Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    10/04/2022    1 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Capitolo 19 – Obbedire o essere leali

 
Troppa gente le chiedeva di custodire fin troppi segreti. Non si aspettava comunque altro da Erwin, sarebbe stato fin troppo ingenuo da parte sua credere il contrario. Si era praticamente fiondata nelle linee del corpo di ricerca dopo averci pensato più o meno attentamente, e sicuramente non era così stupida da pensare che il comandante più calcolatore che avesse mai conosciuto non le chiedesse di tenerne uno. O molti più di quanti potesse immaginare.
Per ora Erwin si era limitato a fargliene tenere due: il primo era che nel perfezionamento dell’amputazione del suo braccio, un qualche medico incompetente non aveva sistemato a dovere il moncone, dopo una breve visita Siri potette constatarlo in prima persona, e da quella volta un nervo non doveva essere guarito bene, dandogli un fastidio tale da bloccargli i muscoli della spalla e renderlo quindi inutile in combattimento. Il secondo era quello più scomodo da mantenere, visto che l’aveva costretta a mentire a Levi: consisteva nel recarsi ogni santa sera nei suoi alloggi privati, per fargli fare degli esercizi di fisioterapia palliativi e preparargli un impacco da applicare sull’intera spalla.
Si fermò, e guardò in alto il cielo scuro che s’intravedeva tra le fronde degli alberi, sbuffando frustrata.
Dal quartier generale partiva un sentiero nella foresta che ad un certo punto si biforcava portando, da una parte all’edificio a due piani dove Erwin alloggiava, e dall’altra in città. Per questo, le uscite di Siri lasciavano il beneficio del dubbio, tuttavia Levi avrebbe dovuto immaginarlo, infatti senza l’uso di un cavallo non sarebbe potuta andare troppo lontano, eppure aveva pensato che qualcuno la venisse a prendere per portarla ovunque andasse di notte. Siri inspirò l’aria e quindi proseguì lungo il selciato, accusava la stanchezza, non solo fisica, che le rendeva ogni passo estremamente pesante. Si sentiva più sfiancata dopo quella settimana infernale rispetto a quando era appena tornata dalla città sotterranea con l’anca fratturata: per quel giorno, però, poteva perdonarselo, dopotutto aveva ricevuto la notizia che Michel era di nuovo libero, si era allenata dopo una settimana di riposo per l’infortunio e, sopra ogni altra cosa, si era battuta con Levi, togliendole anche la forza fisica di muovere le labbra e fare qualsivoglia battuta a cena. Il pensiero, inoltre, di iniziare il giorno dopo per la prima volta l’allenamento col dispositivo 3d, non l’aiutava.
Bussò alla porta e poco dopo Erwin le aprì, senza dire una parola si diressero di sopra dove lui aveva fatto arredare una camera inutilizzata in un’infermeria di fortuna, che Siri non aveva perso tempo a riempire con ogni sorta di medicina ed erba di cui avesse bisogno.
- Come vanno le fitte? – chiese incolore Siri mentre con una piccola stecca piatta in legno distribuiva l’impacco sulla spalla del comandante.
- Meglio. Sigrid, devo ringraziarti, ti ho addossato parecchio lavoro ma lo stai svolgendo egregiamente. 
- Mh mh. – si ricordò che non stava parlando con Levi e rispose il più formalmente possibile – Mi scusi. Per ora però, comandante, non ho concluso praticamente nulla di quello che idealmente avrei dovuto fare e scoprire.
- Se ragionassimo così, il corpo di ricerca si sarebbe ormai sciolto da tempo. Per cui i risultati che hai ottenuto finora sono più che sufficienti.
Siri sospirò in silenzio dal naso applicando l’ultimo strato dell’impacco. 
- Il capitano Levi mi ha fermata l’altra notte. – posò la ciotola vuota su un ripiano e applicò uno straccio umido sulla poltiglia sulla spalla del superiore – Non sono molto… contenta di mantenere il segreto con lui. È la prima persona di questa legione che si è fidata di me, se lui me lo dovesse chiedere…
- Tu non glielo dirai. – rispose lui, perentorio, senza lasciarla finire.
Siri socchiuse gli occhi guardando in basso, rimase un momento alle spalle di Erwin: - Sarà fatto signore. È stata un’idea stupida, me ne rendo conto. Scusi se l’ho anche solo avanzata.
Andò al lavandino, si tolse le bende e iniziò a sciacquarsi le mani.
- Non preoccuparti Sigrid. Capisco la tua lealtà nei confronti di Levi, ma sono sicuro tu capisca il perché di tanta segretezza.
Siri asciugò le mani e se le fasciò il più velocemente possibile. Tenendo lo sguardo fisso sul movimento disse: - Lo comprendo perfettamente. Mi sono lasciata influenzare dalle mie emozioni, ho anche paura che la notizia della liberazione del nobile Beaumont di stamattina abbia appannato il mio giudizio. – annodò la seconda fasciatura e si diresse verso la porta – Non accadrà più.
Erwin scrutò attentamente il viso della sottoposta e sotto il suo sguardo attento non gli sfuggì l’evidente malessere. Era rimasto affascinato dalla memoria di Siri quando, al colloquio con lei e Pyxis per la sua ammissione nel corpo di ricerca, aveva dato una dimostrazione pratica memorizzando al momento tre documenti e la lista dei componenti di tre squadre. Forse, quello, un momento di debolezza, era il più adatto per cercare di capire meglio la spia e testare le sue vere capacità che non potevano limitarsi esclusivamente alla formidabile memoria.
Siri aveva la mano sul pomello quando Erwin si rivolse a lei, fermandola sull’uscio: - Sigrid. – lei si voltò con un’espressione stanca – Mi concederesti una partita a scacchi?
La ragazza aggrottò le sopracciglia: - Non so giocare a scacchi, comandante.
- Posso insegnarti. 
Il comandante le fece strada nel suo studio dove aveva un tavolino allestito allo scopo, la spia si sedette dopo che l’ebbe fatto lui, abbastanza annoiata dalla situazione: voleva solo andare a dormire quanto prima e non le andava di fare da dama di compagnia ad Erwin, aveva ricoperto quel ruolo una volta ed era stata più che sufficiente. Siri non poteva rifiutare la gentile offerta, dopotutto era il suo superiore e sarebbe stato scortese, e lei verso i maggiori assumeva un atteggiamento estremamente reverente.
Se si annoia può benissimo assumere un maggiordomo.
- Ti è tutto chiaro?
Siri si grattò il capo e alzò gli avambracci prima incrociati sul tavolo: - Credo di sì. Probabilmente è meglio iniziare, forse riuscirò a cogliere meglio le regole giocando.
Erwin annuì e le fece cenno di partire, visto che le aveva concesso il bianco, essendo una giocatrice inesperta.
- Come mai non sapevi giocare a scacchi, Sigrid?
La ragazza mosse distrattamente un pedone, e tenendo lo sguardo fisso sulla scacchiera rispose: - Ho sempre preferito la dama.
