Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Ahiryn    11/04/2022    2 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Silas

XVI



Silas era sdraiato sul lettino accanto a lui in quella tenda soffocante fuori da Orenburg. Il volto era graffiato e sporco, gli occhi chiusi e il corpo nascosto da una coperta ruvida.
Starà bene?
Voleva guardarlo ancora, ma quando si voltò per controllarlo un’altra volta non trovò nessuno.
Il letto della pensioncina era vuoto.
Passò entrambe le mani sul volto, mentre il sogno si allontanava in un groviglio sfocato. Non gli piaceva sognare il passato, soprattutto quando riguardava Silas.
La stanza era illuminata dalle luci fioche dell'alba e al suo interno non c’era nessun altro a parte lui.
Si tirò a sedere con una smorfia, aveva un gran mal di testa. La nausea gli arpionò lo stomaco e lasciò uscire un verso che era a metà fra un rantolo e un lamento.
Si era addormentato con gli abiti della sera prima, aveva i capelli ingarbugliati, un'ombra di barba e alcuni ematomi sul viso.
Silas non era rientrato.
S’inumidì le labbra secche, aveva la bocca impastata e cercò la brocca d’acqua. Bevve un sorso, poi bagnò il collo e la nuca.
Ripensò alla notte prima con disappunto.
Aveva combinato un vero disastro.
Decise di riempire la tinozza e immergerci direttamente il viso. L’acqua fredda gli pizzicò il volto, ma gli diede qualche sollievo rispetto ai pensieri oppressivi che lo tormentavano.
Non poteva dire di non essere più arrabbiato, Silas aveva passato il limite, ma avrebbe dovuto gestire tutto con molta più calma, senza toccare tutti quei nervi scoperti.
Gli ho detto che lo avrei riportato in cella a morire.
Ributtò la faccia nell’acqua e la tirò fuori a malincuore.
Era da un po' che si tormentava con quel pensiero e s'interrogava su che cosa fare.
Riportare Silas in cella era troppo pericoloso.
Avrebbe potuto spifferare tutto sull'evasione e le infrazioni di Kieran, magari non gli avrebbero creduto o magari sì.
Inoltre, per quanto poco importante, Kieran non voleva vedere Silas morire.
Chiuse la manopola arrugginita e le tubature cessarono di lamentarsi. L’acqua era fresca, ma non aveva un odore piacevole. Andò alla piccola finestra e scrutò fuori, distratto.
Lo aveva voluto morto per i primi anni, ma la rabbia poi era scemata. A volte si riaccendeva, sapeva che tutto il rancore e il dolore erano ancora lì, ma le motivazioni di Silas erano complesse quanto le sue.
Non era riuscito a ucciderlo alle Steppe e anche prima del processo aveva provato a evitargli la condanna a morte.
Erano tentativi deboli, perché la sua determinazione era debole. Sapeva che a guidarlo erano sentimenti irrisolti e il bisogno di addormentarsi con la scusa "almeno ci ho provato. Sono diverso da lui".
Ma poi si era spinto troppo oltre.
Che cosa voleva farne di lui?
Si logorava in cerca della risposta. Si era spinto fin lì e per cosa? Non poteva tornare indietro, non poteva riportarlo in cella, dargli una pacca sulla spalla e continuare con la sua vita come se nulla fosse. Non dopo tutto ciò che era successo.
Il suo desiderio di fuggire lo spaventava, era sempre più immenso e incontrollabile.
C'era una soluzione alternativa: fingere la morte di Silas.
L'unico modo era spezzare il vincolo e fingere di aver ucciso Silas. Avrebbe raccontato che il vincolo era uno stratagemma di Vaukhram e che Kieran non era mai stato davvero in pericolo di vita. Avrebbe dovuto riportare delle spoglie, ma con la collaborazione di Silas forse ce la avrebbe fatta.
Questo piano però necessitava della condizione che Silas sparisse dalla circolazione, e Kieran faticava a credere che avrebbe accettato. Era pur vero che la Legione lo aveva ripudiato, non aveva più la sua magia per i sigilli e i danni che poteva provocare erano minori.
Ma se si fosse messo in mostra? Se fosse venuto fuori che Kieran aveva mentito?
Forse a quel punto non sarebbe più importato. Avrebbe spostato Henry e tutte le persone della tenuta il più lontano possibile dalle zone centrali, in qualche terreno sperduto verso il bosco dei miraggi. Lì i controlli erano inesistenti.
Gli investimenti che aveva fatto nel campo industriale sarebbero bastati.
E lui? Lui sarebbe sparito.
Quel pensiero gli dava un sollievo indescrivibile. L'idea di sparire nel nulla, di lasciarsi tutto e tutti alle spalle.
Frenò quel sogno a occhi aperti e cercò di rallentare quei pensieri. Doveva restare con i piedi per terra, pensare a un problema alla volta.
Devo trovarlo.
Non aveva intenzione di scusarsi, soltanto di parlargli con più calma e lucidità. Prima però doveva capire dove diavolo fosse finito.
 
