Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moby9090    12/04/2022    0 recensioni
Confusa dai mille pensieri, si mise finalmente a letto, dove, riosservando le sue gambe nude, pensò a come sarebbero state senza quell’infinità di lividi.
‘Dormi Mikasa’
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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SOLLIEVO
 
 
Erano ormai passati tre anni dallo scontro che aveva coinvolto tutta l’umanità.

Il mondo sembrava essersi tranquillizzato, molte cose erano cambiate, ed in positivo. Certo, non poteva parlarsi di pace assoluta, ma di sicuro quello, sembrava essere un buon inizio.

Aveva appena compiuto trentatré anni, aveva perso due dita, quasi un occhio ed una gamba. Si trovava in una condizione alquanto irritante per uno come lui. Uno che amava la perfezione, la pulizia e l’ordine. Tre elementi che aveva sempre cercato di mantenere su sé stesso e su quello che gli stava attorno.

Negli anni, rimuginandoci sopra, si era ritrovato spesso pentito di non aver compiuto prima quel gesto. Quella condizione di insubordinazione nella quale si era ritrovato braccato aveva sempre fatto vacillare quel desiderio recondito di agire con la sua testa e farla finita, prima che accadessero altri episodi spiacevoli. L’estrema curiosità di Erwin di conoscere la verità dalle labbra del suo nemico lo aveva portato alla morte e quello stesso desiderio svilente inculcato nel suo sottoposto aveva quasi ucciso Levi.

Al termine della grande battaglia fu ricoverato d’urgenza.

Grazie alle conoscenze di Onyankopon fu trasferito in un importante ospedale di Londra. Gabi e Falco si presero cura di lui, andando a trovarlo tutti i giorni e facendo da tramite fra i medici e la regina Historia.

Fu proprio grazie all’aiuto economico di Historia, che riuscì a sottoporsi a diverse operazioni chirurgiche: i medici londinesi gli dissero che il suo occhio destro non aveva completamente smesso di funzionare, ma che in pratica era stato inglobato dai tessuti rattoppati da Hanjie.

Una volta appurati tutti i problemi fisici che lo affliggevano e le possibili cure da applicare, in primis gli furono ricucite le ferite sull’occhio, in modo tale da permettergli l’apertura della palpebra, facendo sì che si riabituasse alla luce, con la speranza che potesse recuperare più vista possibile.

Per quanto riguardava il resto degli squarci sul suo viso, le grosse e ancora fresche cicatrici gli furono disinfettate e suturate con cura. Anche in questo caso, i medici non gli nascosero l’ovvietà del fatto che le avrebbe portate con sé per tutta la vita, rassicurandolo però sul fatto che avrebbe potuto camuffarle grazie a delle cure mediche specifiche.

D’altro canto, se per le sue dita mozzate non vi era stata alcuna soluzione, per la sua gamba spezzata dovette portare un gesso per qualche mese, utilizzando la sedia a rotelle e affrontando successivamente delle sessioni di riabilitazione.

 
***

 
I primi mesi furono tremendi, mangiava poco, aveva spesso la febbre ed il suo umore era pessimo. Viveva come una salma, non rivolgeva la parola a nessuno e a mala pena faceva qualche cenno con gli occhi.

Un anno dopo, ancora in ospedale, ricevette un’inaspettata visita. Era Historia.

La regina, ormai una giovane donna, si era recata al suo capezzale per comunicargli che il suo periodo di cure stava per terminare e che gli offriva un lavoro a vita come Generale Responsabile Superiore delle Carceri dell’Isola di Eldia. E non solo.

Avrebbe ricevuto un ingente risarcimento di guerra, degli onori militari, oltre che uno stipendio a vita.

Quella donna gli stava offrendo una seconda possibilità.

Inizialmente non le aveva dato risposta, era depresso e scocciato. Non aveva ancora rivisto il resto del 104° e sapeva poco e niente della situazione nel mondo.

Era certo che non avrebbe potuto più combattere come una volta e dentro di sé percepiva un vuoto, un qualcosa di inspiegabile che voleva trattenerlo nel limbo in cui si era ritrovato dopo la guerra. Non era sicuro di avere la voglia di ricoprire nuovamente un ruolo del genere, e soprattutto senza sottostare ai comandi di qualcuno. Forse sarebbe stato meglio aprirsi un negozio di tè ed infusi.