- Pyxis non ti ha mai chiesto di giocare?
- Per l’appunto. Abbiamo sempre giocato a dama.
Mentre Erwin muoveva le sue pedine poco tempo dopo che Siri avesse compiuto la sua mossa, quest’ultima rifletteva fin troppo su ogni sua mossa, impacciata e già in difficoltà dopo poche mosse dell’avversario.
- Capisco. Eppure, con la tua logica e la tua memoria saresti una giocatrice formidabile.
Siri alzò un sopracciglio, rimanendo concentrata sul gioco: - Lei crede?
- Certamente. E dimmi, Sigrid, come mai preferisci la dama?
Lei fece spallucce: - Non c’è un motivo in particolare. È più semplice, meno regole, meno… macchinazioni. Col tempo sono diventata più brava con le carte, ad essere sincera. Il poker soprattutto, credo di aver perso pochissime volte. 
Erwin contemplò la scacchiera, riflettendo bene sulle parole dell’avversaria: - Quindi, in poche parole, un gioco dove recitare una parte ti dà un vantaggio sugli altri. – a queste parole Siri sussultò e alzò lo sguardo su di lui interdetta – La dama invece è un gioco molto… confortevole, è uno dei primi giochi da tavolo ad essere stato inventato, oltre che quello che viene insegnato ai più piccoli, proprio perché il più semplice. – Erwin, quindi, alzò lo sguardo penetrante su di lei – Che tu sia portata nei giochi di carte, Sigrid, non ne avevo alcun dubbio.
Siri tornò a guardare la scacchiera risentita e fece una mossa, senza pensarci molto: Erwin guardò contrariato il cavallo bianco che lei aveva appena spostato.
Mh, non va bene Siri, però almeno so che non mentivi quando dicevi di non aver mai giocato.
- Non fraintendermi, non è assolutamente una critica, anzi. Il poker è un gioco in cui la fortuna riveste un ruolo particolarmente preponderante, ma sta nel giocatore sfruttare anche le carte peggiori a proprio vantaggio per ribaltare la situazione, inoltre… – Erwin spostò una delle sue torri nere, facendo sospirare Siri frustrata – bisogna vantare di doti recitative non indifferenti.
- E io sono molto brava a recitare la mia parte. È questo quello che vuole dire, vero, comandante? – lo osservò di sottecchi – Ha ragione, è proprio così. Ma credo ci sia dell’altro. Vede, il poker mi dà una certa, come dire… libertà d’azione. Non mi piace molto ragionare e agire in schemi rigidi e ben precisi, a volte preferisco tenere aperte le mie prospettive. – tornò a guardare la scacchiera e mosse un pezzo, ma sapeva avrebbe solo tardato lo scacco al re che Erwin stava per servirle – Ammetto di essere molto istintiva, mi fido molto delle mie capacità quando mi trovo in determinate situazioni: curiosità o arroganza, non so davvero se sia un bene o un male.
Erwin chiuse gli occhi e sorrise placido: - È sempre un bene… – riaprì gli occhi e spostò la regina facendo scacco matto – se sai come sfruttare le tue capacità. La distinzione tra bene e male è molto labile Sigrid, e tu lo sai bene quanto me. – Siri alzò gli occhi solcati dalle occhiaie incontrando i suoi e lo stette a sentire con attenzione chiedendosi cosa volesse dirle veramente – È degno di nota che comunque tu sia a tuo agio ad agire in situazioni la cui riuscita sia dubbia.
Rimasero in silenzio, Siri scrutava lo sguardo enigmatico del comandante, credeva forse che stesse facendo il doppio gioco con qualcuno? Era fuori discussione, dopotutto gliel’avrebbe fatto capire meglio e quell’eventualità non aveva senso. Erwin, invece, aveva inquadrato la spia perfettamente e aveva un altro obiettivo: quello che voleva fare per il momento poteva sembrare poco chiaro, ma sperava che in futuro sarebbe servito per renderla non solo una spia e un soldato migliore, ma anche una valida risorsa per il genere umano.
- Facciamone un’altra, poi ti lascio andare.
La sera dopo, Siri temporeggiò con la fasciatura, riallacciandola più lentamente e lanciava occhiate al comandante in tralice, fino a quando lui non rinnovò l’invito a giocare anche quel giorno. 
- Allora, adesso che hai imparato, preferisci ancora la dama?
Siri contemplò la scacchiera e mosse un pezzo: - Credo di sì.
- Mh. È perché non sei ancora molto brava a giocarci?
- No. – Siri prese fiato e ponderò bene la sua risposta, sapeva perfettamente che ad Erwin non sarebbero bastate delle risposte a monosillabi e la ragione che avrebbe dato doveva essere sì, sincera, ma soddisfacente. Poi, però, pensò ad una risposta migliore: - Secondo lei perché?
- Credo sia sempre lo stesso motivo. Le macchinazioni non ti piacciono, anche se, nemmeno tu, per quanto lo desideri, sei immune dal farne.
La ragazza annuì in silenzio, osservò la mossa di Erwin e poi disse: - Non posso negarlo. Ma quando posso evitare… – mosse un pezzo distrattamente e vide il comandante aggrottare le sopracciglia alla scelta della sottoposta – Tuttavia credo non si tratti solo di questo. Nella dama le pedine iniziano il loro percorso allo stesso punto, sono tutte uguali e possono andare solo avanti.
Erwin seguiva attentamente il discorso, mentre rifletteva sulla sua prossima mossa.
- Eppure, insieme possono bloccare l’intero gioco, da sole acquisire un potere maggiore e muoversi come preferiscono. Negli scacchi, invece, se sei un pedone lo rimani, sei letteralmente una pedina sacrificabile, essenziale ma nella logica di uno schema che definirei quasi vanaglorioso.
Il comandante fece la sua mossa mettendo Siri, di nuovo, con le spalle al muro: - Mi sorprende che tu, Sigrid, dia alla vita un valore più quantitativo che qualitativo. Nonostante la filosofia degli scacchi e della dama non sia completamente applicabile alla realtà, credo sia interessante come, per certi aspetti, non differisca affatto. Non trovi?
La ragazza incrociò le braccia sul tavolo, strizzando gli occhi sulla scacchiera dopo essersi resa conto di essere di nuovo vicina alla sconfitta: - Signore… io sono una spia, un soldato. – spostò un pedone, l’avrebbe sacrificato per guadagnare tempo, ma ormai il dado era tratto – Ma prima di tutto sono un medico, per me anche la vita più miserabile è degna di essere vissuta, do lo stesso valore ad ognuna di essa. Se poi parliamo di pietà verso alcuni crimini, è un altro discorso, ma anche in quel caso… faccio prevalere la mia coscienza medica. Credo sia per questo che io contro di lei non riesco proprio a vincere a scacchi.
