire la spinta successiva e
inalare ancora il
suo profumo. Mai pieno di lei, drogato d’ogni cosa di lei.
Un anelito di
piacere si librò dalle sue labbra e Nami si prese il tempo
di un respiro per
riappropriarsi dei pensieri. Amava vederlo così. Sembrava
quasi vulnerabile a
chissà cosa e amava pensare che forse, solo forse, Zoro
potesse diventarle
indifeso.
Nei loro
momenti, unici come quello presente in cui si fondevano nel
distruggersi per poi rigenerarsi reciprocamente l'anima, Nami sapeva
che ad ogni tuffo che
il suo compagno faceva
dentro di lei, lei stessa poteva viversi come ambrosia vischiosa e
annullarsi
alla sua totale presenza.
Stese la
schiena lungo la parete sulla quale era volutamente bloccata e strinse
le cosce
cerchiando ancora di più la sottile vita dello spadaccino
nel lasciarsi
sfuggire un fugace sguardo a tre spade riverentemente appoggiate nella
parte
opposta del suo studio.
_Nami _ la
chiamò ancora lui. Un ennesimo colpo che minò di
annebbiarle il cervello.
Aveva
lasciato scivolare la mano lungo il profilo del volto di Zoro e una
carezza si
intersecò con i suoi pendagli prima di posarsi leggera sulla
giugulare: _ Dove
sei? _ gli chiese, un tremore che la tradì.
Dietro le
ciglia, lo aveva visto corrugare la fronte e non seppe se per la
concentrazione
dell’atto o in risposta istintiva al suo quesito che sapeva
essere tanto
improvviso da scioccare. Non doveva sforzarsi troppo nel vedere la
confusione
tra i suoi lineamenti.
_ Che stai
dicendo? Sono qui… _ le rispose sfiorandole la spalla nuda
con le labbra, un
atto così dolce da risultare conflittuale con il bacino che
urlava bisogno.
_
Non…
ah…
non intendo ora… adesso. _ cercò di spiegarsi lei
tentando di sfuggire ad un
nuovo, inondante calore nel ventre. Faceva davvero fatica: tutto era
Zoro,
c’era sempre più ineluttabilmente lui, ma
quell’incertezza del cuore non voleva
abbandonarla. Nemmeno in quel momento.
Lo aveva
sentito rallentare e per un breve, terribile istante, Nami aveva temuto
di
averlo ferito con la sua solita ricerca di certezza. Perché
nonostante la
scelta fosse sua, non poteva fare a meno di soffrire per la distanza
che
portava con sé la luce del sole. Quella distanza che si
tramutava in freddezza
nei lineamenti dello spadaccino durante la loro quotidianità
sulla Sunny, un
risvolto di lui con il quale si era accorta di non aver fatto i conti.
Faceva male,
talmente male da aver bisogno di ricucirsi durante il silenzio della
notte o
nella penombra degli angoli del suo studio dove ora si univano.
Ciò
che
le
scardinava le fondamenta, era la paura del non riconoscere
più la loro verità
come tale, perennemente in bilico tra il giorno e la notte. Chi era
Zoro? Il
suo nakama che la evitava come la peste per paura di qualche ordine
strozzato e
ramanzina, oppure era l’uomo radicato come una quercia che
ora la stava
prendendo? Qual era il limitare tra finzione e realtà?
_
Nami…
_
ancora, l’aveva chiamata con una certa urgenza nella voce,
un’urgenza di sapere
e capirla. Aveva poi portato le mani sotto la rotondità
delle sue cosce e con
un guizzo di muscoli se l’era portata un po’
più in alto staccandola per un
momento dal sostegno della parete. Lì poi, aveva cambiato
angolazione con i
fianchi sfiorandole la clavicola con la punta dritta del naso e
riprendendo ad
andarle dentro con quella che Nami ricorda aver creduto essere
frustrazione.
Si stavano
forse perdendo?
Se quel
veloce richiamo l’aveva scossa dal furore dei suoi pensieri,
il nuovo ritmo di
Zoro rischiava di farla smarrire tra lussuria e perdizione. Lo
seguì, lo seguì
come la religione e lasciò vibrare i gemiti per lui.