Poi, in balia di un’ultima speranza, decise di accettare.

E così, risvegliatosi da quel languido torpore che lo faceva sentire inerme, si trasferì nella capitale, acquistò una casetta in campagna, non troppo lontana dal centro e vicina al cimitero cittadino dei militari caduti in guerra. Quindi, dopo un anno e mezzo di fermo, tornò a lavorare.

A poco a poco, era tornato ad avere una routine giornaliera.

Si svegliava all’alba, svolgeva le faccende domestiche e si incamminava verso il carcere. Lavorava fino alle sei del pomeriggio e poi faceva visita al cimitero. Ogni giorno, cambiava i fiori ai suoi compagni caduti in guerra e un’ora dopo, ripartiva verso casa. Che piovesse o fosse buio a lui non importava affatto. Non mancava mai a quell’appuntamento serale che si era prefissato. La sera, preparava qualcosa da mangiare e, prima di andare a letto, si coccolava con una bella tazza di tè caldo.

Tutto sommato, non gli era andata affatto male. Viveva in una bella casa, aveva ottenuto un buon lavoro, visitava il palazzo reale ogni fine settimana per il consueto pranzo della domenica ed aveva un buon rapporto con Historia e la sua famiglia. Insomma, poteva dirsi anche tranquillo.

Ma no, in realtà non lo era affatto. Era frustrante ritrovarsi a vivere come un umano qualsiasi. Non aveva amici e oltre che svolgere le solite quattro cose al giorno, il resto era tutto spento e irritante. Ogni tanto si occupava di riordinare la biblioteca militare, ma per il resto non aveva alcun obiettivo se non quello di sopravvivere. La sua vita non aveva più tanto senso, era triste, molto triste.

 
***

 
Un giorno, tornando a casa, notò una lettera infilata sotto il portone. Historia, dopo tanti convenevoli, e cercando di essere il più delicata possibile, gli aveva consigliato di mettere su famiglia. Per una serie di svariati motivi: avere una moglie amorevole, dei figli da crescere, qualcuno a cui lasciare il suo cognome e le sue proprietà. Inizialmente fu solo stizzito dalle parole della donna, poi, si riscoprì abbastanza irritato.

A lui, come anche in passato, non erano mai interessati i legami amorosi o familiari. Per cui, sempre per iscritto, inviò a palazzo una risposta alquanto risentita e negativa in merito alla questione sopra citata.

Non voleva nessuna donna accanto, non aveva desideri sessuali tali da doversi sfogare con qualcuno e di certo non aveva intenzione di procreare. Al limite, avrebbe assunto una persona che si occupasse di lui durante la vecchiaia e avrebbe lasciato tutto ai vivi, una volta morto. Poco gli sarebbe importato che fine avrebbero fatto i suoi averi, sottoterra.

Negli anni, aveva, tra le varie cose, sviluppato un senso di rabbia nei confronti dei suoi sottoposti del 104° Corpo di Ricerca. Tranne qualche sporadica occasione, non aveva avuto più modo di parlare con loro, non si facevano mai vivi (escluso Armin con il quale comunicava via posta ogni fine mese), e di certo non doveva essere lui a cercare loro.

Chi non aveva proprio più incrociato era stata Mikasa. Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere ad Armin che fine avesse fatto, ed in giro si diceva che vivesse sola e come una contadina nelle campagne di Shinganshina, vegliando ogni giorno sulla tomba di Eren. Per carità, era possibile.

 
***

 
Come ormai faceva da qualche anno, si diresse verso la tomba di Eren. Era solita rilassarsi in sua compagnia nel primo pomeriggio, facendosi cullare dal vento che soffiava su quelle montagne ricche di erba, foglie e grano. Ripensava al suo sguardo, alla sua voce ed a tutti i bei momenti passati insieme. L’avrebbe amato per sempre, il suo Eren. Sarebbe sempre stata la sua colonna portante, la spina dorsale che l’avrebbe sorretta per tutta la vita. Il suo vero e unico amore, Eren.

Poi, però, ogni giorno il cielo si faceva scuro, e doveva tornare alla realtà. Doveva affrontare il fatto di essere una giovane donna sola, in una casa enorme, che cercava di sopravvivere e di andare avanti. In cuor suo, avrebbe voluto solo tornare indietro, ed egoisticamente avrebbe voluto rivivere in loop la sua vita con Eren fino al giorno della sua morte.