 *
 
Il primo luogo da cui decise di iniziare le ricerche fu lo stesso da cui era fuggito il giorno prima.
Non sapeva come indagare nei pressi della Dama Rossa senza rischiare di incombere in qualche tirapiedi criminoso.
Era plausibile che Silas si fosse rifugiato lì dopo essersi riconciliato con la Dama, per quanto sperava che non fosse così stupido.
Se soltanto il vincolo gli avesse indicato precisamente la sua ubicazione, ma percepiva soltanto che era ancora in città e doveva accontentarsi.
Aveva nascosto il capo con un cappello da gentiluomo e sbirciava l’ingresso del bordello dall’angolo di un edificio storto.
Il tempo era stato inclemente, aveva ricominciato a nevicare sui tetti asimmetrici delle case di Moslon. Alcuni bambini correvano per le strade strillando le ultime notizie e vendendo i giornali per una moneta, le maschere color bronzo avevano piccole scritte sui lati a indicare la professione di quei ragazzini. La mattina erano tutti molto indaffarati, gli operai si erano già recati nelle fabbriche e le donne invadevano le strade; giravano da una bottega all’altra con i volti coperti e i capelli nascosti da cuffie o scialle.
‒ Avevate detto che la vostra merce non viene da Black’s Creek. Ma mia figlia ha vomitato per giorni. Anche queste vengono dalla baia? ‒ domandò diffidente una signora mentre esaminava le verdure.
Il mercante si sistemò la maschera sul volto, che sembrava stargli un po’ larga e aveva una lente in vetro scheggiata. ‒ Mia signora, mi offendete, la mia verdura è soltanto importata. Vostra figlia si sarà ammalata per altri motivi. Non vedete il verde brillante?
Quasi nessuna donna teneva per mano i figli, la maggior parte preferiva lasciare i bambini chiusi in casa, lontano dalle esalazioni.
Kieran pensava con amarezza a quei ragazzini chiusi fra quattro mura, senza potersi sfogare. Nella sua infanzia non gli erano mai mancati gli spazi dove correre, giocare, saltare, il villaggio e poi il Buco erano il suo mondo da esplorare, dagli edifici abbandonati alle misteriose fognature.
‒ Fammela vedere tesoro, aprimi le gambe ‒ implorò un uomo ridendo alla donna che fumava fuori dal bordello.
La ragazza avvolte da un vaporoso abito succinto gli accennò un sorriso, ma non ubbidì all’ordine e continuò a fumare, poggiata contro il muro.
Potrei pagare qualcuno per entrare e controllare. Se solo non avessi finito i soldi.
‒ Oh tu sei il bel ragazzo che accompagnava Silas, non ti riconoscevo con la maschera. Posso aiutarti?
Sussultò e si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con la ragazzetta che si trovava all’ingresso del bordello l’ultima volta che erano stati lì.
Le guance rosse gli occhi giovani erano cerchiati dalla stanchezza. Non era abbigliata come l’ultima volta, aveva un cappotto scuro legato sul collo, e un foulard intorno ai capelli. Non portava una maschera, forse si era allontanata per una manciata di minuti. Teneva sottobraccio un cesto di frutta.
‒ Liv… giusto?
‒ Corretto. Non preoccuparti, la Dama non vi sta più cercando.
Riassunse un po’ di contegno. ‒ Oh, beh, ottimo. Ti ringrazio per l’informazione.
La ragazza si sporse oltre di lui. ‒ Come mai sei qui da solo? Cercavi compagnia?
La strizzatina d’occhio gli suscitò imbarazzo e indignazione. ‒ Cosa? Assolutamente no! Ero qui nei paraggi.
Liv scrollò le spalle. ‒ E dove hai lasciato Silas? Sta bene?
Non lo aveva visto dunque. Non era passato per il bordello. Questo gli dava un certo sollievo che non avrebbe dovuto provare.
‒ Sì, sta bene, te lo saluterò.
Liv gli porse una mela. ‒ Gliela porteresti? Adorava le mele di Moslon quando era qui, vengono dal bosco vicino, sono importate. Per scusarmi…
Kieran prese il frutto verde con un certo divertimento. ‒ Gliele sbucciavi tu immagino ‒ commentò ironico.
Silas in Accademia era molto viziato sul cibo, spizzicava il piatto allontanando tutto ciò che non appariva commestibile ai suoi occhi, come avrebbe fatto un bambino. Spesso rifilava a lui quello che non mangiava alla mensa, e Kieran era molto meno schizzinoso.
Dopo pranzo sbucciava sempre una mela e ne offriva metà a Silas, che si rifiutava di mangiare la buccia. Era diventata un’abitudine.
Liv rise in modo forzato, come se Kieran stesse dicendo una battuta che lei non aveva compreso.
‒ Oh no, Silas le divorava con tutta la buccia. Era famelico. Ora devo andare o la Dama mi farà punire. Saluta Silas da parte mia!
Kieran rimase impalato con la mela in mano. Non si era neanche premurata di dargliene due.
Era stato sciocco con quel commento, Silas non aveva avuto aiuti una volta fuggito dall’Accademia, doveva essere giunto a Moslon con una fame disumana. Inoltre, dubitava che la Dama gli permettesse di fare lo schizzinoso col cibo pagato da lei.
Si doveva essere arrangiato.
Ripensò a ciò che aveva gridato contro Silas la sera prima e un’ondata di rimorso lo investì.
No. Nessuno l’ha costretto a tradire. Nessuno l’ha costretto ad andarsene. Nessuno l’ha costretto ad affrontare questo schifo piuttosto che rimanere.
Già.
Aveva preferito l’infamia, la fuga, la fame, la prostituzione e la violenza piuttosto che la sua vita dorata nella famiglia Vaukhram.
Silas aveva tutto.
Potere, soldi, bellezza, magia. Non gli mancava niente, aveva servitori pronti a stendere tappeti ovunque camminasse e tutte le strade innanzi a lui aperte. Una carriera gloriosa che lo attendeva nel Ferro, offerte di matrimonio come se piovessero, una villa che probabilmente era grande quanto l’intero Buco dov’era cresciuto Kieran.
E aveva rinunciato a tutto. Aveva abbandonato tutto per una vita di stenti, di umiliazioni, di morte e combattimenti.
Perché?
Se lo era chiesto molte volte, senza osare pronunciarlo; ma era una domanda in cui inseriva sempre sé stesso. Perché mi ha lasciato? Perché non mi ha mai detto nulla?
Non si era mai fermato a pensare a un altro perché. Perché aveva rinunciato a tutto?
Aveva spesso pensato che non avesse perso certi privilegi, che avesse conservato una bella sommetta di nascosto, ma non era così.
D’altronde quella notte era successo tutto all’improvviso, Silas non doveva essere pronto alla partenza; le indagini avevano rivelato che il piano della Legione prevedeva un ruolo molto più a lungo termine per Silas, ma quella notte i loro piani erano andati a rotoli. Silas era dovuto fuggire frettolosamente, senza soldi né altro.
In un vezzo di ribellione addentò la mela.
Masticò la polpa friabile con un’espressione contrariata. Non era affatto buona, forse si era abituato male negli ambienti altolocati che aveva preso a frequentare.
E forse per il Silas affamato e in fuga non aveva fatto differenza il sapore.
Chissà se quando le mangiava pensava mai a lui.
 

