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Autore: giuliacaesar    04/04/2022    1 recensioni
⚠️POTREBBE CONTENERE SPOILER DEL MANGA DAL CAPITOLO 290 IN POI⚠️
La vita a volte ci pone davanti a delle scelte, facili o difficili che siano. Se ne scegliamo una non sapremo mai il finale dell'altra, il che ci porta a porci una serie infinita di domande che iniziano con un "e se...".
«Ha presente cosa sono gli otome game?» [...] «Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti.».
E se... Enji fosse andato alla collina Sekoto quella fredda serata d'inverno?
ATTENZIONE! Il rating potrebbe cambiare!
Pubblicata anche su wattpad su @/giulia_caesar
Ispirazione: @/keiidakamya su Twitter e @/juniperjadelove su Twitter e Instagram.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, League of Villains, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 15 - STELLE

Anche a distanza di mesi, anche dopo tutto quello che era successo, un po’ di brividi lungo la schiena Touya li provava ancora. Sentiva le mani della ragazza che viaggiavano lungo tutto il suo corpo, disegnando linee che gli rimanevano incise nella sua memoria come se stesse scolpendo la pietra. 

Mitsuha lo trascinò dentro l’auto, chissà come senza fargli sbattere la testa contro la portiera, che chiuse con un gesto affrettato della mano. Touya crollò addosso a lei in maniera sgraziata, con le gambe incastrate tra la portiera e il sedile e senza riuscire a reggersi con le braccia, restando completamente spalmato sulla ragazza. L'ultima cosa di cui si sarebbe lamentato era dove era finita la sua faccia, ovvero immersa completamente nel seno dell’altra. No, non se ne lamentava proprio, per quel che gli importava sarebbe pure potuto soffocare lì, ma Mitsuha non era dello stesso avviso. 

Gli infilò le dita tra i capelli, lasciando una lieve carezza prima di afferrare qualche ciocca e portare la sua testa verso l’alto. Fu un gesto un po’ impacciato, dettato dalla fretta e ostacolato dalla scomoda posizione in cui si trovavano, infatti fu quasi doloroso lo scontro tra le loro bocche con i denti che si scontrarono tra loro e le labbra schiacciate. Per qualche secondo interminabile rimasero immobili in un bacio che di casto doveva avere poco, ma che stranamente lo fece arrossire le guance, che bruciavano come candele. Sembrava uno di quei baci che ci si dà quando si è piccoli, quando non si sa bene che cosa fare e si rimane impalati di fronte all’altro con il cuore nelle orecchie. Era la cosa più intima che si poteva scambiare con qualcuno. 

Mitsuha aprì leggermente la bocca, socchiudendo gli occhi, per accarezzargli le labbra con la lingua delicatamente, quasi avesse paura di spaventarlo. Tutta quella premura lo destabilizzava, lo rincoglioniva ancora di più, perché da una persona come lei non se li aspettava dei gesti simili. Imprevedibile fino al midollo, così pensava in quel momento, in una posizione scomoda, che gli stava stirando la schiena come se fosse una fisarmonica nel tentativo di continuare a baciare quelle labbra meravigliose. 

La situazione si stava facendo complicata anche per Mitsuha, insomma non disdegnava avere quel corpo snello addosso, ma con il gomito di Touya incastrato sotto il costato che le impediva di respirare non trovava più così bella questa idea. Il ragazzo poi aveva iniziato a ricambiare il bacio, cercando di muovere le labbra in sincronia con le sue, quindi non le interessava neanche più così tanto respirare in realtà. Si stava gustando per bene la frustrazione di Touya, che faceva molta fatica a starle dietro in quella posizione scomoda e incastrata. Sbuffava spazientito quando doveva ritirarsi leggermente indietro per la schiena che gli tirava troppo e mugolava quando lei si sporgeva e rincominciava a baciarlo. 

Non che lei se la stesse spassando meglio, aveva ancora le mani artigliate alla sua maglietta e non riusciva a muoverle, avendo le braccia schiacciate tra il busto del ragazzo e il proprio petto, che veniva schiacciato ogni momento di più. Aveva anche male al collo per il continuo sforzo di andare incontro al ragazzo, sentiva tutti i muscoli della nuca stendersi fino a stirarsi. E poi le prudevano i palmi, aveva una voglia di farle scorrere lungo tutto quel corpo flessuoso, ma era riuscita a liberare una sola mano, con cui non voleva smettere di accarezzargli i capelli. Erano davvero così morbidi come sembravano. 

Quando Touya si staccò di nuovo con un piagnucolio, decise che ne aveva abbastanza di tutto quel tira e molla. 

«A-aspetta un attimo, ferma.» le disse con voce tremante. 