Erwin mosse un cavallo e, con sorpresa di Siri che non aveva per niente considerato quella mossa nel quadro generale, fece scacco matto. Lui, quindi, alzò lo sguardo incontrando quello meravigliato della spia e, austero, disse: - Non credo, Sigrid, sia per questo che tu non riesci a vincere a scacchi contro di me. Fai delle mosse intelligenti, a volte segui l’istinto ma cerchi sempre di limitarti. Trattieni la tua logica perché, anche in una finzione, cerchi di salvare quante più vite possibili. – la ragazza socchiuse la bocca, colpita in pieno dalla precisione con cui la stava analizzando – E, a meno che non si tratti della tua vita, eviti di rischiare. Non è un male però ragionare e prendere delle decisioni moralmente difficili per un bene superiore, non è una questione di pietà o di umanità. È una di forza di volontà.
Siri spostò lo sguardo verso il basso, lasciandosi andare sulla spalliera della sedia, poi, inespressiva tornò a guardarlo e gli disse: - Un’altra.
A Siri non piacevano gli scacchi, ma c’era una cosa che non le piaceva più di quel gioco da tavolo, più di qualsiasi altra. Ed era perdere. Per cui, quando ricevette l’ennesima sonora sconfitta quella sera, decise, sul sentiero verso il quartier generale, che la prossima volta avrebbe dato seriamente del filo da torcere ad Erwin. Quando quella notte tornò a letto dopo aver incontrato Levi in cucina, rimase a fissare il soffitto meditando sull’abissale differenza tra i due soldati fino a quando non si addormentò. 
***
 
Il dolore aveva reso Levi glaciale ma nonostante questo suscettibile ad affezionarsi. Mentre, Siri… bruciava di un fuoco implacabile e non pensava troppo ai rischi che legarsi alle persone comportavano, la sua personalissima idea era che tanto avrebbe sofferto comunque, in un modo o nell’altro.
Con grande disappunto misto a sollievo di Levi, Siri il mattino dopo, nel letto dell’infermeria, gli rivelò di ricordare di avergli raccontato del suo passato, ma nulla di più. Levi, seduto sulla sedia accanto al letto, alzò di poco le sopracciglia quando non lesse sul viso di lei il minimo imbarazzo o perplessità.
- Ricordi nient’altro di ieri notte? – le chiese, con l’espressione contratta e gli occhi puntati su di lei, infondo sperava se ne ricordasse.
Siri sbadigliò e sprimacciò il cuscino su cui aveva poggiato la schiena, seduta nel letto: - A dire la verità non ero neanche sicurissima di averti raccontato quelle cose, ricordo più lucidamente quel momento e quando più tardi Sasha è venuta poco prima dell’alba. – per tutto il tempo, notò il capitano, aveva temporeggiato col cuscino e il lenzuolo, lisciandone le pieghe all’altezza delle cosce. Non una volta aveva voltato lo sguardo su di lui, che ora la fissava con gli occhi ridotti a due fessure sottili. Finalmente lei si voltò a guardarlo e, ignorando la sua espressione, a cui non diede molto peso, gli domandò: - Perché, c’è altro in particolare che dovrei ricordare?
L’espressione perplessa di Siri lo disarmò, per cui rimase in silenzio, stava per ribattere quando lei ne approfittò per continuare: - A dire il vero, ho fatto parecchi sogni strani. In uno c’eravate persino tu ed Hange. – Levi sgranò gli occhi, ma fece una smorfia seccata con la bocca quando sentì il resto – Neanche nei sogni mi lasciate in pace, sono proprio la vostra ossessione.
- Così ossessionato che appari solo nei miei incubi.
Siri ghignò e assunse un’espressione impertinente: - Nei tuoi sogni sarebbe meglio, boss?
Levi distolse lo sguardo dal suo, contrariato: - Ormai ricordarti che sono il tuo superiore è completamente inutile.
La spia stava per controbattere quando, dalla tenda impalata davanti al letto, sbucarono Sasha e Connie che tenevano contemporaneamente un vassoio con la colazione di Siri: appariva evidente il fatto che avevano voluto portarlo entrambi e che quindi, alla fine, avessero optato per la soluzione più barcollante e insensata. I due superiori si voltarono a guardarli mentre si avvicinavano al comodino accanto il letto, Siri scosse piano la testa, seccata: - Tra tutte le idee, modestamente brillanti, che ho avuto nella mia vita, quella di accoppiarvi questa settimana è quella tremenda che conferma la regola, presumo.
Levi si voltò verso di lei: - Probabilmente questa ti è venuta mentre eri in bagno, perché fa letteralmente cag-
- BUONGIORNO! – adesso anche Hange, che teneva tra le braccia un plico di fogli, aveva fatto capolino al capezzale di Siri che si lasciò andare all’indietro sul cuscino. La scienziata, trovando già Levi, lo guardò sorpresa e poi sorrise sotto i baffi, ma bastò un’occhiata minacciosa dell’altro per farla desistere da ogni uscita equivoca.
- Anche tu qui? Connie perché non vai a chiamare anche Armin già che ci siamo… – alle parole della spia, il ragazzo uscì in tutta fretta – Non dicevo sul… Argh, lasciamo perdere.
Hange si avvicinò quatta con uno sguardo folle ad un lato del letto: - Ho delle notizie succulenti dagli ingegneri, non riuscivo ad aspettare oltre, dovevo dirvele e sono venuta sicura di trovare anche Levi qui.
Siri aggrottò le sopracciglia e guardò Levi che a sua volta fissava l’altro caposquadra a dir poco innervosito, ignorò momentaneamente l’ultima affermazione di Hange e lo strano comportamento del suo capitano e disse: - Ah, finalmente hanno deciso di far funzionare quei loro cervelli rattrappiti? Ho ideato più io in dieci anni che loro in cento. – incrociò poi le gambe sotto il lenzuolo per fare spazio alla sua compagna di stanza che si sedette ai piedi del letto.
- Ma perché ce l’hai tanto con loro?!
Levi guardò Siri di sottecchi che rispose noncurante: - Diciamo che se ne esistessero di meno io non sarei qui, in senso migliore.
Nel frattempo, Sasha aveva preso la tazza calda dal vassoio e gliela stava porgendo: - Ecco, mamma.
Siri prese distrattamente la tazza: - Ho avuto solo una febbricola, non capisco tutto questo… Aspetta. – sgranò gli occhi e guardò Sasha truce – Come mi hai chiamata?!
La ragazzina strabuzzo gli occhi interrogativa: - Cosa? Ehm… – alzò gli occhi verso l’alto ripensando a ciò che aveva detto, poi, nel momento in cui realizzò la gaffe, un brivido la percorse lungo la schiena e guardò terrorizzata la vice di Levi.
- Ti sembra forse che io possa essere tua madre?! – Sasha quindi si precipitò verso il corridoio sfuggendo alla mano di Siri che aveva cercato di acchiapparle la coda. Quest’ultima, una volta che l’altra si era dileguata, sospirò pesantemente.
Hange rise: - Oh, non te la prendere Siri, a volte si sbagliano anche con me e con Levi.
La ragazza di tutta risposta incrociò le braccia e disse irritata: - Ma lui potrebbe essere loro padre, è un vecchietto.
