something special ~
-CAPITOLO 1-
La smetti di parlarmi?
James Sirius Potter continuava a camminare al mio fianco, con un
sorrisetto da ebete stampato in faccia. «Allora? Stai andando … ?».
«Di
fretta», dissi, secca.
Si,
insomma, non è che fossi in ritardo per una lezione o qualcosa del genere. Ma
era ora di colazione, avevo fame, e, se non mangiavo qualcosa alla svelta,
sarei potuta diventare parecchio irritabile.
«Perché mi
gironzoli sempre intorno, ultimamente?», aggiunsi, non poco irritata.
«Perché
tuo fratello mi ha chiesto di controllarti», rispose, con aria seria.
«Cosa?»,
esclamai, sorpresa. Mio fratello maggiore, Fred, aveva finito la scuola solo l’
anno prima. Io avevo tirato un sospiro di sollievo: finalmente non avrei più
avuto intorno un fratellone iperprotettivo. E adesso scoprivo che il suo posto
era stato preso da James. Fantastico. «Io non ho bisogno di essere
controllata», bofonchiai.
Alzò un
sopracciglio. «Ah no?».
«E poi tu hai
già una sorellina!», gli ricordai. «Perché non controlli lei?».
«Controllo
anche Lily, tranquilla», rispose, sempre sorridendo.
«E
comunque come fai a sapere ogni mio spostamento?», chiesi, stringendo gli
occhi.
Lui
scrollò le spalle.
«Vuoi
farmi credere di essere passato in questo corridoio proprio mentre passavo io per puro caso?».
Restò un
attimo in silenzio. «Posso fidarmi? Non correrai a denunciarmi ai professori?».
Sorrisi
tra me. Certo, dovevo immaginare che fosse qualcosa che andava contro le
regole.
James non
si curava di nulla, faceva solo ciò che gli andava. Ne combinava una al giorno,
un po’ come Fred.
Io ero
diversa da loro. Anche a me, in verità, non piacevano molto le regole, ma non
mi davo mai la pena di infrangerle. Diciamo pure che mi ci sentivo
completamente al di sopra.
Presuntuosa?
Si, forse un po’. D’altronde, in famiglia non facevano che ripetermi che, se
non fossi stata intelligente, sarei stata smistata di sicuro a Serpeverde. Ed io ero d’accordo. Ero acida, a volte
arrogante, e spesso non mi curavo dei sentimenti delle persone, finendo
inevitabilmente per ferirle.
Quando mi
avevano messo il Cappello Parlante in testa, avevo quasi dato per scontato che
avrebbe urlato «Serpeverde».
E invece
ero finita a Corvonero. Solo per la mia intelligenza?
O per la mia maturità? O magari per la mia insensata ossessione per i libri?
Mah. Forse per tutte e tre le cose, in fin dei conti.
«So
mantenere un segreto», gli risposi.
«Bene,
allora fermati, così ti faccio vedere».
«Oh, no.
Mi dirai tutto in Sala Grande, mentre faccio
colazione».
«Sei matta?
Ci sentirebbero tutti».
Mentre
James ancora parlava, mi bloccai di colpo, esasperata. Lui mi superò di quattro
o cinque passi, prima di rendersi conto che non ero accanto a lui.
«Beh,
allora?», chiesi, incrociando le braccia. «Su, sbrigati».
«Okay»,
fece, piazzandosi di fronte a me. Abbassò lo sguardo, e cacciò qualcosa dalla
tasca della divisa, per poi schiaffarmela davanti con aria trionfante.
«Una
pergamena?», borbottai, delusa. «Wow. E’ tutto?».
«Non è
solo una pergamena!», mi contraddisse James. Sembrava deluso che non ci fossi
arrivata da sola. «Guarda qui».
Alzai gli
occhi al cielo, mentre James prendeva la sua bacchetta e la posava sulla
pergamena. Batté un colpetto. «Giuro
solennemente di non avere buone intenzioni».
Sulla
pergamena cominciò ad apparire qualcosa; o meglio, si riempì di disegni e
puntini indefiniti. Affilai lo sguardo, curiosa. «Da’ qua!», dissi,
togliendogli il foglio di mano.
Lo
osservai per qualche istante. «Una mappa di Hogwarts?»,
domandai, a bocca aperta.
«La Mappa
del Malandrino», annuì James, fiero di se stesso. «E vedi quei puntini? Sono
…».
«… tutti!
Tutti quanti!», proseguii, continuando a fissare avida la pergamena.
«Già»,
fece lui, sorridendo.
«Ma è
geniale!», esclamai, alzando finalmente lo sguardo. «Dove l’hai trovata?».
«Nella
scrivania di mio padre, quest’estate. Ma ho capito da poco come funziona».
«Alla
faccia di zio Harry …», mormorai, ridacchiando. «Quindi è grazie a questa che
sai sempre dove sono?».
«Esatto».
«Grandioso».