Rizzò il busto per poter trovare qualche appiglio dove appoggiare le mani, che posizionò sul sedile in prossimità delle spalle di Mitsuha. La ragazza lo guardava confusa con il divertimento negli occhi e con tante domande incastrate tra le labbra, mentre Touya si issava sulle mani per liberare almeno la gamba destra. Si era chinato leggermente, solleticandole la punta del naso coi capelli candidi, su cui fremeva dalla voglia di passarci dentro ancora le dita. 

Touya riuscì a disincastrare la gamba, la cosa che fece subito dopo fece calare una nuvola di febbrile eccitazione nel cervello di Mitsuha, che reagì d’istinto senza avere più la facoltà di ragionare. Nemmeno Touya pensava più lucidamente, il suo unico obiettivo era quello di tornare a baciarla il prima possibile e affogare definitivamente in quella elettrica sensazione. Gli tremavano le mani per lo sforzo e l’impazienza, sentiva la testa calda e leggera, come se avesse la febbre, e si muoveva a scatti, mosso dalla fretta. 

Non ci pensò due volte prima di posizionare la gamba libera sul sedile dove si trovava Mitsuha mettendosi a cavalcioni su di lei senza ritegno, per una volta lui era il più alto tra i due quantomeno. La ragazza scattò in avanti afferrandogli i fianchi per attirarlo verso di lei, mentre lui le infilava le mani tra i capelli sciolti. Gli strinse la vita tra le mani, facendolo mugolare dal piacere, nel frattempo che lui, intrepido, apriva le labbra per accarezzare le sue con la lingua. Mitsuha sospirò soddisfatta, era tutto così perfetto: la sensazione della pallina del piercing che si scambiavano tra di loro facendola diventare sempre più bollente, le sue mani che le stringevano i capelli senza alcuna grazia, mentre i suoi fianchi sembravano essere stati modellati per essere saggiati dalle sue mani. 

Touya ne era completamente assuefatto da quel sapore di birra che avevano le sue labbra, gli pungeva la punta della lingua per poi arrivargli alla testa annebbiandola. Le leccava le labbra come un assettato, gliele mordeva come se non mangiasse da giorni, tornava a baciarla disperato, con le mani incastrate tra i suoi riccioli scuri. Sentì le mani di Mitsuha spostarsi, lasciando dietro di loro una scia di formicolii sulla sua pelle e sospiri sulle sue labbra, che venivano bevuti a grandi sorsate dalla ragazza. 

Andarono giù, giù, giù, lungo i fianchi asciutti, la vita che quasi riusciva a circondare completamente con le dita, oltre la dolce curva delle cosce, fino a posizionarsi sul sedere, che strinse strappandogli un gemito rumoroso che si assaporò sulle labbra. Lei rise soddisfatta, riprendendolo a baciarlo, mentre continuava a esplorarlo con le mani, la bocca, gli occhi, tutto. 

Touya si sentiva leggero e pesante allo stesso tempo, la sua testa era completamente vuota, riempita solo dai rumori osceni di quei baci e dai sospiri di Mitsuha. Il suo corpo seguiva i movimenti delle mani della ragazza, senza opporre alcuna resistenza, modellandosi sotto le sue dita, come argilla. Non riusciva, non voleva staccarsi da quelle labbra dolci con la leggera nota amarognola che gli lasciavano sul palato. Si allontanò leggermente per succhiarle il labbro inferiore, il giusto per poi morderlo e tornare a baciarla, ancora più vicino a lei di prima. 

Fece scendere anche lui le mani dalla nuca di Mitsuha fino alle spalle larghe, assaporandole con le dita i muscoli che si contraevano a ritmo dei suoi respiri accelerati. Le spostò ancora più in basso, posandosi sul petto della ragazza, che lo incoraggiò artigliandogli i glutei con ancora più forza tra le mani. Strinse delicatamente la presa, mentre la sua testa era piena solo dei sospiri umidi che riusciva a toglierle dalle labbra, cogliendo l’occasione per mordergliele ancora. Erano così soffici. 

«Non sono di porcellana, Touya.» gli sussurrò maliziosa. 

Mai il suo nome gli era parso così armonioso e bello detto da quelle labbra rosse e gonfie. Serrò ancora di più le mani, a palmi aperti sul suo seno, facendola sospirare ancora. Ne approfittò un’altra volta, leccandole le labbra dolci, che ormai sapevano ben poco della birra di poco tempo prima. Le accarezzò la lingua con la propria, il piercing bollente per tutti quei baci era in un così delizioso contrasto con la morbidezza del resto della sua bocca. 