Un vecchietto e anche nello stesso sogno con Hange. Per oggi ne ho abbastanza.
Levi rispose, altrettanto irritato: - Ci risiamo con questa inutile discussione, saltimbanco. E poi hai anche la faccia tosta di definire quella di ieri una febbricola.
Contemporaneamente, la caposquadra ai piedi del letto aveva aperto il plico di fogli spargendoli sul materasso e stava blaterando qualcosa su un nuovo aggeggio che avevano inventato, le lance fulmine, capaci di perforare la corazza dei giganti, quando fece capolino di nuovo Connie, seguito da Armin e Jean.
- Ecco Siri! Come mi avevi chiesto! – spinse in avanti gli amici soddisfatto – Jean è solo un ficcanaso, voleva sapere perché avevi fatto chiamare Armin.
- Non è vero! Volevo solo vedere come… capire se ci fosse il mio allenamento oggi pomeriggio, razza di deficiente!
Siri lasciò andare indietro la testa, poggiando il capo contro il muro, poi alzò le mani, le portò sul viso e si strofinò gli occhi, Jean intanto si era avvicinato a lei, tale da trovarsi all’altra sponda del letto di fronte a Levi, ancora seduto sulla sedia. L’allievo della spia osservò le fasciature sulle braccia perplesso: - Oh, Siri, le hai annodate diversamente da come fai di solito. – improvvisamente si sentì osservato e rivolse lo sguardo davanti a sé incontrando quello sinistro e penetrante del capitano, che con quell’espressione e le braccia conserte gli stava intimando, in silenzio, di chiudere il becco. Jean infatti rabbrividì sul posto.
Siri si guardò gli avambracci: - Sai che hai ragione… Che strano.
Jean rise nervosamente e diede una spintarella alla spalla della maestra: - Questa febbre! Fa fare le cose più strane!
Siri fece spallucce: - Già, sarà stato quando ero febbricitante…
Una voce attutita che cercava di attirare l’attenzione si levò dall’entrata del tendaggio, era di nuovo Sasha: - Ehm… – aveva alzato un indice per dire qualcosa ma venne interrotta da una Siri esasperata.
- Ma cosa significa questo manipolo di persone qui dentro?! Volete forse dare una festa? Ci manca solo il comandante in persona e siamo al completo!
La ragazza all’ingresso sorrise a disagio: - Ecco, veramente…
- È permesso? – la voce di Erwin fece voltare tutti i presenti, compresa Hange che ancora era immersa negli schemi delle lance fulmine sparpagliati sul letto. I membri della squadra, non appena si stagliò la figura del comandante alle spalle di Sasha, si affrettarono a fare il saluto e si dileguarono, lasciando lo spazio necessario al superiore per entrare. Siri, notò Levi con una punta di fastidio, sembrò assumere un atteggiamento e delle espressioni gravi e contenute all’ingresso di Erwin, il capitano ebbe poi un tonfo al cuore quando lei gli rivolse un’occhiata nervosa: probabilmente voleva guardarlo più a lungo, perché non appena si rese conto che Levi la stava guardando a sua volta, distolse subito lo sguardo. Non aveva alcun significato nascosto quel gesto, qualsiasi il capitano avesse inteso, semplicemente la spia era a disagio perché in quello spazio ristretto lui era l’unico a non conoscere la situazione; infatti alla fine Erwin aveva acconsentito a rivelarla esclusivamente ad Hange, essendo suo diretto successore, seppur tenendo celato il motivo delle visite.
- Buongiorno comandante. – dissero in coro Siri e la scienziata, mentre Levi, con un braccio sulla spalliera, lo fissò in silenzio.
- Siri, ho delle comunicazioni importanti. Ho saputo da Jean ieri che eri ammalata, mi dispiace disturbarti ma non potevo attendere oltre. – Siri socchiuse gli occhi e annuì, sovrappensiero, poi si voltò verso Levi che, mentre l’altra ospite si era già alzata e raccoglieva le sue cose, era rimasto seduto come se niente fosse.
- Levi, scusa, ti dispiace? – gli disse lei, gentilmente.
Sì, mi dispiace, pensò lui mentre si alzava poco entusiasta dalla sedia. Mentre usciva con Hange al seguito, lanciò un’occhiata ad Erwin che rimase perplesso notando la strana luce negli occhi del soldato. Il comandante quindi si sedette e, non appena sentirono che i due si erano allontanati, parlò: - Bernard mi ha raggiunto per conto di Pyxis. Hanno un piano da proporti per Michel Beaumont.
Siri sussultò, distolse lo sguardo per un momento e poi seria chiese: - Lei lo approva?
- Sì. – rispose risoluto – Non è uno dei miei, quindi non lo definiresti “azzardato” ma è molto buono. Si affida esclusivamente su di te.
- Allora sono tutta orecchi.
 
Il giorno dopo Siri tornò alla routine quotidiana, e, finalmente, iniziò a rendersi conto degli atteggiamenti equivoci che Levi aveva assunto nei suoi confronti: aveva iniziato a nutrire qualche sospetto quando il mattino prima si era svegliata dopo la nottata febbricitante e lui era arrivato per primo a farle visita, quasi all’alba, o quando poi più tardi a cena si era assicurato stesse bene e che avesse mangiato tutta la sua razione («Devi mangiare di più, altrimenti agli allenamenti farai pena.»), o quando poi, quindi, la mattina di quel giorno di ritorno alla normalità era andato di nuovo a trovarla in infermeria e, quando aveva visto che stava lavorando a pieno ritmo, aveva temporeggiato con delle chiacchiere di circostanza e poi se n’era andato dicendo che “era venuto solo per ricordarle dell’allenamento nel pomeriggio”. Ma c’era una cosa in particolare che le aveva messo il verme nella testa, ossia ciò che le aveva detto quando gli aveva raccontato di come era diventata una spia. Non ricordava le esatte parole, infatti era come se gliele avesse dette mentre dormiva, il ricordo era molto confuso, eppure l’avevano colpita così tanto che aveva iniziato a piangere. Vorrei non essere così emotiva, cosa mi ha detto…
- I tagli sono poco profondi, non vanno bene. – le disse piatto mentre era seduto su un ramo, la schiena poggiata contro il tronco.
La spia aveva avuto parecchi incubi e sogni strani la notte in cui era stata male, ma pensava e ripensava ad uno in particolare, troppo imbarazzante da raccontare a chiunque, anche perché le era sembrato troppo reale. Riusciva persino a ricordarsi le sensazioni che aveva provato, aveva subito scacciato l’eventualità del “E se fosse stato reale?” ogni volta che aveva alzato lo sguardo su Levi nell’ultimo giorno e mezzo e aveva incontrato i suoi occhi gelidi e severi. Si passò la manica sulla fronte per asciugare il sudore e lo guardò di nuovo accigliata: aveva sempre quella solita espressione seria e quasi annoiata. Una cosa comunque era certa: sogno o meno, si era resa conto di aver provato qualcosa che preferiva reprimere, ma che le era piaciuto.
