Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: EleAB98    08/04/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo VIII – Sogno Di Estunno*

 

Da quando mia moglie mi aveva lasciato, la parte migliore di me stesso era inesorabilmente morta con lei. Non avevo fatto altro che aspettare una fine che, invece, non era mai arrivata. Avevo cominciato a contare i giorni e le settimane trascorse senza di lei come un perfetto automa, come se nel mio cervello si fosse piantata una sequenza di semplici operazioni algoritmiche con le quali cercavo – tra l'altro fallendo miseramente – di non soccombere del tutto al dolore, alla triste sorte che mi era toccata. Non riuscivo proprio a credere che lei mi avesse abbandonato. E così, le settimane divennero mesi, e i mesi divennero anni. Tanti anni. Anni intrisi di solitudine, donne per me insignificanti, paranoie su paranoie, problematiche più o meno connesse alla mia esistenza, ormai tremendamente vuota. Da tre anni a questa parte, però, non riuscivo neanche più a distinguere un lunedì da un martedì, e via dicendo... Avevo smesso di fare il matematico delle cause perse. Non contavo nemmeno più le pecore (sì, lo facevo eccome) prima di sprofondare in un sonno comunque agitato.
Stavo forse riprendendo a vivere? Ripensai con orgoglio agli ultimi traguardi raggiunti. Avevo lavorato così tanto su me stesso da non essermi nemmeno accorto di quanto, in effetti, mi fossi ripreso dall'evento più traumatico della mia vita. I ricordi restavano, certo... e il dolore, più di tutto, restava. Eppure, dentro di me percepivo un qualcosa di nuovo; quel qualcosa che mi faceva sentire vivo. Non avrei saputo dare un vero e proprio nome a quella sensazione; sapevo solo che stavolta non mi sentivo fuori posto, tantomeno a disagio. Abbozzai un sorriso distratto e sfogliai un paio di pagine dell'anteprima del fascicolo che sarebbe dovuto uscire tra qualche giorno. Sottolineai una frasetta che, di sicuro, necessitava di ulteriore rimaneggiamento.

«A cosa pensi?»

Rialzai la testa dagli appunti, la penna a sfera tra le dita. «Scusami, cos'hai detto?»

Benedetta scosse la testa, quindi richiuse la dispensa che aveva davanti a sé producendo un tonfo sordo. Mi fece un ciao ciao con la mano per richiamare la mia attenzione. «Terra chiama Malcom! Si può sapere cosa ti prende?»

Ridacchiai e feci spallucce. «Dove vorresti arrivare?»

Lei si sedette di fronte a me, un sorrisetto sghembo a contornarle il visetto dai toni vivaci. «Ti ho appena chiesto a cosa pensavi.»

«A nulla di particolare. Perché me lo chiedi?»

«Forse perché stavi sorridendo senza un apparente motivo?»

«Sono di buon umore, tutto qui. È forse un reato sorridere?»

Benedetta posò la propria testa sul pugno sinistro, il gomito sulla scrivania e gli occhi fissi nei miei. «Mi riferivo al tipo di sorriso. Non credo siano stati quegli sterili appunti a strappartene uno.»

«Desumo che tu mi stessi guardando da un bel po'», chiosai, inarcando le sopracciglia.

Lei abbassò lo sguardo. «Be', io, veramente...»

«Malcom Brian Stone!» esclamò quella voce. Non appena posai lo sguardo su Ryan, stentai dal trattenere la mia sorpresa. Gli occhi fuori dalle orbite, i capelli arruffati e un cipiglio di assoluta severità lo dipingeva, per certi versi, come Einstein 2.0. Il mio superiore aveva sprangato la porta del mio ufficio senza la minima gentilezza. «Nel mio studio, subito!» 

Scattai sull'attenti e pregai Benedetta di non fare domande con una semplice occhiata... alla Malcom. Tornai a guardare Ryan, quasi intimorito. Cos'avevo combinato, questa volta?

Chiusi la porta del mio ufficio e percorsi il breve corridoio che mi separava dal suo, soffermandomi sul lungo tappeto persiano a fantasia che ricopriva il pavimento. A testa bassa, entrai nel suo studio e attesi con viva trepidazione di che morte dovevo morire.