Mitsuha rincominciò a torturarlo spostando di nuovo le mani, dopo una piccola pacca al sedere che lo fece saltare sul posto per la sorpresa. Premette ancora più forte le labbra contro quelle della ragazza per impedirsi di implorare di più. Le affusolate dita di Mitsuha si infilarono sotto la sua maglietta, fredde, congelate a differenza della sua pelle, che sembrava star per prendere fuoco. In una straziante salita gli accarezzarono la pancia, con un accenno di addominali che non volevano saperne di uscire, l’addome, il petto. Le punta delle dita sfiorarono appena i tre dermal sotto la gola in una toccata e fuga sadica, che le riportò di nuovo in basso, verso le cosce aperte sul bacino di Mitsuha. 

Touya si era dovuto staccare per mancanza d’aria, il cuore batteva con un forsennato nel petto, ma era come averlo dovunque nel suo corpo. Gola, pancia, mani, orecchie, persino gli occhi, tutto sembrava preda di una corsa disperata, la cui fine non sembrava volersi avvicinare. Mitsuha non perse tempo, premendogli la bocca, umida e lucida, alla base della gola, poco sotto il pomo d’Adamo lasciandogli un bacio, mentre con le mani scendeva di nuovo ad accarezzargli le cosce stringendole leggermente. 

Continuò a baciargli la gola, seguendo la linea della giugulare con particolare attenzione su, sempre più su fino alla mascella, che accarezzò con le labbra per raggiungere le orecchie. Si era sposta verso di lui, staccandosi dal sedile e facendolo rizzare con la schiena, finché i loro petti si scontrarono di nuovo. Touya aveva il respiro affannato, a volte si ritrovava a gemere o a piagnucolare, capace solo di stringere le dita attorno al petto della ragazza. Il cavallo dei pantaloni era strettissimo, dandogli un immenso fastidio, tant’è che si ritrovò a muovere il bacino a tempo con il movimento atroce delle mani di Mitsuha che si spostavano ovunque tranne dove volesse lui. Emise un verso che era a metà tra un lamento eccitato e un gemito, quando le mani della ragazza tornarono a posarsi sui suoi fianchi poco sopra il fastidioso rigonfiamento nei suoi pantaloni. Perché si divertiva a torturarlo così? 

Perché era così dannatamente eccitante vedere l’idolo delle masse, il prototipo dell’uomo perfetto tremare e piagnucolare quando gli leccò il lobo prima di succhiarlo leggermente. 

Perché Touya aveva quell’aria da ragazzo modello, il classico giovinotto tutto chiacchiere e distintivo, che era semplicemente impossibile non voler macchiare di un bel rosso quella sua finta innocenza. 

Perché da semplice carino passava a fottutamente bello, quando lo vedeva spoglio di ogni sua maschera cucita alla perfezione su di lui. I capelli sfatti, gli occhi azzurri erano solo un lontano ricordo, inghiottiti dal nero della pupilla, le guance rosse esattamente come le sue labbra, gonfie e cariche di morsi. Il modo in cui muoveva il corpo, sopra il suo, a tempo delle sue mani, in un chiaro invito, se non quasi bisogno, ad essere toccato, sfiorato, assaporato. 

Si accostò al suo padiglione auricolare, accarezzandoglielo con le labbra quando parlò con voce vellutata. 

«Touya, cosa vuoi, mh?». 

Le ginocchia del ragazzo tremarono così tanto che temette di star per crollare addosso a Mitsuha. Si sentiva impacciato, le parole non volevano uscirgli dalla gola, incastrate tra l’orgoglio e l’eccitazione. In che razza di stato si ritrovava? Non doveva essere lui quello con la situazione in mano? Non doveva fare l’uomo e far tremare le gambe a lei, ad assaggiare lui il suo di corpo, a farla sospirare anche solo parlandole all’orecchio? Cosa diamine stava facendo? 

«I-io-». 

«Sì?». 

Spostò solamente la punta dell’indice, posizionandola sotto l’ombelico, sul quale iniziò a disegnare piccoli cerchi. Touya deglutì stringendosi ancora di più all’altra. Doveva... doveva... cosa doveva fare? 

«Mitsuha...». 

«Mmh? Sono tutta orecchie, Touya.». 

Mitsuha finalmente fermò quel dolce strazio, ma rincominciò portando il dito sempre più in basso. Sempre di più. Sempre di più. 

«Ti-Ti prego-». 

«Cosa, Touya? Forza, parla per bene.». 

Non sapeva se lo eccitava di più quel singolo cazzo di dito straziante che continuava a scendere o il tono prepotente di Mitsuha. O forse era un mix di entrambi. Si ritrovò a piagnucolare spazientito. 

«P-Più veloce... ti prego!». 

La risata di Mitsuha gli rimbombò per tutto il corpo, cospargendolo di brividi e scosse che lo stordirono ancora. 