Girovagò per i vicoli fatiscenti di Moslon senza sapere bene dove andare o dove cercare, passò per la stradina dove Silas lo aveva baciato per prenderlo in giro e ripensò a quell’evento con fin troppo imbarazzo.
Di Silas non c’era traccia e lui sentiva la frustrazione crescere passo dopo passo. Era sempre così, lui che inseguiva e cercava quel bastardo, per parlarci, per ucciderlo, per scusarsi. Silas non era uno che rendeva mai facile qualcosa, alla prima difficoltà lasciava tutto e spariva. Era un comportamento ingiusto che feriva più della rabbia e degli insulti.
Guardò verso l’alto, dove sorgeva il palazzo del Governatore. Non poteva essere stato così sciocco da recarsi lì, giusto? No, sarebbe stato davvero troppo pericoloso.
Il dubbio non lo abbandonò le ore dopo, mentre continuava a passeggiare con il volto coperto dalla maschera. Dopo la notte prima aveva ancora la voce roca e la bocca riarsa, aveva inalato troppi fumi di quel posto.
Ogni tanto buttati fra la neve c’erano corpi di mendicanti troppo poveri per comprarsi una maschera; gli occhi apparivano cisposi e la bocca era coperta da uno straccio di tessuto bagnato.
Camminò fra i pontili del lago, sprofondati per metà nella melma e nelle acque torbide. C’erano alcune chiatte che facevano avanti e indietro fra le banchine e le fabbriche dall’altra parte del lago. Le maschere dei pescatori e dei braccianti erano molto più spesse, di un metallo sporco e spesso, le lenti in vetro large come fondi di bottiglia. Avevano l’intero corpo protetto da tute scure, da guanti e da grossi anfibi ai piedi. Toccare la melma del lago doveva essere tossico ormai. Malgrado ciò si vedevano comunque alcuni bambini soli correre lungo le sponde a piedi nudi, incuranti delle pozze scure che calpestavano. Raccoglievano le cianfrusaglie affondate nella melma, rovistavano, come topi nella spazzatura.
Come hanno ridotto questo posto. Nessuno dovrebbe vivere così.
Ormai Moslon importava quasi tutto, compreso il pesce; c’erano ancora pescatori che si spingevano sul lago, ma le creature vive erano poche e tossiche.
Si raccontava che il lago di Moslon fosse abitato da selkie un tempo, da una piccola corte di fate acquatiche che lo rendevano rigoglioso. Dalle cronache del Ferro sapeva che era vero, ma erano state spazzate via molti secoli prima.
‒ Dove diavolo si è cacciato quell’idiota.
Silas continuava a non essere da nessuna parte. Fu quasi tentato di chiedere aiuto a Helkins ma rinunciò per i rischi.
La neve scricchiolava sotto i suoi stivali, mentre lui ripercorreva nella mente la serata prima, ciò che era stato detto e che non si poteva rimangiare.
Aveva sognato l’Iniziazione, forse perché litigare con Silas gli aveva riportato alla mente quel primo vero litigio serio. Quel primo confronto.
A volte sentiva ancora le urla mentre Visnia stritolava e lacerava la mano di Silas. I mesi dopo non erano stati semplici per nessuno dei due, fra incubi notturni, sensi di colpa e riabilitazione… Silas era stato l’ombra di sé stesso per settimane, l’incapacità di stringere le dita sull’elsa lo aveva colpito più del previsto.
Anche negli anni dopo Silas aveva sempre impugnato le armi nella mano sinistra. Kieran non ci aveva dato più peso, acciecato dalla rabbia, ma ogni volta che Silas aveva avuto difficoltà a respingere un suo attacco o una sua stoccata, la ragione stava proprio nell’Iniziazione. Silas era uno spadaccino eccezionale e quel giorno aveva perso la possibilità di impugnare correttamente la spada con la destra. Imparare daccapo con la sinistra era stato stancante e faticoso per lui.
Si fermò in mezzo alla strada e sollevò il viso verso il cielo, dove nuvole grigiastre si erano annidate. La neve scendeva flemmatica e si poggiava sulle sue ciglia.
Silas. Silas. Silas.
Era come un malessere di cui non riusciva a fare a meno, aveva il suo nome sempre in bocca, sempre in testa, nel passato, nel presente e nel futuro, aveva contaminato tutta la sua vita, ogni spazietto, ogni anfratto. Non riusciva a passare una manciata di minuti senza nominarlo o pensare a lui, senza odiarlo, senza sentire la sua mancanza o avvertire il peso del tradimento. Era un mal di testa che non andava via, s’interrogava sulle sue azioni fino a essere nauseato, fino a capirci meno di quando aveva iniziato a pensarci.
Era stanco di stare dietro ai suoi giochetti, voleva parlare con franchezza.
Ancora un po’.
Sarebbe stato dietro a quel gioco ancora per un po’.
 