Ryan si riavviò i capelli con la mano. «Non so te, ma io non credo nemmeno un poco alla versione che mi ha raccontato l'amichetta di Malcom Stone», esordì lui con aria sardonica, un impercettibile sorriso fece capolino sulle sue labbra, che, a seguito del mio sguardo smarrito, si schiusero in una risatina sommessa. «E nemmeno alla telefonata che il sottoscritto mi ha fatto l'altro ieri, nel pomeriggio.»

Lo guardai spiazzato. Per quale assurdo motivo stava utilizzando la terza persona se mi trovavo proprio lì davanti? Voleva forse prendersi gioco di me?

Spalancò le braccia, come se la sceneggiata che stesse mettendo su fosse la cosa più naturale del mondo. «Avanti, non fare quella faccia! Mi puoi benissimo dire la verità, non mangio mica! Ci conosciamo o no da vent'anni?»

Mi grattai la nuca. Ero stato sgamato persino dal mio capo. «Non so proprio di cosa tu stia parlando.»

«Malcom, Malcom, Malcom! Se solo non ti conoscessi come le mie tasche, oserei dire che, anche questa volta, c'è di mezzo uno specifico esemplare di sesso femminile. Ma qualcosa mi dice che non si tratta di una donna qualsiasi... nossignore!»

Feci per controbattere, ma lui puntò l'indice contro di me. «Non devi spiegarmi nulla, sta' tranquillo. Anche se sarei più che contento di sapere che c'è finalmente una donna nella tua vita.»

Lo guardai dall'alto in basso. Non l'avevo mai visto così euforico. «Ma io—»

«Ho visto bene com'eri conciato stamattina, Malcom. Non puoi negare il fatto che fossi più rilassato del solito e che il tuo sguardo fosse spesso perso nel vuoto, senza contare che fischiettavi in lungo e in largo per i corridoi come un perfetto scolaretto in piena cotta adolescenziale.»

«Non ti sembra di esagerare un po'? E poi... per quale motivo non dovresti credermi? In vent'anni di lavoro non ho mai mancato di assolvere ai miei doveri di giornalista», replicai, deciso più che mai a sventare i suoi sospetti.

«Che io ricordi, venivi a lavorare persino con la febbre a trentotto, quindi... non me la racconti giusta proprio per questo.»

Sbarrai gli occhi. Cazzo. «Be', non ho più l'età di Benedetta, ma questo non devo certo dirtelo io.»

Ryan rise di gusto. «Andiamo, non ci credi nemmeno tu. Non mettere in ballo la storia dell'età, perché non me la bevo.»

Sbuffai piano. «D'accordo, mi arrendo. Ho conosciuto una donna. Ma non è come pensi tu.» Mi sorpresi di me stesso. Ero di nuovo sulla difensiva.

Lui sorrise soddisfatto. «Benissimo. Siediti pure, allora. Perché voglio tutti i dettagli.»

Lo guardai in cagnesco, ma in realtà avrei soltanto voluto ridere. Mi sembrava Fausta, la mia prozia. «Come prego?»

L'altro si avvicinò alla scrivania, lo sguardo fisso su di me. «Allora? Chi è la fortunata?»

«Da quando in qua ti dedichi alle riviste di gossip?»

Ryan rise, mostrando una fila di denti perfettamente bianchi malgrado l'età piuttosto avanzata. «Dai, non fare il difficile e dimmi pure di chi si tratta. Ti assicuro che sarò muto come un pesce.»

«Questa è la tipica frase che mi rifilava sempre mia madre negli ultimi anni quando tentava di cavare informazioni sulla mia vita privata», commentai, sorridendo.

Ryan mi rifilò uno sguardo diverso dal solito; uno sguardo che non ero sicuro di aver mai visto riflesso sulla sua persona. Sembrava così rassicurante, così... paterno. Per un momento, ripensai a mio padre e scostai lo sguardo da lui. Non era la prima volta che affrontavamo simili discorsi, eppure mi sembrava una situazione a dir poco surreale. Da tempo non si parlava dell'argomento a cui lui aveva sempre ammesso di tenere particolarmente: "accasare una volta per sempre Malcom Brian Stone".