«Sei sicuro, Touya?». 

La sua voce era miele. Anzi, no. Era cioccolato fuso, come quello che aveva negli occhi, come quello che aveva mangiato pochi istanti prima. Era dolce, un po’ speziato. 

Touya annuì incapace di parlare, quando le dita di Mitsuha si posarono sulla sua cintura. Non ci stava capendo più nulla. 

«Dillo a parole, l’hai usata molto bene fin ora la lingua.». 

Si aggrappò a lei, come se stesse per cadere in un baratro. E cazzo, non stava facendo un granché, ma si sentiva frastornato, confuso. Ne voleva di più, non gli bastava. 

«Sì! Sì! Sì!». 

Mitsuha gli posò un bacio umido poco sotto l’orecchio per premiarlo. 

«Bravo, cucciolo.». 

A quel nomignolo Touya sentì un torrente di brividi scorrergli lungo la schiena. 

La ragazza gli sbottonò finalmente il bottone dei jeans, troppo stretti in quel momento. Fu come se gli avessero tolto un peso dalle spalle, prese aria a pieni polmoni continuando a seguire col bacino i movimenti delle dita di Mitsuha, che subdole adesso cercavano di abbassargli la cerniera. 

Le prese tra le mani la testa, scostandola all’improvviso dall’incavo del suo collo per baciarla di nuovo. Fu una cosa rude, quasi animale. Denti che mordevano indistintamente qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, labbra che venivano schiacciate, lingue che sembravano sta lottando tra loro, sospiri e gemiti che si scontravano. 

Le mani di Mitsuha, non capì se intenzionalmente o meno, si premettero sul suo cavallo dei pantaloni strappandogli un verso acuto, che la ragazza inghiottì volentieri. Gli abbassò definitivamente la cerniera e- 

SBANG! SBANG! SBANG! 

Touya saltò in aria sbattendo la testa contro il tettuccio della macchina, mentre Mitsuha si sporgeva pronta a ringhiare contro chiunque li avessi interrotti sul più bello. Si ritrovò di fronte due paia di occhio scioccati, che li osservavano sconvolti, soprattutto il ragazzo lamentoso sopra di lei. Si schiarì la gola per attirare l’attenzione dell’altro, che si girò verso i loro disturbatori con le mani infilate nei capelli nel tentativo di alleviare il dolore per la botta. Di fronte si ritrovò la commessa del combini che lo guardava con occhi sgranati e un poliziotto dall’aria piuttosto confusa. Sentì il gelo nelle ossa e l’ansia iniziò a galoppargli nel cervello imbizzarrita. 

Merda, merda, merda, merda, merda! 

Gli si seccò la gola, mentre i suoi neuroni giravano in tondo urlando impazziti. 

«Buonasera, Dabi.». 

Cazzo! Sa anche chi sono! Aspetta, chi non mi conosce in questo paese? Sono il figlio maggiore del Numero Uno, oltre ad essere sempre in giro con Hawks e ad avere la de- TOUYA, CONCENTRATI, non è il momento di tirarsela. Trova una soluzione a questo ennesimo problema, MUOVITI. 

Deglutì quella poca saliva che riusciva a produrre, avendo la sensazione di star ingoiando cenere. 

«Buonasera, agente!». 

Il poliziotto non cambiò espressione, rimanendo leggermente inclinato verso lo sportello con le mani intrecciate dietro la schiena. La signora che invece stava chiudendo il combini sembrava una statua di pietra. 

«Sarebbe così cortese da farmi vedere patente e libretto?». 

Nella testa di Touya si accese una lampadina, finalmente il suo cervello stava reagendo. 

«SI’, CERTO, NESSUN PROBLEMA.» urlò con un paio di ottave al di sopra del suo timbro di voce normale. 

Senza pensarci si sporse verso lo sportello del guidatore per afferrare il libretto della macchina, mettendo in mostra il suo sedere non solo agli occhi di Mitsuha, che sembrava apprezzare, ma anche a quelli del poliziotto, indifferente, e della commessa del combini che sembrò sul punto di svenire. Quando si girò con tutto in mano, era sul punto di abbassare semplicemente il finestrino per passare il necessario al poliziotto, ma questo scosse la testa e gli fece cenno di uscire. Sentì Mitsuha ridacchiare alla sua goffagine e ai suoi movimenti impacciati, anche se più che una presa in giro sembrava una di quelle risatine spontanee che nascono dalla tenerezza. 

«Ecco a lei, agente!». 