 
Susanne era molto meno appariscente con abiti di tutti i giorni, ma ci teneva a mostrarsi sempre elegante. Con il corpetto celeste che le alzava i seni, le maniche bombate, la lunga gonna in stile impero dai bordi ricamati. I capelli erano legati in uno chignon che lasciava due piccole ciocche bionde arrotolate. Gli orecchini di metallo stonavano su quell’accostamento delicato di colori.
Kieran si sentiva molto rozzo col suo cappotto lungo di pelle marrone, gli stivali consunti e la faccia di chi aveva dormito poco e male. Seduto sul divano di quel piccolo salottino elegante aveva paura a sfiorare qualsiasi cosa, dai servizi di porcellana sul carrello, alle statuette esotiche poggiate sopra il caminetto acceso, al tavolino in vetro su cui la domestica stava poggiando il tè e un ricco assortimento di biscotti e macarons.
Sembrava un piccolo soggiorno usato soltanto dalla ragazza, le pareti erano tappezzate da librerie con una scala in legno che scorreva fra di esse, c’era un divano lungo su cui sdraiarsi e due poltroncine. Un gatto panciuto dormiva ozioso sul davanzale imbottito della finestra, mentre un grosso cane stava accucciato di fronte al camino.
Susanne era seduta sulla poltroncina come una regina e sorrise alla domestica. ‒ Grazie Mary, puoi andare. Se qualcuno chiede di me, dì che non voglio essere disturbata.
‒ Ma certo signorina ‒ rispose quella, ritirandosi.
La porta in fondo al salottino si richiuse in un cigolio.
Con un gesto delicato della mano lo invitò a bere. ‒ Prego.
Kieran ubbidì e prese la tazza di porcellana. Accavallò le gambe e cercò di non mostrare quanto fosse a disagio.
Quella stanza profumava di lavanda e legna bruciata, il tè odorava di bergamotto, ma il puzzo dei vicoli melmosi di Moslon era ancora nelle sue narici, e forse anche addosso a lui.
‒ Ieri sono stata… troppo aggressiva. Volevo rimediare, prego, non fare complimenti.
Kieran bevve un sorso e accettò un biscotto dal piattino che gli porgeva. Era tutto delizioso.
La ragazza versò un po’ di latte nel proprio tè e intinse del miele. ‒ Vedere Silas in salute mi ha fatto ricredere su di te. So che hai ancora il coltello dalla parte del manico, ma almeno non sei un brutale assassino.
‒ Il brutale assassino è lui, in realtà ‒ replicò con un certo livore.
Si pentì subito del tono e aggiunse del miele anche al proprio tè. Magari poteva aiutare.
Susanne non negò e bevve un sorso. ‒ Hai ragione, non giustifico le sue azioni. Come mai sei qui, Kieran? Credevo che doveste partire.
Si era scottato la lingua e poggiò un attimo la tazza. ‒ Mi chiedevo… se Silas si nascondesse qui.
La ragazza sbatté le palpebre e represse un sorriso con educazione. ‒ Oh cielo, pensate che gli abbia dato asilo da voi?
Non raccolse la provocazione. ‒ Voglio solo sapere se è qui.
‒ Può darsi. O può darsi di no. Prima vorrei parlare con te.
‒ Non sono qui per questi giochetti, mia signora ‒ e pronunciò l’ultimo appellativo con un certo sarcasmo.
Susanne lo ignorò e osservò distrattamente un quadro alle sue spalle. ‒ C’è una domanda che mi sono sempre posta negli anni, e ora posso rivolgertela; mi sono sempre chiesta quanto tu sapessi di lui, delle sue motivazioni.
Stava cercando di prendere tempo? Non lo sapeva, ma non riuscì a esimersi dal rispondere.
‒ A parte urlare slogan politici e ripetere quattro concetti utopistici sui Discendenti, non mi ha mai detto nulla. Se con te lo ha fatto, beh, sei fortunata.
Detestava quella punta di gelosia nella sua voce. Bevve il tè nel tentativo di nascondere il tono dell’ultima frase.
Susanne ticchettò il bracciolo della poltroncina con l’unghia. ‒ No, non ha mai voluto parlarmene. Molte persone non vogliono parlare del proprio passato per riservatezza. Credo che Silas invece provi vergogna e paura per quello che si è lasciato alle spalle.
‒ Non so se Silas conosce il significato della parola vergogna… ‒ ironizzò.
Susanne accennò appena un sorriso. ‒ Di recente sono stata a Cajasca, vicino all’enorme complesso di fabbriche dei Vaukhram. Hanno eretto un monumento per le vittime dell’attentato, vederlo mi fa sempre molto effetto. Sai come andò esattamente?
Kieran lo sapeva eccome. Solo a ripensarci lo stomaco gli si torse e il viso si adombrò. ‒ Certo che lo so. Silas ha commesso una strage ingiustificata.
‒ Intendo: conosci i dettagli?
Sospirò. ‒ Conosco il modo di agire della Legione e di Silas. Hanno colpito le fabbriche delle più potenti famiglie della Gardenia, dei governatori delle regioni e dei nobili. Di quelle che hanno molti Discendenti. Li hanno danneggiati economicamente. Ogni membro squilibrato di quel gruppo ha il suo metodo, a Silas piace proporre patti e alternative, per giocare.
‒ Per offrire una salvezza.
Agitò la mano, seccato. ‒ Per piacere. Non è così e quella strage lo dimostra.
‒ Non mi hai ancora risposto: conosci i dettagli?
S’inumidì le labbra. ‒ Cornell Vaukhram era nella fabbrica metallurgica quel giorno, per controllare alcuni conti. Silas e il Cinghiale avevano passato i mesi prima a far girare opuscoli e giornali clandestini fra gli operai, alcuni dei quali si erano arruolati fra le loro fila; altri li avevano comprati con i soldi, altri ancora erano membri della Legione stessa. Hanno occupato la fabbrica e Silas ha offerto a suo cugino Cornell lo stesso patto che offre a tutti: venire allo scoperto così che loro non avrebbero toccato gli altri dipendenti, o rimanere nascosto mettendo in pericolo gli operai.
Quello era il modus operandi di Silas.
La scelta.
Tu o loro.
Kieran non aveva mai capito il perché di quel metodo, ma aveva sempre mostrato un suo codice malato e distorto in questo.
Colpiva quando era certo che i proprietari fossero nel territorio della fabbrica, così da poterli ricattare. Se il proprietario della fabbrica accettava di venire allo scoperto per proteggere gli operai, Silas risparmiava sempre tutti. Creava danni ingenti ai macchinari e manometteva in modo definitivo l’edificio, ma non toccava nessuno, neanche il responsabile.
Se si rifiutava, lo andava a prendere con la forza e non era raro che nelle fabbriche scoppiasse il panico e la violenza.
Ma quella volta, la sua primissima operazione, qualcosa doveva essere andato storto.
Cornell Vaukhram si era rifiutato di uscire allo scoperto dalla camera blindata della fabbrica, che era occupata dalla Legione. Aveva abbandonato gli operai al loro destino.
Il Cinghiale era il membro più cruento della Legione, e doveva aver agito per conto suo, prendendo la fabbrica con la forza e uccidendo chiunque gli si opponesse. Con l’arrivo dei gendarmi nella fabbrica era avvenuta poi una vera carneficina.
Silas si era preoccupato solo di uccidere suo cugino, senza curarsi della strage che aveva scatenato col suo giochetto.
‒ Cornell si è rifiutato e lui e il Cinghiale hanno ucciso tutti.
Susanne lo fulminò. ‒ Non andò così.
‒ Ti sbagli.
‒ Ho parlato con diversi operai e responsabili sopravvissuti al massacro. Silas cercò di calmare il Cinghiale, e la violenza avvenne da entrambi i lati. I gendarmi spararono indistintamente.
‒ Silas iniziò quel gioco del caz-… q-quel maledetto gioco, sapeva che suo cugino non sarebbe mai venuto allo scoperto, ha messo in mezzo persone innocenti.