Arricciai il naso. «E … inquietante».
James
ridacchiò.
Io tornai
a guardare la mappa. Individuai i puntini che rappresentavano me e lui; e un
altro puntino che si avvicinava a noi.
«Arriva
qualcuno!», esclamai, allungandogli la pergamena. «Nascondila!».
James la
prese, e vi posò di nuovo la punta della bacchetta. «Fatto il misfatto».
La infilò
di nuovo in tasca e, nello stesso momento, dall’angolo del corridoio spuntò un
ragazzo molto alto – beh, almeno più alto di me, che non ero esattamente una
gigantessa -, dai capelli biondi e gli occhi celesti.
Il
principe azzurro? Macché. Era solo Jesse Roberts.
«Buongiorno,
splendore!», mi salutò, accostandosi a noi.
Non potei
fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
«Non hai
bisogno di essere controllata, eh?», mormorò James, sorridendo.
Lo fulminai.
Non era colpa mia: se fosse dipeso da me, avrei tenuto Jesse
almeno a due pianeti di distanza. Quel ragazzo era il mio incubo, la mia
persecuzione.
Era uno di
quei playboy da strapazzo convinti di avere tutte le ragazze della scuola ai
loro piedi. Faceva il cretino con tutte, ma negli ultimi mesi aveva preso una
fissazione per me.
Forse
perché ero l’unica che lo respingeva senza nemmeno sforzarsi di essere gentile.
Lo
guardai. «Era un buon giorno fino ad un minuto fa», risposi, sbattendo le
ciglia con aria innocente. Capito cosa intendevo?
«Oh!». Jesse si portò le mani sul cuore. «Così mi ferisci».
«Sai che
dispiacere», mormorai, trattenendo uno sbuffo. «E ora, se volete scusarmi, il
mio stomaco sta reclamando la sua colazione».
«Ah, io ho
appena finito di mangiare», borbottò Jesse, deluso,
«o ti avrei accompagnata volentieri».
«Che
peccato», feci, sarcastica.
La cosa
peggiore della sua cotta non corrisposta era che Jesse
era anche un mio coetaneo e concasata, perciò non potevo nascondermi da lui o cercare
di evitarlo. Me lo ritrovavo al Tavolo Corvonero,
alle lezioni, in Sala Comune. Ovunque.
«Dai, Roxy», disse James, scimmiottando la voce di Jesse ed offrendomi il braccio. «Ti accompagno io».
Sorrisi e
intrecciai il mio braccio al suo. «Andiamo».
Sorpassammo
Jesse, che borbottò un «Ci vediamo dopo».
« … ma
anche no», mormorai tra me, strappando una risatina a James.
~
James mi
seguì al Tavolo Corvonero.
Appena lo
vide, nostra cugina Dominique arricciò il naso. «Dovevi per forza portartelo
dietro?».
«Oh, è
sempre bello vederti, Nicky», commentò James, con un sorrisetto ironico.
Mi
accomodai sulla panca, senza neanche sentire la risposta di Dominique, e la
prevedibile contro-risposta di James, e così via. Ero troppo abituata ai loro
battibecchi, ormai; era risaputo che non si potevano sopportare.
Ed io
avevo cose ben più importanti a cui pensare … come, ad esempio, il mio stomaco
che brontolava. Afferrai una fetta di pane tostato e la addentai.
«Ciao
ragazzi». Lysander Scamander
si sedette accanto a noi, con un’arietta allegra e soddisfatta che dava quasi
sui nervi.
«Buongiorno»,
borbottai. Mi sentivo davvero poco amichevole, quella mattina. Beh, non che
normalmente fossi l’immagine dell’affabilità, ma quel giorno ero
particolarmente nervosa.
E Lysander non avrebbe di certo contribuito a migliorare il
mio umore. Eravamo molto amici, ma lui …
era alquanto bizzarro. Tutti gli ripetevano quanto fosse simile a suo
padre nell’aspetto – stessi occhi scuri, stessi capelli neri, stessa
corporatura alta e robusta -, ma sinceramente io trovavo molto più evidente la
somiglianza di carattere che aveva con sua madre Luna. Erano due personaggi particolari, ecco. “Due macchiette”, li
definiva mio fratello.
«Sai, ho
finito il mio progetto per Babbanologia», mi informò Lysander, compiaciuto.
«Quale
progetto?», chiesi subito, preoccupata. Frequentavo anch’io il corso di Babbanologia, ma non ricordavo che ci fosse stato assegnato
un progetto.
«Oh, è
stata una mia iniziativa», chiarì lui.
«Ah».
Sospirai di sollievo. «E … che progetto sarebbe?».
«Una
relazione», mi spiegò, gonfiando il petto con orgoglio. Poi si chinò un po’ verso
di me. «L’ho intitolata Usi e
corrispondenze magiche degli elettrodomestici babbani»,
mormorò a bassa voce, enfatizzando per bene ogni parola.