«Lo sai che puoi fidarti di me, no?» rincarò, strappandomi a quei malinconici pensieri che, di tanto in tanto, prendevano pieno possesso della mia persona.

Sollevai la testa. I suoi occhi sprigionavano ancora una certa dose di tenerezza. «Certo che sì.» In quel momento, avrei tanto voluto aggiungere quanto il suo sostegno fosse stato prezioso, soprattutto nei momenti più critici della mia vita. Eppure, non riuscii a manifestargli la mia infinita riconoscenza. Mi limitai a sorridergli rimanendo in silenzio. Da quando mia moglie era morta, avevo chiuso del tutto il mio cuore ai sentimenti (non soltanto quelli di stampo amoroso) e non sapevo se ora, alla luce del fatto che mi sentissi diverso, più vivo, potessi definirmi contento del fatto che avessi percepito il bisogno di ringraziare Ryan. Sicuramente, da una parte mi sentivo confuso, ma dall'altra pensavo che, forse, si stava smuovendo più di un qualcosa. Il mio cuore non batteva soltanto perché espletasse le sue funzioni vitali. Il mio cuore batteva perché io stesso avevo ripreso ad arrabbiarmi sul serio, ad essere felice, ad essere quel Malcom che, per alcuni versi, avevo lasciato a marcire in un angolo. Avevo ripreso a sentire. E dovevo ammettere che parlare con quella donna misteriosa aveva dato i suoi frutti. Magari era sin troppo presto, magari mi stavo esaltando per nulla, però... non potevo fare a meno di sorridere se, di tanto in tanto, nel corso della giornata, i miei pensieri si spostavano su di lei. Ed erano trascorsi soltanto un paio di giorni da quando lei mi aveva telefonato. Un tempo così infimo, eppure così ricco di significato. «Ecco... in realtà non conosco l'identità di questa donna. Non conosco il suo nome, i suoi lineamenti... non conosco nulla di nulla. Soltanto la sua voce. La sua magnifica voce», aggiunsi, cercando comunque di non tradire, malgrado le mie parole, particolari emozioni di sorta. Ma il mio sguardo, evidentemente, diceva già moltissimo. E la reazione di Ryan me ne diede la piena conferma.

In effetti, senza smettere di sorridere, si tolse gli occhiali da vista e li posò sopra un plico di fogli che sostavano sull'antica scrivania in legno di ciliegio. Ricorreva sempre a quel gesto quando la sorpresa e la meraviglia montavano dentro di lui. «Come sarebbe a dire che conosci solo la sua voce? Non mi stai prendendo in giro, non è vero?»

«All'inizio credevo anch'io fosse uno scherzo. E invece... quella donna mi ha telefonato per via anonima dicendo di conoscermi e—»

«E così avete cominciato a parlare tutte le sere.»

«Be', ci siamo sentiti giusto un paio di volte, tutto qui. Ieri sera abbiamo parlato del più e del meno, ma non sono ancora riuscito a estorcerle delle informazioni che mi permetterebbero...» Feci spallucce. «Sì, insomma... di conoscerla meglio.»

Gli occhi di Ryan si illuminarono. «Caspita, che storia pazzesca! Da film, proprio! Comunque sia... vorresti veramente conoscerla meglio?»

Quella domanda mi spiazzò. Lo volevo davvero? La mia era soltanto pura curiosità, oppure... oppure c'era sotto qualcos'altro, un qualcosa di meno superficiale e ben più profondo che non volevo ammettere a me stesso? «La sua voce è così... non so come spiegarlo, sai? Hai presente quelle voci talmente rasserenanti ma al tempo stesso così sensuali da lasciarti tramortito almeno per cinque minuti buoni sul divano senza che tu muova nemmeno un muscolo? Ecco, lei... lei riesce a farmi questo effetto. Non mi era mai capitato prima d'ora, ma questa cosa mi attrae. Mi attrae da morire, in realtà.» Spalancai gli occhi. L'avevo ammesso. Avevo ammesso una cosa del genere davanti al mio superiore. Avevo ammesso a me stesso che quella donna, chiunque lei fosse, stava cominciando a piacermi. E quel piacere, non avendola mai vista prima, non era in alcun modo collegato alla sfera sessuale, malgrado le sensazioni che mi aveva suscitato.