_
Parlami… ah
… _ era riuscita a respirare poco prima del grugnito di lui.
_ Ora? _
aveva sbuffato passandole il profilo dei denti lungo la mandibola.
In un guizzo
di lucidità, Nami aveva percepito quel tocco come la
minaccia di un morso e
sentì di doversi spiegare il più possibile
andando contro alle proprie paure e
resistenze. Perché fa sempre paura chiedere per una risposta
che non si è
pronti a sentire, che potrebbe non essere quella giusta.
Gli aveva
piantato le unghie sui muscoli delle scapole come in un tentativo folle
di
incatenarlo a lei, tra sangue e pelle. Un desiderio malsano per una
dipendenza
che la teneva viva.
A quello, lo
spadaccino era diventato irregolare e il morso era arrivato
nell’incavo del
collo di Nami facendole alzare il mento al soffitto per una scarica di
piacere.
Si era stretta a lui assecondando le sue spinte finali e soffiando
fuori dalle
labbra il suo nome come una bolla rovente del suo Clima Takt. Lo aveva
invocato
fino al proprio culmine guidato dagli ultimi sprazzi del calore di Zoro.
Aveva stretto
gli occhi Nami, chiusi forte per non lasciarsi sfuggire quel momento e
viversi
il vortice di sensazione ed emozioni che le inondavano dentro e fuori.
Il fiato
pesante
che si infrangeva contro quello di lui ora poggiato fronte e fronte in
un bagno
di fusione e sudore. Si era passata la lingua tra le labbra secche per
gli
aneliti a bocca aperta e aveva inspirato a fondo prima di schiudere le
palpebre
e incrociare una pozza d’onice velata dalla passione. Si
sarebbe mai sentita
più inchiodata di così?
_ Cosa? _ lo
aveva incalzato dal fissarla inamovibile.
Lo sguardo di
Zoro non aveva tremato per un singolo istante e nel risponderle con
risolutezza, stoico ancora in lei, aveva iniziato a carezzarle le gambe
nella
sua presa con i ruvidi polpastrelli dei pollici. Questi antipodi che lo
definivano così intensamente… _ Dovrei
chiedertelo io. Cosa ti prende? _
Perché
questo
ricordo?
Perché
proprio
ora?
L’occhiata
di
Usopp e la freddezza di Rufy le dolevano ancora l’anima e ne
sentiva
chiaramente le schegge che correvano al cuore per darle il colpo di
grazia.
Sentiva freddo Nami e anche un inizio di abbandono al quale non voleva
dare
adito.
Doveva
esserci
una qualche spiegazione.
Fu invasa
dall’improvvisa pretesa, infantile e primordiale, di avere
delle forti braccia
dalle quali lasciarsi avvolgere e poté quasi sentirla
davvero quella voce, la
sua voce “Va tutto bene, Nami” che le mormorava
nell’orecchio e le accarezzava
i capelli “Sono qui”.
Aveva bisogno
di
lui. La sua certezza, la sua salvezza, sempre.
In qualche
modo
sapeva che se avesse trovato lui, avrebbe avuto anche la spiegazione
che tanto
bramava, o forse non avrebbe più avuto importanza.
Con il sapore
dei ricordi incastrato tra le dita, la cartografa allungò
una mano speranzosa
al pomello della porta e lo roteò prima di aprire la
serratura con una leggera
spinta.
La prima cosa
che Nami notò fu l’assenza. Silenzio. Silenzio
ovunque su una nave che anche
nel suo sonno aveva sempre raccontato qualcosa.
Si era
sentita trasparente e si era accorta di una lacrima fuggiasca solo
quando le
era scivolata dal limitare del volto per infrangersi sul pettorale di
Zoro.
Entrambi erano perlacei per lo sforzo e con i petti ancora infervorati
dall’amplesso, ma la rugiada che le rigava le guance lasciava
canali evaporati
al calore di una consapevolezza iniziata.
Le
sopracciglia dello spadaccino si erano lievemente arcuate in
apprensione e il
suo occhio indagatore si era fatto più vivido. _ Nami, che
succede? _ le aveva
domandato con ferma incertezza.
Le era
scoppiato il cuore!