Il poliziotto a malapena guardò il libretto delle assicurazioni e la sua patente, liquidandole con un’occhiata superficiale. Alzò lo sguardo inquisitorio su di lui, facendolo sudare come un maiale sulla brace, lo squadrò da cima a fondo, poi rivolse l’attenzione su Mitsuha ancora comodamente seduta sul sedile della sua macchina, che aveva lo sportello aperto. La studiò per una manciata di secondi osservandole in particolar modo le mani e il sopracciglio gonfi. 

«Signorina, posso vedere anche il suo documento d’identità, per cortesia?». 

Touya sguardò stranito e allarmato il poliziotto. 

«Agente, non mi sembra il cas-». 

«Certo, eccolo qui, agente.». 

Mitsuha d’altro canto sembrava tranquillissima, un fantasma della donna che senza remore lo aveva intimato a lanciare palle di fuoco contro la polizia. Si alzò dal sedile con la grazia di una leonessa e tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni il portafoglio, mostrando la carta d’identità al piedipiatti, sorpreso da tutta quella disponibilità. L'uomo scorse velocemente i dati, vedendo che era tutto in regola, prima di restituirle il tutto. 

«Signorina Nanase, cos’ha fatto alle mani?». 

Mitsuha non batté ciglio, continuando a guardare l’uomo con sguardo incolore, che non trasmetteva nulla, neppure noia o irritazione. Intervenne Touya prima che la situazione potesse degenerare, perché non aveva idea di come avrebbe reagito la ragazza. Forse era un po’ frettoloso, ma prevenire è meglio che curare, no? 

«La signorina Nanase – come gli faceva strano chiamarla così - è stata aggredita poco lontano da qui. Sono intervenuto io per sedare la rissa e mi stavo assicurando che stesse bene prima di riportarla a casa.». 

Il poliziotto lo guardò con un cipiglio alzato sull’ultima frase, evidentemente e giustamente scettico. Nel suo sguardo quasi riusciva a leggere la battutina che stava trattenendo dal fare, invece si girò verso la commessa, ancora lì impalata con le chiavi in mano. 

«Signora Harada, non si preoccupi, torni pure a casa.». 

La donna lanciò un altro sguardo preoccupato a Mitsuha, che tra i tre sembrava incuterle più timore con la statura alta e lo sguardo impassibile che passava da un interlocutore all’altro, come un coccodrillo pigro che osservava tutto. La signora annuì balbettando i saluti, poi sgambettò via veloce. Il poliziotto si rivolse poi ai due giovani sbuffando per nascondere una risatina. 

«Credo che abbia a che fare con la scazzottata al camioncino di Jorge, dico bene?». 

Entrambi annuirono, sebbene Mitsuha iniziasse a spazientirsi. Era davvero stata interrotta sul più bello per conversare con un piedipiatti? 

«Già.» disse Touya cordiale con un sorriso. 

«Ho visto l’altro di sfuggita quando mi hanno chiamato, l’hai ridotto parecchio male, eh.». 

La ragazza sorrise muovendo solo le labbra, gli occhi erano inespressivi e freddi, come il suo tono di voce. 

«Se vengo istigata, quella è la fine.». 

Touya sperò che il poliziotto fosse stupido come tutti gli altri suoi colleghi e che non riuscisse a leggere la non-tanto-velata minaccia di Mitsuha. Fortunatamente i piedipiatti sembravano tutti essere fatti con lo stampino, sorrise alla ragazza come se lo avesse appena invitato a cena. 

«Be’, ha fatto bene, signorina. A volte noi uomini andiamo presi a ceffoni, non servono a nulla le parole!». 

Non gli piacque per nulla il sorriso felino che si formò sulle labbra della ragazza, neanche il luccichio famelico che le vedeva negli occhi, pronta a saltare in qualsiasi momento. Touya finse una risata, che gli grattò la gola per quanto era forzata. 

«Giusto! Ha ragione, agente! Adesso, però, la saluto. È meglio che riporti a casa la signorina Nanase, deve riposarsi.». 

Il poliziotto, in vena di altri scherzi, si lasciò finalmente sfuggire la battuta che gli ronzava in testa da un po’. 

«Certo, Dabi, ma basta che non vi ritrovi al parco ad amoreggiare durante il mio turno di ronda, sia chiaro! Non tanto per voi, ma mi avete scandalizzato la signora Harada: quando mi ha chiamato a malapena riusciva a parlare.» disse con una risata finale. 

Mitsuha rizzò le spalle, pronta a rispondere a tono, fu però placcata da Touya che la spinse contro la macchina. Si stirò i muscoli facciali sorridendo al poliziotto per congedarlo nella maniera più veloce e pacifica possibile. 

«Non si preoccupi, agente. Andiamo dritti a casa!». 