Sbuffando, si alzò da terra e decise di tornare a casa. La sua dimora constava di un salotto, tre camere da letto e due bagni comodi. Un alloggio un po’ troppo spazioso per una tipa solitaria come lei, ma l’unico costruito così vicino a lui. Inoltre, dinanzi alla sua abitazione aveva creato un piccolo orto, dal quale ricavava diversi prodotti che impiegava in cucina, proprio come facevano i suoi genitori.

Ma cos’era diventata Mikasa in quei tre lunghi anni? Una povera contadina in passione? Una vedova addolorata in isolamento volontario? Non proprio.

Qualche tempo prima, oltre a ricevere il suo risarcimento per aver partecipato alla grande guerra, Historia l’aveva letteralmente costretta a rivestire nuovamente un ruolo istituzionale: era diventata Responsabile Superiore nel settore delle Immigrazioni sull’isola di Eldia. Insomma, si occupava di controllare chiunque arrivasse sul territorio eldiano.

L’unica condizione che aveva imposto alla regina era stata quella di rimanere nell’anonimato. Purtroppo, la sua figura era diventata oggetto di grande curiosità da parte delle alte cariche dello stato e dei pettegolezzi della gente comune.

Per cui, lavorava per corrispondenza o recandosi in incognito sul posto di lavoro, aveva dei fedeli collaboratori che la informavano sul da farsi e di tanto in tanto si recava a palazzo per comunicare delle informazioni riservate alla regina.

Non frequentava nessuno. Armin era l’unico che l’andava a trovare ogni mese e che passava qualche giorno in sua compagnia. Con il resto dei suoi compagni si sentiva per posta, ma evitava di incontrarli. Per lei era troppo presto. Doveva ancora superare del tutto il suo grande dolore.

Forse, un giorno, sarebbe di nuovo uscita alla luce del sole.

 
***

 
Tornata a casa, una volta raggiunta la porta d’ingresso, notò una lettera col sigillo reale sul pavimento.

Alzò gli occhi al cielo. Historia aveva di nuovo voglia di ciarlare. Sì, quelle lettere private avevano un unico scopo: farle cambiare idea sulla sua prospettiva di vita. In realtà, avevano solo il potere di irritarla e di rovinarle la giornata.

Non aveva bisogno di un marito e nemmeno di un figlio.

Entrò in casa, e dopo essersi tolta il cappotto di dosso, si buttò sul divano, tentando di aprire la busta della lettera. Poi, ne lesse il contenuto ad alta voce:

Cara Mikasa, come stai? Io sto molto bene, ti scrivo questa lettera per informarti che si avvicina il compleanno del mio adorabile bambino. So che non hai voglia di vedere o sentire nessuno, ma sarà una festa privata. Mi farebbe tanto piacere che tu partecipassi, almeno potrei finalmente farti conoscere mio figlio. Ti aspetto tra un mese a palazzo, manderò una carrozza a prenderti. E non scomodarti per il vestito, ne sceglierò uno adatto a te… Ho fatto acquistare anche una macchina fotografica per l’occasione, così la proviamo insieme, che ne dici? Ti voglio tanto bene.
Tua, Historia Reiss.
 
Ah, che pesantezza. Ogni volta cercava di includerla in qualche festicciola familiare. Non aveva alcuna voglia di presentarsi in pubblico. Sicuramente, l’avrebbero riempita di domande sulla sua vita privata, vista la sua assenza da qualsiasi tipo di evento. Quindi, meglio evitare.

 
***

 
UN MESE DOPO
 
Maledizione, Historia era riuscita a fregarla. L’aveva fatta chiamare con una scusa ed ora si ritrovava rinchiusa in una stanza del palazzo reale e per giunta fasciata da un abito elegante.

Qualche ora prima aveva mandato delle donne a conciarla in quel modo ridicolo: le avevano fatto fare un bagno caldo, sistemato i capelli e persino fatto il trucco. Poi, senza badare alle sue lamentele, le avevano fatto indossare un abito blu notte, composto da un corpetto ed una gonna lunga e morbida. Provò un forte imbarazzo nell’osservare il suo petto prosperoso enfatizzato ancora di più dalle linee di quell’abito. Inoltre, indossava dei gioielli appariscenti e avvertiva chiaramente il dolore dei tacchi sotto le piante dei piedi.