Se solo fosse
stata capace di dirgli quanto lo amava, quanto aveva bisogno di lui.
Ovunque e in
qualunque momento.
Aveva sentito
le lacrime dirompere e gli si era stretta al collo camuffando i
singhiozzi con
il volto appoggiato sulla spalla. Non era riuscita a guardarlo mentre
la colpa
l’aveva fatta sentire sbagliata come non mai. _No.. Non te ne
an… dare mai, t..
ti prego! Anche se … se te lo dico io.
Anche…se… sono io a… mandarti via. Non
ascoltarmi… mai! _
Qualcosa le
si
attanagliava alla gola come tentacoli vivi e decisi ad annegarla
nell’oblio.
C’era una mancanza che minacciava di soffocarla e una
profonda agonia le
chiedeva di rannicchiarsi al suolo e scomparire.
Con immagini
nella mente, le immagini di lui, Nami si scrollò ogni
vincolo illusorio di
dosso e avanzò fuori coperta. Prima arrivò il
suono della pioggia, poi il
profumo del petricore e infine l’affilata luce di un giorno
celato dalle
nuvole.
A quelle
parole, Zoro aveva sporto il busto indietro per negarle il suo
nascondiglio.
L’aveva tenuta forte mentre usciva da lei per poi cercarla
con le labbra
sottili.
L’aveva
baciata dolcemente, a bocca aperta, dandosi completamente
all’istinto di
protezione per lei. E Nami si era lasciata curare da quelle carezze
umide che
le si incastravano tra la vergogna e l’urgenza di sentirlo
ancora, ancora e
ancora.
Poi, totale
come la luna nel firmamento, l’aveva presa dalla schiena
stingendola in un
potente abbraccio caldo come il sole.
Nami si era
sorretta aggrappandosi maggiormente alla sua vita e si era preparata al
sentirlo parlare dallo schiudersi delle sue labbra al lato del viso:
Dall’altro
lato
del ponte, poté vedere i suoi nakama raccolti a fissare
verso l’oblò che sapeva
essere dell’infermeria e il panico di qualcuno ferito la fece
quasi traballare
sulle gambe.
Una fitta
dietro
i lobi delle orecchie e un inizio di vertigine la spinsero ad
irrigidire i
muscoli per non crollare sul prato della Sunny.
Chopper non
c’era, doveva essere dentro…
Chi mancava?
Anticipando
ogni
suo prossimo gesto, Brook si voltò e la vide. Non seppe dire
quale espressione
avrebbero assunto i lineamenti del musicista se solo non fosse stato
uno
scheletro, ma era certa che i loro sguardi si incontrarono a
metà strada. _
Usopp-san, non hai chiuso la porta a chiave? _ disse con una punta di
timore.
L’interpellato
si voltò anch’egli e Nami rivisse
nell’istante presente quella reazione
sinistra del compagno avuta poco prima. _ Oh… _
esalò alzano i palmi in segno
di resa.
_Nami! _ la
chiamò Robin. La sua dolce preoccupazione instillata in un
braccio proteso
verso di lei.
Ma Nami si
lasciò distrarre subito: un’urgenza le imponeva di
cercare.
Chi mancava?
Un movimento
oltre
i Mugiwara l'attirò: Nami incontrò le lacrime
silenziose che straziavano il volto di
Rufy e realizzò in una folgore.
No. Non
poteva
essere.
Barcollò
ancora,
la navigatrice, ma non furono i capogiri. La gola si liberò
e il suo corpo
fluttuò nel nulla mentre si sentì chiedere: _
Dov’è Zoro? _
_Sarò
sempre
qui. _
ANGOLO
DELL’AUTRICE - bis
Voglio
farvi
un invito!
Allora,
non
ho ancora deciso come far terminare questa storia e sono combattuta tra
diverse
opzioni. Se vi siete appassionatə
quanto me nello
scriverla, ditemi
cosa vi aspettate dalla conclusione degli eventi o come più
vi piacerebbe che
si sviluppasse il tutto. Chissà che qualcunə
non riesca ad aiutarmi convincermi!
Vi
ringrazio
infinitamente e…
A
presto (si
scherza)
Arcadia