Quando l’uomo fu salito sull’autovettura, cacciò Mitsuha dentro la sua macchina e raggiunse lo sportello del guidatore dall’altra parte. Con la mano sulla maniglia prese un grosso respiro, prima di ritornare lì dentro con la ragazza. Sentiva ancora la pelle elettrica, come se si fosse preso la scossa, gli tremavano anche le mani, mentre l’adrenalina gli correva in giro per tutto il corpo. Guardò distrattamente verso il basso, notando che la cerniera dei suoi jeans era ancora aperta, quasi sentì il vapore uscirgli dalle orecchie mentre si risistemata e si dava una calmata. 

Le strade ora erano due: riportare a casa Mitsuha oppure lasciarla lì. Una piccola parte di lui, quella più spaventata da quella inaspettata chimica e attrazione che c’era tra loro due, smaniava per la seconda opzione e per abbandonare la missione, ma la sua parte più razionale sapeva che così facendo avrebbe finito per fare un disastro. Non solo Mitsuha si sarebbe potuta infuriare con lui, e aveva visto cosa succedeva se qualcuno la faceva arrabbiare, ma avrebbe mandato all’aria la copertura se fosse sparito all’improvviso e avrebbe fatto incazzare un’altra persona che era meglio tenersi buona, la presidentessa. Avrebbe reso la sua vita un inferno, ne era certo, perché ne era assolutamente capace quella donna dispotica. 

Udì un ticchettio sul vetro dello sportello e si girò colto di sorpresa, vedendo Mitsuha che lo guardava in attesa che lui entrasse. Deglutì e lanciò qualche preghiera mentale a qualsiasi dio pronto a coglierla, prima di rientrare dentro. Il silenzio tra loro due quando si sedette era così pesante che quasi poteva toccarlo, gli si attaccava addosso come una seconda pelle facendolo sudare freddo. Mitsuha guardava dritto di fronte a sé, completamente stravaccata sul sedile, evidentemente stanca e provata. Non si mosse nemmeno quando iniziò a parlare. 

«Forse è meglio che me ne vada, non so chi tra i due porti più sfiga.». 

La fermò afferrandole la mano, quando la vide sporgersi verso la maniglia della portiera. La ragazza si girò, ma non lo guardò in faccia, si soffermò lo sguardo sulle dita del ragazzo, assorta. Touya si prese qualche secondo per mettere in ordine le parole. 

«Aspetta, volevo prima portarti in un posto, se non ti dispiace.». 

Mitsha sollevò gli occhi su di lui, sorpresa. 

«Ne sei sicuro?». 

Touya corrugò la fronte e inclinò la testa confuso. Da dove veniva tutta quella insicurezza? 

«Sicurissimo, poi prometto che ti lascio stare, Mitsuha.». 

L'altra sembrò pensarci su un po’, mordendosi la guancia, ma alla fine annuì, rimettendosi seduta composta sul sedile e allontanando la mano. 

*** 

Erano dieci minuti buoni che camminavano immersi nel buio. Avevano lasciato la macchina in un parcheggio alla base della collina, poi avevano proseguito a piedi. Touya aveva una piccola torcia, che illuminava poco e nulla, ma aveva fatto quel percorso così tante volte che avrebbe potuto farlo anche a occhi chiusi. Conosceva ogni bivio, ogni buca e ogni pianticella che contornava il sentiero: la quercia a primo incrocio, dalla quale era caduto più di una volta quando da piccolo ci si arrampicava coi suoi fratelli, le piccole tane delle talpe sparse in giro che si divertiva a trovare, le ortiche su cui aveva spinto Natsu per scherzo senza sapere che facessero male. Aveva passato tutta la sua infanzia lì, sia nei bei momenti sia in quelli più dolorosi e duri. 

Era un po’ che non ci tornava, suo padre si allenava ancora lì e, quando aveva tempo, lo accompagnava, ma erano mesi che non ci metteva piede. Con la League of villains, le missioni e i capricci della Commissione, aveva poco tempo per sé stesso e per prendersi una vera pausa, isolarsi dal mondo come gli capitava da adolescente su quella collina. 

Si girò verso Mitsuha, stranamente muta fin da quando avevano lasciato il combini in periferia. Si guardava attorno studiando tutto con i grandi occhi castani curiosa, stando attenta a dove metteva i piedi. Non si era nemmeno lamentata della scarsa illuminazione anche se un paio di volte aveva rischiato di finire a gambe all’aria, inciampando su qualche sasso. Non gli aveva chiesto né dove la stava portando né dove si trovavano, cosa che lo aveva sorpreso, semplicemente lo seguiva docile lungo i pendii della collina Sekoto, in religioso silenzio. 