La sua pazienza aveva un limite, cosa significava tutto questo? Osservò la sua figura allo specchio. I suoi lunghi capelli erano stati acconciati in un semi raccolto e le sue braccia scoperte erano state fasciate da dei lunghi guanti blu.

Diamine! Historia voleva per caso metterla in bella mostra dinanzi a qualche ricco signore della capitale?

Che squallore. Se solo avesse potuto avrebbe spaccato tutto. Ci era proprio cascata. E non aveva alcuna via di fuga, tra l’altro. Ogni finestra era stata sigillata e la porta era chiusa a chiave. Poteva definirsi un vero e proprio sequestro di persona.

D’un tratto riconobbe una figura familiare fare il suo ingresso in camera.

- “Mi spieghi cosa diavolo stai tramando alle mie spalle?” – urlò Mikasa con fare minaccioso verso Historia.

La biondina rise di gusto. Questo atteggiamento fece alterare la mora ancora di più. Strinse i pugni sui fianchi.

- “Vieni con me, Mikasa. Quando saremo uscite di qui capirai tutto…” - così, la regina prese a braccetto la sua ex compagna di guerra e si incamminò verso la sala da pranzo reale.

Mikasa era senza parole, tutto le sembrava troppo strano e alquanto bizzarro. Ma non riusciva a proferire parola…

Era tutto un sogno vero?

Le luci dell’enorme salone quasi la abbagliarono e non poté non rimanere a bocca aperta osservando le suntuose decorazioni che erano state posizionate sui soffitti affrescati. Cascate di fiori abbellivano ogni angolo di quell’immensa stanza e poi, notò un immenso banchetto ed una imponente orchestra che riempiva di dolci melodie quell’atmosfera sfarzosa e principesca.

Poi, abbassò lo sguardo verso i presenti. Vi era tutta l’alta società eldiana, alcuni vecchi soldati e… loro.

I suoi compagni.

Armin, Annie, Jean, Connie, Reiner, Gabi, Falco, Onyankopon e persino Pieck e Niccolò. C’erano tutti quanti. Da quanto tempo non li vedeva? Erano davvero tutti lì, con un sorriso stampato in viso.

Le sue guance si fecero rosse dalla vergogna, era rimasta davvero a bocca asciutta. Poi, voltò lo sguardo verso Armin.

- “Hey Mikasa, ci sei mancata sai?” –

Non riuscì a trattenere le lacrime. Stese le braccia ai lati del corpo e abbassò lo sguardo.

- “Anche v-voi” - fece timidamente lei, crollando in un pianto liberatorio.

Li abbracciò tutti, le erano davvero mancati. Pianse, a suo modo, ma pianse. La festa si trasformò in una vera e propria rimpatriata. Non le interessava che degli sconosciuti potessero scorgere il suo lato più intimo e tenero. Un’improvvisa voglia di vita la travolse, si stava, per la prima volta, rilassando?

Quella sera ballò, rise, mangiò e bevve in abbondanza. Lei ed Annie avevano persino scherzato insieme. No, non poteva essere vero.

Verso mezzanotte si ritrovò sudata e con il corpetto che le dava ancora più noia, visto che si era completamente appiccicato alla sua pelle. Decise di prendere una bella boccata d’aria su uno dei balconi dell’immenso salone.

Alzò lo sguardo verso il cielo, che magnifico spettacolo: le stelle brillavano luminose in cielo e un leggero venticello le scompigliava i capelli, donandole un po’ di sollievo. Appoggiò le mani sul grande parapetto della balconata e sorrise chiudendo gli occhi, respirando a pieni polmoni quell’aria benefica e riparatrice.

D’un tratto avvertì una presenza affianco a sé. Spaventata, aprì gli occhi di scatto, voltando la testa alla sua sinistra.

- “CAPITANO!” - urlò incredula Mikasa.

Il suo sguardo non era affatto cambiato: aveva lo stesso buio della notte e l’intensità delle stelle.

- “MIKASA” –


 



ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ciao a tutti!! Sono tornata dopo qualche mese con un nuovo capitolo… Spero vi piaccia. Come sempre sono di poche parole e quindi vi auguro semplicemente una serena Pasqua. Grazie a chi mi scrive e anche a chi legge solamente. Alla prossima!
Baci, Moby9090
  
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