«Wow»,
feci, fingendomi entusiasmata. «Complimenti».
In questo,
invece, Lysander somigliava molto a mio nonno Arthur.
Entrambi avevano un’assurda passione – ma si potrebbe benissimo definire fissazione - per il mondo dei Babbani. Quando si erano incontrati per la prima volta,
qualche anno prima, avevano passato un’ora a discutere dell’ingegnosità delle metropolitane. Inutile dire che il resto
della famiglia li aveva gentilmente ignorati.
«Non vedo
l’ora di mostrarlo alla professoressa», disse lui tutto allegro, mentre si
riempiva un bicchiere di succo di zucca.
«Mmm», mugugnai, riprendendo a mangiare.
In quello
stesso momento, ci venne incontro Molly Weasley, con
un sorriso smagliante dipinto in faccia. «Buongiorno!», ci salutò, allegra.
Molly
frequentava il mio stesso anno – il quinto -,era la persona più dolce e ingenua
che io conoscessi, ed era la mia migliore amica. A volte io stessa mi stupivo
della nostra amicizia: eravamo così diverse.
Ricambiai
il suo saluto con un fiacco cenno della mano.
Molly si
fece posto tra me e Lysander, con uno sbuffo
divertito. «Ti sei svegliata con la luna storta?».
«No».
«E perché
hai quella faccia?».
«No.
Perché tu hai quella faccia?».
Molly
sprizzava gioia da tutti i pori. «Non so. Sono di buon umore».
«Buon per
te», borbottai, per niente sorpresa. Lei era tutti i giorni di buon umore.
Con la
coda dell’occhio, guardai Lysander. Appena Molly era
arrivata, i suoi occhi avevano iniziato a brillare: aveva una cotta per lei fin
dal primo anno.
Roteai
leggermente gli occhi.
L’amore mi
dava la nausea, a quell’ora di mattina.
… Anzi,
sempre.
«Molly?»,
la chiamò Lysander, cercando di attirare la sua
attenzione.
«Si?»,
chiese lei.
«Sai, ho
appena finito un progetto che …». Ecco, ora riattaccava con Babbanologia.
«Io.
Diventerò. Pazza», mormorai tra i denti.
Lysander non mi sentì. Qualcun
altro si.
«Non c’è
pericolo», disse Lorcan, prendendo posto davanti a me.
«Lo sei già, no?».
Lo fissai
per un attimo, stringendo gli occhi. Era un Grifondoro,
un mio coetaneo, un idiota totale, e il gemello di Lysander.
Probabilmente non li avrei mai distinti, se Lorcan
non avesse avuto i capelli più corti.
Io e lui
non eravamo amici, non eravamo niente di niente. Probabilmente, se non fosse
stato il fratello di Lysander, non avrei mai neppure
saputo della sua esistenza.
Oh no, non
è che non ci sopportassimo. Beh, in effetti si; ma abbastanza cordialmente,
ecco.
«Ti
prego», feci, spazientita. «E’ troppo presto per la tua cosiddetta “ironia”».
«Meglio
l’ironia che l’acidità, non trovi?».
Sbuffai. «La
smetti di parlarmi?».
«Snob».
«Sfigato».
«Un
biscotto?».
Lo
guardai, sorpresa. Lui mi avvicinò un vassoio pieno di biscotti al cioccolato.
«Magari ti addolcisce un po’».
Gli
rivolsi un’occhiataccia e mi voltai di nuovo verso Molly, con un piccolo
sospiro annoiato.
Non potevo
sapere che presto sarebbe cambiato tutto.
Note dell’autrice
Voilà,
ecco l’aggiornamento <3 Questo primo capitolo è ambientato prima del
prologo.
So che è
un po’ – molto – schifoso, ma è solo un capitolo introduttivo, per farvi capire
come vedo i personaggi e i rapporti tra loro ^^ Nel prossimo comincerà la vera
storia, ecco.
Passo ai
ringraziamenti:
Bec Hale: oh, thaanks
<3 Ossì, l’omino alato XD Sinceramente non ho idea
di come mi sia venuto in mente ò_ò Ma io sono
assurda, quindi bisogna abituarsi a certe idiozie, si u_u
XD Ancora grazie, e spero che riavrai la connessione al più presto <3
memi: uhm,
mi piacerebbe che fosse così, ma la Roxanne/Lorcan non l’ho inventata io XD Ho letto molte fan fiction
inglesi, e se non sbaglio anche un paio italiane, su questa coppia, e mi ha
subito colpita *_* Comunque grazie mille, anche per il video <3
Eliatheas: wow,
thank you <3 Sono
contenta che il prologo ti sia piaciuto, e spero di non averti delusa con questo
scialbo primo capitolo -.- Ah, mi hai fatto venir voglia di vedere Dr. House *_* Tanto ormai seguo millemila telefilm, perciò uno in più non farà differenza
XD
Alla
prossima, guys ♥
xoxo, Ella