Abbassò lo sguardo sulle lame: non era andata abbastanza in profondità però in compenso erano ancora utilizzabili.
- Aspetti che faccia notte, saltimbanco? Datti una mossa e riprovaci.
Siri sbuffò e tornò indietro, aspettò il segnale del capitano e ripartì di nuovo: questa volta riuscì a tagliare la nuca abbastanza profondamente a tre su cinque dei finti giganti. Quel pensiero fisso la distraeva, decise che doveva togliersi il dubbio. Non gliel’avrebbe chiesto direttamente, magari era un errore che lui voleva dimenticare, inoltre un conto era scherzarci su come si divertiva a fare sempre, un altro che succedesse davvero qualcosa tra loro due, e pensare a quella eventualità non le dispiaceva, ma allo stesso tempo le dava fastidio l’idea che lui fosse il suo superiore in comando. E questo la frenava, ma sicuramente non da quello che decise di fare dopo. Si dondolò appesa poco sotto il ramo su cui lui era ancora beatamente seduto.
- Tre su cinque, sempre meglio di prima, ma non abbastanza. Riposati e ricominc… - si bloccò quando Siri, dopo essersi data lo slancio col gas, aveva fatto riavvolgere le corde dei rampini e si era fermata alla sua altezza, parandoglisi di fronte: aveva poggiato una gamba sul ramo a poca distanza dal suo fianco e poi si era sporta verso di lui. Levi la guardò stranito e indietreggiò di poco con la schiena, visto che aveva il naso della vice a due centimetri dal suo e i suoi occhi enormi lo stavano fissando dritti nei suoi. Dopo qualche secondo, Siri si allontanò e sparando un po’ di gas si spostò di fianco a lui dove si sedette, lasciando un po’ di spazio tra i due: - Scusa, volevo provare una cosa.
Si voltò a guardarla, cercando di rimanere il più distaccato possibile: - Vuoi vedere quanto gas riesci a sprecare?
Lei ripose le lame nella custodia e disse a sguardo basso: - No… - poi scivolò verso di lui, azzerando la distanza che li separava, e gli piantò addosso gli occhi con un’espressione morbida sul volto: - Volevo vedere quanto vicino ti fidi ad avermi.
Lo sa. A Levi fu chiaro come il sole che quella non era semplicemente una delle sue battute, lo stava mettendo alla prova, stava giocando con lui e a sua volta, per un momento, aveva lasciato trapelare del disorientamento che a lei non era sfuggito, perché sogghignò.
- Tch. Blatera meno e concentrati di più.
Perlomeno adesso sapeva come avrebbe reagito, infondo non poteva aspettarsi altro. L’imbarazzo o la vergogna non erano delle cose che propriamente le si addicevano e con tutte le frecciatine che gli lanciava continuamente anche in situazioni normali, avrebbe dovuto immaginarselo: ora aveva lei il coltello dalla parte del manico e si sarebbe divertita con quel vantaggio che aveva su di lui. Tuttavia, decise di persistere nella negazione.
Siri allontanò il busto e tornata a sedersi composta disse: - Peccato…
- Sai che non ti sento se parli come scrivi.
Lei alzò un angolo della bocca seccata: - Pensavo solo che mi dici continuamente che faccio pena, ma non mi hai mostrato nemmeno una volta come dovrei fare.
- Non credevo che fossimo ancora al punto di aver bisogno di dimostrazioni. – aveva tirato fuori una delle lame e la stava lucidando, Siri guardò l’azione di sottecchi pensando che forse l’aveva messo troppo a disagio.
Aveva avuto sei anni per elaborare quanto le era accaduto quella notte, l’aveva fatto, ma da quel giorno l’idea di essere anche solo sfiorata la faceva andare fuori di testa. Per questo, quando invece con Levi aveva capito la differenza, si era sentita più sicura e aveva compreso che una ferita, almeno, si era risanata. Ciò non significava che si sarebbe lasciata coinvolgere troppo, avrebbe affrontato la cosa alla giornata come al solito, ma si era ripromessa di stare attenta: fino a quando lui non avesse deciso di fare un passo deciso, si sarebbe limitata a stuzzicarlo nei limiti dei loro ruoli professionali. Se effettivamente ci avesse preso, prima o poi Levi avrebbe fatto crack, in caso contrario non sarebbe cambiato molto dal solito.
- Che ti costa. Io sono brava ad imparare osservando.
Lui la fulminò con lo sguardo: - Finirai di tormentarmi? – ripose poi la lama con un click nella fessura assieme alle altre.
Siri alzò una mano all’altezza della testa e incrociò indice e medio, poi disse: - Certo boss. – Levi alzò gli occhi al cielo e fece schioccare la lingua sul palato, poi però prese i manici del dispositivo e s’inginocchiò sul ramo.
- Cambia le nuche, poi dammi il segnale. – quando lei sorrise contenta, distolse lo sguardo sentendo un brivido lungo la pelle e si gettò verso l’inizio del percorso, prima che lei potesse notare qualsiasi altro suo passo falso. Siri cambiò velocemente i cuscinetti e, dopo essersi appostata per avere la visuale migliore, gli diede il segnale per iniziare, mentre con le corde cercava far muovere i giganti nella maniera più scoordinata possibile. Ma non valse assolutamente a nulla: a malapena riuscì a seguirlo con gli occhi, non era sua intenzione dare sfoggio delle sue capacità, semplicemente fu velocissimo. Quando tagliò l’ultima nuca, lanciò i rampini sull’albero di fronte a quello dove si trovava la spia, che, seppur colpita dalla dimostrazione, non rimase senza parole.
- Potevi limitarti a tagliare la nuca e basta, senza dover essere per forza… - si morse il labbro inferiore e poi sbuffò – Senza fare per forza il fuoriclasse.
Levi ignorò il complimento e tornò a sedersi vicino a lei e poco dopo ricominciarono ad allenarsi fino a quando non arrivò il tramonto.
- Per oggi può bastare. – quindi scese a terra e Siri fu subito dietro di lui.
- Sono migliorata almeno un pochino?
Il sentiero che stavano seguendo attraversava la foresta e si apriva al campo di allenamento, poi portava all’ingresso del quartier generale tenendosi al lato degli alberi che in quel momento si erano scuriti con la luce calda e rilassante del sole che pian piano sarebbe scomparso oltre le colline. Il capitano lanciò un’occhiata al viso della compagna di squadra che era rivolto verso l’alto, assorto nelle fronde degli alberi.
- Si può dire che potresti sopravvivere più di cinque minuti fuori dalle mura.
- Mh… – si avvicinò a lui e si sporse oltre la sua spalla – Quando arriviamo ad un giorno intero inviami un notificato.
- Tch. – a questo nuovo avvicinamento improvviso sussultò impercettibilmente, Siri si allontanò comunque subito e prese a sistemare i nodi delle fasciature. Sembrava volesse dargli un po’ di tregua.
- Allora Levi… – il tono le si era fatto più serio – Come va con l’insonnia?