Susanne abbassò lo sguardo. ‒ Hai ragione. Ma era un ragazzino.
‒ Aveva diciott’anni, un’età sufficiente per sapere che poteva trasformarsi in un bagno di sangue.
‒ Non aveva mai partecipato alle operazioni della Legione, gli hanno affiancato il Cinghiale perché sapevano che non gli avrebbe permesso di tirarsi indietro. Tu vedi la Legione come un gruppo di esaltati e pazzi che agiscono senza un senso. Ma ti sbagli. La Legione è in tutto e per tutto una fazione che si oppone al governo. Sono finanziati e ben organizzati, hanno contatti con la Tela, hanno ranghi e gradi molto rigidi, hanno ordini e condanne per insubordinazione. Silas è un loro ufficiale, non è un pazzo che agisce come vuole. Quella era la sua prima operazione e ha cercato di fermare la strage, ma non era abbastanza importante per essere ascoltato.
Kieran non voleva sentire. Susanne era fin troppo di parte, dimenticava che oltre a quella c’erano stati altri episodi, altri eventi, Silas aveva ucciso fin troppe persone, perfezionando il suo metodo.
‒ Non capisco dove tu voglia arrivare.
Susanne aveva finito il tè, mentre quello di Kieran si era freddato. Lo bevve per non darlo a vedere, gli capitava di continuo quando era agitato.
‒ Ti sei mai chiesto perché chieda a queste persone di scegliere se consegnarsi o lasciar morire i propri dipendenti?
‒ Perché adora tenerli in pugno.
Scosse la testa. ‒ Mi deludi, Kieran. Tu sei stato molto tempo con lui e sai che c’è un’ombra atroce dietro queste scelte, queste parole. Un trauma terribile.
‒ Un trauma ‒ ripeté, asciutto.
‒ Credi che sia soltanto pazzo?
Esitò. ‒ In parte, credo che odi la sua famiglia e per delle buone ragioni, ma che questo non giustifichi tutta la violenza.
‒ Sai di sua sorella maggiore?
Il modo in cui cambiava argomento e poneva le domande somigliava quasi a un interrogatorio. Quella ragazza avrebbe fatto faville fra i gendarmi. Continuava a disorientarlo e a metterlo in difficoltà. Senza accorgersene aveva cominciato a sudare.
‒ Euphemia Vaukhram?
Annuì. ‒ Sai com’è morta?
Non ne era sicuro. ‒ Di malattia, Silas mi disse che morì di malattia.
‒ Euphemia venne uccisa dai Vaukhram.
Kieran allargò appena gli occhi. ‒ Lo dici con una certa sicurezza ‒ osservò e si schiarì la voce.
Susanne si poggiò contro lo schienale. ‒ Ho indagato, grazie ad alcune conoscenze. Euphemia era l’erede dei Vaukhram, ma era una spia della Legione. Ha coinvolto Silas quando aveva undici anni.
‒ Undici?
Non riuscì a trattenersi.
Undici anni? Che cos’avevano da chiedere dei terroristi a un ragazzino di undici anni?
Non aveva idea che il suo coinvolgimento fosse così in là nel passato.
‒ Sì, undici. Capisci quindi che l’influenza di sua sorella e della Legione è stata molto opprimente per tutta la sua vita. I Vaukhram scoprirono di Euphemia e la uccisero. È molto difficile ottenere informazioni, ma alcuni ex-dipendenti parlano di altri fratelli e sorelle, misteriosamente scomparsi…
Kieran era scettico. ‒ Si dicono molte cose sui Vaukhram, non vedo perché tu dovresti sapere tanti dettagli. Voci di corridoio e calunnie non sono prove, cara. Perché vuoi trovargli per forza una scusa? Non ti fa sembrare lucida e oggettiva.
Susanne perse un attimo quella sua calma fredda e serrò le labbra. ‒ Lui ha mentito anche a me, sai? Ho cercato risposte… qualcosa. I Vaukhram sono esseri spregevoli e lo sai. Dici a me che sono poco lucida. E tu? Quanto ti ha plagiato il Ferro? Non riesci a pensare con la tua testa?
La rabbia tornò prepotente. ‒ Intanto io non ho mai fatto saltare in aria fabbriche.
‒ Hai dato ordine di una Purga però.
Quell’osservazione freddò le sue parole. Rimase imbambolato con la bocca mezza aperta, chiedendosi come diavolo facesse a conoscere quella storia.
‒ È una faccenda diversa.
‒ Oh non lo pensi davvero. La corte della Mirante, gli ufficiali stanziati in quella zona hanno firmato l’autorizzazione della Purga. C’era anche la tua firma.
L’accusa bruciò più di quanto si fosse aspettato. Forse perché la aveva temuta per anni.
‒ Le fate avevano massacrato i villaggi nei dintorni, avevano rapito e ucciso contadini, viaggiatori, mercanti, tutti quelli che attraversavano quelle zone o ci vivevano. La Mirante aveva perso il controllo, aveva violato gli accordi, sapeva a che cosa andava incontro.
Susanne si sporse e abbassò la voce. ‒ E questo giustificava lo sterminio di tutte le fate sotto il suo dominio? Ettari bruciati, fate fatte a pezzi, bambini uccisi…
‒ Molti furono risparmiati.
‒ Pochi. Le spoglie che ottenne il Ferro però furono inestimabili. Credevi davvero che fosse l’unica soluzione o lo hai fatto per la tua carriera? Ti fruttò un avanzamento di grado o mi sbaglio?
Kieran si alzò in piedi di scatto e la porcellana sul tavolino tremò. ‒ Non parlare di cose che non conosci, sputi sentenze dal tuo castello dorato, come se avessi la più pallida idea di che cosa patiscano i guerrieri di Ferro mandati sul campo. Quelli erano i miei uomini, i miei compagni, uccisi come carne da macello da una fata impazzita. Sai che cosa si prova a trovarsi di fronte a una matriarca fatata e a chiederti se la tua morte sarà veloce o lunga e insopportabile?
‒ Hai percepito accusa nella mia voce? Sto soltanto dicendo che recrimini a Silas quello che hai commesso anche tu.
Kieran non sapeva come replicare. Sapeva di non doversi giustificare, ma non sopportava quelle accuse.
‒ Ero un ufficiale di basso grado che doveva essere riabilitato a causa delle puttanate di Silas. Hai idea delle pressioni che mi hanno fatto per firmare quel documento?
Susanne non lo guardava. ‒ Non so perché tu me lo dica, non credo ti interessi il mio di perdono.
‒ Non cerco il… ah lascia perdere. È stato un errore venire qui.
Afferrò il cappotto che si era sfilato e la maschera, li prese sottobraccio e fece due passi verso la porta.
‒ Partecipasti alla Purga?
Si fermò vicino l’uscita del salottino e si voltò.
‒ No. Il Feldmaresciallo mi richiamò altrove. So che fu…
‒ Un bagno di sangue.
Si passò le mani fra i capelli. ‒ D’accordo, ho capito, io e Silas siamo disgustosi allo stesso modo. Dove vuoi arrivare? Perché ti importa che io lo perdoni?
Si spazzolò il vestito dalle briciole dei biscotti ed evitò il suo sguardo. ‒ Perché devo trovare un senso a… voi. Non mi ha permesso di aiutarlo, ma lo avrebbe permesso a te.
Pronunciò l’ultima sillaba fra i denti, in un atteggiamento che aveva ben poco dell’eleganza eterea che aveva mostrato fino a quel momento.
Kieran sentì un sorrisetto spuntare sul proprio volto contro la sua volontà. ‒ La gelosia non vi si addice ‒ la scimmiottò.
Lei voltò lo sguardo, irritata. ‒ Non è gelosia la mia, è soltanto il mio terribile vizio a voler primeggiare. I miei pensieri sono occupati da… qualcun altro.
Non approfondì ma vide gli zigomi colorarsi appena.
Chissà quale scellerato si è trovata questa volta.
Pensò, con una punta di meschinità. Sapeva di essere l’ultimo a poter parlare.
‒ Silas è qui o no?
‒ No. Non è passato. Ma ha sempre avuto un certo gusto per il melodramma, sarà a bere da qualche parte se lo hai offeso.
Ci mancava soltanto che la Falena andasse in giro ubriaca a far sapere a tutti che era a piede libero.
‒ Non sei stata d’aiuto.
‒ Non era mia intenzione esserlo, Campione.
 