Ryan annuì, d'un tratto s'era fatto pensieroso. «Noi uomini siamo piuttosto visivi e, perlomeno in generale, al primo impatto di una donna ci colpisce il fisico, anche se la componente psicologica risulta comunque importante, come ben sai. In fondo, è dalla seconda che si costruisce davvero un rapporto concreto. Per questo mi stupisce che tu sia così attratto da una semplice voce.»

«Posso assicurarti che la cosa stupisce tanto anche me. Non riesco a provare niente per Michelle, eppure è una donna a cui non manca nulla e la vedo tutti i santi giorni. Anche se non mi ispira chissà cosa, a dire il vero. Però provo delle emozioni per una donna che nemmeno conosco e della quale posso sentire soltanto la voce. So che può sembrare assurdo, però è... è quello che mi succede.»

Ryan inforcò nuovamente gli occhiali. «E per Benedetta, invece? Che cosa provi nei suoi confronti?»

«Perché questa domanda?»

«Mi sembrate molto... come dire, molto uniti.»

Abbozzai un sorriso. «Lo siamo. Ammetto che caratterialmente siamo piuttosto compatibili, ma oltre alla semplice amicizia non c'è altro.»

«E lei, da parte sua, potrebbe affermare le stesse identiche cose? Ti do un consiglio: sta' attento a non darle troppa confidenza. Mi sembra che lei ti ammiri più di quanto non voglia lasciar trapelare. Ho avuto modo di parlarle e quando mi capita di menzionarti cambia immediatamente espressione. Mi sembra che il suo sguardo venga avvolto da una luce nuova.»

Feci un gesto di totale noncuranza con la mano. «Non ti sembra di esagerare un po'?»

«Non c'è bisogno che ti dica che tu, a differenza sua, hai la giusta esperienza per accorgerti se lei sia o meno attratta da te.»

«Andiamo, ha diciotto anni meno di me! Non potrebbe mai esserci niente tra di noi! Non ho mai pensato a nulla del genere, e non credo proprio che lei—»

«Sta' attento», reiterò Ryan. «Dammi retta. Come ben sappiamo, l'apparenza inganna. E quello che può sembrare un buon rapporto di amicizia all'inizio, potrebbe trasformarsi in un qualcosa di molto problematico.»

Feci una smorfia. Era già la seconda volta che insinuavano che Benedetta fosse cotta a puntino del sottoscritto. E in un anno di lavoro, tra noi due non era successo niente di niente. Mai una parola fuori posto, nessuno sguardo strano, mai un contatto fugace o inappropriato che fosse. Soltanto quella prima stretta di mano al ristorante nell'istante in cui lei aveva nominato il suo adorato padre. «Il nostro rapporto di amicizia va a gonfie vele. C'è molta stima reciproca. E io non faccio altro che sostenerla, lasciandola comunque camminare con le sue gambe concedendole persino il diritto di sbagliare.»

L'altro sorrise. «Continua su questa strada, allora. Ma non spingerti più oltre di così, lasciale maggiore libertà, o potrebbe prendere lucciole per lanterne.»

«So quello che faccio», ribattei, quasi seccato. «Comunque sia... ammettiamo pure che lei si sia presa una sbandata per il sottoscritto... le passerà prima o poi, no? Oppure... che cosa mi consiglieresti di fare? Dovrei evitarla soltanto perché ho il sospetto che lei mi guardi o possa guardarmi in un modo che non contempla il mero apprezzamento professionale?»

«Evitarla no. Non optiamo per misure così drastiche. Però, non so, potresti magari spingerla a frequentare più persone della sua età. O magari, potrei ingegnarmi a trovare un nuovo giovane dipendente e... fare il cupido della situazione, non so se mi spiego.»

A quell'affermazione degna di una madre che non aspetta altro che vedere il proprio figlio sistemato, scoppiai in una fragorosa risata. «Oh mio Dio, ho sentito bene?» Uno dei più severi direttori editoriali che Los Angeles abbia mai messo al mondo aveva tutta l'intenzione di trasformarsi in un arciere pronto a scoccare frecce a destra e a manca accendendo fuochi ovunque? Ovviamente, non mi azzardai a esprimere il suddetto pensiero a voce alta, ma credo proprio che il mio sguardo si fosse tinto di un'incredulità impressionante.