Per un attimo lui aveva pensato volesse affrontare un altro argomento, fortunatamente si parlava solo della sua salute. Passarono alcuni secondi prima che le rispondesse, in cui fece mente locale sulle scorse notti. Gli venne in mente una in particolare, ma scacciò il pensiero e cercò di concentrarsi sulle altre.
- La tisana ha il suo effetto, ma non è sufficiente. In compenso, mi fa superare le due ore a notte.
Lei lo ascoltò osservandolo indulgente: - Durante il giorno poi ti riaddormenti?
Levi annuì in silenzio. Siri spostò lo sguardo davanti a sé come lui, rimase a contemplare il suono dei loro passi sul terreno sterrato, interrotto da qualche sporadica macchia d’erba bassa e verde.
- Levi, posso farti una domanda che potrebbe metterti in difficoltà?
Adesso si voltò a guardarla sorpreso, senza trattenersi in alcun modo. Alla luce del tramonto le lentiggini sul naso e sotto gli occhi le si erano fatte più scure e gli occhi marroni rilucevano d’ambra. Lei, che gli chiedeva il permesso per una cosa che aveva fatto continuamente con sfacciataggine, sembrava una cosa fuori dal mondo, ma si ricordò della sera della tisana: quella volta era prevalso il suo lato medico e si era presa cura di lui con una professionalità e serietà che non le aveva mai visto praticare. Capì che evidentemente essere un medico era l’unica cosa in cui le interessasse avere davverodel riconoscimento, essere considerata professionale. Gli si annodò lo stomaco perché il destino non era stato gentile con lei, mentre lei meritava di più, riusciva ad intravedere che buon medico avrebbe potuto essere.
Espirò dal naso e tornò a guardare la strada: - Sì.
- Cos’è che ti sveglia?
Non riusciva a trovare una risposta coerente. Gli incubi? Erano solo un sintomo, ma di cosa? La sua ansia? Ma si era sempre preoccupato degli altri, l’ansia non poteva essere un suo tratto caratteriale.
- Gli incubi.
- Ogni tanto si sarebbero dovuti placare. Levi, mi dispiace, ma credo che il problema non siano gli incubi. – erano sbucati al campo d’addestramento, Siri si fermò voltandosi verso di lui che fece altrettanto. Lo guardava con lo sguardo ben saldo sui suoi occhi.
- Quando ero nella città sotterranea e non dormivo, credevo che la colpa fosse proprio degli incubi, ma quando bevevo riuscivo a sopprimerli e quando poi sono uscita non ne ho più avuti. Sono più fortunata di te? Non credo proprio. – il capitano strizzò poco gli occhi – Tu puoi dormire, è che non vuoi farlo. È tutta qui la differenza. Il tuo corpo è diverso dagli altri e può c’entrare fino ad un certo punto, perché quella tisana, credimi, funziona perfettamente. Ho passato anni a perfezionarla.
Siri si avvicinò di un passo a lui e con l’indice gli toccò la fronte: - Dipende tutto da questo. – gli sorrise comprensiva – Qui si fermano le mie competenze, devi capire da solo cosa non va e aggiustarlo. Puoi parlarne con me e posso aiutarti, ma è la tua forza di volontà che può cambiare le cose.
Detto ciò, s’incamminò di nuovo verso il quartier generale lungo il sentiero, lasciando Levi col nodo allo stomaco ancora più stretto a fissare la terra di fronte a sé, resa rossastra dai raggi solari che, pigri, gli danzarono sulla guancia, poi veloci scivolarono su fin sopra gli occhi, poi sui capelli e infine scomparvero inghiottiti dietro le fronde degli alberi più lontani. Quando la luce lo accecò, si risvegliò dall’intorpidimento e si voltò verso di lei per raggiungerla, alzò il passo.
- Siri…
Lei si voltò a guardarlo, ma poi una voce fastidiosamente familiare lo interruppe.
- Lucertolina!
Siri alzò un sopracciglio e un angolo del labbro superiore, girò quindi su sé stessa per rivolgersi all’ingresso, dove Bernard la salutava sorridente.
- Argh. Non dovevi venire dopo cena? – la spia s’incamminò verso il nuovo arrivato che intanto le stava venendo incontro.
- Non riuscivo più ad aspettare. – erano solo a qualche metro da Levi, ma Bernard si premurò accuratamente di ignorarlo e rimuoverlo totalmente dal suo campo visivo.
Siri incrociò le braccia: - Pff. Che seccatura. Mi sono allenata, volevo lavarmi e poi mangiare, devi sempre rovinare i piani.
- Volevi farti carina per me, vero?
Lei sospirò pesantemente: - Sai che ti dico? Forse meglio così. – si volse al suo superiore mentre aveva già ingranato il primo passo verso la nuova destinazione – Levi.
Lui, che nel frattempo era rimasto indietro, non credeva possibile che aveva buttato alle ortiche il suo proposito e stava per parlarle dei suoi sentimenti con risolutezza. Una volta che Bernard aveva rovinato il momento, si rese conto che adesso era l’unica cosa che voleva fare, l’avrebbe volentieri preso a pugni per avergli impedito di cogliere l’occasione giusta, soprattutto in quel momento che, siccome Siri non lo stava degnando d’attenzione alcuna, lo stava finalmente guardando, ma con immensa avversione.
- Devo parlare con Bernard di alcune comunicazioni di Pyxis, puoi dire a Jean di portarmi la cena e raggiungermi?
Annuì e si separarono, non prima che Bernard le ebbe messo un braccio attorno alla spalla, ricevendo di tutta risposta da Siri una gomitata nel fianco.
Levi, nel frattempo, sotto il cielo violaceo del crepuscolo, aveva fatto crack.
 
Non era una cosa da lui. Appostarsi fuori dagli alloggi di Erwin ad aspettare che lei uscisse. Forse era ufficialmente impazzito, aveva raggiunto i livelli di Hange. No, li aveva superati. 
Ma come avrebbe dovuto fare altrimenti? Era sempre circondata dai mocciosi o aveva sempre la quattrocchi alle calcagna, e, se per qualche fortunata coincidenza fosse rimasta finalmente sola, sarebbe arrivato l’imprevisto. Quel giorno era stato Bernard. Inoltre, adesso che Siri sapeva e aveva avuto un assaggio del suo modo di affrontare la cosa, preferiva mettere un punto, ancora prima che iniziasse, a quel gioco del gatto col topo. L’idea di essere il topo era inaccettabile.
Tirò fuori l’orologio: aspettava da un’ora e mezza. Un’ora e trenta minuti. Finalmente sentì dei rumori oltre le pareti in legno su cui era poggiato a braccia conserte.
Siri uscì all’esterno e chiuse la porta dietro di sé. Aveva le lacrime agli occhi che alla luce della luna brillavano di un candore perlaceo, anche da poco lontano Levi poté accorgersene. Siri s’incamminò a testa bassa verso l’accampamento, Levi la seguì senza fare troppo caso a quanto rumore facesse. Voleva affrontarla. Siri, infatti, percepì la sua presenza e sospirò, tenendo lo sguardo basso.