*
 
Kieran rientrò alla pensioncina che era notte fonda; lo stomaco gli brontolava e in pochi giorni li avrebbero sfrattati. I biglietti per l’aeronave avevano validità cinque giorni, ma di questo passo non sapeva se le cose si sarebbero aggiustate per allora.
Rimase seduto a letto con la pancia vuota e una sensazione di abbandono fin troppo familiare.
Lo stava facendo di nuovo.
Kieran aveva parlato in modo troppo aspro e Silas era sparito, proprio come dieci anni prima.
Diede un calcio alla sedia più vicina, rabbioso.
È un vero figlio di puttana.
Ringhiò nella sua mente, furioso. Gli sembrava quasi di essere dentro a qualche mito perverso degli antichi, una costellazione ferma nel cielo, sempre intenta a raggiungere qualcuno che non avrebbe mai afferrato. Sempre alle calcagna di qualcuno che gli sarebbe sempre sfuggito.
Come se io volessi tutto questo. Non doveva andare così.
Perché non aveva misurato le parole? Forse Silas voleva ingannarlo o forse… no, l’altra opzione lo terrorizzava ancora di più. L’idea che stesse provando a rassicurarlo e forse a confidarsi.
Voleva crederci, voleva abbandonarsi a quella prospettiva, ma non poteva permetterselo.
Che cosa sto facendo?
Chissà dove si sarebbe trovato se avessero giustiziato Silas settimane prima. Una voce gli suggeriva che non se la sarebbe passata tanto meglio.
Devo dormire. Domani cercherò nei pub.
Guardò verso la finestra storta e sgangherata, domandandosi se Silas non stesse dormendo all’aperto fra i fumi tossici. Da solo.
 

Passati altri due giorni, aveva iniziato a perdere le speranze. Senza soldi e senza cibo si trascinava in giro per la città, afferrando chiunque gli ricordasse Silas di corporatura e chiedendo in giro di lui. Oscillava fra momenti di rabbia e rassegnazione, voleva rinunciare a cercarlo, aspettare che tornasse da solo, ma non era nel suo carattere.
La pensioncina lo avrebbe mandato via l’indomani e lui non sapeva più che cosa fare.
Senza Silas non poteva partire, o la lontananza li avrebbe uccisi. Ma restare lì in quelle condizioni sarebbe stato impossibile.
Aveva contattato Helkins solo per poter mangiare, gli aveva dato appuntamento in un pub e si era fatto offrire del cibo. Non aveva mai avuto problemi a sfruttare le persone o a manipolarle, quel tipo di orgoglio apparteneva più a chi non aveva dovuto ingannare la gente fin dall’infanzia per andare avanti. Era vero però che lo infastidiva, perché non riusciva a credere di essersi ridotto a questo.
Helkins era stato più professionale e aveva condiviso con lui la sua pista; era così precisa, che Kieran non era neanche riuscito a godersi il pasto tanto atteso.
Helkins sospettava che Silas fosse stato aiutato dall’interno.
Per sua fortuna le sue ipotesi riguardavano più che altro l’intervento del Diaspro o di qualche mago, perché l’evasione era difficile da spiegare e la magia usata doveva venire da un artefatto potente.
Il gessetto gli era pesato nella tasca e per qualche secondo si era chiesto se ci fosse un modo per usarlo, per trovare Silas.
Kieran però non sapeva quasi nulla di magia, se non qualche fattura elementare; senza la guida di Silas non avrebbe saputo neanche da dove iniziare, gli artefatti non erano come oggetti onnipotenti capaci di accogliere le richieste e realizzarle. Dovevano essere studiati e maneggiati in un certo modo. Funzionavano come le armi; lo stocco più pregiato e appuntito sarebbe stato comunque inutile nelle mani di qualcuno che non aveva mai praticato la scherma.
Kieran allora si era prodigato per depistare Helkins. L’importante era parlare di supposizioni e anche contraddirsi o ritrattare, accogliere i suggerimenti di Helkins stesso o innestargli un’idea.
Di solito era facile lasciare che un proprio piano maturasse nella mente dell’interlocutore tanto da convincerlo di aver avuto lui quell’idea senza l’influenza di nessuno.
Helkins però era più acuto di così e non fu facile. Parlarono per quasi due ore, consultarono le mappe, ordinarono altro da bere.
Kieran aveva il vantaggio della conoscenza, ma non doveva tradirsi.
‒ Se capiamo la sua destinazione, lo avremo in pugno.
Già.
Gli sembrò quasi di vedersi dall’esterno; un corrotto, un manipolatore, pronto a sabotare le indagini e a coprire un terrorista.
Verso la fine della serata, avevano stabilito di seguire due piste diverse così da coprire più terreno. Kieran sarebbe andato verso Cajaska, Helkins verso Grayville.
Era inutile dire che Kieran non si sarebbe mai recato davvero lì. Ma avrebbe incluso Helkins nel piano; se avesse finto la morte di Silas, avrebbe dato metà del credito a lui, così da evitare che facesse ulteriori indagini.
Quando il pub era ormai pieno soltanto di gentiluomini ubriachi e giocatori incalliti, Helkins aveva messo via le carte e aveva offerto a Kieran una pinta di birra. L’atteggiamento professionale aveva lasciato il posto a un viso più rilassato e a un sorriso indagatore. Si era acceso un sigaro e aveva iniziato a chiedergli della sua vita, di alcune voci su lui e una donna non identificata.
Kieran gli aveva fatto credere di essere brillo, così da fargli abbassare la guardia.
‒ Voglio sapere una cosa sola Reed. È vero che te lo sei scopato?
La domanda gli aveva suscitato parecchio fastidio, ma aveva bevuto per nascondere la smorfia.
‒ Perché lo pensi?
‒ Perché molti lo pensavano, quando eravate cadetti.
Kieran aveva un braccio poggiato sul legno del tavolo. Voleva davvero andarsene.
‒ No, non è mai successo.
‒ Dici sul serio? Ah lo sapevo, sei un tipo troppo rigido. Ti ho messo in imbarazzo? Dimentico che sei ancora un moccioso per alcune faccende. Non prendertela, gli aristocratici sono tutti degli snob con una scopa nel culo in fin dei conti.
Helkins non parlava in modo derisorio, era curioso e malizioso. Gli piaceva parlare di argomenti ritenuti tabù, aveva un interesse per la sessualità degli altri che era quasi genuino, il suo modo di spiazzare le persone e scandalizzarle.
Kieran voleva rispondergli di pancia, sbottare che non erano argomenti appropriati, che non voleva ripetersi, che non erano affari suoi. Ma era una buona occasione per far credere a Helkins di avere qualcosa su di lui, che Kieran si fidava al punto da aprirsi.
Si finse nervoso, ma non dovette impegnarsi molto. ‒ Una volta ‒ mentì. ‒ Una volta sola. Ma non mi piace parlarne. È stato uno sbaglio giovanile.
Helkins scoppiò a ridere e ordinò un’altra birra. ‒ Oh se solo i miei sbagli avessero quell’aspetto ‒ sghignazzò ubriaco.
La sera continuò ancora con quel tenore finché il proprietario non gli chiese di andare via. Kieran era sobrio, ma finse una camminata barcollante. Helkins iniziò a parlare di una festa a casa di un fabbricante di maschere molto abile e molto libertino.
Kieran si ritrasse e, dopo averlo salutato, s’incamminò verso la pensioncina.
Almeno quella serata, per alcune ore, era riuscito a togliersi Silas dalla sua mente. Era inconcepibile come una persona assente potesse essere così opprimente e ingombrante. Non era lì, eppure risucchiava ogni pensiero, ogni riflessione.
Ritornò nella pensioncina accompagnato da piccole fitte speranzose. Forse era rientrato, forse era dentro.
Ma quando aprì la porta, si ritrovò di nuovo solo. Gli oggetti erano tutti allo stesso posto, nessuno era passato.
Richiuse la porta con delicatezza e assaporò la delusione amara di tornare in una stanza vuota. Era intrappolato in una sorta di pantomima tragicomica del suo passato, le stesse emozioni, le stesse speranze e le stesse delusioni. Ma se in passato ci si abbandonava disperatamente, ora era più consapevole. Avrebbe dovuto sapere che Silas non sarebbe tornato, lo avrebbe torturato ancora col suo distacco, il suo sangue freddo. Come riusciva a mantenere quell’atteggiamento imperturbabile?
Si abbandonò sul letto, stanco. La sua mente era fiacca, provata, perché si perdeva negli stessi percorsi ancora e ancora. Fra un vicolo cieco e un altro riuscì a trovare il sonno.
 