«Sono prossimo alla pensione, Malcom», si affrettò ad aggiungere Ryan, senza filtri. «E credo sia giunto il momento di divertirmi.»

Continuai a ridacchiare sotto i baffi. «Facendo da cupido alle spalle dei tuoi dipendenti?» Bel modo di divertirsi, i miei complimenti! Anche stavolta, non mi azzardai a prendermi più confidenza di quella che già avevamo e mi limitai a squadrare la sua espressione.

L'altro fece spallucce, un sorriso a metà tra il rilassato e il divertito. «Mia moglie me l'ha sempre detto... A detta sua, sono un romanticone senza speranza.»

Rimasi a bocca aperta. Io, dal canto mio, l'avevo sempre vista diversamente. Ma, a quanto pareva, anche lui aveva un lato ben nascosto, dietro la maschera di uomo irreprensibile e severo. «Okay, devo ammettere che... sono piuttosto sorpreso.»

«Lo sono anch'io. Piacevolmente, però. Spero proprio che questa donna si palesi presto, perché in questo caso... per me sarà davvero un piacere conoscerla.»

«Non ti sembra di correre un po' troppo?» In verità, morivo pure io dalla curiosità di scoprire di chi si trattasse, però non volevo darlo troppo a vedere. Avevo già fatto troppi danni.

Ryan sorrise, sornione. «C'è una vecchia canzone dei miei tempi di cui, però, non ricordo affatto il titolo, che sul finale affermava: È strano, sai, avere tanta voglia di correre e muover piano i passi per non sciupare l'attimo di libertà.*» Tornò a scandagliarmi con viva serietà, poi mi sorrise impercettibilmente. «Cogli l'attimo, Malcom.»

E dette queste parole, si allontanò a grandi passi dal suo stesso ufficio.

 

*

 

Cogliere l'attimo. Nel corso della mia vita da giornalista e uomo di mondo, avevo obbedito a quella massima innumerevoli volte, spesso per i motivi più futili. In quest'occasione non cercata... poteva forse valerne la pena? Le parole di Ryan avevano continuato a rimbombarmi nella testa per tutto il tragitto verso casa. Sulle note di State Of Independence di Jon & Vangelis, avevo continuato a riflettere sull'assurda situazione in cui ero incappato, non mancando di osservare in lungo e in largo la città. I numerosi negozi, le dolci coppiette ai lati della strada, le imponenti palme che costeggiavano i marciapiedi, illuminate dal sole cocente... lo scenario estivo mi aveva messo addosso un senso di allegria piuttosto insolito.
Dopo aver salutato di sfuggita Benedetta e i miei colleghi, mi ero rintanato immediatamente a casa, e sapevo benissimo perché. Non volevo farmi cogliere impreparato, perché magari la donna misteriosa avrebbe chiamato prima del solito.
Mi avvicinai al telefono e attivai il tasto della segreteria: nessun messaggio all'orizzonte. Sorrisi soddisfatto. Potevo gustarmi una graziosa cenetta e aspettare pazientemente che lei si facesse viva. Mi avviai in cucina e aprii il frigorifero: non era poi così fornito, ma mi sarebbero bastati anche gli avanzi di pollo della sera prima, assieme a un paio di fette di pane e un bel sorso di gin tonic. Ebbene sì: il sottoscritto aveva ricominciato a farsi un bicchierino dalla sera stessa in cui quella donna aveva fatto la sua comparsa. Non riuscivo proprio a capacitarmi del facile entusiasmo che mi aveva colto il giorno prima. Se all'inizio ero frastornato, a un certo punto mi ero sentito in pace con me stesso, completamente a mio agio.
Approntai la cena e, dopo essermi saziato, aspettai con ansia che il telefono desse segni di vita.
In effetti, dopo qualche minuto squillò. Attesi un paio di secondi e sollevai la cornetta con aspettativa.

«Pronto?»

«Ciao, Malcom. Come va la tua serata?»