- Che ci fai qui? Mi segui?
- Provo a mettermi nei tuoi panni. Ho pensato non dovesse essere così difficile.
- Non puoi spiarmi e sperare che io non me ne accorga. Ci ho messo anni a perfezionare la mia tecnica.
- Imparo in fretta.
Siri continuò a camminare senza voltarsi, ma rallentò. Un sorriso placido le si piazzò sulle labbra: - Già…
Si era accorta di lui dopo essere uscita, ma non che Levi l’avesse seguita dall’inizio. O forse, semplicemente, aveva capito già da un po’ dove andava ogni sera da un mese a quella parte e l’aveva aspettata all’esterno.
- Sei stata poco cauta.
- Che c’è, vuoi diventare più bravo di me così potrete fare a meno di me? Sai, non sarà semplice, mi piace appartenere a questa leg-…
Levi aveva alzato il passo e in un attimo l’aveva raggiunta. Le afferrò piano il braccio, cosicché Siri dovette fermarsi e guardarlo in viso.
Ci fu un breve silenzio, interrotto solo dai grilli e il fruscio delle chiome degli alberi che si muovevano per la leggera brezza serale. Siri aveva ancora le ciglia umide, imbarazzata le asciugò con la manica del braccio libero e sulla difensiva disse a Levi: - Si può sapere che ti prende? Sei davvero inquietante.
Adesso Levi era costretto a guardarla in faccia, e nonostante lei non lo stesse guardando fu comunque difficile pronunciare la domanda che voleva farle fin da quando l’aveva vista uscire: - P-Perché vai negli alloggi di Erwin tutte le s-sere?
Siri sgranò gli occhi. Per la prima volta, Levi notò del timore nei suoi occhi e, a sua volta, anche se non riusciva ad ammetterlo, ne stava provando un po’ anche lui.
Era inevitabile che l’atteggiamento che aveva assunto fino a quel momento l’avrebbe portato a questo, aveva represso fin troppo e quello era il risultato.
Il timore di Siri si trasformò in vero e proprio sgomento, lo guardò come se avesse visto un fantasma: - Hai appena… balbettato?
Lui si sentì colpito al petto da quella domanda e, recuperata la fermezza, raddrizzò le spalle e disse: - No.
- Ti ho appena sentito. Hai balbettato. – fece scorrere gli occhi veloci lungo tutto il suo corpo per poi tornare ai suoi occhi – Hai battuto la testa? Ti formicola forse il braccio sinistro? Diamine se mi mette i brividi questa cosa.
- Smettila di rispondermi con altre domande. – non se ne rese conto, ma strinse il braccio di Siri con più forza – Rispondimi.
Vide il viso di Siri contrarsi, gli occhi socchiudersi per il dolore: - Levi… mi stai facendo male… – a quel punto lui abbassò lo sguardo e si rese conto della presa ferrea. La lasciò all’istante sentendosi in colpa, soprattutto dopo che lei si portò il braccio a sé e iniziò a massaggiarlo. Siri sospirò a sguardo basso con una punta di frustrazione, e iniziò a pensare razionalmente riguardo quell’imboscata che le aveva teso e una punta di rabbia le si montò dentro.
- Non mi sono accorta di te mentre venivo qui, questo significa che sei venuto dopo che io sono entrata… – lo fulminò con gli occhi fiammeggianti – Da quant’è che lo sai?
Levi sostenne lo sguardo: - Non ha importanza.
Lei fece un passo verso di lui digrignando i denti: - Decido io se non ha… – si fermò all’improvviso e alzò la testa di scatto verso una finestra dell’edificio di Erwin, quando questa si illuminò all’improvviso. Prese Levi da una spalla che, colto di sorpresa, si lasciò spingere sul tronco di un albero su cui Siri lo premette con la schiena. Lei quindi, tenendo un braccio davanti a lui, si sporse dall’altro lato, oltre l’albero, per guardare gli alloggi del comandante, a quella distanza ridotta Levi poté vedere meglio i suoi occhi: erano rossi, lo erano altrettanto le palpebre inferiori, segno che aveva pianto.
Dopo alcuni secondi, Siri si rilassò e gli si piantò davanti minacciosa, afferrandogli il colletto della camicia iniziò a sibilargli contro: - Tu credi ancora che il mio lavoro sia un gioco, non è vero? Mettiamo subito in chiaro questa cosa: non tengo solo alla tua di fiducia, Levi. Seppur in parte odio essere una spia, io sono una persona leale e tu non sei l’unico a cui devo dimostrarlo.
- Non sono qui perché non mi fido di te.
Sorrise ironica: - Pensi che sia stupida? Non siamo più a questo punto, mi sembra di capire. – lo lasciò andare e lo spinse contro la corteccia, ma lui non accennò a barcollare. Siri si scostò e spostò di nuovo lo sguardo in alto verso l’edificio. Sospirò pesantemente e poi, guardandolo disse: - Allontaniamoci di qui, se Erwin ti vedesse… Cazzo che nervoso, cammina davanti a me.
- Con chi credi di parlare?
- Mi faresti il piacere, capitano, di camminare davanti a me, per favore? – si spostò di fianco a lui e gli mise una mano sulla spalla e lo spinse piano in avanti – Non è il momento giusto per giocare a chi tira più forte la fune tra i due.
Si guardarono di sottecchi, quindi Levi obbedì e iniziò a camminare davanti a lei, seguendo le indicazioni sporadiche della spia ogni qualvolta gli dicesse di spostarsi un po’ più a destra o a sinistra. Quando si furono allontanati abbastanza, Siri alzò il passo e lo raggiunse.
- Che ficcanaso, chi l’avrebbe mai detto. Avanti, perché stavi spiando il capo degli spioni? Hai forse paura che diventi la favorita di Erwin?
- Non me ne potrebbe importare di meno di Erwin. Siri. – si fermò e quindi lei dovette girarsi a guardarlo. Le bastò uno sguardo per capire, quindi sospirò e si diresse verso la foresta, abbandonando il sentiero.
- Seguimi boss.
La seguì in silenzio mentre s’inoltravano nella foresta, fino a quando non spuntarono davanti al lago che si trovava a qualche minuto di cammino dal quartier generale. Siri si sedette sull’erba davanti la riva che rifletteva la luce pallida della luna.
- Allora… non voglio nemmeno sapere da quanto lo sai, piuttosto m’interessa il come.
Levi la raggiunse e si sedette accanto a lei.
- Ti ho sentita parlarne con Hange qualche giorno fa.
Siri rise e scosse la testa, lisciandosi le bende sulle braccia: - Lo immaginavo. Incredibile… – sospirò, per l’ennesima volta quella sera, appoggiò le braccia sull’erba dietro di sé – Lo sai tenere un segreto?