 *
 
‒ Che idea ti sei fatto sul maestro Francis e la sua morte?
Kieran sentì la propria voce porgere la domanda, ma finse di non sentirla. Continuò a guardare le fitte righe del tomo di magia che stava studiando.
‒ Vauk? Non ignorarmi!
Due mani gli chiusero il libro con uno sbuffo e alzò gli occhi. Osservò il proprio volto di fronte a sé, ma più giovane, più sorridente, meno scavato.
‒ Lo stavo leggendo quello ‒ si udì borbottare.
La voce di Silas. La propria voce.
Un altro sogno. Sono di nuovo Silas.
Sentiva più nitidezza rispetto all’ultima volta, ma non aveva il controllo. Alcuni elementi si sfocavano, i volti sparivano e si ricomponevano come un’immagine riflessa nell’acqua, un mondo specchiato e deforme.
‒ Pensi che lo abbiano ucciso? ‒ chiese a voce bassa.
Silas si riprese il libro e non rispose.
Kieran sapeva di doversi allontanare da quel sogno, da quei ricordi, ma stavolta scelse di rimanere.
Voleva sprofondarci dentro, scavare, esporre ogni pensiero, ogni emozione. Voleva smontare la mente in cui si trovava, la mente legata alla sua e vedere se fra tutte quelle bugie e quegli atteggiamenti costruiti ci fosse… Silas.
‒ Non lo so, Reed, potrebbe essere stato un suicidio. Altrimenti questo posto pullulerebbe di guerrieri del Ferro e gendarmi, avrebbero interrogato tutti i cadetti.
La verità che veniva distorta dalle sue parole. A quel tempo Kieran era ancora troppo inesperto per cogliere quella bugia, ma ora la percepiva chiaramente. Una mezza verità era sempre il modo migliore di mentire.
Il maestro Francis era precipitato dalla balconata della torre del telegrafo, schiantandosi al suolo. Il gesto era stato dichiarato un suicidio all’inizio, ma poi era venuta fuori col tempo la colpevolezza di Silas.
La sua prima vittima.
Scava.
Qualcosa gli faceva resistenza. Una forza che si opponeva al suo rovistare, che tentava di scacciarlo, di bloccarlo.
Doveva essere la mente di Silas. Era ben più forte di molte altre alle magie, era temprata e allenata, inoltre il suo sangue fatato gli concedeva una certa resistenza.
‒ Ti ho chiesto che cosa pensi davvero ‒ mormorò il Kieran del ricordo, tamburellando sul proprio libro di storia del Ferro.
Silas studiava il volto di Kieran con emozioni che lo imbarazzarono. Non aveva mai pensato che qualcuno potesse vederlo a quel modo. La linea della mascella, gli occhi grandi e caldi, i capelli rossi disordinati. Avvertiva l'affetto e il desiderio di Silas, un'emozione intima e innocente, segreta.
Ma era un sentimento superficiale. Doveva andare più a fondo.
Silas abbassò il viso e tornò a osservare il tavolo, ma la vista era sfocata.
Tremava.
Kieran voleva sfondare ogni resistenza e setacciare il sogno fin nei suoi anfratti più intimi, ma si fermò prima di violare la mente e i ricordi di Silas.
Lasciami entrare.
Non fece alcuna forza, ma le emozioni di Silas lo invasero. All’inizio fu un brivido, una sensazione, poi fiorirono ovunque e lo pervasero.
Paura.
No, vero e proprio terrore. Un fiume in piena che non si era aspettato, si sentì travolgere. Terrore che Kieran potesse scoprirlo, che tutti potessero scoprire ciò che aveva fatto.
Era stato un incidente, avevano lottato e il maestro era precipitato di sotto. Lo aveva sorpreso mentre comunicava con la Legione, non avrebbe dovuto usare il telegrafo…
Lo avrebbero ucciso, lo avrebbero smembrato. Avrebbero indossato le sue ossa e la sua carne come ninnoli da consumare. Come avevano fatto con sua sorella, come avevano fatto con tutti gli altri. Sarebbe stato capace di uccidersi prima? Lui non voleva morire.
E Kieran lo avrebbe scoperto. Lo avrebbe odiato e ripudiato come tutti gli altri. Doveva dirglielo, doveva confessare, doveva chiedergli perdono per quegli anni di bugie, spiegargli ogni cosa, spiegargli dei Vaukhram.
In quel modo lo avrebbe solo coinvolto di più. Doveva prendere le distanze, smettere di rivolgergli la parola, allontanarlo di fronte a tutti, prenderlo a pugni. Se lo ripeteva ogni settimana, e ogni settimana era di nuovo lì.
Finché era stato con Susanne era riuscito a toglierselo dalla testa, a mettere una distanza fra di loro, ma adesso era di nuovo al punto di partenza.
‒ Silas? Ti senti poco bene? Stai sudando.
Le dita di Kieran gli sollevarono una ciocca e lui si ritrasse bruscamente. Trattenne il fiato e ogni emozione.
‒ Sto bene. Sono solo stanco.
Si afflosciò sulla sedia e decise di smettere di pensarci. Fai tuo quel male. Rigetta il sangue.
 