Svoltarono a destra e si aprì di fronte a loro una grande radura pressoché spoglia. I pochi manichini che usava da ragazzino erano finiti carbonizzati negli anni, lasciandosi dietro solo sottile cenere e piccoli sprazzi di terra bruciacchiata. Non era cambiato nulla dall’ultima volta, sempre gli stessi pini e gli stessi abeti verdi che li osservavano muti con le chiome leggermente smosse dal vento. Si fermò sondando a fatica con gli occhi la zona in cerca di un tronco d’albero che ricordava esserci, lo trovò poco distante e ci si andò a sedere. Mitsuha lo seguì senza fiatare mettendosi per terra con la schiena appoggiata al tronco e lo sguardo perso a osservarsi attorno. 

«Questa è la collina Sekoto, mi allenavo qui quando ero ragazzo.» disse muovendosi per trovare una posizione comoda. Non lo ricordava così scomodo. 

Mitsuha fece solo un piccolo verso d’assenso, segno che lo stava ascoltando. 

«Non so perché ti ho portata qui, volevo solo passare un altro po’ di tempo con te, anche perché non hai finito di rispondere alla mia domanda.». 

La ragazza diede il primo segno di vita voltandosi verso di lui con uno sguardo confuso. Ancora non parlava.  

«Quando eravamo da Jorge’s ti ho fatto una domanda, ma non hai finito di rispondermi.». 

Si girò verso di lei con un sorriso leggero sulle labbra, aspettando pazientemente che gli parlasse finalmente. Mitsuha alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa divertita, si mise più comoda stendendo le gambe di fronte a sé. 

«Odio quando i clienti fanno i tirchi o mi richiedono più lavoro di quello pattuito senza voler pagare di più. Odio quando credono di potermi fottere. Odio quando allungano le mani. Soddisfatto?». 

Il sorriso di Touya si fece più largo, quando finalmente ottenne una reazione dalla ragazza, che sembrava persa in qualche suo pensiero invasivo. Ritornò il silenzio tra loro, Mitsuha chiuse gli occhi sospirando, mentre Touya scendeva da quel tronco maledettamente scomodo per mettersi affianco a lei. Le si sedette vicino, con le spalle che si toccavano, ma lei non parve spostarsi, anzi vi si appoggiò stranamente. Il ragazzo aveva capito che qualcosa non andava nella sua accompagnatrice, pur sapendo bene che non sarebbe riuscito a cavarle una parola di bocca, quindi le avrebbe lasciato il tempo di sentirsi sicura. 

Mitsuha non si sentiva a disagio, non aveva il bisogno di sputare qualche frecciatina delle sue. Si stava godendo quel silenzio e quella pace che poche volte le erano state concesse. Quella serata non sarebbe dovuta andare così: non avrebbe dovuto azzuffarsi con un motociclista, non avrebbe dovuto farsi male, non avrebbe dovuto baciare Touya. Anzi, il problema sorgeva anche prima, non avrebbe dovuto vederlo proprio. “Segui i tuoi istinti” dicevano i caratteri arabi tatuati sul suo petto, ma il risultato a volte poteva non essere dei migliori. Si mordicchiò il labbro inferiore, indecisa se parlare o meno. 

Alla fine si voltò verso Touya, che osservava il cielo come se fosse un quadro magnifico. L'unico astro visibile era la luna e poche stelle sparse in giro, decisamente non il panorama che aveva assistito lei in mezzo al deserto. 

«Nel Sahara è decisamente meglio.» disse senza pensarci. 

Touya si girò verso di lei, cogliendola in pieno. Non disse nulla, così continuò lei. 

«Quando sono stata in Marocco, poco prima di tornare in Giappone, ho fatto un giro del deserto con una carovana. Eravamo su dei cammelli, o erano dromedari? Non mi ricordo mai la differenza! Fa niente, eravamo su questi cosi immensi e altissimi, non sembravano mai stanchi, neanche quando avevi le allucinazioni a mezzogiorno.». 

Fece una pausa, riordinando i ricordi, ingarbugliati tra loro. Era stato uno dei viaggi più belli della sua vita, ma anche il più faticoso. Una sola settimana nel deserto può sembrare una vita intera. 

«Di giorno c’era un caldo torrido, secco, sembrava volerti soffocare, eppure eravamo sempre bardati e coperti. Meglio sudare che avere un’ustione di secondo grado in mezzo al Sahara. La notte invece si gelava, il freddo ti entrava nei polmoni e ti ghiacciava dall’interno, ma quello che ho visto... Touya, il cielo che vedi adesso non è bello neanche un decimo di quello che c’è in Marocco.». 

Frugò nelle sue tasche alla ricerca del telefono per fargli veder una foto. Il ragazzo non aveva detto una parola, osservando ogni suo gesto ed espressione. Gli mostrò l’immagine con un sorriso timido, quasi impacciato, che trovò subito adorabile. Vi era raffigurato un cielo stellato, uno dei più belli che avesse mai visto.  