«Mi sono fatto la stessa domanda poco prima che chiamassi», le risposi, sorridendo come uno sciocco.

«Dai, raccontami un po' com'è andata la tua giornata.

Colsi la palla al balzo. «E tu mi racconterai la tua?»

«Abbi pazienza, Malcom. Non correre troppo, okay?»

«La pazienza non è mai stata il mio forte, a dire il vero», mormorai, accucciandomi finalmente sul divano.

Lei si abbandonò a una risata leggera. Rimasi pietrificato. Anche il suono della sua risata aveva quel non so che di affascinante. «Credo di essermene accorta, sai?»

Anch'io ridacchiai. «Comunque, vediamo... la mia giornata non è stata particolarmente entusiasmante, a parte l'iniziale strigliata ricevuta dal mio capo, che si è poi tramutata in una conversazione a dir poco strana anche se, per certi aspetti, molto interessante.»

«Davvero? E si può sapere chi era l'oggetto di questa interessante discussione?»

Mi morsi le labbra. Stavamo giusto parlando di te, pensai, ma non lo dissi. «Diciamo pure che non ero poi troppo concentrato sul lavoro, e così... il mio capo ha semplicemente deciso di vederci chiaro.»

«E...?»

Ti piacerebbe sapere tutto quanto, eh? mi dissi ancora, senza esprimere quel pensiero a voce alta. «Ne ha dedotto che non ero il solito Malcom

«E tu... tu eri d'accordo con lui?» sussurrò l'altra, mi diede l'impressione di stare col fiato sospeso.

Durante l'arco della giornata, hai occupato una buonissima fetta dei miei pensieri, donna misteriosa. Non potevo non essere d'accordo con lui. Zittii la mia coscienza e continuai a tenerla sulle spine. «Non lo so, sai? Da una parte, ammetto che forse mi sono lasciato un pochino andare ultimamente, soprattutto l'altro ieri. E tutto questo... a causa di una certa persona che mi ha sottratto dal lavoro per la prima volta dopo vent'anni di servizio, facendomi fare la figura del giornalista negligente.»

«Ops! Questa certa persona deve aver raggiunto un gran bel traguardo, a questo punto!» sputò la donna. «In tal caso, questa persona ci tiene a scusarsi con te», aggiunse poco dopo, con un tono di voce dal quale traspariva, forse, un certo senso di colpa.

«Non dovresti farlo, in verità.»

«Tu dici?»

«Questa mia mancanza, per certi versi, mi ha ricordato che nonostante tutto sono ancora vivo, che non sono un automa e che...» Lasciai cadere la frase e sperai che lei continuasse al posto mio.

«E che dentro di te c'è ancora posto per i sentimenti?» domandò lei, dopo qualche secondo di puro silenzio.

«Suppongo che lo scopriremo molto presto», replicai, più serio che mai. «Ma adesso dimmi... com'è andata la tua giornata?»

Uno strano rumore mi spinse a sbarrare gli occhi. «Pronto? Pronto?» Imprecai mentalmente. La linea era appena caduta. Oppure... Tutt'a un tratto, un profondo moto di tristezza mi colse. La donna misteriosa aveva appena riagganciato. E l'aveva fatto proprio sul più bello. Il mio sogno di scoprire più cose sul suo conto era appena stato infranto. Riattaccai anche io e aspettai, invano, che lei mi richiamasse. Cercai di non coltivare quel pensiero negativo che si era appena affacciato nella mia testa, ma purtroppo non riuscii a essere ottimista. Dopo un'ora buona trascorsa accanto al mobiletto del telefono, dovetti accettare, con mio sommo malgrado, che la mia donna misteriosa non aveva – e non avrebbe – più richiamato. 

Attivai lo stereo e misi su A Cold Old Worried Lady**. La mia bocca – che tutt'a un tratto percepii come amara – si piegò in una smorfia di tristezza.

 

*Sogno Di Estunno: canzone afferente all'album (rock progressivo italiano) Forse Le Lucciole Non Si Amano Più de La Locanda Delle Fate (1977)

**A Cold Old Worried Lady: canzone afferente all'album (rock progressivo tedesco) Old Loves Die Hard (1976) de i Triumvirat.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: EleAB98