 *
 
Kieran rinvenne dal sogno con un sapore acido in bocca, ma evitò di muoversi perché sentì qualcosa di freddo premuto contro la gola.
‒ Non muoverti.
La voce di Silas era bassa e ferale.
Sbatté le palpebre per mettere a fuoco, mentre riprendeva coscienza dal sonno.
Sembrava ancora notte fuori dalla pensioncina, il vento ululava contro i vetri e le persiane sbattevano; la neve si era accumulata sul davanzale e alcuni spifferi gelidi invadevano l’interno.
Kieran però era concentrato soltanto sulla figura di fronte a lui, illuminata debolmente da una candela che tremolava a ogni spiffero. La cera era colata ovunque e lo stoppino si era quasi consumato del tutto per la sua dimenticanza.
Silas era accanto a letto con un pugnale in mano. La sua silhouette era poco visibile nella penombra, ma quando la candela lo illuminava proiettava un’ombra ben definita sul muro e mostrava gli occhi violetti febbricitanti. Aveva i lacci della blusa slacciati e i capelli sciolti coperti di brina, come se si fosse precipitato da lì senza aspettare che finisse la tempesta.
‒ Silas?
Non riuscì a nascondere il sollievo nella propria voce impastata dal sonno. Era così felice di vederlo che si vergognò di quell’emozione, ma non gli importava di reprimerla in quel momento, voleva soltanto parlare.
‒ No, sono il Gran Consigliere ‒ rispose con un’alzata d’occhi vertiginosa.
Kieran tentò di tirarsi a sedere, ma la lama spinse contro la pelle in modo doloroso.
‒ Non muoverti.
‒ Non essere sciocco, se mi uccidi morirai anche tu.
Silas non sembrò intimorito dalla minaccia. ‒ Forse è quello che farò. Brutto figlio di puttana, hai approfittato del vincolo per scavare nei miei ricordi.
Se n’è accorto?
Lo stesso Kieran ne era a malapena cosciente. ‒ Eri sveglio? Dov’eri? Dove sei stato?
‒ No, dormivo, ma l’ho percepito. Ho studiato la magia molto più di te, hai tentato di violare i miei ricordi. Sei davvero un bastardo…
Cercò di fare movimenti lenti. ‒ Non l’ho fatto per scoprire segreti sulla Legione. È stato… non ho resistito.
Sentì una puntura sulla gola e fu certo che si fosse aperto un piccolo taglietto.
‒ Che scusa ridicola sarebbe? Se userai il vincolo per leggere nei miei ricordi, allora tanto vale morire qui. I miei pensieri sono miei, miei e di nessun altro. I sogni su di te mi sono stati forzati e ho cercato di rispettare la tua mente. Sciocco da parte mia credere che avresti avuto lo stesso rispetto.
Si sentì colto in flagrante, ma non aveva agito per ledere. ‒ Posso parlare? Mi togli il coltello dalla gola?
Silas sembrò valutare davvero se ascoltarlo oppure no. Aveva gli occhi offuscati.
‒ Perché dovrei farlo? Io morirò in ogni caso, o mi sbaglio?
La mano era ferma, ma la voce esitava. Kieran notò solo in quel momento che appariva provato. Dov’era stato in quei giorni? Dove aveva dormito, che cosa aveva mangiato?
‒ Perché non voglio dire ciò che devo dire con un pugnale puntato alla gola. Non voglio che sembri condizionato da questo.
Silas aggrottò la fronte a quelle parole, perplesso. Ritrasse il polso e rinfilò il coltello nel piccolo fodero al fianco.
‒ Tanto posso sempre tagliare la mia di gola per ucciderti. Anche se non mi darebbe la stessa soddisfazione.
Il tono teatrale strappò quasi un sorriso a Kieran, ma lo abbandonò presto e s’inumidì le labbra.
‒ Innanzitutto, dove sei stato? Ti ho cercato ovunque.
Silas si chinò per sfilare gli stivali fradici che aveva ai piedi e si sgrullò la neve dai lunghi capelli scuri. ‒ Non sono stato al freddo se ti preoccupi per me ‒ rispose con tono stucchevole. ‒ Avevo bisogno di trascorrere qualche giorno senza vedere la tua faccia.
Kieran annuì in modo distratto. ‒ Moslon non è così grande, ma non sono riuscito a trovarti. Sei sempre stato bravo a sparire.
‒ Non così bravo ‒ lo contraddisse e accese un’altra candela con un fiammifero. ‒ O non mi avresti mai preso.
La luce proiettò subito le loro ombre sui muri scrostati. Fuori il vento era talmente violento che sembrava che una creatura stesse tentando di forzare la loro finestra.
‒ Non ti riporterò in cella.
Silas ripose i fiammiferi e spostò gli occhi su Kieran con lentezza estenuante.
‒ Cosa stai dicendo?
Un lampo illuminò a giorno la stanza. Si passò le nocche sulle labbra secche, pensieroso. ‒ Non ti riporterò da loro, quando avremo spezzato il vincolo, ognuno andrà per la propria strada.
Fu pervaso da un sollievo che non credeva possibile, una sensazione corroborante di libertà. Pensare che aveva rimandato così tanto quella decisione nella sua testa, terrorizzato, e sarebbero bastate poche parole per farlo sentire meglio. Aveva temuto che il senso di colpa lo soverchiasse, ma invece si rimpicciolì, si eclissò di fronte a un trionfante ed egoistico sollievo.
Aveva già provato quella sensazione e sapeva quanto fosse pericolosa, ma di recente aveva assaporato il piacere di scacciare un onere insostenibile e non era pronto a rinunciarci.
La vita di Silas non finirà per causa mia. Non sarò io il giudice né il boia.
Era debole, codardo o forse soltanto egoista, non gli importava. Quella non era una decisione che prendeva per Silas. Quella era una decisione che prendeva per sé stesso.
Doveva andare fino in fondo.
Aveva respinto con tutte le sue forze l’oppressiva presenza di Silas nella sua mente, la aveva rifiutata, soppressa, denigrata. E non era servito a nulla, anzi, aveva peggiorato tutto.
Se Silas era così influente sulle sue azioni, sul suo umore, sulla sua vita, era giunto il momento di smettere di averne paura e di iniziare a capire il perché.
Forse non ci sarebbero state altre occasioni.

 

Ciao! Vi chiedo scusa per questa lunga pausa, ma mi sono cambiati gli orari a lavoro e ho dovuto un attimo riabituarmi. Un capitolo di passaggio, ma importante per Kieran e la sua risoluzione. Malgrado il titolo il povero Silas è comparso poco ^^'', ma è stato centrale.
Nel prossimo avremo finalmente un benedetto confronto.
A presto e grazie mille per la pazienza e i commenti, risponderò a quelli che mi mancano domani, vi chiedo scusa se a volte ci metto tanto, ma voglio rispondere in modo approfondito a quello che mi dite! Buona lettura :)
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Ahiryn