C'erano solo le stelle, milioni, forse miliardi di piccole luci che decoravano un fondale blu scuro, attraversato da macchie di colore più chiare. Le stelle sembravano tante piccole formiche indaffarate che si muovono l’una sull’altra, mentre della luna non c’era traccia. La foto era stata fatta dall’altura di una duna, dalla quale si poteva vedere l’immensità del deserto che sembra non vedere la fine e un piccolo agglomerato di tende più in basso. 

«Vedi questo macchia qui? È la via lattea, si può vedere solo con la Luna Nuova.». 

Mitsuha non sapeva nulla di astronomia, in realtà non sapeva nulla su molte cose, quello che gli aveva appena detto glielo aveva spiegato il carovaniere, quando l’aveva portata in cima alla duna per mostrarle quello spettacolo. Le aveva anche mostrato delle costellazioni, come le Pleadi, Sirio... 

«Questa è la costellazione del Toro, questa di Castore e Polluce e infine questa è la Cintura di Orione-». 

«No, è questa Orione.». 

Touya le prese la mano delicatamente, spostando il suo dito dalle tre stelle messe in fila che aveva indicato ad altre che stavano più a destra. Il ragazzo sorrise senza volerla prendere in giro. 

«È facile sbagliarsi.» le disse infine. 

«Ne sai di stelle, eh?». 

Touya alzò le spalle e dondolò la testa, come a dire che non era così vero. 

«So riconoscere le costellazioni, ma non molto altro in realtà oltre alla fisica di base, quindi di cosa sono composte le stelle, quanto sono lontane e altre nozioni inutili che mi hanno ficcato in testa a forza. Mentre le forme che si possono trovare in cielo me le sono studiate da solo, fin da piccolo. Oltre al diventare un eroe, la mia altra grande ossessione erano le costellazioni.». 

«Solo le costellazioni?». 

Touya rise, aveva una bella risata, limpida e sincera. 

«Solo le costellazioni. Sono strano, lo so.» disse passandosi una mano tra i capelli. 

Tornò il silenzio tra loro, mentre Mitsuha si mangiucchiava il labbro in cerca di qualcos’altro da dire. Le piaceva parlare con lui. Sentì il bisogno di dirgli una cosa che le era rimasta incastrata in gola negli ultimi minuti. 

«Senti, per sta sera... non c’era bisogno che facessi tutto quello per me.» disse secca. 

Touya la guardò confuso. O forse lo aveva irritato? Era arrabbiato? Si schiarì la gola riprendendo a parlare. 

«Sì, insomma, prima la scazzottata e ti improvvisi infermiere, poi il poliziotto. Potevo farcela da sola.». 

Il ragazzo sollevò le sopracciglia, guardandola sconvolto. 

«Lo so, ma volevo comunque aiutarti.». 

Lei sbuffò e si coprì gli occhi con le mani, borbottando tra sé e sé. 

«Be’, non avevo bisogno del tuo aiuto!». 

Touya sbuffò, non era arrabbiato, volevo sola capire cosa passasse per la testa della ragazza. Più la conosceva più gli sembrava un puzzle complicato. 

«Lo so, ma l’ho fatto lo stesso.». 

«Perché?». 

«Perché per la prima volta nella mia vita, io ho voluto aiutare qualcuno, non sono stato costretto a farlo.» rispose fin troppo sincero. 

Lei lo guardò sorpresa. 

«Anche se io non volevo essere aiutata?». 

«Non mi interessava, l’ho fatto comunque.». 

Mitsuha ridacchiò. 

«Che stronzo.». 

«Oh, non sai quanto!». 

Risero entrambi dopo quel breve scambio di battute, poi ricadde il silenzio, leggero come la brezza fresca che agitava pigramente le chiome degli alberi senza riuscire a dare sollievo a tutto quel caldo. 

Mitsuha si girò verso il ragazzo pensierosa e colse anche l’altro a guardarla. Le sorrise quando i loro occhi si incrociarono. Erano ancora seduti vicini, il contatto con la sua pelle stranamente fredda riusciva a rinfrescarlo dal caldo soffocante che provava. Perché aveva caldo per le temperature, giusto? Giusto? Non per altro. 

Non perché la ragazza si era pericolosamente avvicinata a lui col viso. 

Non perché sentiva il suo fiato, leggermente spruzzato di birra, contro le labbra. 

Non perché la sua punta del naso le stava sfiorando la guancia leggermente arrossata della ragazza. 

Le labbra di Mitsuha erano morbide, fresche contro le sue. 

  
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