Si scrutarono in silenzio a vicenda, la spia decise quindi di rivelargli il motivo delle sue visite. Levi rimase a contemplare la superficie dell’acqua mentre apprendeva quelle informazioni, quando ebbe realizzato come tutto avesse finalmente un senso, pensò di essere stato davvero stupido a non accorgersene, soprattutto a lasciar galoppare la sua paranoia. Ebbe l’impulso di andare da Erwin e parlargli, però Siri, finito il discorso, gli poggiò una mano sul braccio che teneva poggiato in avanti sulle ginocchia.
- Ti prego, promettimi che non andrai a parlarne con Erwin. – gli si addolcì lo sguardo quando lei lo guardò supplichevole – Se ci andrai capirà, anche se non farai riferimento a me, che sono stata io a parlartene e… non potrei mai perdonarmi il fatto di aver tradito la sua fiducia.
Levi tornò a guardare davanti a sé: - Va bene. – a quelle parole Siri si lasciò cadere sull’erba e distese le gambe con sollievo. Rimasero a fissare l’uno l’acqua e l’altra il cielo stellato, fino a quando poi lui non prese coraggio e le fece quella domanda imbarazzante: - Quindi, tu ed Erwin… Non c’è niente tra voi?
Siri si risedette con uno slancio: - COSA?! Sei sicuro di sentirti bene?! 
Levi ruotò gli occhi e non incrociò il suo sguardo risentito.
- Prima balbetti…
- Non ho balbettato.
- So cosa ho sentito. Poi ora mi chiedi questo, ma per chi mi hai presa… se vuoi quando torniamo passiamo dall’infermeria e ti visito. 
La sentì schioccare la lingua sul palato, mentre nel suo corpo si spandeva un certo sollievo. Poi si voltò verso di lei quando gli diede una lieve spintarella sulla spalla: - Sono un soldato professionale, ho una certa faccia tosta, ma nemmeno così spudorata.
Allo sguardo torvo di Levi, Siri scoppiò in una risata: - Scusa, è che è un’idea così assurda!
Effettivamente, ripensandoci, era davvero senza senso. La risata della spia era abbastanza contagiosa e, mischiato al sollievo che aveva provato quando gli aveva smentito quell’improbabile accoppiamento, sorrise anche lui.
- Io sto benissimo, piuttosto se non la smetti di ridere sarai tu quella a dover andare in infermeria.
Lei sventolò una mano in aria per poi abbracciarsi le gambe e poggiarvisi col busto.
- Anch’io godo di buona salute, boss. Non preoccuparti troppo che io riesca a sopravvivere anche fuori dalle mura.
- Mz. – volse il capo verso di lei che già lo guardava – Io sono sopravvissuto a trentasei spedizioni, tu invece a zero. – disse, imitando il numero con indice e pollice.
Siri, di tutta risposta, spostò un angolo della bocca verso il basso, beffarda, e disse: - Io sono sopravvissuta a ventisette delle mie missioni in due anni, tu solo ad una – alzò una mano e lei, invece, imitò il numero uno col dito medio sorridendo, mentre lui contrasse un muscolo della mandibola per sforzarsi di non ridere – La mia ratio è maggiore della tua.
Lo sguardo di Levi si ammorbidì come lei gli aveva visto fare quella notte in infermeria, non credeva potesse avere il privilegio di vederlo di nuovo e improvvisamente fu colta da una strana sensazione che non provava da tantissimo tempo mentre lo sentiva dirle: - Nelle spedizioni le due parti non sono eque. Devi affrontare dei giganti.
- Beh, non è che le mie fossero altrettanto eque, gente grossa e forte il doppio di me.
- Non avrebbero comunque retto il confronto. – a quelle parole, Siri avvampò e le guance le divennero rosse, portò una mano a nascondere quella che rivolgeva verso di lui e si mise di profilo. Era riuscito a scalfire il suo muro impenetrabile, ma non voleva che tutto si riducesse a chi riusciva a strappare più vulnerabilità dall’altra. Dopo poco, lei si rigirò verso di lui, che non tradiva alcun imbarazzo, e gli si avvicinò, poggiandosi con un braccio teso sull’erba gli disse con tono divertito: - Mh, con quel pareggio ti ho proprio ferito nell’orgoglio.
Il tono di Levi si abbassò e senza distogliere gli occhi dai suoi le disse: - Semmai mi hai reso più orgoglioso.
Siri era confusa perché con quella frase l’aveva lasciata senza parole. Non c’era alcuna traccia di ironia o sarcasmo, sgranò gli occhi e socchiuse le labbra cercando qualcosa con cui replicare, ma la sua testa era letteralmente svuotata, pensava solo a seguire il suo istinto e i suoi sentimenti. Sentiva il cuore martellarle nel petto, era perfettamente consapevole di cosa significasse, sperava ingenuamente che fosse solo il momento, ma non poteva mentire a sé stessa. 
Levi la lasciò ancora più impressionata quando si sporse verso di lei e, quasi a chiederle il permesso con lo sguardo, le avvicinò una mano sulla guancia senza però toccarla. Siri deglutì, combattuta dal resistere o buttarsi a capofitto: alla fine non resistette, poteva leggere negli occhi di chi aveva di fronte le stesse sensazioni. Joshua non le aveva mai chiesto se potesse baciarla, lui, lo realizzò con gli anni, la trattava come una cosa che possedeva. Levi la stava trattando come una sua pari, come chiunque avrebbe dovuto trattarla.
Erano così vicini che potevano sentire il respiro l’uno dell’altra, Siri rilassò lo sguardo e piegò la testa facendo aderire la sua guancia nella mano ruvida di Levi che l’accarezzò dolcemente, per poi far scivolare le dita dietro le orecchie. La spia quindi chiuse gli occhi, si sporse e poggiò le labbra sulle sue: aveva un che di familiare, come se avesse già vissuto quel momento. Realizzò che era effettivamente così, quello che le era sembrato un sogno non aveva nulla di finto e improvvisamente, come un’eco lontano, le tornarono alla mente alcune delle parole di Levi.
- Le mie mani sono anche più sporche delle tue, da quando ne ho memoria. Non sei sola.
Con uno schiocco si staccò da Levi e portò una mano sul suo viso, gli scostò i capelli dalla fronte e la fece scivolare sul suo capo e poi sulla guancia. Lui la guardò stranito: la ragazza aveva gli occhi lucidi e quando posò la fronte contro la sua le scesero inconsapevolmente delle lacrime. Portò quindi anche l’altra mano sul suo viso, afferrandoglielo con una presa salda ma delicata.
Lui ne esprimeva poche di emozioni, lei invece troppe.
Siri prese fiato e chiuse gli occhi.
- Non era un sogno, vero?
Levi osservava il suo viso nella penombra della sera: - No. – lei quindi lo abbracciò portandogli un braccio dietro la schiena, mente l’altra mano affondava nei capelli sopra la nuca.
Dimmele ancora… – gli sussurrò nell’orecchio – Dimmi ancora le parole che mi hai detto quella sera. 

Note: perdonatemi l'immenso ritardo, ma è stato un po' più complicato questo capitolo, credo ci fossero più personaggi qui che in tutti gli altri. spero di non tardare troppo col prossimo.
 
  
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